GOLF

Enciclopedia dello Sport (2005)

Golf

Enrico Campana
Sonia Civitelli

Introduzione

Secondo la definizione del Concise Oxford Dictionary "Il golf è un gioco per due persone, o coppie, che consiste nel colpire una pallina dura con mazze dalla testa di ferro e di legno fino a farla entrare in una serie di buche ricavate da una superficie erbosa levigata, poste a varie distanze le une dalle altre e separate da piste e ostacoli. Scopo del gioco è imbucare la pallina col minor numero possibile di colpi".

Il golf, a ogni livello, è uno sport di grande complessità tecnica e rappresenta una continua sfida al miglioramento e quindi con sé stessi; la maggiore difficoltà è probabilmente l'aleatorietà: nemmeno il più grande dei campioni può conoscere con certezza assoluta l'esito di ogni suo tiro e questo da un lato genera il gusto dell'incertezza, dall'altro garantisce entusiasmo man mano che l'abilità cresce e l'aleatorietà diminuisce. La soddisfazione che si prova a ogni singolo colpo ben giocato, la sensazione di potenza e precisione che può dare una palla ben impattata, la constatazione di essere riusciti a giocare esattamente il colpo pianificato tenendo conto del vento, della pioggia, dell'umidità e di tutti gli altri fattori costituiscono l'autentica essenza di questo sport. Componente tutt'altro che trascurabile del golf è il suo inscindibile legame con l'ambiente naturale in cui si pratica.

La storia

Le origini

L'influenza di giochi popolari diffusi in diversi paesi europei ai tempi delle campagne dei romani in Gallia e Britannia può essere in rapporto con la nascita del golf. Nelle province di Roma era praticato un gioco chiamato paganica, consistente nel colpire una palla di cuoio imbottita con un bastone ricurvo. Tra il 1° secolo a.C. e il 2° d.C. i legionari trasmisero ai celti delle Highlands usi e costumi, compresi giochi e passatempi, e potrebbero aver contribuito allo sviluppo del moderno golf in Scozia. Nel 14° secolo era diffuso in Inghilterra il gioco della cambuca, nato nei dintorni di Roma dopo la caduta dell'Impero, che mirava a imbucare una pallina di legno colpendola con un bastone. Il primo documento in cui si fa riferimento al gioco del golf, definito gowf o goff, è il decreto con il quale nel marzo 1457 il re di Scozia Giacomo II ne vieta la pratica insieme al futeball (Stirk 1987). In seguito, con altri due editti, i sovrani della dinastia Stuart confermarono la messa al bando del golf paventando una minaccia seria per la Scozia. Sotto il pericolo di un attacco delle truppe inglesi, la popolazione fu precettata alla pratica delle armi; i fabbricanti di archi dovettero abbandonare la produzione di bastoni da golf: alla Scozia servivano ottimi arcieri e non ottimi giocatori. Il tiro con l'arco era lo sport nazionale, ma era ormai impossibile arrestare l'ondata di entusiasmo per il golf che aveva contagiato gli scozzesi nei primi cinquant'anni del 15° secolo. La firma nel 1501 del trattato di pace con l'Inghilterra contribuì ad alleggerire l'atmosfera: la prima spesa di cui si ha notizia è la nota documentata del tesoriere della corona per l'acquisto di bastoni e palline da golf per il re. Verso il 1600, nella cattolica Scozia il golf fu vietato la domenica, giorno dedicato alle funzioni religiose. Un recente studio ipotizza invece l'origine del gioco in Valcamonica nel 200 a.C.

