GRAN BRETAGNA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

GRAN BRETAGNA (XVII, p. 667; App. I, p. 685; II, 1, p. 1076; III, 1, p. 776)

Giuliano Bellezza
Daniela Primicerio
Alfredo Breccia-Giuliano Caroli

BRETAGNA Popolazione. - Secondo la più recente valutazione (stima del giugno 1974) la popolazione dell'isola ammonta a 54.421.000 abitanti, con una densità di 237 ab./km2. Sommando a questa la popolazione dell'Irlanda del Nord (1.547.000 ab., densità pari a 110), si ha per il Regno Unito un valore di 55.968.000 ab., 229 per km2. I censimenti ufficiali hanno ripreso il consueto ritmo decennale, ma con il 1966 si è inaugurato l'uso di eseguire, a cinque anni dai censimenti, dei sample census, su un campione del 10% circa della popolazione. Al censimento 1961 gli abitanti dell'isola risultarono 51.250.154 (e quelli dell'Irlanda del Nord 1.425.376). All'ultimo censimento, nel 1971, risultarono 53.821.364 ab. nell'isola e 1.527.593 nell'Irlanda del Nord, quindi 55.348.957 nel Regno Unito (non includenti 56.248 ab. dell'isola di Man e 126.363 delle isole Normanne, dipendenti direttamente dalla Corona). Osservando la situazione in modo appena più analitico, già a livello delle maggiori suddivisioni regionali appaiono forti differenze di densità e dinamica demografica. L'Inghilterra presa a sé, costituisce un'area di forte addensamento demografico, superiore non soltanto alle altre regioni del Regno Unito, ma anche a quelle, sempre portate per esempio, dei Paesi Bassi e del Belgio. Si tratta infatti (stima 1974) di 46.436.000 ab. su 130.362 km2, con una densità di 356 ab. per km2, tutti dati non paragonabili con quelli del Galles (2.759.000 ab. su 20.764 km2, densità 132) o della Scozia (5.226.000 ab. su 78.772 km2, densità 66).

Il movimento naturale della popolazione non presenta differenze sostanziali tra le varie regioni. Il coefficiente di natalità dal 15,5‰ nel 1955 è salito fino al 18,8 nel 1964, per diminuire in seguito nuovamente: nel 1973 è stato del 13,9‰. Il coefficiente di mortalità ha registrato fluttuazioni molto meno ampie, e ha da alcuni anni valori inferiori al 12‰. Tra Inghilterra, Galles e Scozia non si riscontrano differenze, se non a livello dei decimillesimi. Dovrebbe risultare quindi per l'isola un generale incremento della popolazione, su valori medi annui dello 0,4%. Si distacca da questi valori l'Irlanda del Nord, con un coefficiente di natalità superiore al 20‰ e uno di mortalità di poco superiore al 10‰.

Secondo le previsioni ufficiali dei servizi demografici, la popolazione britannica dovrebbe superare i 56 milioni al prossimo censimento e i 58 nel 1991. Solo attorno al 2010 si dovrebbero superare i 60 milioni. Attualmente un quarto circa della popolazione ha meno di 15 anni e il 13% supera i 65. Sono valori elevati, dovuti al coefficiente di natalità abbastanza elevato dei primi anni Sessanta e all'allungamento della vita media. Quest'ultimo fenomeno è destinato a durare, mentre la natalità si sta già abbassando. Pertanto, secondo le previsioni, attorno al 2010, i minori di 15 anni saranno il 21% circa della popolazione, un 14% della quale avrà più di 65 anni.

Le migrazioni interne non modificano, ovviamente, il totale nazionale, ma fanno sì che l'incremento demografico sia molto diverso da regione a regione. Le correnti migratorie in atto dal dopoguerra hanno seguito quasi invariabilmente percorsi da regioni di rarefazione a regioni di addensamento, accentuando così gli squilibri preesistenti. Nell'Inghilterra stessa sono presenti zone di rarefazione, dalle quali si ha un certo deflusso di popolazione. In tale situazione si trovano tutto il Sud-Ovest (Somerset, Devon, Cornovaglia), il Nord-Ovest (Cumbria, Lancashire settentr.), l'East Anglia (Norfolk, Suffolk) e gran parte del North Yorkshire. La regione di maggiore addensamento ha una forma approssimativamente ellittica e si estende dalla zona londinese a sud-est fino alle aree urbane di Liverpool e Manchester a nord-ovest; nella sua parte centrale si trovano le popolosissime e industrializzate Midlands. Oltre a essere sede di svariate industrie, le aree urbanizzate di questa fascia comprendono anche i maggiori centri direzionali e commerciali del paese. L'incremento di popolazione in Inghilterra, includendo i movimenti migratori, ha avuto tra i due censimenti un valore annuo medio dello 0,6%, simile a quello medio europeo. Nel Galles si verifica una certa contrapposizione tra la regione costiera meridionale sul Canale di Bristol e le aree montuose interne e la zona settentrionale. Nella prima si ha una discreta densità e una rilevante attività economica (580 ab. per km2 nel Glamorgan), nelle altre una già bassa densità è aggravata da movimenti emigratori. La crisi dei giacimenti carboniferi ha avuto effetti particolarmente vistosi proprio nei bacini interni gallesi. I casi limite di disparità tra una zona e l'altra si verificano però in Scozia (dove vanno anche accentuandosi). Nelle Lowlands si concentra tutta la vita economica, e si raggiunge una densità di circa 590 ab. per km2. Indiscutibilmente in crisi economico-demografica si trova invece la parte rimanente della Scozia, tranne alcune parti costiere orientali (dintorni di Aberdeen, Perth, Dundee). Sugli Highlands e sui Grampiani, estendentisi per oltre 31.000 km2 (cioè due quinti della Scozia), si superano appena i 220.000 ab. complessivamente, con una densità di appena 7 ab. per km2. Per effetto dei movimenti migratori la popolazione del Galles ha un incremento medio annuo dello 0,3%, mentre nella Scozia viene praticamente annullato tutto l'incremento naturale. Anche dall'Irlanda del Nord si verifica una certa emigrazione, ma in complesso la popolazione aumenta a un tasso simile a quello dell'Inghilterra (o,7% annuo).

