GREGORIO di Nazianzo, santo

Enciclopedia Italiana (1933)

GREGORIO di Nazianzo, santo

Alberto Pincherle

Nacque fra il 325 e il 330 nel fondo paterno di Arianzo, presso Nazianzo o Diocesarea in Cappadocia, quando il padre, Gregorio, era già vescovo di Nazianzo. Nelle scuole di Cesarea di Cappadocia conobbe Basilio il Grande, che doveva ritrovare, riannodando un'amicizia durata tutta la vita, in Atene, dove G. terminò gli studi di filosofia e retorica, già continuati a Cesarea di Palestina e Alessandria. Poco dopo Basilio, in età di 30 anni (si oscilla fra il 355-56 e il 358-59: dalla fissazione di questa data dipende quella della nascita) ritornò in patria, dove ricevette il battesimo. Ma la madre lo aveva già consacrato a Dio e G., in pericolo nella traversata da Alessandria ad Atene, aveva rinnovato il voto; a lungo il suo animo fu diviso tra l'aspirazione alla vita religiosa in solitudine e l'amore per la letteratura e l'insegnamento: entrambi manifestazioni di una fondamentale avversione per la vita e l'attività pratica, specie se rendessero necessario il lottare. Ché tutta la vita di G. è un alternarsi di momenti in cui egli cede a circostanze o pressioni altrui che lo chiamano all'azione, e di momenti in cui, obbedendo al proprio impulso, si ritira nella contemplazione. La cronologia è, per i primi anni, difficile da determinare: alternò periodi in cui visse presso Basilio, nel Ponto, ad altri in cui, ordinato sacerdote già nel 361 o 362, aiutò il padre a governare la chiesa di Nazianzo, intervenendo a mettere pace in un dissidio tra il padre, che in buona fede aveva sottoscritto una formula ariana, e i monaci fermi nell'ortodossia nicena.

Basilio, divenuto vescovo di Cesarea (370), essendo stata la Cappadocia divisa in due provincie e trovandosi in conflitto con il vescovo Antimo di Tiana, volle consacrare l'amico vescovo della minuscola località di Sasima. G. resistette a lungo, rifiutando di stabilirsi in quel luogo selvaggio; rifugiatosi di nuovo in una solitudine montana, acconsentì a ricevere la consacrazione, ma a Sasima non si recò mai e rimase a Nazianzo, dove, dopo la morte del padre (374) continuò ad amministrare la chiesa: non avendo ottenuto però che si nominasse un successore al padre, si ritirò a Seleucia in Isauria, dove stette più di 3 anni.

Quivi lo raggiunsero la notizia della morte dell'amico e la chiamata della piccola comunità ortodossa di Costantinopoli che, dopo la morte dell'imperatore ariano Valente, poteva sperare tempi migliori. G. raggiunse la capitale, dove predicò con grande efficacia contro l'eresia e riuscì a ottenere, dopo la venuta di Teodosio, che le chiese fossero dagli ariani restituite ai cattolici.

Una prima amarezza gli aveva procurato il tentativo di un Massimo, già filosofo cinico poi fattosi cristiano e da G. pubblicamente lodato; fattosi consacrare vescovo da Pietro di Alessandria (già si manifestano i primi dissensi tra le due sedi), costui aveva cercato, con l'aiuto di marinai egiziani, di cacciare G.; ma questi ebbe l'appoggio di Teodosio, e Massimo dovette allontanarsi. Poco dopo, il concilio di Costantinopoli, nel maggio 381, cercò di regolare la situazione, riconoscendo G. (che, ufficialmente vescovo di Sasima, poteva essere considerato solo un amministratore temporaneo) come vescovo della capitale. Ma, dopo la morte di Melezio, il suo tentativo di far riconoscere Paolino, pacificando così lo scisma antiocheno, incontrò l'opposizione degli Occidentali, d'accordo con gli Egiziani, capitanati ora da Timoteo di Alessandria.

Nel concilio si ricordò al vescovo di Sasima (se pure poteva dirsi tale veramente) il canone niceno che vietava i trasferimenti; e allora G., vedendosi così contrastato, preferì ritirarsi (giugno 381), ritornando a Nazianzo. Qui, due anni dopo, procurò alla chiesa vacante un vescovo, nella persona del cugino Eulalio, ritirandosi poi nella sua terra d'Arianzo, dove morì, secondo S. Girolamo, nel 389 o 390.