Nel rappresentare i momenti di spensieratezza agreste della Roma del 15° e 16° secolo, i paesaggisti mostrano giocatori attrezzati di bastoni e palline. Questo dimostra come i pittori si fossero imbattuti molto spesso in quel gioco in uso fra la popolazione dell'urbe e quanto bene lo conoscessero. Il golf piacque immediatamente anche ai francesi che, probabilmente in una delle loro calate in Italia, lo ribattezzarono jeu de mail facendolo loro. Agli inizi del 17° secolo venne adottato anche dalla corte inglese, che lo praticava a St. James nella forma del pall-mall ("pallamaglio"), da cui il nome Pall Mall della strada di Londra che unisce Trafalgar Square a St. James's Palace. Nel 1629 tale gioco, che consisteva nel colpire la palla lungo campi e sentieri fino a un traguardo (un casale o la porta di una chiesa), fu lo sport preferito di Carlo I Stuart, quando Scozia e Inghilterra diventarono un unico paese, ma declinò repentinamente con l'avanzata del golf e delle cacce alla volpe, attività che si svolgevano nei parchi e in campagna perché caratterizzate da grandi adunate di invitati, impossibili da ospitare a corte o da organizzare nell'abitato cittadino che stava popolandosi a vista d'occhio. Continuò invece ad avere una discreta fortuna in Francia, soprattutto nella campagna dov'era conosciuto come jeu de mail à la chicane, ma con un regolamento leggermente diverso. Nelle Fiandre era in voga fin dal Medioevo il chole (soule in francese), anche questo strettamente legato al golf, che prevedeva l'uso di palline di legno e bastoni ed era giocato da due squadre composte da numerosi giocatori.

Steven van Hengel, storico del golf, sostiene che il gioco era diffuso in Olanda secoli prima che in Scozia. Era chiamato spel metten kolve (o colf, kolven e colven) e si praticava fin dal 1297 con mazze e palle sulle dune di sabbia e, d'inverno, sui corsi ghiacciati. La denominazione si legge nei decreti emessi per proteggere il pubblico dai troppo vivaci giocatori, ai quali venne vietato di frequentare come teatro di gara gli abitati a causa dei danni provocati, i vetri rotti e le persone ferite.

In Italia un simile recupero storico non è stato mai nemmeno tentato, forse perché il golf si è a lungo ritenuto sport snob e vagamente classista, e senza eroi popolari. Comunque, quando il gioco ufficiale nasceva e si sviluppava come sport nazionale sulle coste della Scozia orientale, sua culla naturale, le coste italiane mostravano già forti concentrazioni di abitato (porti, villaggi di pescatori, difese militari); inoltre, larga parte del territorio tirrenico era paludoso e malsano. La brughiera scozzese godeva certo di condizioni più favorevoli rispetto al litorale italiano, il che può aver bloccato l'espansione del golf in Italia dopo la partenza favorevole.

La ricerca storica documenta in modo piuttosto minuzioso la somiglianza di regole e attrezzature (bastoni e palline), nonché degli stessi nomi, fra il golf scozzese e il colf olandese. Questo era praticato, come si è detto, almeno 160 anni prima della condanna da parte degli Stuart. Altro fatto importante è il legame stretto di amicizia e rapporti commerciali fra Olanda e Scozia, documentato da note di bordo. Nel porto di Edimburgo le navi sbarcavano partite di palline di cuoio riempite di piume bollite (featheries), barattate con partite di bastoni in legno e ferri, richiestissimi dai giocatori olandesi che non vantavano il raffinato artigianato degli scozzesi. L'interscambio preferenziale dimostra chiaramente una crescita parallela del fenomeno nei due paesi amici, che in comune avevano anche il nemico: gli inglesi. Altra conferma viene dai pittori della scuola fiammingo-olandese, che fra il 1400 e il 1600 hanno spesso rappresentato partite di colf su terra e su ghiaccio, in patria e anche all'estero, in particolare a Roma e in Germania. In Gran Bretagna, dove la pittura paesaggistica fiorì un secolo più tardi, non può essere reperita analoga testimonianza di paternità.