Per adeguarsi maggiormente alla nuova situazione di distribuzione di popolazione e della struttura urbana, nel 1974 il governo ha deciso un riordinamento amministrativo mirante anche a realizzare nuove circoscrizioni più omogenee tra loro. In linea di principio, si è cercato d'istituire contee con popolazione compresa tra 270.000 e 1.500.000 abitanti. Le nuove contee dell'Inghilterra e del Galles sono 46, più sei contee metropolitane e la Grande Londra. Per la Scozia la nuova ripartizione entrata in vigore nel 1975 suddivide il territorio in 12 regioni, tre delle quali costituite da gruppi insulari (Orcadi, Shetland e Isole Occidentali). Nell'Irlanda del Nord la variazione a livello di distretti non ha praticamente mutato i limiti delle contee. Nel Galles ricompaiono in veste ufficiale i nomi tradizionali di Gwent, Gwynedd, ecc. In Inghilterra le maggiori variazioni si sono verificate ai limiti con il Galles, dove per es. è sparito dalle carte amministrative il nome della contea di Shropshire, inglobata nella nuova unità denominata Salop. Tra le contee metropolitane la più settentrionale è denominata Tyne and Wear, anche se viene comunemente indicata col nome della città principale, Newcastle upon Tyne. La popolazione della contea supera 1.200.000 ab. e gli altri centri maggiori sono Sunderland e Gateshead. West e South Yorkshire, la Grande Manchester e Merseyside sono confinanti tra loro. West Yorkshire supera largamente i due milioni di abitanti; la città principale è Leeds ma molto importanti sono anche Bradford, Kirklees e Wakefield. South Yorkshire, con circa 1.350.000 ab., è la conurbazione di Sheffield con Doncaster. La Grande Manchester supera i 2.730.000 ab.; Manchester è naturalmente la città principale, tra le altre si segnalano Wigan, Stockport e Bolton. Merseyside è la contea di Liverpool, con quasi 1.700.000 ab.; fanno corona al centro principale Wirral, Sefton, ecc. Nel centro dell'Inghilterra si trova la conurbazione denominata West Midlands, con 2.800.000 ab., facente capo a Birmingham; tra le altre città che vi sono comprese, Coventry, Sandwell, Dudley. La Grande Londra, pur essendo dello stesso ordine delle altre come dimensioni fisiche, se ne distacca nettamente come popolazione, con circa 7,5 milioni di ab. Mancano grandi agglomerazioni nel Galles, dove la maggiore città, Cardiff, non giunge a 300.000 abitanti. In Scozia Glasgow giunge a circa 900.000 ab. e il suo agglomerato urbano (Central Clydeside) ne comprende quasi 1.700.000.

Nel complesso la popolazione dell'isola si è ulteriormente accentrata negli ultimi anni. La popolazione censita come rurale è attualmente il 3,5% del totale, ma i criteri sono diversi da quelli usuali in Italia. Tuttavia ben più del 50% si trova in città con oltre 100.000 abitanti. Terra di antica concentrazione in zone urbane, il Regno Unito ha proseguito nella politica decentratrice della popolazione, intrapresa prima della seconda guerra mondiale. La costruzione delle new towns, che andavano dotate di tutte le infrastrutture di servizi, si è rivelata molto più costosa del previsto; è così invalso l'uso di favorire l'insediamento della popolazione eccedentaria in expanding towns, cioè centri già esistenti nei quali programmare un forte incremento di popolazione in breve periodo. Fondamento di questo programma era l'installazione in questi centri di unità produttive, in modo da evitare di farne centri dormitorio, dando invece vita a cittadine autonome. In realtà in alcuni casi la popolazione preventivata è stata di molto superata (Northampton e Warrington con oltre 120.000 ab.) e spesso, pur trovandosi al di fuori dei limiti della Grande Londra, gli abitanti hanno un lavoro fisso nella metropoli. L'ultima new town inaugurata è stata Milton Keynes, nel Buckingamshire, che supera già i 35.000 ab., ma varie altre si sono formate negli anni Sessanta. In Scozia le ultime inaugurate sono Irvine e Livingston. Parallelamente all'accrescersi di questi centri, è proseguita la diminuzione di popolazione nelle zone centrali delle maggiori aree urbane: caso limite quello di Londra, dove la City risultava abitata, all'ultimo censimento, da 4234 persone. In ogni caso questo non modifica il quadro generale di una popolazione fortemente accentrata, che va accentrandosi sempre di più. Attualmente il governo studia i motivi della diminuzione del tasso di fertilità verificatosi negli ultimi anni, per evitare che l'incremento di popolazione nei prossimi decenni sia dovuto più all'immigrazione dall'estero che all'accrescimento naturale. Inoltre l'immigrazione tende ad aumentare sempre più il divario tra zone sovrappopolate e rarefatte, diretta com'è quasi esclusivamente verso l'agglomerato londinese. Fino al 1962 dai paesi del Commonwealth si poteva liberamente andare a stabilirsi in G. B.; quando però quei paesi ebbero raggiunto l'indipendenza e le correnti migratorie smisero di essere teoriche, il governo prese provvedimenti restrittivi. Seguì una nuova legislazione nel 1965, che portava a 8500 il numero massimo di nuovi permessi di lavoro per stranieri da concedere in un anno. Nel 1968 si verificarono particolari problemi, quando molti paesi dell'Est africano espulsero i propri cittadini di origine asiatica, fatti immigrare a suo tempo dagl'Inglesi. Attualmente vige l'Immigrant Act del 1971, che lascia libera l'immigrazione ai cosiddetti patrials, cioè i cittadini del Regno Unito e delle colonie o quei cittadini di altri paesi del Commonwealth con almeno un genitore nato nel Regno Unito o in una colonia. In pratica fino al 1968 il numero di immigrati si è mantenuto tra 50 e 60.000 per scendere al di sotto dei 30.000 negli anni seguenti. Peraltro nel 1972 vennero ammessi in breve tempo 28.000 asiatici espulsi dall'Uganda. Al censimento 1971, tra i 53,8 milioni di ab. dell'isola, 718.000 erano nati in Irlanda e 1.140.000 nei paesi detti New Commonwealth (cioè tutto il Commonwealth a esclusione di Australia, Canada e Nuova Zelanda).

Attività agricole. - Quattro quinti del territorio dell'isola sono agrari, ma una metà è costituita da pascoli e colture foraggere; l'arativo non giunge al 30% del territorio. Gli addetti sono poco più di 700.000, pari al 2,9% della popolazione attiva, e contribuiscono col 3,5% al prodotto nazionale. L'addetto all'agricoltura è quindi in G. B. a un livello produttivo superiore a quello medio nazionale. È uno dei migliori risultati di una ristrutturazione agraria iniziata prima della guerra. Attualmente vi sono circa 280.000 unità aziendali, quasi 100.000 delle quali piuttosto piccole. Queste vengono lavorate da agricoltori part time, e forniscono circa un decimo del prodotto agricolo totale. Delle rimanenti, circa 70.000 sono considerate piccole aziende, impieganti uno-due addetti a tempo pieno; 55.000 hanno dimensioni medie (due-tre addetti) e 40.000 sono le grandi, con più di quattro addetti a tempo pieno. Le grandi sono solo il 14% ma producono ben più della metà del totale. Annualmente, per il perdurare del fenomeno di aggregazione, il numero di aziende diminuisce di circa 15.000 unità. La dimensione media dell'azienda a tempo pieno si avvicina ormai ai 100 ha (includendo le zone a pascolo). Il pascolo magro costituisce circa un sesto del territorio nell'Inghilterra di Sud-Est, un terzo sui rilievi inglesi e gallesi e circa tre quarti in Scozia. Questi dati forniscono un quadro delle possibilità delle varie regioni. Dovunque si è assistito a una specializzazione, volta principalmente all'allevamento. Le aziende non praticanti allevamento non giungono a un sesto del totale. Tali aziende sono diffuse nell'East Anglia, Kent, Lincolnshire e regione dell'Humber; in Scozia nelle pianure costiere orientali.

Nel corso dell'ultimo decennio l'area destinata ai cereali è stata aumentata di circa un milione di ha (cioè di un terzo) e la loro produzione è salita del 50%, superando i 150 milioni di q. Il frumento ha registrato un aumento da 30 a quasi 50 milioni di t, l'orzo da 50 a 90. Molto diminuita invece la produzione di avena, da 19 a 10 milioni di q. Pur registrando una diminuzione di superficie del 25% le patate hanno mantenuto una produzione di oltre 65 milioni di q; la barbabietola da zucchero ha incrementato la superficie del 15% e la produzione del 25% (oltre 10 milioni di q). Sostanziali progressi si sono verificati nell'allevamento, dove il numero di bovini si approssima ormai ai 15 milioni; anche il numero dei suini si sta accrescendo (circa 9 milioni), mentre quello degli ovini pare essersi attestato sui valori anteguerra (circa 27 milioni). In forte progresso è l'allevamento di volatili, che sono attualmente quasi 145 milioni, 36 in più in dieci anni. I volatili vengono sempre allevati più per la carne (produzione raddoppiata in dieci anni) che per le uova (produzione quasi costante).

