Gregorio di Nissa (o G. Nisseno)

Dizionario di filosofia (2009)

Gregorio di Nissa (o G. Nissèno) Padre della Chiesa (Cesarea di Cappadocia 335 ca


Nissa 394 ca.), santo. Fu uno dei ‘grandi padri cappadoci’. Nato da famiglia cristiana, insegnò retorica, ma presto si sentì spinto verso la vita ascetica, abbracciata dal fratello Basilio (anch’egli santo), dalla sorella Macrina, dall’amico Gregorio di Nazianzo; raggiunse il fratello ad Annesi, dove si diede allo studio della Bibbia e degli scrittori ecclesiastici. Basilio, divenuto vescovo di Cesarea (370), lo fece eleggere a Nissa, ma il vicario del Ponto, Demostene, riuscì a farlo deporre. Tornò in sede nel 378 e, morto il fratello, si trovò a capo degli ortodossi in Oriente partecipando al secondo concilio ecumenico di Costantinopoli (381): tanto che Teodosio designò la sua fede come modello di ortodossia. G. la difese, infatti, soprattutto contro l’ariano anomeo Eunomio, contro Apollinare di Laodicea e gli pneumatomachi. Ammiratore di Libanio, influenzato dal neoplatonismo, ma anche per certi riguardi dallo stoicismo e da Posidonio, G. continua la tradizione di Clemente Alessandrino e di Origene, che pure critica seguendo Metodio d’Olimpo, accettando la dottrina ortodossa della risurrezione dei corpi; per quanto riguarda l’apocatastasi, invece, la sua posizione è stata soggetta a critiche, sebbene G. ammetta che alcuni rimarranno soggetti a pene eterne. Ma G. ha della pena un concetto soprattutto ‘medicinale’. La «tunica di pelle» (corruttibilità e mortalità), di cui l’uomo è rivestito dopo il peccato, è da lui concepita come un mezzo che permette all’uomo di tornare liberamente a Dio, aderendo a Gesù Cristo. G. ha infatti una concezione molto realistica della redenzione, identificata in sostanza con l’incarnazione, in cui il Verbo si è unito non solo con la natura umana, ma con quella decaduta, soggetta alla morte: vincendo questa, Cristo ha sconfitto il demonio e liberato il genere umano, che può pertanto attuare la propria purificazione, recuperando la sua vera natura, fatta a immagine e somiglianza (tra questi due concetti G. non fa alcuna differenza) di Dio, la cui vera natura è l’eternità e la cui vera conoscenza consiste nel comprendere ciò che è incomprensibile. Così G., mentre si ricollega, anche nell’esegesi allegoristica, a Filone e alla scuola di Alessandria, prepara i temi della «teologia negativa», soprattutto con il trattato De vita Moysis, in cui è essenziale il tema della «tenebra» e della «non conoscenza» come vertice della conoscenza (gnosi) di Dio. Nella sua vasta produzione teologica l’opera più importante è il Contra Eunomium, unione di tre opere minori scritte in momenti diversi; si connette alle dispute trinitarie anche il De Spiritu Sancto, contro gli pneumatomachi; accanto a questi scritti si ricordano: De anima et resurrectione (trad. it. Sull’anima e la resurrezione; la Oratio catechetica magna (trad. it. La grande catechesi) e altri trattati, in cui critica Origene; De virginitate (forse la sua prima opera; trad. it. La verginità); De opificio hominis (trad. it. L’uomo); De vita Moysis (trad. it. La vità di Mosè); la Vita sanctae Macrinae (trad. it. La vita di santa Macrina); le opere esegetiche (Hexaëmeron explicatio apologetica, in cui continua le omelie di s. Basilio). Di lui ci restano inoltre numerosi sermoni e l’importante epistolario.

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