KELLER, Gottfried

Enciclopedia Italiana (1933)

KELLER, Gottfried

Leonello Vincenti

Poeta svizzero, nato a Zurigo il 19 luglio 1819 da famiglia originaria di Glattfelden, morto nella stessa città il 15 luglio 1890. Il padre, un tornitore intraprendente e dotato di senso artistico, morì già nel 1824 lasciando alla vedova il compito d'allevare, con la severa economia imposta dagli scarsi mezzi, il figlio e la minore di tre anni Regula, che più tardi doveva costituire tutta la famiglia dello scapolo fratello. Iscritto a una scuola industriale nel 1833, il giovine Gottfried ne era già l'anno seguente per una colpa non grave espulso, e i suoi studî regolari ebbero così fine. Al ragazzo, di carattere chiuso e scontroso e di vivace fantasia, veri maestri furono sin dalla prima infanzia la natura, nelle visite al villaggio paterno, uno dei più bei luoghi del cantone, e il popolo nella sua casa e nelle vie della vecchia città. S'era provato presto a far versi e a stendere drammi, ma soprattutto a disegnare e a dipingere. Dopo l'infortunio scolastico decise di diventare pittore. Più viziato che digrossato nella bottega d'un mestierante, ebbe aperti gli occhi da un artista genuino, seppure strambo (Rudolf Meyer, il Römer del Grüner Heinrich), che gl'indicò la strada del vero naturale e, facendogli conoscere Omero e Ariosto, lo avviò anche all'intelligenza della grande poesia. Persuadendo la madre che al suo sviluppo era necessario un viaggio all'estero, fattosi liquidare un vecchio credito ereditato, partì nella primavera del 1840 per Monaco di Baviera. Vi scoprì, entro due anni di delusioni e di privazioni, d'essere inetto alla pittura. Effettivamente non aveva trovato nella capitale dell'attardato romanticismo la scuola che faceva per il suo talento realistico; ma la conclusione fu provvidenziale risparmiandogli delle esperienze superflue.

Nei mesi d'abbattimento seguiti al ritorno in patria, al pittore fallito cominciò a sostituirsi il poeta. Le commozioni rivoluzionarie del tempo e l'esempio dello Junges Deutschland gl'ispirarono canti di libertà. La nota polemico-patriottica è la predominante nel suo primo volume di versi (Gedichte, 1846). Vi si sentiva però anche il pittore e l'amico della natura nella saporosa plasticità, che rendeva già originali i ricordi dell'adolescenza e le notazioni paesistiche. Di quegli anni sono pure i primi tentativi novellistici che, affrancandosi dagli schemi tieckiani, cercavano il contatto con la realtà e mostravano una felice disposizione all'umorismo. Alla lotta politica il K. prendeva parte, coi liberali, anche in modo diretto, combattendo con le armi i conservatori di Lucerna. Adolescente aveva visto morire tisica la prima donna amata; ora ebbe da Luise Rieter il primo d'una serie di rifiuti matrimoniali, che dovevano segnare una profonda impronta sul suo destino e sulla sua arte.

Nuovamente ingannandosi sulla propria vocazione, credette di essere nato alla drammatica, e per perfezionarsi in essa ottenne sul finire del 1848 una borsa di studio per la Germania. A Heidelberg (ottobre 1848-aprile 1850) venne a conoscere il pensiero di L. Feuerbach. Vi era preparato dalle lotte zurighesi intorno a David Friedrich Strauss e dal suo stesso progressivo orientarsi verso una concezione immanentistica del mondo e realistica dell'arte. Acquistando coscienza di quanto oscuramente cercava, si vide razionalmente confermato nella devozione alla natura sentita come divina, e con tutta logica derivò dal materialismo feuerbachiano il proprio idealismo etico. In sede d'arte la professione di fede terrena importava l'esigenza di superare le astrattezze immaginative e i lenocinî del degenerato romanticismo. Il dolore di una nuova ripulsa amorosa (Johanna Kapp) verificava la serietà del suo ethos.

A Berlino finalmente (aprile 1850-novembre 1855) il poeta così maturato spiegò il volo. Continuava a nutrire l'illusione, non deposta mai interamente, d'avere talento drammatico: non lasciò oltre a molti progetti di drammi e commedie, che un ampio frammento tragico (Therese), rivelatosi alla prova poco capace di tenere le scene. Una nuova fioritura lirica fu raccolta nei Neuere Gedichte (1851, 2ª ed. accr. 1854), che rispecchiano il nuovo pensiero filosofico del poeta (ciclo Sonnwende und Entsagen) e il suo approfondito amore del popolo (ciclo Alte Weisen), con un'arte più esperta la quale sa cogliere il caratteristico delle cose e la semplicità pregnante dell'espressione popolare. Lo sforzo di liberazione dal soggettivismo giovanile e il desiderio dei valori essenziali spinsero il K. all'apparire del Romanzero, a far i conti, nel poemetto fantasticosatirico Der Apotheker von Chamounix, con l'ultima e più capziosa manifestazione romantica, il heinianismo. Le medesime tendenze lo avviarono all'epica, anzitutto col romanzo autobiografico.