Va precisato che l'agricoltura britannica non viene in realtà spinta al massimo preferendosi lasciare alcune produzioni a paesi del Commonwealth di zone tropicali. Per es. non sarebbe difficile rendersi autosufficienti per lo zucchero, che s'importa però come zucchero di canna, o incrementare ulteriormente i prodotti caseari, che s'importano invece dalla Nuova Zelanda. Notevoli problemi vengono ora posti all'agricoltura britannica dall'adesione alla CEE, i cui regolamenti escludono forme di sovvenzione diretta all'agricoltura come quella dei deficiency payments, utilizzata nel Regno Unito fino al 1973. Attualmente l'agricoltura copre quasi il 60% del fabbisogno alimentare nazionale con un numero di addetti molto basso e va sempre più industrializzandosi. Da segnalare la ristrutturazione delle serre ortofrutticole nei pressi di Londra.

Produzione energetica. - La produzione di carbone ha continuato a manifestare i tre fenomeni di tutto il dopoguerra: diminuzione della produzione, diminuzione degli addetti, aumento della produzione per ogni addetto. Dagli oltre 200 milioni di t annue degli anni Cinquanta si è avuta una costante diminuzione, fino a scendere al di sotto dei 110 nel 1972-73, con una diminuzione del 20% dall'anno precedente. L'impennata dei costi degl'idrocarburi a partire dal 1973 ha però costituito un incentivo a riprendere l'estrazione in molte miniere abbandonate e nel 1975 la produzione è stata vicina ai 130 milioni di t. Per molti anni infatti si erano abbandonate le miniere più profonde e costose, limitando l'estrazione a quelle più meccanizzabili. Il numero di addetti è sceso fino a 245.000 nel 1973, mentre la loro produttività era salita fortemente; per i minatori di fondo si è giunti a oltre 7 t giornaliere. Il lavoro è meccanizzato quasi al 90%. A Selby (Yorkshire) è stato identificato un giacimento con riserve di un miliardo di t. Le ricerche sono volte a scoprire giacimenti che permettano di lavorare in condizioni più sicure rispetto a quelli utilizzati da secoli. Il consumo nel 1973 è stato di poco superiore alla produzione, la cui forte diminuzione in quell'anno è stata dovuta in parte agli scioperi. In ogni caso l'esportazione è ridotta a valori bassissimi. Virtualmente a zero è la domanda per usi domestici o per l'industria del gas, mentre oltre il 15% viene utilizzato dalle cokerie. Chi maggiormente utilizza il carbone è attualmente l'industria elettrica (oltre 70 milioni di t nel 1973-74). Sulla produzione totale di energia la parte del carbone è scesa al 37%. Questo declino è stato provocato dall'uso di idrocarburi, cresciuto forse al di là di quanto fosse razionale. Le raffinerie hanno superato la produzione di 50 milioni di t nei primi anni Sessanta e nel 1973 erano già al di sopra dei 110 milioni; la capacità di raffinazione nel 1974 ammontava a 147 milioni di t annue. Giungendo tutto il greggio via mare, le raffinerie sono costiere.

Sulla costa meridionale l'impianto gigantesco di Fawley (Hampshire), con una capacità di raffinazione annua di 20 milioni di t. Sulla costa orientale le raffinerie sono poste sugli estuari; sul Tamigi Isle of Grain, Shell Haven e Coryton (30 milioni complessivamente); sull'Humber Killingholme (13); sul Tees North Tees e Teesside (11); sul Firth of Forth Grangemouth (8,7). Sulla costa occidentale i complessi di Heysham (Lancashire) con 2 milioni e di Tranmere (Merseyside) con 1,5 divengono quasi trascurabili rispetto alle formidabili installazioni di Stanlow (Cheshire), con oltre 18. La costa gallese sul Canale di Bristol vede un altro formidabile complesso, quello di Milford Haven, con tre impianti, da quasi 4, oltre 5 e oltre 15 milioni di t rispettivamente. Molto rilevanti anche quelli di Pembroke (9,3) e Llandarcy (8,2).

Il consumo interno, ben al di sotto dei 50 milioni di t nel 1960, nel 1973 è stato di 98 milioni, per il 46% adibiti alla produzione di energia. In forte aumento l'uso del gas naturale, per il quale è da segnalare la scoperta ed entrata in produzione dei giacimenti del Mare del Nord. Le prospezioni sismiche cominciarono nei primi anni Sessanta, regolate quindi dal Continental Shelf Act del 1964. Attualmente sono sotto licenza quasi 110.000 km2, su un totale di 560.000 km2 che i britannici considerano di propria pertinenza. I pozzi produttivi nel 1974 erano oltre 200; in quest'anno sono state prodotte le prime quantità di idrocarburi liquidi, mentre già da tempo si estraeva gas. Le prime produzioni commerciali di metano sono infatti del 1965, e i campi più produttivi sono denominati: Leman Bank, West Sole, Hewett, Indefatigable e Viking, tutti a breve distamza dalla costa tra Norfolk e Humber. In breve tempo diverranno produttivi i giacimenti di Frigg e Rough, molto più a nord, al limite tra le acque territoriali scozzesi e norvegesi. I giacimenti meridionali sono tutti collegati con gasdotti alla terraferma: nel 1975 con una produzione di 34 miliardi di m3 di gas il Regno Unito, che sette anni prima stava virtualmente a zero, è divenuto il quinto produttore mondiale. Attualmente si sta giungendo all'autosufficienza; il consumo avviene prevalentemente per usi industriali, mentre per la produzione di energia il gas ha contribuito con il 12,6% nel 1973. I fondali petroliferi del Mare del Nord sono quelli più settentrionali, a E della Scozia (Auk, Forties, Piper) e tra le Shetland e la Norvegia, al limite delle acque territoriali (Brent, Thistle, ecc.). L'oleodotto Forties-Cruden Bay di 177 km è stato costruito prima ancora che il giacimento diventasse produttivo, essendo accertato che si tratta di uno dei maggiori del mondo. Le riserve del settore britannico sono stimate a tre miliardi di t e nei primi anni Ottanta si conta di produrre oltre 100 milioni di t annue. In previsione di una richiesta sempre crescente è stato collegato con le raffinerie del Tees il giacimento di Ekofisk, in acque danesi.

Tuttavia dopo la crisi 1973-74 si è deciso di cercare di utilizzare altre fonti energetiche, varando un terzo piano elettronucleare, che segue quelli del 1955 e del 1965. Va osservato che solo il primo è stato realizzato, installando oltre 5000 MWe; le centrali sono ubicate: tre sulla costa non lontano da Londra, tre nel Canale di Bristol, due nel Galles settentrionale, due sulla costa del Mar d'Irlanda e una presso Glasgow. Le più perfezionate centrali del secondo piano non sono ancora funzionanti; tre sono raddoppi di quelle preesistenti, una è alla foce del Tyne, un'altra sul Mar d'Irlanda. Il terzo piano prevede un raddoppio di Sizewell (presso Londra) e un'installazione a Torness, sul Firth of Forth. A Dounreay, costa scozzese antistante le Orcadi, è in funzione dal 1959 un reattore veloce sperimentale, il più avanzato prodotto della tecnologia attuale, e si stanno completando installazioni di grandi dimensioni. Le centrali elettronucleari, tutte costiere per il bisogno di acqua, costituiscono il 7% della potenza installata, ma concorrono per l'11% alla produzione di elettricità.

