Graffiti

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(writing) Pratica di espressione visuale ed esperienza artistica tipica dello spazio urbano, talvolta definita impropriamente graffitismo, altresì nota con l’espressione aerosol art. Nasce come attività spontanea non autorizzata basata sulla scrittura variamente elaborata, a volte calligrafica, del proprio pseudonimo (tag), mediante vernice spray o pennarello (marker), su muri del tessuto urbano e treni del trasporto metropolitano o locale; altre direzioni sono quelle del w. legale, collegato alla nascita delle hall of fame, e del mercato, con le mostre in galleria, pur rimanendo sempre viva e preponderante la componente illegale del fenomeno. Su quest’ultimo aspetto si generano le numerose controversie attorno alla sua pratica, che - volta all’intromissione e all’invasione del paesaggio visuale - è punita alla stregua di attività vandalica dalle autorità e considerata tale da buona parte dell’opinione pubblica, la quale, non facente parte della comunità chiusa dei writer, non può comprenderne le motivazioni e ancor meno l’estetica, rimanendo il w. una manifestazione basata prevalentemente su un codice formale interno poco comunicante al di fuori della cerchia dei praticanti. Il w., sebbene si origini in forma indipendente, è profondamente legato al mondo della cultura hip hop e rappresenta insieme al mc-ing (rap), al dj-ing e alla breakdance una delle quattro fondamentali discipline che ne contraddistinguono l’appartenenza.

Storia (fase americana). La pratica prende corpo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, prima a Filadelfia e subito dopo a New York. Alcuni teenagers, per lo più originari di quartieri-ghetto come il Bronx, iniziano a lasciare segni e a scrivere la propria firma in metropolitana e sui muri della città, di solito accompagnata dal numero della strada in cui vivono. Cornbread a Filadelfia, Julio 204, Tracy 168 ed Eva 62 a New York sono solo alcuni esempi dei primi nomi che iniziano a reclamare il proprio spazio tra i manifesti pubblicitari, la segnaletica e altri graffiti che popolano i muri. Tra tutti, colui che riesce per primo ad acquisire risalto mediatico, e quindi a diffondere massicciamente il fenomeno, è il diciassettenne di origine greca Taki 183 (diminutivo di Demetraki, traduzione greca del nome di battesimo Demetrius), a cui il New York Times nel 1971 dedica un articolo, di fatto inconsapevolmente producendo il primo documento scritto sul writing. Le motivazioni che spingono questi adolescenti a compiere azioni di scrittura nello spazio pubblico sono riconnesse a una forte volontà di affermazione, anche come rivalsa sociale; la necessità dell’alto grado di copertura della propria tag mediante attività di bombing e lo sfruttamento delle linee della metropolitana, le quali raggiungono ogni angolo del territorio urbano, sono quindi funzionali alla conquista di notorietà. Molti anni prima di quella data, nella West Coast, in particolare nelle aree di Los Angeles  abitate da persone di cultura latino-americana (chicanos), si assiste alla diffusione sui muri di segni dal lettering peculiare, i cosiddetti cholo graffiti, che rispetto a quelli newyorkesi rimangono maggiormente legati a una determinata matrice culturale e alle attività malavitose di gang locali, seppur non manchino isolati casi di propensione artistica. Negli ultimi anni della fase pioneristica, generalmente compresa tra il 1969 e il 1974, la sovrabbondanza di writer, e quindi di tag, rende fondamentale trovare altre soluzioni per emergere dalla massa e potersi distinguere. Matura quale discriminante più importante l’affinamento del segno nella realizzazione delle lettere, che da comune e rapido per tutti, inizia a evidenziare ricerche di tipo calligrafico: sono i prodromi dello stile. È questa la prima e decisiva metamorfosi del w.,  che da movimento culturale o sottoculturale di interesse sociologico assume le forme di una tendenza artistica. Le elementari firme, prima difficilmente distinguibili sul piano formale, iniziano a crescere in complessità con lo studio di nuovi caratteri (lettering) mutuati dal linguaggio dei fumetti e della pubblicità. Quest’ultima assume influenza capitale in questa fase, considerando che il gran numero dei writer dell’inizio degli anni Settanta è di estrazione sociale bassa e con un livello di istruzione  tale da non permettere un accesso all’universo della cultura, se non nelle sue forme più semplici e popolari, come appunto fumetti, cartoni animati, vignette e loghi pubblicitari. Anche le forme e lo spessore delle lettere cominciano a farsi più grandi e con l’apparizione dei primi contorni alle tag (outline) si dà avvio allo sviluppo dei primi lavori strutturati, definiti in inglese masterpiece o piece, la cui prima produzione è attribuita al writer Super Kool 223. Il primo tentativo di istituzionalizzazione e commercializzazione del fenomeno avviene già nel 1972 con la UGA (United Graffiti Artists) di Hugo Martinez che cerca, peraltro senza molta fortuna, di trasferire il lavoro di alcuni dei più bravi writer dell’epoca dalla strada alla galleria. Al contrario, nel decennio successivo, si rivela di grande successo l’esperienza dello spazio Fashion Moda sito nel Bronx, dove espongono artisti del calibro di Keith Haring, Jean Michel Basquiat, Rammellzee, Futura 2000 e Kenny Scharf, primi interpreti della contaminazione delle forme pure del w. con qualcosa di diverso, da cui emerge in particolare l’indirizzo di un figurativismo iconico più aperto alla comunicazione. In questo contesto nasce la prima grande spaccatura nel mondo dell’arte stradale: i puristi dello stile del lettering sino ad allora elaborato si scontrano con chi promuove una nuova visione dell’arte in strada, meno rischiosa, e soprattutto caratterizzata da una maggiore relazione con tutti i fattori dell’ambiente in cui si opera. Fondamentali alla propagazione mediatica e alla popolarità del w. su scala planetaria risultano essere nel 1984 i film Style Wars e Wild Style, nonché nel 1984 il libro fotografico Subway Art di Martha Cooper e Henry Chalfant, definito la “bibbia dei graffiti” da molte generazioni di writer. Oltre alla diffusione di materiale mass-mediatico e al successo della cultura hip-hop sono i numerosi contatti diretti tra writer americani ed europei ad alimentare, durante il corso degli anni Ottanta, la completa penetrazione del fenomeno nelle città del Vecchio continente, a partire da Amsterdam, Parigi e Londra.