In Olanda il colf andò declinando, per l'avanzare del golf scozzese, e divenne di moda il kolf, una specie di minigolf giocato nei cortili e sotto le tettoie delle locande, consentendo all'oste buoni affari. Forse il colf pagò pesantemente la sua fama di gioco turbolento, che lasciava dietro di sé feriti e vetri rotti. Non godeva della protezione della casa reale olandese, al contrario di quelle di Scozia e Inghilterra che spesso hanno visto il golf intrecciarsi con le lotte dinastiche per la conquista della corona e il dominio dei territori inglesi. Maria Stuarda, condannata al patibolo (1587), venne accusata di aver giocato a golf pochi giorni dopo l'assassinio del marito, lord Darnley, al quale delitto non sarebbe stata peraltro del tutto estranea. Suo figlio, divenuto re d'Inghilterra con il nome di Giacomo I, era un bravo giocatore come la madre e trasmise la passione di famiglia anche al figlio, favorendo la diffusione del golf sulle terre inglesi.

Le sfide di golf sotto gli Stuart avvenivano fra individui e coppie. Poiché erano in molti a voler giocare, si procedeva all'eliminazione diretta per conquista della buca con il minor numero di colpi, formula ancor oggi adottata nelle gare di match-play. Le regole erano diffuse oralmente e i campi non avevano dimensioni definite ma variavano a seconda delle sfide, della scelta dei contendenti, delle condizioni meteorologiche e dell'affollamento dei links. Questi erano campi a fondo sabbioso, solitamente vicini al mare, coperti di vegetazione bassa e adibiti anche al pascolo.

La nascita del golf moderno

Così in diversi punti della costa orientale della Scozia, favorita da condizioni più asciutte, si crearono gruppi spontanei di giocatori e sfidanti, e ben presto si avvertì la necessità di disciplinare le competizioni. Nacquero dunque nel 1744 le prime regole scritte e il primo circolo. La piana di Leith, culla storica del grande golf, venne assorbita repentinamente dalle attività del porto di Edimburgo, e gli Edinburgh Golfers trasferirono il loro campo a Muirfield fondando la Company of Gentlemen Golfers, che trascrisse le regole adottate fino ad allora dai suoi membri e ne fece un canovaccio. Il fondatore, immortalato in un dipinto molto noto, fu William St. Clair di Roslin. Indossava l'alta uniforme dei Gentlemen Golfers: giubba rossa con pantaloni alla zuava di velluto e scarpe cardinalizie, con fibbia. L'associazione divenne più tardi Honourable Company of Edinburgh Golfers, ancora oggi esistente e di grande prestigio. Alla posa della prima pietra del circolo presenziò tutto il comitato della Società massonica in quanto St. Clair di Roslin era il gran maestro ereditario della massoneria scozzese. Nel corso degli anni, del resto, sono stati ritrovati documenti che attestano il ruolo fondamentale svolto dalla massoneria per la conservazione dello spirito del golf e il suo sviluppo (Stirk 1987).

Nel 1754 l'associazione dei golfisti di St. Andrews (più tardi chiamata Royal and Ancient Club of St. Andrews, conosciuta come R&A) si ispirò allo statuto degli 'onorevoli' colleghi di Edimburgo (in realtà i soci dei due circoli erano gli stessi) per la storica stesura delle famose 13 regole del golf. Si tratta delle 'tavole' che costituiscono l'ossatura del moderno regolamento. Proprio per l'autorevolezza, riconosciuta via via dagli altri club scozzesi che accettarono il principio di un unico codice quale garanzia di lealtà nel confronto, l'associazione poté fregiarsi del titolo di 'reale'. Risale a quella data anche la scelta del campo a 18 buche (in realtà sono ammesse le 9 buche raddoppiate). St. Andrews ne aveva ben 22, ma accettò di adeguare il suo campo e nacque così lo storico old course. La decisione a favore di un campo definito faceva intuire la possibilità di creare spazi appositi, con percorsi ben perimetrati e curati, dove potersi cambiare d'abito e lasciare i bastoni (i campi erano fuori mano, alcuni si raggiungevano via mare), fare vita sociale e dove i giocatori avrebbero potuto concentrarsi maggiormente sul gioco e cercare di divertire il pubblico che non correva più alcun pericolo. La pallina di cuoio e piume volava invece pericolosamente sopra le teste di coloro che si radunavano per le sfide sui links, i quali restavano però il teatro di gara favorito per via del drenaggio perfetto: in un ambiente tipicamente piovoso, cinque minuti dopo la fine della pioggia si poteva riprendere il gioco.