La prima concezione di Der grüne Heinrich risaliva ai mesi dopo il ritorno da Monaco e doveva riuscire la storia elegiaco-lirica d'un artista mancato. Poche pagine ne erano state stese, quando a Heidelberg il piano primitivo subì modificazioni radicali, si materiò di realtà vissuta, s'imperniò sulla severa morale del seguace di Feuerbach. A Berlino pur tra molte lentezze il romanzo continuò a crescere assai oltre il previsto, vedendo la luce tra il 1854 e il'55 in quattro volumi. La malinconica storia d'un artista fallito era divenuta il largo, profondo studio d'una vita anzi d'una educazione alla vita. Invece di ricalcare gli schemi dei romanzi d'artisti, cari ai romantici, K. ritornava, modernamente, a Goethe, al suo modo di cercare nei casi d'un destino particolare i valori eterni della natura e dell'umanità. Vent'anni dopo, la struttura dell'opera, il finale tragico, molti particolari e lo stile malcerto ancora tra gl'inizî romantici e le conquiste realistiche consigliarono al poeta una rielaborazione, che diede a Der grüne Heinrich la sua forma definitiva (1879-80), facendone uno dei romanzi classici della letteratura tedesca.

Buona parte delle opere posteriori di G. Keller furono concepite nei fecondissimi anni berlinesi; a compimento però allora non giunse che il primo volume di Die Leute von Seldwyla, 1856, il quale rivelò un nuovo maestro della novella. In cinque racconti i toni più diversi, l'umoristico e il tragico (Romeo und Julia auf dem Dorfe), il satirico e il fiabesco, erano trattati con mirabile originalità; senza pregiudizio dell'arte si disegnavano i fermi contorni d'un armonioso mondo morale; senza nessun peso strutturale tra di loro diversissime novelle formavano un tutto unico, il cui legame non era semplicemente nella cornice di Seldwyla, giacché l'ironico scenario elvetico si apriva sempre subito sullo sfondo dell'umanità. Questa forma novellistica pareva bene l'espressione più adeguata della fantasia e della coscienza di G. Keller.

Ma invece di proseguire sulla strada ormai spianata, egli dovette per mancanza di mezzi ritornare a Zurigo e qui, ricusata la cattedra di letteratura e storia dell'arte al Politecnico, vivere alla giornata, scrivendo d'occasione - anche nuove poesie patriottiche -, stimato dai suoi concittadini e in rapporto con i più illustri ospiti del paese, R. Wagner, F. Th. Vischer, i Wesendonck, ecc. La sua precaria situazione borghese ebbe finalmente termine nel 1861, quando fu nominato primo segretario cantonale (Staats- schreiber). Quindici anni tenne la sua carica, con tanto impegno da non avanzargli più tempo per l'arte. Che il poeta non fosse morto lo provarono nel 1872 le Sette Leggende (Sieben Legenden).

Da una raccolta agiografica, che il teologo protestante L.T. Kosegarten aveva al principio del secolo compilato con stile pedantesco e untuoso, K. trasse alcuni motivi per svolgerli, serbando la stessa trama, in uno spirito affatto diverso, con la maliziosa intenzione di restaurare il gusto profano del novellare, che diceva di sentirvi svanito. Il piacere della vita, non la negazione ascetica, è il richiamo che ascoltano tutti gli eroi delle leggende, e se non tutti gli cedono, se l'altra legge, della rinunzia, è riconosciuta necessaria a fondare l'ordine morale anche da chi non la porta alle conseguenze estreme, sopra la trascendenza sono celebrate sempre la terra e l'umanità. Im difficoltà di creare una forma adeguata a un tal tipo di leggenda religiosa e profana, scherzosa e seria, senza scorie ironiche e con purezza di stile, venne mirabilmente superata dal K., che fece in questa operetta la prova più squisita della sua arte.