Attività industriali. - La popolazione attiva del Regno Unito è di oltre 25 milioni di persone (per oltre un terzo donne, percentuale in aumento); togliendone però militari, disoccupati e sottoccupati, il numero degli effettivamente stipendiati o lavoranti in proprio è di poco più di 22 milioni. Nelle industrie manifatturiere trovano impiego circa 7,5 milioni; 1,4 milioni lavorano nel settore delle costruzioni, 350.000 nella produzione di energia e oltre un milione e mezzo sono addetti al settore trasporti e comunicazioni. L'industria sidero-metallurgica mantiene una posizione preminente. Nel campo siderurgico ha avuto luogo una ristrutturazione, e nel 1967 con l'Iron and Steel Act si sono nazionalizzate le tredici maggiori compagnie (70% della manodopera e 90% della produzione). La localizzazione degl'impianti, un tempo costiera per l'esportazione, lo è oggi per importare materie prime. Su un totale di oltre 20 milioni di t di acciaio e 12 di ghise e ferroleghe (1975), la regione più produttiva è il Galles (circa un terzo, con grandi complessi integrati a Port Talbot e a Newport); segue il distretto Yorkshire-Humberside con circa un quarto; il rimanente viene suddiviso tra Midlands, zona di Tyne e zona di Glasgow. L'investimento tende più che ad accrescere il potenziale, a rimodernare gl'impianti: i forni a ossigeno sono oggi quasi la metà, quelli elettrici un quinto. Tra i metalli non ferrosi si segnalano l'alluminio (quasi 500.000 t), il rame (oltre 150.000), il piombo (145.000), lo zinco (oltre 86.000); inoltre metalli per usi sofisticati come uranio, berillio e zirconio, per l'industria nucleare; niobio per l'aeronautica; selenio, silicio, germanio, tantalio per l'elettronica. La produzione di autoveicoli è tra le prime d'Europa, ma l'industria avverte una forte crisi; nel 1975 è stato nazionalizzato il maggior complesso nazionale, negli altri è forte la presenza di capitale statunitense. Analogamente avviene per l'aeronautica, dove pure si è all'avanguardia nel settore hovercraft e si producono avanzatissimi tipi di aerei ed elicotteri. Pesa sull'industria nazionale del settore l'insuccesso della cooperazione con la Francia per il supersonico Concorde. I cantieri navali hanno avuto notevoli ammodernamenti negl'impianti, con installazioni spesso controllate elettronicamente. Molte grandi imprese si sono fuse, di modo che nove decimi del tonnellaggio sono prodotti dai nove gruppi maggiori (tre sul Clyde, tre nel Nord-Est, uno nella Scozia orientale, uno in Inghilterra meridionale, e uno nell'Irlanda del Nord). In campo elettrico e chimico operano due dei colossi mondiali, con 200.000 addetti, la General Electric e l'Imperial Chemical. I maggiori impianti chimici (Londra, Liverpool, Manchester) e quelli produttori di fibre artificiali (Derby, Coventry) stanno quasi circondando la tradizionale area tessile (Liverpool, Manchester, Leeds, ecc.). Si è già arrivati a produrre annualmente oltre 700.000 t di fibre artificiali, mentre le naturali non giungono a 500.000. Tuttavia la tradizionale industria tessile e di abbigliamento impiega ancora circa un milione di persone (per circa metà donne), costituendo una delle basi industriali del paese.

Vie di comunicazione. - L'Inghilterra è stata tra i primi paesi del mondo ad avere una fitta rete di comunicazioni tecnicamente avanzate, di modo che attualmente più che di nuove strade ferrovie o canali ha bisogno di ammodernamenti e ristrutturazioni. Ma, come nel settore industriale, la situazione odierna sembra un po' frenata dall'iniziale situazione di vantaggio. Le ferrovie superano i 18.000 km, di cui solo 3500 elettrificati; a oltre 340.000 km assommano le strade, molto buone le arterie maggiori (pur se non esistono vere e proprie autostrade), non adeguate quelle secondarie; le vie d'acqua sviluppano circa 1150 km, ma non sono curate come meriterebbero. Per le relazioni internazionali, la marina è tra le maggiori del mondo e la compagnia aerea di bandiera ha la più sviluppata rete del mondo.

Commercio estero. - Un tempo largamente attiva, la bilancia commerciale registra ormai un passivo stabile. Le maggiori esportazioni riguardano macchine utensili, materiale elettrico, mezzi di trasporto, prodotti chimici, siderurgici, tessili, derivati del petrolio, ecc. Diminuite considerevolmente le importazioni alimentari, sono fortemente aumentate quelle di combustibili fossili. Il maggior partner è rappresentato dagli SUA, mentre i paesi del Mercato Comune hanno ormai superato quelli del Commonwealth.

Bibl.: J. Mitchell, Great Britain: geographical essays, Cambridge 1962; R. Clayton, The geography of Greater London, Londra 1964; J. A. Steers, Field studies in the British isles, ivi 1964; J. Wreford Watson, J. B. Sisson, The British isles, a sistematic geography, ivi 1964; C. Moindrot, Villes et campagnes britanniques, Parigi 1967; P. Hall, London 2000, Londra 1969; K. S. Reader, The modern British economy, ivi 1969; L. R. Taylor, The optimum population for Britain, ivi 1969; C. Chaline, Il Regno Unito e la Repubblica d'Irlanda, Milano 1971; N. J. Graves, J. T. White, Geography of the British isles, Londra 1971; C. Moindrot, Les régions britanniques, Parigi 1971; D. L. Stamp, S. H. Beaver, The British isles, Londra 1971; D. L. Foley, Governing the London region, Berkeley 1972; W. J. King, A geography of the British isles, ivi 1972; Autori vari, Regional development in Britain, ivi 1972; H. Rees, The British isles, a regional geography, ivi 1972; A. R. Tolson, M. E. Johnstone, A geography of Britain, Oxford 1972; E. Brooks, This crowded kingdom, Londra 1973; G. H. Dury, The British isles, ivi 1973.

Economia e finanza. - Un tasso di crescita del reddito relativamente basso e un andamento piuttosto instabile hanno caratterizzato l'economia inglese nel periodo 1960-72. Il tasso medio annuo di crescita del reddito reale, inferiore a quello di altri paesi industrializzati, è stato di circa il 2,8%, mentre il sistema economico procedeva attraverso una rapida successione di fasi espansive e recessive.

Una delle ragioni dell'andamento irregolare dell'economia britannica va ricercata nel vincolo che, a partire dagli anni Sessanta, la bilancia dei pagamenti ha posto all'espansione del reddito. Infatti, come ha indicato chiaramente la crisi del 1961, una fase di espansione accelerata si riflette in genere in un deficit della bilancia dei pagamenti.

Così dopo l'alta congiuntura degli anni 1959-60, nel 1961 furono adottate misure restrittive sia fiscali sia monetarie al fine di raggiungere il pareggio della bilancia dei pagamenti.