Nacque spontaneamente in questo quadro la figura del caddie (Stirk 1987): il factotum del golf, che può essere visto come uno smaliziato servo-padrone. Considerando la calca della gente sugli spiazzi erbosi, il pericolo che le palline finissero nel mare sottostante, il vento e i tracciati indefiniti di gara, era necessario assoldare una staffetta o meglio una vedetta di gara che precedesse i giocatori. Il suo compito era avvertire la gente di fare attenzione ai concorrenti, ma anche invitarla a seguire la gara, individuare la posizione della buca e segnalarla agli sfidanti. Il caddie doveva portare anche tutti i bastoni necessari per superare di volta in volta le insidie di un terreno accidentato. Sui links piatti i carri andavano più spediti ma le pesanti ruote lasciavano nel terreno molle solchi profondi che nascondevano le palline. E sul percorso si trovavano gli scarti dei picnic, lo sterco degli animali, mucchi di sassi: le condizioni erano ben differenti dalle attuali.

I caddies furono praticamente i primi professionisti del golf. Iniziarono col ricevere per il loro servizio mance dai contendenti, ma divennero ben presto veri e propri consiglieri fidati, ricercati e ben remunerati. Avevano perfetta conoscenza del campo, dei segreti di gioco dei rivali, della tecnica ed erano in grado di passare il bastone giusto per ogni colpo, nonché di dare consigli nelle situazioni critiche.

Nella società vittoriana cominciavano a diffondersi leggende sui caddies come veri padroni del gioco e per questo soprannominati captains. Tom Morris il vecchio e Tom Morris il giovane ne sono esempi emblematici, anche nell'aspetto. Sicuri nei modi, tarchiati, sembravano lupi di mare, con una folta barba e il cappello marinaro di feltro che copriva la fronte. Anche Willie Dunn era personaggio smaliziato, ma fu Allan Robertson di Prestwick, considerato il miglior professionista del tempo e impareggiabile costruttore di palline, il primo a entrare nel culto popolare. Quando Robertson nel 1859 morì, i circoli chiusero per lutto e le campane suonarono a morto per diffondere nel modo più veloce possibile la notizia fra la popolazione. Per ricordarlo e designare il suo successore, l'anno dopo venne indetta una gara ufficiale. Nacquero così nel 1860 i British Open Championships, la più antica e prestigiosa gara del calendario, alla quale parteciparono solo otto professionisti, quegli stessi che avevano inventato il nuovo mestiere. D'inverno, quando non si giocava, fabbricavano palline e bastoni da golf. Nelle altre stagioni i professionisti davano qualche lezione e venivano sfidati dai dilettanti (la classe dominante) con poste in denaro. Se le cose non andavano bene tornavano a fare i caddies, o si adattavano ai lavori più umili. Non tutti erano disposti a correre questa avventura; i circoli infatti erano solo 38 (34 in Scozia, 2 negli Stati Uniti, 1 in India e 1 in Inghilterra) e la domanda di professionisti nulla. Willie Park di Musselburgh, vincitore del primo Open, si aggiudicò il cinturone di marocchino rosso con l'artistica fibbia d'argento coprendo i 3 giri da 12 buche l'uno. Il punteggio fu modesto, 174 colpi, e rifacendosi a quello score alcuni dilettanti si ritennero incoraggiati e, convinti di poter giocare alla pari, vennero alla fine accettati al Championship negli anni successivi. Questo conferì lunga vita e prestigio non solo all'appuntamento, ma alla stessa formula degli Open, ben presto adottata in tutto il mondo.