Una nuova edizione della Gente di Seldwyla in quattro volumi (1873-74) aggiungeva alle già pubblicate altre cinque novelle. Mentre le leggende potevano acquistare, per la materia e il tempo cui si riferivano, un valore simbolico, tanto più diretto riferimento al presente avevano i nuovi racconti. Specifiche, non più generiche cure d'anima intraprendeva qui il poeta educatore, il quale aveva dovuto constatare che, se i difetti già attribuiti a Seldwyla non corrispondevano più alla realtà svizzera attuale, ben altre malattie affliggevano la sua patria. E combatté dunque parecchie storture della vita civile e politica, della letteraria, della religiosa, ma senza danno delle invenzioni poetiche e rimanendo sempre nel clima generale della raccolta, l'idillico. Anche nella storia lontana del suo paese cercava ora gli argomenti, e quando, nel 1876, si fu liberato del grave carico dell'impiego, i medesimi interessi pedagogici e storici gli fecero trovare i motivi delle Züricher Novellen (1877). La cornice che le lega pone in evidenza il loro tema comune, il problema della ricerca della personalità attraverso la discriminazione dello spontaneo e genuino dal voluto e falso. Ricorrendo anche a elementi autobiografici (Der Landvogt von Greifensee), riuscirono al K. rievocazioni gustosissime, e l'amore della sua terra e del suo popolo fecero sì che la sua arte si tenesse lontana dall'oleografico e dal prezioso. Non si vuol tacere però, che il gusto del particolare storico gli fu qua e là d'ingombro alla creazione. Pericolo dal quale K. si liberò successivamente immergendosi nei ricordi della propria giovinezza per la rielaborazione ricordata di Enrico il Verde, e col dar compimento a un vecchio piano berlinese di novelle, variazioni, come le chiamava, intorno a un epigramma di F.v. Logau (Das Sinngedicht, 1881). L'epigramma del Secentista offriva modo di dibattere un problema caro al poeta, il rapporto tra l'uomo e la donna, e, nel piano teorico, tra sensualità e moralità. La consueta cornice (la storia di un giovine scienziato che esce dal chiuso del suo gabinetto per rientrare nella vita cercandosi una moglie) s'intreccia stavolta assai più intimamente con le novelle narratesi a vicenda dai protagonisti. Un tema filosofico, come la libertà della natura possa conciliarsi con la necessità del costume, come la natura possa diventare umanità, prende carne e sangue poetico in un seguito di racconti, che sono tra i più armoniosi kelleriani, contesti in una leggiera e pur saldissima costruzione.

Non taceva intanto il lirico: nacquero in questi anni soprattutto parecchie ballate; e nel 1883 la nuova raccolta dei Gesammelte Gedichte. Dei numerosi progetti del periodo della vecchiaia solo un romanzo ebbe esecuzione, il Martin Salander (1886). Il patriota non era contento dello sviluppo morale del suo paese, il democratico convinto incominciava ad avvertire le degenerazioni della democrazia. Volle levare la voce ad ammonire i suoi connazionali riprendendo il male ed esaltando il bene, e compose un romanzo pedagogico, nel quale l'artista si lasciò guidare precipuamente dagli interessi pratici del cittadino. Fu l'ultima grande fatica dello scrittore. La sua fama era cresciuta ormai oltre i confini della Svizzera e della Germania; amicizie illustri (con Th. Storm, P. Heyse, A. Bocklin, ecc.) avevano fruttato anche epistolarî importanti e consensi graditi al chiuso, modesto e difficile uomo.

Con J. Gotthelf e C. F. Meyer, K. è il maggiore rappresentante della letteratura svizzera di lingua tedesca nell'Ottocento. L'origine popolana e gl'interessi morali e patriottici lo avvicinano al primo, il vigile senso dell'arte al secondo; ma tra i due egli ha una sua caratteristica posizione come uomo e come poeta. È un borghese, un modemo, che si allontana col suo tempo dal consunto romanticismo per vivere nella concretezza della realtà. Nella realtà però, in contrasto col praticismo materialista dell'epoca, egli cerca l'eterno, sente l'esigenza idealistica e scopre la poesia. Con Th. Storm, A. Stifter e altri esponenti del cosiddetto realismo poetico egli rinunzia al dinamismo tendenzioso dello Junges Deutschland e alle superbie del progressismo meccanico, si chiude deliberatamente nei limiti del quotidiano e, senza artifici, lo trasfigura. Il suo clima è l'idillico, ma è l'idillio d'un mondo che deve volta per volta riconquistare la legge morale. Un caratteristico ponte di passaggio tra i dominî della verità etica e quelli della poesia è l'umorismo. Le radici popolari contribuiscono ad alimentare di sempre nuova freschezza l'arte di questo educatore di stampo goethiano, e le peculiarità elvetiche le dànno sapore e colorito.

Ediz.: K. G. Sämtliche Werke, ed. critica a cura di Jonas Fränkel, Erlenbach-Zurigo e Monaco, Berna e Lipsia, 1926 segg.; più facilmente accessibili le edizioni curate da Harry Maync, Berlino 1921-1923, e da Max Nussberger, Lipsia-Vienna 1921.

Bibl.: G. K. Leben Briefe und Tagebücher, a cura di E. Ermatinger, Stoccarda e Berlino 1924 (7ª ed.), voll. 3 (nel vol. III ampie indicazioni bibl.); P. Heyse und G. K. im Briefwechsel, a cura di Max Kalbeck, Amburgo 1919; Briefwechsel zwischen Th. Storm und G. K., a cura di A. Köster, Berlino 1924 (4ª ed.); F. Baldensperger, G. K. Sa vie et ses øvres, Parigi 1899; R. Huch, G. K., Lipsia 1904; H. Maync, G. K., sein Leben und seine Werke, Lipsia 1923; A. Farinelli, G. K., in L'opera d'un maestro, Torino 1920; id., G. K. poeta ed educatore, in Poesia germanica, Milano 1927; L. Bianchi, G. K., in Von der Droste bis Lilienkron, Lipsia 1922; M. Accolti-Egg, G. K. Studio critico, Torino 1931 (ivi anche altra bibl. e l'indicazione delle traduzioni italiane).