GRANULAZIONE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

GRANULAZIONE

G. Becatti

Tecnica usata nell'oreficeria antica e consistente in una decorazione di minuscoli grani sferici aurei saldati fra loro e su una superficie di lamina d'oro, a formare sia un fondo unitario granulato, sia dei motivi ornamentali, sia a sottolineare particolari di alcune figurazioni. Quando i grani raggiungono proporzioni microscopiche, come nell'oreficeria etrusca del periodo orientalizzante del VII sec. a. C., si dà a questa tecnica il nome di pulviscolo.

Sul modo di ottenere i grani aurei si sono fatte varie ipotesi da parte dei moderni studiosi; si è pensato che l'oro fuso venisse colato attraverso un setaccio facendo cadere le gocce da una certa altezza dentro l'acqua, oppure che si tagliasse un filo aureo in piccolissimi segmenti che si mescolavano poi con il carbone, sottoponendoli all'azione del fuoco che li trasformava in globuli; il Vernier ha suggerito il metodo consistente nel far fondere l'estremità di un sottile filo d'oro a contatto di una fiamma raccogliendo le gocce cadenti; il Densmore Curtis, notando che talvolta la superficie dei globuli è opaca, talaltra liscia e lucente, ha pensato che in questo secondo caso venissero fatti scorrere fra due lastre di vetro o di metallo ruotanti. È molto probabile che l'uso del carbone stia alla base del metodo antico come di quello descritto da Benvenuto Cellini nel suo trattato sull'oreficeria (cap. iii): "volendo fare della granaglia, tu piglierai il tuo oro o argento e lo farai fondere e quando si mostra benissimo strutto, farai di gittarlo in un vasetto il quale sia pieno di carbone pesto: e così viene fatta la granaglia di ogni sorta".

Il processo tecnico della g. antica non è stato ancora studiato e chiarito in tutti gli elementi; per unire e saldare fra loro i graiti si è pensato che si usasse una sostanza con un punto di fusione più basso dell'oro, come l'elettro che è una lega di oro e di argento, oppure un oro meno puro, oppure il borace. Le oreficerie antiche granulate non lasciano vedere peraltro a occhio nudo sostanze intermedie fra i globuli che mantengono tutto il contorno netto, e l'aggiunta di una sostanza intermedia sarebbe stata poi ben difficile nella tecnica a pulviscolo per le dimensioni microscopiche dei granellini. Questi non potevano certamente esser collocati uno per uno sulla superficie da decorare, ma cosparsi come un pulviscolo su determinati tratti e, poiché le oreficerie etrusche che mostrano questa tecnica offrono in genere una complessa ornamentazione geometrica e figurata, si è pensato che si cospargesse sulla superficie aurea una sostanza adesiva soffiandovi poi sopra o spargendovi uniformemente il pulviscolo aureo di minuscoli granellini, raschiando successivamente le parti che dovevano rimanere lisce, e risparmiando invece quelle che dovevano risultare granulate. Il pulviscolo sarebbe stato precedentemente arroventato insieme a polvere di carbone in modo che sulla superficie dei granellini si formasse uno strato di carbonato d'oro, il cui punto di fusione risulta più basso di quello dell'oro puro. Sottomettendo quindi l'oggetto, già decorato con il pulviscolo, all'azione del calore, si sarebbe ottenuta una parziale fusione, nei punti di contatto dei granellini, della superficie di carbonato d'oro in modo da saldarli fra loro e sulla lamina.

Fra i più antichi esempî di g. sono alcune oreficerie del cosiddetto Tesoro di Priamo scavato dallo Schliemann nel II strato di Troia, databile tra il 2350 e il 2100 a. C. Negli orecchini aurei a baule con pendagli, file di granuli si allineano sulla lamina ricurva divisi da fili aurei o circondano borchiette a rilievo, e formano segmenti paralleli longitudinali o trasversali sul corpo a sanguisuga di altri orecchini.