Nelle tre edizioni successive vennero offerte anche 5 sterline di premio, e cominciò la dittatura di Tom Morris il vecchio e di Prestwick, vincitore 4 volte (1861, 1862, 1864, 1867), anche se Willie Park si ripeté altre 4 volte, con un totale di ben 5 successi nell'arco di quindici anni (1860, 1863, 1866, 1874 e 1875). Morris passò il testimone al figlio che fece anche meglio del padre. Era considerato imbattibile. Sbaragliò il campo nelle tre edizioni successive, aggiudicandosi definitivamente il prestigioso cinturone uguale ai trofei del pugilato riservati ai campioni mondiali. L'Open rimase così senza trofeo e fu sospeso per un anno. Nessuno più voleva offrire una nuova cintura. Tre circoli si ripartirono quindi la spesa per acquistare la coppa in argento (in realtà un'anfora greca) finemente cesellata con scene di golf che Morris il giovane, vincitore per la quarta volta consecutiva, poté solo baciare alla ripresa dell'Open. L'anfora d'argento, la stessa ancor oggi levata in alto dal vincitore al termine della gara, viene ritirata e il nome del trionfatore inciso a mano sulla base che, per contenere i nomi dei 133 vincitori, si è trasformata in una balza a tre piani. Nessuno ha mai più vinto quattro volte di seguito l'Open, e del resto Morris il giovane, l'unico che poteva allungare il record, morì prematuramente nel 1875, a soli 24 anni.

Nel 1890 il premio fu portato a 20 sterline più una medaglia d'oro; la vittoria non cambiava certo la vita, e lo dimostra la triste storia di Jamie Anderson di St. Andrews, morto povero all'ospizio nonostante ben 3 successi. Si stavano tuttavia aprendo, per chi aveva il senso degli affari, prospettive nuove e interessanti, rappresentate da molte esibizioni e sfide. Un Open offriva ormai una grande notorietà, con una schiera di giocatori sempre più cospicua, il che accresceva l'agonismo e spingeva a migliorare il gioco. I primi anni d'oro arrivarono grazie a un irripetibile terzetto costituito da John Henry Taylor, James Braid e Harry Vardon che, fra il 1894 e la vigilia della prima guerra mondiale, dominarono l'Open britannico. Essi fecero incetta di trofei, salvo l'imprevista battuta d'arresto del 1902, anno in cui grazie alla rivoluzionaria pallina Haskell (di gomma dura, brevettata da Coburn Haskell di Cleveland) prevalse lo sconosciuto Alex Heard. Lasciata la vecchia guttie (di guttaperca) per la nuova pallina, il 'triumvirato' tornò a dominare ottenendo un totale di 16 vittorie (6 Vardon, 5 ciascuna Taylor e Braid) e 12 secondi posti.

I massoni scozzesi fin dal 18° secolo avevano continuato a incoraggiare i fratelli d'Oltreoceano affinché sostenessero e diffondessero il golf. D'altra parte, grazie agli olandesi e al loro turbolento colf, già dal secolo precedente si giocava nella Carolina del Sud e soprattutto in Georgia, culla del golf americano che nel Novecento sarebbe diventato gloria, vanto e favola come ha narrato Robert Redford nel suo film La leggenda di Bagger Vance (2000). Terminata nel 1783 la guerra d'indipendenza americana, si deve aspettare fino al 1888 per sentire parlare ancora una volta di golf; il primo percorso venne ricavato in un frutteto e a esso seguì una serie di campi leggendari, testimoni di sfide memorabili, sui quali hanno costruito la loro fama giocatori come Bobby Jones, Ben Hogan e Jack Nicklaus. Nel 1891 sorse a Shinnecock Hills, Long Island, il primo golf permanente degli Stati Uniti, con la sua lussuosa club house: una pazzia per quei tempi, considerando che in tutto il paese i giocatori registrati erano soltanto 12.