Già nel 1964, tuttavia, il governo laburista si trovava ad affrontare il problema dell'equilibrio dei conti con l'estero. Per ristabilire tale equilibrio si poneva l'alternativa fra una politica interna restrittiva e la svalutazione della sterlina.

Il governo ha tentato negli anni 1965 e 1966 la prima via, sia attraverso le usuali manovre monetarie e fiscali, sia attraverso un accordo con i sindacati (trade unions) per il contenimento degli aumenti salariali e dei prezzi.

La posizione esterna della G. B. non è però migliorata sensibilmente, anche perché l'intensità delle misure restrittive veniva limitata per garantire i livelli di occupazione.

Infine nel novembre 1967 si è deciso di svalutare la sterlina del 14,1%, e la bilancia dei pagamenti ha dato segni di miglioramento a partire dalla seconda metà del 1968.

Reddito nazionale e occupazione.- L'economia britannica si è sviluppata, come abbiamo visto, più lentamente di quella delle altre nazioni industrializzate, a causa, si ritiene generalmente, della bassa produttività del suo sistema economico.

La ridotta competitività dell'economia britannica viene in genere spiegata con le caratteristiche stesse della struttura produttiva, e con la limitata produttività del lavoro e degl'impianti.

Uno degli argomenti del dibattito è rappresentato dal problema se lo sviluppo del settore pubblico abbia influito negativamente sulla produttività, ritenendosi da taluno che esso sia stato fondamentalmente simile a quello degli altri paesi.

Uno dei punti deboli dell'economia britannica è rappresentato dal livello insoddisfacente degl'investimenti privati, il che contribuisce a determinare la bassa produttività del sistema. Infatti la quota di reddito nazionale destinata a investimenti è stata mediamente inferiore a quella degli altri paesi industrializzati, sia perché la quota di reddito assorbita dal settore pubblico (circa il 60%) lascia poco spazio alla spesa privata, sia per gli effetti di stop-and-go della politica economica governativa.

Nonostante il lento sviluppo del reddito, l'occupazione in G. B. si è mantenuta a livelli soddisfacenti. Il tasso di disoccupazione è stato infatti inferiore all'1% nel periodo 1960-66, mentre negli anni successivi è stato di circa il 2%. La quasi piena occupazione non ha impedito, o forse ha determinato, un'elevata conflittualità sindacale che ha influito notevolmente sulla dinamica interna dei prezzi e che ha fatto delle trade-unions uno dei principali interlocutori del governo in tema di politica economica.

Bilancia dei pagamenti. - Tutti i momenti difficili dell'economia britannica si sono manifestati attraverso una crisi della bilancia dei pagamenti.

La debolezza della posizione esterna della G. B. ha origini complesse, dipendendo dall'andamento della bilancia corrente, dal movimento dei capitali a lungo termine e dal fatto che la sterlina è stata e, in parte, è ancora, una moneta di riserva. La bilancia commerciale (esportazioni e importazioni "visibili") ha avuto negli anni Cinquanta un andamento soddisfacente, tanto che le esportazioni sono state in grado di pagare fino al 94% delle importazioni. Negli anni Sessanta, invece, la quota di mercato delle esportazioni si è andata sempre più riducendo, mentre le importazioni crescevano.

I risultati sfavorevoli della bilancia dei pagamenti sembra siano dovuti essenzialmente all'andamento dei costi rispetto a quelli delle nazioni concorrenti.

Infatti durante gli anni Sessanta i costi unitari in G. B. sono cresciuti più rapidamente che negli altri paesi industrializzati e ciò ha favorito le importazioni e scoraggiato le esportazioni.

Il controllo del tasso d'inflazione ha quindi costituito, più che altrove, uno dei nodi principali della politica economica britannica. È opportuno ricordare, a questo proposito, che per la prima volta nel Regno Unito è stata realizzata una politica dei redditi, sui cui risultati è tuttora in corso un ampio dibattito.

Le partite "invisibili" hanno storicamente rappresentato un importante elemento di equilibrio della bilancia commerciale inglese, in grado di coprire il deficit delle partite visibili. Negli anni Sessanta anche questa fonte di finanziamento si è notevolmente ridotta riuscendo a coprire appena un centesimo delle importazioni.

Parallelamente gl'investimenti a lungo termine nei paesi esteri sono notevolmente cresciuti, fatto questo che, se ha garantito un aumento dell'attivo nel lungo periodo, è però stato fonte di instabilità, soprattutto valutaria, nel breve periodo.

Il ruolo della sterlina nei pagamenti internazionali ha ulteriormente indebolito la posizione esterna della Gran Bretagna. In primo luogo, infatti, vi è sempre stata una forte tentazione a vendere da parte dei possessori di sterline nei periodi di crisi della bilancia dei pagamenti britannica. Tale tentazione si spiega col desiderio di tutelarsi dal rischio di perdite determinate dalla svalutazione della sterlina, ma ha contribuito, naturalmente, a determinare un orientamento del mercato valutario in senso sfavorevole al mantenimento della parità.

D'altro canto, quando nazioni che detenevano sterline come moneta di riserva si sono trovate a fronteggiare uno squilibrio dei conti con l'estero, hanno finanziato il deficit vendendo sterline. La moneta britannica veniva così a essere indebolita anche quando la bilancia dei pagamenti non dava motivi di allarme. Soltanto dopo la svalutazione del 1967 la situazione è in un certo senso mutata. La bilancia commerciale, ha, infatti, risentito dei positivi effetti dell'aumento delle esportazioni determinato anche dall'intensa crescita del commercio mondiale negli anni 1968-69, mentre si è accresciuto l'avanzo delle partite invisibili ed è diminuito il deficit delle operazioni in conto capitale a lungo termine.

L'evoluzione degli anni recenti. - Negli anni Settanta l'economia britannica ha attraversato una crisi particolarmente intensa, caratterizzata dalla contemporanea presenza d'inflazione, recessione e disoccupazione.

Le ragioni di questa crisi, comune in diversa misura ad altri paesi occidentali, non sono ancora state chiarite in modo univoco; converrà quindi limitarsi a esporre l'andamento dei più importanti indicatori economici nel periodo considerato, tralasciando l'esame delle diverse spiegazioni.

Il reddito nazionale in termini reali è cresciuto negli anni 1970-73 a un ritmo abbastanza sostenuto, toccando un massimo nel 1973 con il 5,25%. Nel triennio successivo si è invece avuta una fase recessiva culminata nel 1975, anno in cui il tasso di crescita è stato nullo. Questa inversione di tendenza sembra connessa alla situazione d'intensa inflazione e deficit della bilancia dei pagamenti. La recessione economica ha avuto immediate ripercussioni sul livello di occupazione che si è ridotto sensibilmente, tanto che il saggio di disoccupazione è passato dal 2,1% del 1973 al 4,9% del 1975.

D'altro canto, i prezzi sono cresciuti a un tasso sostenuto, e l'inflazione è così divenuta di nuovo il problema centrale della politica economica britannica, data anche la sua influenza sull'andamento della bilancia dei pagamenti.

Il tasso di crescita dei prezzi al dettaglio è stato del 9,25% nel 1973, del 16% nel 1974 e del 24,25% nel 1975. L'andamento dei prezzi all'ingrosso è stato sostanzialmente analogo: i tassi di crescita sono stati, infatti, nel triennio considerato, rispettivamente del 7,25%, 23,50% e 24%.