Un poco più recenti sono i gioielli egizî granulati da Dahshūr, conservati al museo del Cairo e provenienti dalle tombe delle principesse Mereret e Chmemet della XII dinastia (1991-1778); la g. vi appare sia unita alla filigrana come a Troia, sia senza. Ricopre tutta la superficie della farfalla che costituisce l'elegante pendaglio di una collana, disponendosi in file parallele sulle ali divise da fili aurei e distendendosi su tutto il corpo allungato dell'insetto; è ugualmente definita da fili aurei sulla superficie di pendagli a stella, sia nei due a cinque punte di una collana, sia nei tre a otto punte di un'altra collana dalla stessa tomba della principessa Chmemet. Senza filigrana invece decora la superficie di un unguentario e di due anelli dalla tomba della principessa Mereret; sull'unguentario cilindrico si dispone a fasce spezzate ad angoli, parallele, di due file di granuli ciascuna, e sul castone ellittico dell'anello in file di piccole losanghe, mentre in file parallele orna l'altro anello a nastro.

La g. sulle oreficerie egizie non imita certamente quella di Troia, ma è probabile invece che ambedue derivino da anteriori esperienze da ricercarsi nel mondo orientale, sebbene questo problema dell'origine della g. rimanga ancora incerto. Nell'ambiente elamita conosciamo un anello a cerchio con decorazione granulata a due file di triangoli opposti e uno spillone votivo di schisto con protome leonina aurea cesellata con collarino decorato con file di triangoli granulati, provenienti dalle fondazioni del tempio di Inshushinak, e questo motivo di triangoli opposti in due file costituisce il motivo più comune e diffuso di questa decorazione granulata, che si ritrova anche nelle altre oreficerie egizie, come su due braccialetti da Tell Basta al museo del Cairo con cartouche di Ramesses II (1301-1234) della XIX dinastia, dei quali uno ha anche piccole losanghe intermedie, e sul disco di due orecchini con lunghi pendagli con un cartouche di un Ramesses non precisamente identificabile e che sono stati variamente datati dal 1178 al 1090: la doppia fila di triangoli opposti circonda il disco che è ornato anche da filigrana marginale.

È probabile che da influssi orientali derivi anche la tecnica della g. che vediamo applicata su alcuni gioielli minoici del periodo naturalistico, come una piccola anitra sbalzata in lamina d'oro a tutto tondo, dove le ali sono disegnate da file di granuli, e come un piccolo leoncino a tutto tondo aureo di lamina sbalzata nel quale la criniera è tutta resa a g., ambedue provenienti da Cnosso e conservati nel museo di Iraklion, dove si trova anche un grifo alato con ali granulate di lamina d'oro. Al Minoico Medio I cioè intorno al XVII sec. a. C. è stato datato il bel pendaglio aureo da Mallia costituito da due api affrontate, il cui addome è decorato da file di granuli che ne segnano le segmentazioni e le cui zampe reggono al centro un dischetto tutto ricoperto da g.; un giro di granuli circonda anche la testina a borchia delle api e i due pendaglietti a disco laterali. Se la datazione è giusta sarebbe questo il più antico esempio di g. minoica. Anche l'oreficeria micenea usa questa tecnica ma sempre con parsimonia, sia con qualche granulo fra i petali delle rosette che circondano il cerchio di orecchini dalla III tomba del circolo interno di Micene del XVI sec. a. C., sia a rendere con felice effetto la macchiatura della pelle di una ranocchia aurea con grani sparsi sul dorso, proveniente da Pylos, oppure a circondare a gruppi di sei granuli i bordi di un piccolo scudo bilobato miceneo in oro ugualmente da Pylos, ambedue databili intorno al XIV sec. a. C.

Anche a Cipro nelle oreficerie del tardo periodo miceneo compare la g., come sugli orecchini a pendaglio conico a testa taurina stilizzata ornata di granuli e di filigrane, provenienti soprattutto da Enkomi.