La United States Golf Association nacque nel 1894, e nello stesso anno organizzò il primo US Amateur Championship. Nel 1895, a Newport, Horace Rawlins vinse il primo US Open, gara che avrebbe pochi anni dopo affiancato i British Open quanto a prestigio, sulla spinta di una enorme diffusione del golf, per cui un secolo dopo si conteranno nel nuovo continente 30 milioni di golfisti e 30.000 impianti. Il contributo decisivo alla trasformazione del golf in un fenomeno di massa fu offerto dall'innovazione tecnologica, che decretò anche il passaggio del primato dagli inglesi agli americani. Nei primi anni del Novecento l'industria statunitense lanciò, come già detto, la nuova pallina di gomma Haskell e un putter rivoluzionario a forma di maglio (bandito in seguito da St. Andrews), con il quale Walter J. Travis vinse sul suolo britannico nel campionato internazionale dilettanti.

Da parte sua i British Open continuavano a proporre momenti irripetibili nella storia del golf, fatti di record, curiosità, personaggi che resistono al tempo: le dinastie dei Morris e dei Park, Harry Vardon capace di muovere le folle. Vinse 6 titoli, impresa ineguagliata, in 20 anni e fu il primo vero giocatore a conquistare l'America, che in diverse occasioni gli tributò onori e gloria riservati solo agli eroi nazionali (nei 9 mesi del suo primo tour americano, nel 1900, la Borsa fu costretta a chiudere di pomeriggio in coincidenza con l'esibizione di New York). Nel 1913, grazie anche alle gesta dello sconosciuto studente Francis Ouimet che nello US Open sconfisse inaspettatamente i due assi inglesi Vardon e Ted Ray, si determinò uno spostamento del baricentro del golf, quanto a interesse e attività, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti

I British Open continuavano però a essere riferimento obbligato per il mondo del golf. Non è possibile dimenticare la duplice prodezza di John Ball, che nel 1890 fu il primo dilettante e il primo inglese a strappare il trofeo agli scozzesi. Nel 1907 il trofeo passò addirittura per la prima volta in mani straniere, con il trionfo del francese Arnaud Massy a Hoylake che fece impazzire di gioia la Francia e provocò l'esplosione del golf transalpino. L'avanzata americana sui links ventosi del Nord Europa cominciò a partire dagli anni Venti, terminata la prima guerra mondiale. Il vincitore del 1921, Jack Hutchinson, era americano solo d'adozione, ma l'anno successivo trionfò uno statunitense di nascita, Walter Hagen, che in tre altre occasioni seppe ripetersi. D'improvviso gli inglesi scoprirono di avere problemi di ricambio generazionale. Gli americani, abituati al loro circuito molto competitivo, fatto di appuntamenti per tutti i mesi dell'anno, ingolositi dai guadagni potevano contare sul formidabile serbatoio delle università e quindi divennero padroni indiscussi del campo. Fra il 1920 e il 1934 vinsero 11 edizioni.

La stella degli anni Trenta fu il dilettante Robert 'Bobby' Jones, al quale è dedicato il film Bobby Jones, stroke of genius, di Rowdy Herrington (2004). Vinse nello stesso anno, il 1930, i tornei più importanti dell'epoca, l'Open e l'International Championship di Stati Uniti e Gran Bretagna: fu il primo nella storia. A soli 28 anni, pago di questo trionfo (aveva anche vinto 3 titoli dei British Open e 3 dello US Open), lasciò a sorpresa il golf agonistico; tuttavia la sua passione non si esaurì e si dedicò a un grandioso progetto: creare nella sua Georgia il campo di Augusta, considerato una delle cinque meraviglie del golf. Invitò col suo prestigio a diventare soci le personalità più in vista e radunò i migliori giocatori per la gara d'inaugurazione. L'Augusta National divenne così dal 1934 la sede del Masters Tournament, uno dei quattro maggiori appuntamenti mondiali (insieme con British Open, US Open e US PGA Championships) che costituiscono il Grande Slam.

