GRASSIA, Francesco, detto Franco Siciliano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRASSIA, Francesco, detto Franco Siciliano

Alessandro Serafini

Nacque a Palermo in data imprecisata, ma quasi certamente prima del 1640 (Faldi, p. 38). L'origine palermitana è testimoniata dallo stesso artista nella firma apposta al gruppo scultoreo in S. Maria sopra Minerva a Roma (Titi, 1674, p. 175). In Sicilia però non resta alcuna traccia di una sua presenza, né in opere né in documenti. Ignoto ai lessici, egli non è mai nominato nelle guide locali, di conseguenza non si hanno notizie certe sulla sua giovinezza e sulla sua formazione.

Evidentemente il G. si trasferì ancora giovane a Roma, certamente prima del 1661; e qui lasciò le uniche testimonianze del suo originale stile scultoreo: queste opere peraltro, nella quasi assoluta mancanza di punti di riferimento cronologici, rimangono il principale fondamento per tracciare la sua biografia. Tra esse, prima in ordine di tempo è il rilievo con la cosiddetta Allegoria della vita umana già in palazzo Cardelli a Roma e ora conservata alla Maymont Foundation (The Dooley Mansion) di Richmond in Virginia. Dalle carte d'archivio della famiglia Cardelli risulta che l'opera era già compiuta il 1° ag. 1661. Due anni dopo, Carlo Cardelli se-nior la acquistava direttamente dal G., in cambio di una misera pensione che sarebbe stata depositata ogni sei mesi al Monte di pietà per un totale di 360 scudi in venti anni (Faldi, pp. 38, 40). Lo scarso compenso lascia intendere che a quella data il G. doveva essere ancora giovane e senza alcuna notorietà.

L'Allegoria della vita umana, di proporzioni non mediocri (cm 90 x 85), era già stata attribuita a Pietro e a Gian Lorenzo Bernini. Indubbiamente il rilievo mostra suggestioni, a quella data in verità già attardate, derivate dalla scultura di soggetto bacchico del periodo napoletano di Pietro Bernini; né mancano le citazioni delle invenzioni giovanili, "ellenistiche", di Gian Lorenzo. Il pittoricismo e il virtuosismo illusionistico dei due Bernini sono però stravolti in una forma pesante e scolastica. Tecnicamente l'artista si avvale dell'uso quasi esclusivo del trapano, realizzando profondi sottosquadri e ottenendo così marcatissime opposizioni chiaroscurali, secondo una pratica che ricorda quelle dell'età antoniniana o severiana. In linea con il ricercato concettismo barocco è poi l'iconografia della vite, che da un ceppo, entro cui è racchiusa una figura femminile, si dirama in un viluppo di tralci, pampini e grappoli. Il gruppo è stato recentemente interpretato come Infanzia o Educazione di Pan, il che spiega la presenza fra i grappoli d'uva del piccolo satiro e della pantera; mentre il volto di donna che spunta tra le radici della vite sarebbe quello della madre di Pan (Chappell, pp. 132 s.).

Firmata e datata 1670 è la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista fanciulli nel transetto destro (cappella di S. Domenico) di S. Maria sopra Minerva a Roma. Unica fra le opere note del G. a essere anche datata, presenta un'iscrizione sul bordo della veste della Vergine che recita: "Franciscus Grassia Panormitanus don[um] fec[it] an[no] MDCLXX". Da ciò si deduce che il gruppo fu donato ai domenicani della Minerva dallo stesso artista, probabilmente per ottenere sepoltura nella chiesa (Berthier).

Il gruppo della Minerva è un'opera assolutamente singolare nel panorama scultoreo della Roma berniniana e postalgardiana. Quasi un'esercitazione neocinquecentesca su un motivo di Andrea Sansovino, la scultura ostenta ricordi di Domenico Gagini e del manierismo meridionale. Brani di inaspettata raffinatezza, come la bella testa della Vergine che si china per raggiungere il livello delle testine infantili, si mischiano ad altri di un realismo inconsueto e popolare, come il bamboccio di spalle che raffigura un pittoresco s. Giovanni Evangelista. Anche se incerta nella composizione, l'opera rivela però un ingegno "bizzarro", tenacemente isolato e quasi senza appiglio alla sua epoca, se non fosse per quel tanto di resa pittorica e chiaroscurale delle vesti, plasmate con una leggiadria e disinvoltura quasi settecentesche.

Di poco successivo è il rilievo in marmo con l'Adorazione dei pastori posto sul primo altare a destra della chiesa romana dei Ss. Ildefonso e Tommaso da Villanova. Menzionato da Titi fin dall'edizione del 1674 (p. 372) come "opera studiata e fatiga di molt'anni", il rilievo dovette essere ordinato quando la chiesa fu riedificata, sui primi anni Settanta, dal padre domenicano Giuseppe Paglia, conterraneo del G. (Ferrari - Papaldo, p. 175).