Nell'oreficeria geometrica attica dell'VIII sec. a C. la g. compare su pendagli di collane, come quelli da Eleusi, a circondare triangoli, dischi di paste vitree, a disegnare linee spezzate, meandri sul fondo, ma più che nel sobrio stile geometrico troverà maggiore applicazione nell'oreficeria del periodo orientalizzante del VII sec. a. C. Caratteristici esempî sono i pendagli aurei da Aidin-Tralles e quello di Cnosso, nei quali la g. disegna linee ondulate e spezzate, sottolinea gli elementi decorativi sbalzati nelle lamine, i panneggi delle rigide figurine femminili. Ancor più fine e minuto è l'ornato granulato nel cilindrico peplo della Potnia Theron sbalzata sui pendagli rettangolari tipi ci dell'oreficeria rodia, disegnandovi meandri, losanghe, linee spezzate, embricazioni, sottolineando anche i capelli, le ali della dea e le criniere dei leoni, come le protomi femminili e i margini dei petali delle rosette rodie coeve. Granulato appare il corpo delle api, delle mosche, delle cicale auree da Efeso del VII sec. a. C. e anche l'oreficeria punica usa la g. per decorare con triangoli e disegni lineari i pendagli degli orecchini, per circondare gli ornati sbalzati sui braccialetti con palmette, fiori, scarabei. Ma nel periodo orientalizzante la g. trova l'uso più complesso e raffinato nell'oreficeria etrusca a sottolineare con minuzia tutti i dettagli delle minuscole figurazioni sbalzate o a tutto tondo di fibule, braccialetti, orecchini, pettorali, disegnando i panneggi delle figure femminili, ali, piume, criniere di leoni, sfingi, chimere, sirene, anatrelle, grifi, creando riquadrature geometriche, di meandri, fasce, triangoli, linee spezzate. Si è calcolato che più di 13.000 grani sono stati usati nella decorazione geometrica e a palmette sulla emisferica coppa aurea da Preneste, di perfetto rigore calligrafico, oggi al Victoria and Albert Museum di Londra, del VII sec. a. C. Nell'ambiente di Vetulonia e di Vulci predomina la raffinata tecnica del pulviscolo che disegna teorie di mostri sulle lunghe staffe delle fibule, sulle capocchie di spilloni, sulle lamine di orecchini, sul campo di pendagli, fra i quali quello di Monaco mostra una complessa scena di caccia. Notevoli somiglianze con la g. dell'oreficeria orientalizzante etrusca presenta quella di alcuni pendagli aurei del tardo periodo hallstatiano, come due di Berlino a cerchio con triangoli, quadrupedi (cervo, cane) granulati, o uno a grosso vago con segmenti granulati, bordato di filigrana, nel museo di Berna. Una finissima g. abbellisce anche gli elementi floreali, ghiande, fiori, palmette, bocci, e figurati, maschere di Achebo, di Sileno, delle ricche collane etrusco-ioniche del VI sec. a. C. e in questo periodo con preziosistica eleganza la g. ravviva i motivi decorativi degli orecchini etruschi a baule, quelli a rosetta discoidale, i vaghi delle collane, i pendagli: fra questi uno da Vignanello con Sileno, sdraiato, sbalzato mostra tutto il fondo finemente granulato su cui spicca la figura con senso coloristico pari a quello dei vasi a figure rosse. Lo stesso contrasto si ritrova nella decorazione dei bordi di un gruppo di sostegni cilindrici per balsamari da qualche centro etruschizzato dell'Italia meridionale della fine del VI o dei primi del V sec. a. C., e anche nell'oreficeria punico-iberica, come su un cinturone aureo da Miseda dove gruppi di uomini con leone e palmette, sbalzati, spiccano sul fondo fittamente granulato.

Nell'ambiente ionico la g. è sempre usata con finezza; la troviamo particolarmente sui corpi a sanguisuga degli orecchini a disegnare triangoli, rosette e altri minuscoli motivi, ma in seguito l'uso si fa sempre più limitato.