Le cause di questa inflazione sono, come si diceva, particolarmente complesse; le principali tuttavia possono essere identificate nell'aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali, nell'elevata dinamica salariale e nell'espansione della spesa pubblica. Il controllo del tasso d'inflazione è stato attuato, oltre che attraverso i normali strumenti di politica monetaria, attraverso una politica dei redditi fondata in un primo momento su precise norme di legge e successivamente su un impegno volontario da parte delle trade-unions.

La bilancia dei pagamenti ha registrato, dopo un lieve avanzo nel 1972, un deficit di circa tre miliardi di dollari nel 1973, che è cresciuto ancora a 9 miliardi nel 1974. Il deterioramento della posizione esterna è strettamente connesso a un periodo d'instabilità dei tassi di cambio e di esplosione dei prezzi delle materie prime, prima fra tutte il petrolio.

L'effetto dell'aumento dei prezzi all'importazione è stato poi amplificato dal livello elevato della domanda interna. Nello stesso tempo l'espansione delle esportazioni è stata frenata dall'aumento dei prezzi interni che ha reso i prodotti inglesi meno concorrenziali sui mercati esteri.

Nella seconda metà del 1975 il ritmo estremamente rapido dell'inflazione e il pesante deficit della bilancia dei pagamenti sono stati sensibilmente ridotti, ma la disoccupazione ha raggiunto il livello più elevato dalla fine della guerra.

Il problema fondamentale che ora i responsabili della politica economica britannica sono chiamati ad affrontare è quello di determinare le condizioni indispensabili per un sentiero di crescita a medio termine, che consenta il riassorbimento della disoccupazione senza rinfocolare le pressioni inflazionistiche.

Bibl.: C. Carter, The growth of the British economy 1918-1968, Londra 1973; National income and expenditure 1964-74, a cura del Central statistical office, ivi 1975; Autori vari, British economic policy 1970-1974, ivi 1975.

Storia. - Gli obiettivi principali della politica estera inglese durante i primi anni Sessanta, erano stati mantenere la stabilità politica negli ex-possedimenti britannici e ricercare una funzione di mediazione tra Est e Ovest in un momento di grave crisi dei rapporti SUA-URSS; nei rapporti con l'Europa, Londra cercava di vitalizzare le funzioni dell'EFTA e di collegarle con la CEE, anche se ciò creava non pochi problemi col Commonwealth. Il 1960 vide, dunque, una serie di viaggi del primo ministro britannico Macmillan in numerosi paesi africani del Commonwealth e il proseguimento della politica d'incontri personali con alcuni leaders del mondo occidentale. Un rimpasto governativo si verificò a luglio, mentre emergevano contrasti nel partito laburista a proposito della politica della difesa. L'ottimismo sul boom postelettorale non durò a lungo, le importazioni risultarono in progressivo aumento e la bilancia dei pagamenti passò in deficit alla fine dell'anno: s'imposero restrizioni sul credito bancario, mentre aumentavano prezzi e salari.

Nell'ottobre del 1961 Macmillan annunciò mutamenti governativi con la creazione di nuove funzioni ministeriali, come quella per il controllo della spesa pubblica. Le condizioni economiche del paese furono la preoccupazione principale del governo conservatore: soprattutto il persistente aumento del deficit della bilancia dei pagamenti, accompagnato dal continuo aumento di salari, prezzi e dividendi e dal ristagno della produzione. Né mancarono contrasti con i sindacati, appena si tentò di arrestare la corsa dei salari. La politica estera fu caratterizzata in quella fase dall'intenzione del primo ministro di immettere il Regno Unito nella CEE, dall'acuirsi della crisi di Berlino, dalla ricerca di contatti più stretti con gli SUA e dalle tensioni razziali esistenti in numerosi paesi del Commonwealth. Malgrado il deterioramento della situazione internazionale, la decisione presa assieme agli SUA di riprendere gli esperimenti nucleari nell'atmosfera se l'URSS avesse continuato a fare altrettanto, provocò all'interno del paese il sorgere di un'ondata di proteste contro gli armamenti nucleari.

Il dibattito sull'ingresso della Gran Bretagna nel Mercato comune domina progressivamente la politica interna: se i conservatori sono unanimi, i laburisti si dividono sull'argomento. La politica di salda alleanza con gli SUA viene offuscata dall'affare Skybolt, ma l'incontro tra Kennedy e Macmillan alle Bermude vede nascere il progetto di una nuova forma di partecipazione inglese al deterrente nucleare. I cambiamenti avvenuti all'interno del governo nel mese di luglio sono accompagnati da una diminuzione dell'appoggio elettorale al partito conservatore, rivelata da alcune elezioni locali, a tutto vantaggio del partito liberale; si registra inoltre una recrudescenza dell'attività di gruppi politici di estrema destra. Il movimento sindacale, intanto, inizia a sentire la necessità di rinnovarsi profondamente per poter meglio rispondere alle moderne condizioni industriali. Nel 1963, i negoziati per l'ingresso nella CEE sono bruscamente interrotti a causa del veto francese, ma i contatti tra Gran Bretagna, SUA e URSS proseguono e trovano il loro epilogo nel trattato per la sospensione degli esperimenti nucleari di luglio, anche se il mantenimento di una propria forza nucleare continua ad essere uno dei cardini della politica inglese. La crescita del prodotto nazionale ha una notevole spinta in avanti, malgrado l'alta percentuale di disoccupati e la tiepida presenza degl'investimenti pubblici. La vita politica interna affronta le gravi conseguenze dello scandalo Profumo e il primo ministro Macmillan deve alla fine rassegnare le dimissioni anche se la scelta del successore dà luogo a non poche controversie. A ottobre Lord Home è nominato primo ministro. Gli argomenti dei leaders politici, in vista delle elezioni dell'anno successivo, vertono soprattutto sulla crescita economica, mentre si progettano piani per lo sviluppo a lungo termine e su basi regionali. Una delle iniziative legislative più importanti è quella relativa alla possibilità di rinunciare al titolo nobiliare per essere eleggibile alla Camera dei Comuni.

Durante la campagna per le elezioni politiche dell'autunno 1964 prende il sopravvento il dibattito sul deterioramento delle condizioni economiche: diminuisce, infatti, il prodotto nazionale per l'aumento delle importazioni, mentre salgono anche i prezzi al consumo; a causa dell'aumento dei prezzi delle importazioni la bilancia dei pagamenti mostra un considerevole deficit. A ottobre il programma elettorale del partito laburista, basato su una politica attiva e innovatrice, riesce a guadagnare una vittoria di stretta misura. Il nuovo premier H. Wilson forma il suo governo creando nuovi ministeri, come quelli della tecnologia e degli affari economici. I primi provvedimenti del governo sono di natura economica, come una soprattassa sulle importazioni del 15% più altri aumenti di imposte; intanto gravi ombre pesano sulla sterlina e il nuovo governo laburista ricorre a prestiti internazionali e nazionali per poter sostenere il tasso di cambio della moneta inglese. I sindacati vogliono un'industria più dinamica e competitiva e un controllo dei prezzi e dei redditi. In politica estera il 1964 vede l'impegno di truppe inglesi in alcuni paesi del Commonwealth, politicamente instabili, e l'attuazione da parte laburista di una diversa politica nucleare, meno ambiziosa.