G. ricevette il soprannome di "teologo" (ὁ ϑεολόγος); pure, per noi, egli è soprattutto oratore e, fra i tre grandi Padri cappadoci del sec. iv, il meno significativo dal punto di vista della teologia. Delle sue 45 omelie (e si direbbero meglio "Discorsi"), la maggior parte sono panegirici, orazioni funebri e commemorative (per il fratello Cesario, la sorella Gorgonia, il padre, S. Atanasio e S. Basilio il Grande; Oratt. 7, 8, 18, 21, 43) discorsi d'occasione (compresi quelli riguardanti la sua fuga prima di ricevere il sacerdozio, Or. 2; la sua consacrazione a vescovo di Sasima, Oratt. 9-11; l'episodio di Massimo, Oratt. 25-26; il Supremum vale alla chiesa di Costantinopoli, Or. 42 e le invettive contro Giuliano l'Apostata, Oratt. 4 e 5, posteriori alla morte di lui) o in celebrazione di feste (p. es. quelle sul Natale e l'Epifania, Oratt. 38 e 39, base dello scritto di H. Usener e della controversia sull'origine e la diffusione delle due feste). Una sola si può dire esegetica (Or. 37, su Matteo, XIX, 1 segg.), una sola morale (Or. 14, sull'amore dei poveri); più numerose quelle di contenuto dottrinale, tra cui spiccano - avendogli procurato il soprannome - i 5 discorsi, da G. stesso chiamati teologici, tenuti a Costantinopoli (Oratt. 27-31).

Numerose (247) sono anche le lettere di G.; v. sotto: Edizioni nn. 101 e 102 a Cledonio; 202, a Nettario vescovo di Costantinopoli; 243, sono di carattere teologico e piuttosto discorsi che lettere: le prime tre contro Apollinare di Laodicea, l'ultima è uno scritto "al monaco Evagrio intorno alla divinità" (Πρὸς Εὐάγριον μόναχον περὶ ϑεότητος), attribuito anche a Gregorio di Nissa e a Gregorio il Taumaturgo, certo della 2ª metà del sec. IV, e probabilmente del Nazianzeno. La raccolta attuale risale senza dubbio a una fatta da G. stesso su richiesta del pronipote Nicobulo, al quale è rivolta la lettera 51, con precetti intorno allo stile epistolare che mostrano come G. conoscesse e seguisse anche in questo campo le regole della retorica del suo tempo. E con varî retori, quali Temistio e Libanio, G. fu in relazione. Molte altre sono semplici lettere di raccomandazione, consolatorie o di felicitazione.

I versi di G. furono composti per lo più nell'età senile, come sfogo alla sua anima e anche per mostrare che un cristiano poteva rivaleggiare, pur nella poesia, con i pagani. Nell'edizione dei Maurini sono divisi in due "libri", ciascuno ripartito in due sezioni: poemi teologici, cioè dogmatici e morali; poemi storici, cioè intorno a sé stesso e intorno ad altri. I più interessanti sono quelli del terzo gruppo, al quale appartengono il lungo poema autobiografico (II,1, 11; Περὶ τὸν ἑαυτοῦ βίον, 1949 trimetri giambici) e quelli "Intorno alle cose proprie" (II,1,1; Περὶ τῶν καϑ‛ ἐαυτόν) e "Lamento intorno alle passioni della propria anima" (II, 1, 45: Θρήνος περὶ τῶν τῆς ἑαυτοῦ ψυχῆς παϑῶν), che sono stati confrontati, non del tutto esattamente, con le Confessioni di sant'Agostino. Parecchie di queste poesie sono puramente didascaliche e non hanno gran valore poetico; ma in alcune, nonostante la retorica, e spesso la monotonia e la povertà del linguaggio poetico, si manifesta una spontaneità e vivacità d'impressioni, che a volte fa trovare a G. accenti lirici di sapore moderno. La maggior parte di queste poesie sono nei metri tradizionali, benché spesso i versi siano scorretti; G. ha inoltre cercato di variare al possibile la forma metrica. Due poesie, poi, un Inno della sera ("Υμνος ἑσπερινός, I,1, 32) e un'Esortazione alle vergini (I, 11, 3; Πρὸς παρϑένους παραινετικός) sono invece in metro accentuativo e presentano perciò un particolare interesse storico-letterario. Una serie dì 254 epigrammi di G. costituisce l'ottavo libro dell'antologia di Costantino Cefala. Non è assolutamente di G. il dramma medievale sulla Passione di Cristo (Χριστὸς πάσχων). Il temperamento essenzialmente lirim di G. si manifesta anche nella sua oratoria, adorna, ricca, non rifuggente da alcuno degli artifizî della retorica del suo tempo, accurata nella lingua, con preoccupazioni puristiche (atticismo).