Massiccia, complessa e molto lavorata, l'opera sembra essere fatta apposta "per andare a genio a un convento spagnolo" (Lopresti, p. 91). L'altorilievo è scandito nettamente in due parti, quella superiore con l'epifania di Dio Padre tra un turbinio di putti svolazzanti (dove è evidente il tentativo del G. di misurarsi con le novità del barocco) e quella inferiore col sacro presepio. Nella parte bassa dell'opera prevale un arcaismo sincero, una sorta di horror vacui medievaleggiante: l'affollamento delle figure, le proporzioni alterate, la semplicità dei gesti richiamano alla memoria i rilievi dei sarcofagi del V secolo o le composizioni più cariche di Nicola Pisano; mentre le forme tumide e tozze di cani e agnellini o la rustica fiscella coi due colombi hanno il loro possibile prototipo nella scultura romanica di area meridionale. Rispetto al rilievo già Cardelli il lavorio del marmo si fa qui più attento e sicuro, prezioso nei dettagli: alle parti scavate col trapano si sovrappongono quelle sbalzate delicatamente a piccoli colpi di scalpello e poi minuziosamente levigate e lucidate.

La quarta opera riconosciuta al G. è la statua di S. Girolamo nella chiesa romana di S. Girolamo degli Schiavoni (andito di passaggio alla sagrestia). Anche quest'opera è siglata: sotto il calamaio retto tra le zampe del leone si legge incisa una "G" e accanto si scorgono tracce di altre lettere che potrebbero comporre per esteso il cognome dello scultore (Koksa).

La composizione è interessante e innovativa: il santo se ne sta seduto con le gambe accavallate intento a leggere un grande libro, col solito leone accovacciato al suo fianco; dietro sorge un piccolo albero tra i cui rami stanno due angioletti, mentre in cima un'aquila sorregge una cartella con l'iscrizione "ambient terrena gentiles". Molto espressiva, di un verismo minuzioso, è la testa del santo che pare debitrice della ritrattistica di Alessandro Algardi. Notevoli soprattutto sono l'avambraccio e la mano che sostengono il grosso libro, memori di qualche soluzione simile prodotta da Alessandro Vittoria o da Francesco Mochi.

"Strano, arcaico e pittoresco scultore", (Wittkower), il G. fu dunque un artista completamente isolato nella Roma del Bernini. La sua singolare personalità fu necessariamente il frutto di un'educazione elaborata in un ambiente di provincia che di quel tratto arcaicizzante aveva fatto una tradizione e una scuola. In questo senso il modo in cui il G. trattava il marmo sembra recuperare lo spirito ellenistico di Giovanni da Nola; mentre i tratti medievaleggianti rimandano all'arte plastica della Spagna (come quella di Juan de Mesa), certo diffusa anche nelle province spagnole d'Italia.

Non si conosce la data di morte del G., ma è certo che il 26 dic. 1683 egli era già scomparso (Faldi, p. 38).

Allo stato attuale delle ricerche non si possono aggiungere, all'esiguo corpus dello scultore, i bassorilievi con l'Adorazione del Bambino, l'Annunciazione e la Visitazione nella sagrestia di S. Maria in Trastevere, assegnatigli da Riccoboni (pp. 252 s). L'attribuzione fu giustamente respinta da Faldi (p. 37) e non è stata più avanzata.

Fonti e Bibl.: F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma, Roma 1674, pp. 175, 372; J.-J. Berthier, L'église de la Minerve à Rome, Roma 1910, p. 303; L. Lopresti, Tre sculture di un siciliano a Roma, in L'Arte, XXX (1927), pp. 89-96; A. Riccoboni, Roma nell'arte. La cultura nell'Evo Moderno, Roma 1942, pp. 251-253; I. Faldi, L'allegoria della "vita umana" di F. G., in Paragone, IX (1958), 99, pp. 36-40; R. Wittkower, Arte e architettura in Italia, 1600-1750 (1958), Torino 1993, p. 276 n. 43; G. Koksa, S. Girolamo degli Schiavoni, Roma 1971, pp. 159 s.; A. Nava Cellini, La scultura del Seicento, Torino 1982, pp. 30, 87, 90, 248; M. Chappell, Bernini and F. G.'s "Allegory of human life": the origins and clarification of some erroneous suppositions, in Southeastern College Art Conference Review, X (1983), pp. 126-134; O. Ferrari - S. Papaldo, Le sculture del Seicento a Roma, Roma 2000, pp. 163, 175, 276, 336.

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