Nel 1965 l'avvenimento più importante della vita politica inglese è la grave crisi che porta alla dichiarazione unilaterale d'indipendenza della Rhodesia: i contrasti e le polemiche penetrano anche nel dibattito politico interno. La situazione economica e finanziaria si aggrava ulteriormente e per fronteggiare la situazione vengono prese urgenti misure di politica economica. In politica estera il premier Wilson compie una serie di viaggi in molte capitali europee; con il governo americano sorge qualche contrasto a proposito della politica SUA in Vietnam. Le elezioni politiche generali del marzo 1966 vedono una nuova, scontata affermazione dei laburisti: Wilson può proseguire con più forza nel suo programma politico ed economico-sociale. Ma una serie di eventi influisce negativamente sulla popolarità del governo: la pressione sulla sterlina, il deficit continuo della bilancia dei pagamenti, non lievi misure fiscali e altre restrizioni monetarie. L'accordo di fine anno tra imprenditori, sindacati e governo non ha l'effetto sperato e agitazioni operaie accompagnano le drastiche misure prese per frenare l'ascesa dei salari e dei prezzi. Anche il problema rhodesiano domina in tutta la sua gravità: falliscono i tentativi di giungere a un accordo con il governo razzista di I. Smith, e l'ONU, dietro pressione inglese, comincia a discutere sulle sanzioni economiche da applicare nei confronti della Rhodesia. Si accentua, frattanto, la dissociazione dall'intervento americano in Vietnam, riprendono i sondaggi diplomatici per l'ingresso nella CEE e si acutizza la disputa con la Spagna per il possesso di Gibilterra.

Continua il disagio economico e cresce lo scontento popolare a causa delle misure adottate dal governo: lo dimostrano i risultati di alcune elezioni locali nel 1967. Tra le misure adottate dal parlamento, importanti sono quelle relative alla chiarificazione dei contributi delle industrie ai partiti politici e all'adozione del sistema metrico decimale nel 1971. S'intensifica lo sforzo inglese per entrare nel Mercato comune: Wilson mette in risalto il largo contributo economico e tecnico che può dare l'adesione britannica, ma il "no" della Francia continua. Aggravandosi i contrasti per Gibilterra e la Rhodesia, anche i rapporti con il mondo arabo, a causa del conflitto arabo-israeliano di giugno, soffrono di qualche scompenso e di molta confuzione; ma verso la fine dell'anno lo stato di questi rapporti migliora in qualche misura, grazie anche al ritiro inglese da Aden e alle buone relazioni con Arabia e Giordania. Si registra, invece, un acuirsi dei contrasti con la Cina popolare. Nel gennaio 1968 Wilson annuncia l'attuazione di numerose restrizioni concernenti soprattutto la spesa pubblica e in particolare le retribuzioni salariali. La popolarità del governo laburista viene fortemente diminuita dai risultati disastrosi di numerose elezioni parziali; esso continua tuttavia nella sua politica di ristrutturazione amministrativa, mentre il parlamento approva numerosi provvedimenti economici, fra cui quello che concede poteri al governo in materia di controllo su prezzi, stipendi e salari. Si cerca di trarre il più alto margine di utilità dalla svalutazione della sterlina dell'anno precedente e di diminuire la domanda interna: resta però il disavanzo della bilancia dei pagamenti, anche se il prodotto nazionale è in graduale aumento. In politica estera, a fronte dei problemi già esistenti, si aggiunge la tremenda guerra civile nigeriana e le prime avvisaglie dello scontro nell'Irlanda del Nord tra i cattolici, rivendicanti i propri diritti civili, e i protestanti, forti della loro supremazia economico-sociale.

Le difficoltà in campo economico caratterizzano la vita politica inglese anche nel 1969: lo scontento popolare volge l'ago della bilancia in favore del partito conservatore, come mostrano alcune elezioni locali. Il governo laburista prosegue nella sua politica economica, riorganizza le strutture dipartimentali governative, ristruttura il sistema di sicurezza sociale, limita il diritto di sciopero attirandosi il malcontento sindacale ed esegue un riassestamento dei ministeri. Bilancia dei pagamenti e bilancia commerciale dominano la scena economica; il credito interno, che vanifica le misure fiscali prese in precedenza, viene ostacolato insieme con il consumo privato. L'attività legislativa più importante del parlamento riguarda nel 1969 l'abbassamento del limite per la maggiore età e una sistematica riforma delle strutture regionali e circoscrizionali. Il ritiro del generale de Gaulle riaccende le speranze inglesi per l'ingresso nel MEC, mentre la questione rhodesiana, le polemiche per i rifornimenti alla Nigeria travolta dalla guerra civile, la disputa con Madrid per Gibilterra, i problemi derivanti dal colpo di stato in Libia si aggiungono all'esplosione di violenti disordini nell'Irlanda del Nord, cui devono far fronte le truppe inglesi.

Il 18 giugno 1970, le elezioni politiche generali vedono il cambio della guardia tra laburisti e conservatori: Heath succede a Wilson dopo una campagna elettorale abbastanza controversa e incerta. Le condizioni dell'economia sono il tema numero uno del confronto elettorale: la bilancia dei pagamenti registra un surplus grazie alla severa politica del cancelliere dello Scacchiere, Jenkins, ma la pressione inflazionistica continua e il prodotto nazionale rimane statico. Il nuovo governo conservatore prende subito posizione contro il forte aumento dei salari, da esso considerato la causa prima dell'inflazione. Tra gli obiettivi di Heath figurano la riduzione di molti introiti fiscali, la regolarizzazione dei rapporti industriali e la riduzione di alcune spese sociali. Ma nell'Irlanda del Nord la guerra civile esplode in tutta la sua gravità: rivolte, attentati indiscriminati e l'intervento su vasta scala delle truppe inglesi formano una spirale che impedisce in quella regione qualsiasi svolgimento di attività politica.

Nel 1971 il governo conservatore continua i negoziati per l'ingresso nella CEE, sebbene s'intensifichi il dibattito interno sui costi e sui benefici per l'economia inglese: si registra a questo proposito il nuovo atteggiamento ostile dei laburisti all'adesione britannica, in quanto non negoziata in termini soddisfacenti. Inflazione e scioperi contro i decurtamenti salariali si susseguono incessantemente, mentre la legislazione industriale diviene realtà; il governo conservatore pubblica proposte per il riordinamento delle autonomie locali e il riassetto delle circoscrizioni amministrative. La "stagflazione" diventa caratteristica anche inglese e neutralizza il lieve avanzo della bilancia dei pagamenti: aumentano restrizioni creditizie e disoccupazione mentre numerose imprese falliscono. In politica estera un controverso accordo è raggiunto da Heath con I. Smith ed è anche bloccata la politica del precedente governo di ritiro "dalle posizioni ad est di Suez". In Irlanda del Nord si è passati alla guerra aperta tra i guerriglieri dell'IRA e le truppe inglesi: il governo locale è in piena crisi e si blocca con gravi ripercussioni ogni attività economica nella regione.