La sua passione di letterato, il suo amore per la cultura classica si manifestano in lui costantemente, dominano in tutta la sua produzione. Tuttavia, G. non rinnega per ciò la sua fede cristiana; egli è anzi uno dei difensori dell'ortodossia, eontro gli ariani spinti (eunomiani) e contro Apollinare. Nelle dottrine trinitaria e cristologica alcune sue posizioni sono importantissime. Sulla questione della processione dello Spirito Santo, G. non si spiega chiaramente, e rivela anzi talvolta qualche incertezza; nella cristologia, pure tra incertezze, egli rasenta una volta la formula definitiva, allorché spiega che "altra cosa e altra cosa" (ἄλλο μὲν καὶ ἄλλο) sono (gli elementi) di cui (consiste) il Salvatore.... ma non un altro e un altro (οὐκ ἄλλος δὲ καὶ ἄλλος).... Infatti i due elementi sono una msa per l'unione, Dio diventando uomo, o l'uomo diventando Dio, o come uno si voglia esprimere. Ma dico: altra cosa e altra eosa, all'incontro di quanto ha luogo nella Trinità. Ivi infatti vi è un altro e un altro, affinché noi non confondiamo le ipostasi, ma non altra cosa e altra cosa, poiché i tre esseri sono una e l'identica cosa per la divinità" (ep. 101). In un altro passo celebre, egli condanna esplicitamente chi non ritenga che Maria è madre di Dio (ϑεοτόκος; ep. 101). Quanto al peccato originale e alla redenzione, nonostante un passo citato da sant'Agostino (e che non si ritrova nelle sue opere), G. non sembra ammettere una vera e propria contaminazione dell'anima umana, che ne abbia menomato la capacità di autodeterminarsi al bene. Egli sembra inoltre respingere la dottrina che interpreta l'espiazione come un mezzo di riscatto pagato a Satana, così scostandosi da Gregorio di Nissa. Su altri spunti, ripete le dottrine di Basilio. Ma è da osservare, che G. stesso non fu, come si è detto, un vero teologo, bensì un oratore; e non ha lasciato opere sistematiche.

Ediz.: Editio princeps, Basilea 1550, riprodotta con aggiunte, Parigi 1609-1611, voll. 2; ristampe della precedente, Parigi 1630 e "Colonia" (ma Lipsia) 1690; l'edizione dei Maurini, interrotta dalla rivoluzione, Parigi 1778-1840, voll. 2, riprodotta con aggiunte in Patrol. Graeca, XXXV-XXXVIII. Tra le edizioni parziali: Oratt. 7 e 43, di F. Boulenger, Parigi 1908; i 5 discorsi teologici, di A. J. Mason, Cambridge 1899; una lettera, di G. Mercati, in Varia sacra, Roma 1903, p. 53 (l'altra, a p. 86, è l'ep. 238); due lettere, da papiri, di H. Gerstenger, in Sitzungsber. d. Wien. Akad., CCVIII, 3 (1928); i due poemi in metro accentuativo, in W. Meyer, Gesammelte Abhandl. zur mittellatein. Rhythmik, II, Berlino 1905. Una nuova edizione è stata progettata dall'Accademia di Cracovia: lavori preparatorî di T. Sinko, De traditione orationum Greg. Naz., Cracovia 1917-1923, voll. 2 (Meletemata patristica, II e III); id., in Eos, XII (1906), p. 21 segg., e 98 segg.; XV (1909), p. 63 segg.; I. Saidak, ibid., XVII (1911), p. 193 segg.; S. Witkowski, ibid., XIII (1907), p. 40 segg.; G. Przychocky, ibid., XVI (1910), p. 100; id., De Greg. Naz. epistulis quaestiones selectae, Cracovia 1912.

Bibl.: A. Benoît, Saint Gr. de Naz., 2ª ed. Parigi 1885, voll. 2; C. Cavallier, Saint Gr. de Naz., par l'abbé A. Benoît, Montpellier 1886; O. Bardenhewer, Geschichte d. altkirchl. Literatur, III, 2ª ed., Friburgo in B. 1923, pp. 162-188 e 671; O. Stählin, in W. v. Christ, Gesch. d. griech. Lit., II, 2, Monaco 1924, pagine 1413-1420; A. Puech, Hist. de la littér. grecque chrét., III, Parigi 1930, pp. 318-395; U. v. Wilamowitz-Möllendorff, Die griech. Literat. d. Altertums, in Die Kultur der Gegenwart, I, viii, 3ª ed., Lipsia-Berlino 1924, p. 293 segg. (giudizio letterario); A. Cataudella, Le poesie di Greg. Naz., in Atene e Roma, 1927, pp. 88-96; id., Il prologo degli "Αιτια e Greg. Naz., in Riv. di filol. class., p. 509; E. Fleury, Hellénisme et christianisme: Saint Gr. de N. et son temps, Parigi 1930.