Terminologia tecnica. Nella comunità internazionale dei writer vige una nutrita terminologia tecnica, quasi esclusivamente in lingua inglese e prevalentemente afferente a campi che riguardano lo strumento utilizzato, lo stile, il luogo o spot di azione e le caratteristiche tecniche di un lavoro. In ambito strumentale, oltre ai classici marker e spray, un altro medium spesso utilizzato per la realizzazione di lavori di grandi dimensioni e con lettere squadrate, chiamati in gergo blockbuster, è il rullo. Ad altri strumenti particolarmente aggressivi, che procurano segni di ardua rimozione, sono associati altri generi di graffiti: i cosiddetti scratchiti (da scratch, graffiare) sono realizzati incidendo superfici di vetro con la punta di oggetti metallici quali chiavi, coltelli o con punte di diamante e carta vetrata; sempre sui vetri agiscono gli etching-graffiti, realizzati con soluzioni acide; in ultimo anche gli estintori possono essere caricati di vernice e utilizzati dai writer per colpire rapidamente superfici di grandi dimensioni.  Nel campo dello stile sono numerosi i termini di riferimento, molte volte associati anche al luogo di produzione, il quale determina particolari forme calligrafiche come quella dei cholo graffiti nelle città meridionali della West Coast o quella pichação in Brasile. Per quanto concerne i più comuni graffiti nati nell’East Coast americana, l’associazione con il wild style, una elaborata e complessa tipologia stilistica di costruzione del pezzo (piece), è talmente forte che in alcuni casi vengono nel loro insieme apostrofati con questo nome. Il bubble style si basa piuttosto su forme morbide e arrotondate, quelle prevalentemente utilizzate nei throw-up, pezzi veloci realizzati con un solo colore e un contorno finale (outline). Accanto alle lettere, o a sostituzione di una di queste, possono trovare spazio inserti figurativi, derivanti dall’immaginario dei fumetti e dei cartoon, chiamati puppet o character. Anche i luoghi e gli spazi specifici verso cui agiscono i writer determinano un preciso vocabolario che classifica i graffiti in base al punto spaziale e al supporto sul quale sono prodotti. I rooftop  graffiti sono comunemente correlati ai cosiddetti heaven spot, luoghi apparentemente inaccessibili e rischiosi quali le cime dei tetti e delle facciate. Ai classici pannelli dipinti sui treni si affiancano quelli relativi ai furgoni e piccoli camion (truck graffiti), particolarmente diffusi a Parigi. In ultimo, la pratica dei graffiti sui treni prevede un vocabolario a sé stante, con termini che rimandano agli spazi dei depositi, detti yard, così come alle modalità di azione e, soprattutto, alle misure dei pannelli rispetto alle dimensioni dei vagoni o dell’intero treno (whole train; whole car; top-to-bottom).