L'avvicinarsi dell'accordo con il MEC accentua il contrasto fra conservatori e laburisti, ma apre anche fratture all'interno di ciascuno di questi partiti. I nodi dell'accesa controversia fanno perno sulle difficoltà finanziarie e di competenza giuridica riservata inglese che possono sorgere dal nuovo legame internazionale: nel 1972 il governo attraversa momenti difficili. Un timido surplus della bilancia dei pagamenti e il riassestamento lieve della sterlina, unitamente al rallentamento dell'inflazione, sono messi poi in questione dal grave sciopero dei minatori del carbone a causa di richieste di aumenti salariali. Il peggioramento della situazione economica, pur accompagnato da incentivi agl'investimenti, riaccende le pressioni inflazioniste e la sterlina cade nuovamente, a causa anche del mancato accordo con i sindacati. Il terrorismo nell'Irlanda del Nord è ormai prassi quotidiana: l'intervento inglese viene criticato da più parti e la spirale della violenza sembra mettere in causa l'agibilità politica del governo dell'Ulster, ormai sempre più nelle mani dirette di Londra. S'impone necessariamente una revisione completa dei rapporti costituzionali. Il 1° gennaio 1973, la Gran Bretagna diviene membro effettivo della CEE, e la sua presenza vuol dare un nuovo impulso a temi quali l'unione politica e monetaria e lo sviluppo della cooperazione regionale. Per combattere l'inflazione dilagante viene elaborato un programma in più fasi diretto a limitare salari, profitti, dividendi e prezzi; la massa creditizia viene contenuta, mentre aumenta gradualmente il tasso ufficiale bancario. La crisi del governo conservatore si aggrava giorno dopo giorno: i laburisti, frattanto, elaborano un vasto programma sociale per il contenimento democratico del meccanismo di sviluppo. Un fatto nuovo è l'aumento dei consensi al partito liberale. Per i rapporti esteri, oltre ai gravi effetti della guerra arabo-israeliana di ottobre, in cui viene coinvolta anche Londra a proposito dell'embargo petrolifero arabo, con dure conseguenze per l'approvvigionamento inglese di energia, c'è da segnalare l'inizio del conflitto con l'Islanda a proposito delle acque territoriali e l'innovativa proposta di costituire un "Consiglio d'Irlanda" nell'Ulster, in cui si attui il principio della proporzionalità della rappresentanza e di cui dovrebbero far parte anche delegati dell'EIRE.

Le elezioni politiche generali del 1974 hanno visto succedere al governo di Heath i laburisti di Wilson. I risultati non decisivi di febbraio avevano portato a una situazione politica estremamente incerta, definita solo nel secondo turno delle elezioni a ottobre, con una sia pur debole maggioranza di Wilson. La campagna elettorale era stata impostata sulla situazione economica, sulla risposta da dare alla politica sindacale, sull'accentuarsi dell'estremismo. I laburisti ponevano in discussione alcune modalità della partecipazione inglese alla CEE, annunciando un apposito referendum. Può considerarsi un successo il "patto sociale" raggiunto in estate con le Trade Unions per arrestare l'inflazione. Inoltre sono state aumentate alcune imposte, mentre si è adottato un nuovo "pacchetto" di misure e proceduto al taglio di molte spese e progetti industriali; si è anche tentato di sopperire alla crisi energetica intensificando le ricerche di fonti petrolifere nel Mare del Nord. Attenuatosi il terrorismo nell'Irlanda del Nord, non è diminuita, invece, l'ostilità degli unionisti protestanti per la soluzione costituzionale che si vuol dare al problema.

La situazione economica inglese non ha accennato a miglioramenti, accrescendo le difficoltà del governo laburista che gode di un'esigua maggioranza; nuovo impulso ai conservatori è venuto frattanto dalla nuova leader M. Thatcher, salita nel febbraio 1975 al vertice del partito, mentre si è accentuata la polemica sulla politica economica tra i due maggiori partiti. Un aumento dell'appoggio popolare ai conservatori si è registrato in alcune elezioni amministrative locali. L'ormai cronico dissesto economico inglese è stato aggravato in giugno dal più vistoso indice di svalutazione mai toccato dalla sterlina (il 26,8% rispetto al 1971), portando all'adozione di un piano di emergenza per bloccare l'ascesa di prezzi e salari: i sindacati hanno accettato nel luglio 1975 un congelamento volontario dei salari per sei mesi. A giugno una nota altamente positiva è risultata dal referendum favorevole alla permanenza nella CEE: Londra si è inserita attivamente nella politica dei Nove, come hanno dimostrato i "vertici" tenuti nel corso dell'anno. Il terrorismo dell'IRA si è riacceso, mentre le elezioni nell'Ulster per l'Assemblea costituente si sono svolte a maggio tra molte polemiche. Il disimpegno inglese dal Sud-Est asiatico si è concluso con il ritiro da Singapore e si sono anche chiuse le basi di Malta.

La situazione dell'Ulster continua a peggiorare nel 1976 e si pone con maggiore urgenza il problema di trovare un assetto costituzionale valido nella regione; l'orientamento è per un livello più articolato di autonomia istituzionale. Le elezioni europee fissate per il 1978 mobilitano i settori più sensibili dell'opinione pubblica e lo stesso governo inglese elabora un "Libro Verde" sull'argomento.

La difficoltà della bilancia dei pagamenti, l'inasprirsi delle speculazioni sulla sterlina e i contrasti interni al Partito laburista inducono Wilson ad annunciare a marzo le sue dimissioni: dopo circa un mese di lotte per la successione, viene chiamato a succedergli J. Callaghan, più incline alla gestione pragmatica e tecnocratica del governo. Il bilancio presentato dal cancelliere dello Scacchiere Healey in aprile prevede una certa compressione della spesa pubblica e la riduzione del tasso d'inflazione per poter fronteggiare la cronica crisi economica, ma il deficit pubblico resta notevole e il disavanzo con l'estero si aggira sull'1,5-2 miliardi di sterline. Grazie anche all'accordo salariale tra governo e sindacati, a luglio si vara un piano antinflazionistico, approvato dal parlamento che limita al 4,5% l'aumento dei salari. Restano tuttavia 1,3 milioni di disoccupati a testimoniare la gravità della situazione economica.

Le difficoltà economiche causano un progressivo deterioramento delle posizioni laburiste a vantaggio dei conservatori: ai Comuni Callaghan perde la maggioranza ed è costretto a venire a un accordo con il nuovo leader liberale Steel, mentre la sinistra laburista ottiene un relativo successo al Congresso del partito di Blackpool.

I rovesci laburisti alle elezioni parziali e amministrative che si svolgono fra il 1976 e il 1977 spingono la leader conservatrice Thatcher a chiedere le elezioni politiche anticipate nella convinzione di riscuotere un notevole successo elettorale. Nel gennaio 1977 il governo ottiene il rafforzamento della sterlina grazie sia al prestito concesso alla Gran Bretagna dal Fondo monetario internazionale che all'accordo sulle giacenze di sterline all'estero ottenuto con la Banca dei Regolamenti internazionali. La posizione internazionale di Londra viene anche rafforzata dal prestigio di presiedere con l'ex-ministro R. Jenkins la Commissione delle Comunità europee.

Nei primi mesi del 1977 si allarga il dibattito sulla concessione di una maggiore autonomia amministrativa alla Scozia e al Galles.

A marzo il governo laburista riesce a superare alla Camera dei Comuni una pericolosa sfida lanciata dai conservatori, grazie all'accordo con i deputati liberali; ciò però complica le relazioni con i sindacati. Ma le difficoltà per il Partito laburista non sono finite e nelle elezioni amministrative generali di maggio i conservatori ottengono una strepitosa vittoria (più di 3000 seggi, mentre i laburisti ne perdono 845), riuscendo a ottenere la maggioranza in importanti municipalità, tra le quali anche Londra.

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