Nel periodo ellenistico la vediamo adoperata ad esempio per render le pieghe del panneggio della Nike che sormonta la esuberante corona floreale di Armento del III sec. a. C., nelle cornici di alcuni pendagli, nel corpo a sanguisuga dei barocchi orecchini dalla Russia meridionale, per rendere la lanosa calotta di capelli degli orecchini a testa di negro, a ricoprire le borchie emisferiche dei ricchi orecchini iberici, ma in genere si preferiscono gli effetti della filigrana, dello sbalzo, del cesello, dell'incrostazione di gemme. Talvolta si rende con una semplice punteggiatura l'effetto di un fondo granulato. Anche nell'oreficeria etrusca la g. tende a scomparire o è usata con grani più grossi o imitata con punti sbalzati. Fa eccezione qualche orecchino a ferro di cavallo con rosette coperte di pulviscolo.

L'oreficeria celtica preferisce le godronature; quella tardo-ellenistica usò raramente la g.; abbiamo alcuni esempi in orecchini e gioielli di ambiente alessandrino, e l'oreficeria romana adoperò ben poco la g. sempre con grani piuttosto grossi e limitati a qualche piccolo aggruppamento in borchie, in bulle, in pendagli. A grani grossi, isolati, irregolari appare la tecnica nell'oreficeria barbarica, usata peraltro molto di rado in castoni di anelli, nelle borchie rotonde di fibule, in orecchini a semisfera per creare file di punti o centri di rosette.

Bibl.: Una trattazione fondamentale è quella di M. Rosenberg, Geschichte der Goldschmiedekunst auf technischer Grundlage, III, Granulation, Francoforte 1918. Si veda anche: E. Fontainy, Les bijoux anciens et modernes, Parigi 1887, pp. 267-268; Schätzle, Der Gold und Silberarbeit, 1923, p. 205; C. Sniger, E. J. Holmyard, A. R. Hall, A History of Technology, I, Oxford 1954; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, p. 70 e passim; Fr. Chlebecek, Beitrag zur Technik der Granulation, in Studi Etruschi, XXII, 1952-53, pp. 203-205; G. Piccardi, Sulla oreficeria granulata, in Studi Etruschi, XXII, 1952-53, pp. 199-202. Per la g. nell'oreficeria di Troia: H. Schmidt, Heinrich Schliemann Trojanischer Altertümer, Berlino 1902, pp. 229-241. Per la g. nell'oreficeria egizia: E. Vernier, La bijouterie et joaillerie égyptiennes, Il Cairo 1907, p. 128 ss.; id., Bijoux et orfèvreries, Catal. général, XLVIII, 1909, nn. 52323-4; 52575-6; J. De Morgan, Fouilles à Dahchour 1894-1895, Vienna 1903, p. 67, nn. 62-64, Tav. XII; id., Fouilles à Dahchour, Mars-Juin 1894, Vienna 1895, pp. 67-70, nn. 24-35, figg. 142, 144, 145, Tav. XXIV; G. Maspero, Le Musée égyptien, II, 1907, tav. LIV, p. 93; G. Möller, Goldschmiedearbeiten im ägyptischen Stil, Tav. XIV, n. 92, a, b. c. Per la g. nell'oreficeria persiana: Délégation en Perse, Mémoires, VIII, Recherches archéologiques, 2 ser., Parigi 1907, tav. IV. Per la g. nell'oreficeria minoica: H. Bossert, Alt-Kreta, Berlino 1937, p. 91 ss.; G. Karo, Die Schachtgräber von Mykenai, Berlino 1930, pp. 259, tavv. CIII ss. Per la g. nell'oreficeria etrusca: F. H. Marshall, Catalogue of the Jewellery, British Museum, Londra 1911, p. LIV; G. Karo, in Studi e Materiali, I, 1899-1901, p. 278; A. Castellani, in Comptes Rendus Acad. Inscr. Bell. Lettres, 1862, p. 13 ss.; id., Della oreficeria italiana, Roma 1872, p. 27 ss.; C. Densmore Curtis, Ancient Granulate Jewellery of the VIIth Century b. C. and Earlier, in Mem. Am. Acad., I, 1917, p. 63 ss.