Protagonisti. Nella New York tra anni Settanta e Ottanta si compiono tutte le prime grandi innovazioni in termini stilistici e di azione. Con Tracy 168 si diffonde l’espressione wild style in riferimento alla complicazione delle lettere già messa in atto da Phase2, artefice, inoltre, delle softie o bubble letters e massimo innovatore in chiave stilistica dell’età pioneristica del writing. Nel 1976 Caine, assieme a Mad 103 e Flame one, dipinge il primo whole train, un pezzo che copre interamente la superficie di tutti i vagoni del treno. In questa tipologia di azione si specializza poco dopo la crew dei Fabulous 5, con Lee Quiñones e Fab 5 Freddy, membri del quintetto, primi writer americani ad esporre in Europa con una mostra alla galleria La Medusa di Roma nel 1979. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio del successivo domina la generazione di writer che avranno più risalto in Europa grazie alla presenza nei film e nei libri culto del settore: Dondi, Seen, Zephyr, Blade e Lee sono coloro che dettano le regole dello stile durante gli anni d’oro del writing newyorkese; a loro si aggiungono Lady Pink, la più celebre interprete al femminile, e Futura 2000, che con il suo avanguardistico Break Train (1980) rivoluziona l’estetica dei graffiti, resa per la prima volta informale. Saber, Pose, Reyes e Revok si impongono nel corso degli anni Novanta sulla scena della West Coast, tra Los Angeles e San Francisco, traducendo il wild style di New York in maniera originale, dove l’ulteriore raffinazione formale si accompagna all’uso di una tavolozza cromatica più accesa. Altra influenza fondamentale esercitata dal w. californiano è quella proveniente da Twist aka Barry McGee, nei tardi anni Novanta anello di congiunzione tra il mondo dei graffiti e il sistema dell’arte. Amsterdam è uno dei primi centri europei a recepire il linguaggio dei graffiti americani o “hip hop graffiti”. Uno dei pionieri in città alla fine degli anni Settanta è Shoe, mentre Delta è colui che acquisisce maggior risalto sul piano tecnico, elaborando uno stile volto alla tridimensionalità, ricerca che verrà successivamente ripresa e sviluppata da writer tedeschi come Daim e Loomit. Coma e Bando corrispondono ai nomi dei primi attori del w. rispettivamente a Londra e Parigi; tra le due città opera inoltre Mode2, personalità chiave e punto di riferimento per tutta la scena europea. In Italia, la penetrazione dei codici giunge più tardi rispetto ai paesi del Nord Europa. Nel corso degli anni Ottanta Flycat e Atomo a Milano, Napal Naps e Crash Kid a Roma, Dayaki e Rusty a Bologna ed Eron a Rimini sono alcuni dei precursori di una vicenda che vedrà realmente protagonista il suolo italiano solo nel decennio successivo.

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