Nacquero in quegli anni ed ebbero immediato successo anche le competizioni a squadre continentali, la Walker Cup e la Ryder Cup, che si disputano parallelamente ogni due anni. La Walker Cup, istituita dal nonno di George Bush senior, buon golfista, rappresenta dal 1922 la sfida fra le selezioni nazionali dilettanti di Stati Uniti e di Gran Bretagna e Irlanda. Nata invece nel 1927 e riservata alla sfida fra i 'pro' di Gran Bretagna e Stati Uniti, la Ryder Cup dal 1979 ha selezionato, prendendo atto della crescita di grandi campioni continentali, una squadra con i migliori giocatori della terraferma europea. Grazie agli spagnoli Ballesteros e Olazábal e al tedesco Langer, che oggi è capitano, l'Europa ha riportato al di qua dell'Atlantico il prestigioso trofeo.

Terminata la seconda guerra mondiale, i British Open hanno visto salire alla ribalta giocatori provenienti da paesi in cui il golf cresceva enormemente: Australia, Sudafrica, India. Fecero così il loro ingresso nell'albo d'oro il sudafricano Bobby Locke con 4 titoli e l'australiano Peter Thompson con 5 titoli. Erano gli anni in cui gli americani cominciavano a mostrare un minor interesse in quanto il monte premi dei British Open non valeva un piazzamento nel loro circuito. Erano anche gli anni in cui gli Stati Uniti potevano offrire, per la prima volta, una schiera di campioni imbattibili e forse irripetibili: Sam Snead, Ben Hogan, Arnold Palmer, Jack Nicklaus i più famosi. Il gioco stava cambiando, e non certo in peggio. Nessun americano realisticamente voleva rinunciare alla corsa all'oro scatenatasi in patria per il golf, che consentiva nel dopoguerra guadagni astronomici ai suoi campioni creando una tendenza nello sport professionistico mondiale. Si trattava di cifre enormi derivanti da premi, esibizioni, contratti di sponsorizzazione, libri, film, apparizioni televisive, progettistica di campi.

Dopo un lungo predominio statunitense, il gioco si internazionalizzò quanto a diffusione e turnover dei vincitori fino all'avvento negli anni Novanta del fenomeno Tiger Woods, afroamericano con ascendenze anche orientali. Quando i fuoriclasse americani, ormai ricchi e famosi, prendevano la strada del tramonto, da ogni continente emergevano facce nuove. Australiani, sudafricani, giapponesi, indiani, sudamericani, spagnoli, tedeschi, svedesi, coreani, paraguaiani, filippini, giocatori di Taiwan o delle Figi si sono giovati della diffusione a macchia d'olio del golf, oltre che delle maggiori possibilità di comunicazione e di spostamento. E le università americane hanno fornito un ricambio di minor qualità, con la trasformazione dei programmi sportivi determinata da grandi flussi di atleti di colore verso discipline 'muscolari', meno tecniche e legate alla cultura della strada (il cosiddetto street sport), che hanno generato fenomeni di idolatria di massa e quindi consumi e grandi profitti per le aziende. Il nuovo 'sogno americano', incarnatosi nell'ultimo ventennio nel football e nel basket, ha cominciato a rivolgersi al golf solo sul finire del secolo scorso: proprio con la figura carismatica di Tiger Woods e la sua storia familiare, il gioco ha guadagnato quei contenuti popolari mancanti negli anni d'oro. Di questa evoluzione del golf per la prima volta sono stati protagonisti gli europei di terraferma con un nome su tutti, quello dello spagnolo Severiano Ballesteros, al quale un'artrosi alla schiena ha negato una carriera da leggendaria star, ma che ha comunque ricevuto onori e attenzioni riservati solo ai grandi di questo sport e ha sfatato tabù secolari, contribuendo a dare nuove opportunità a molti giovani talenti. Il suo erede è il connazionale Sergio García, classe 1980, indicato come anti-Tiger da quando perse per un solo colpo il duello con Woods nei PGA Championships.

Pur se oggi in crescita, il golf femminile vanta uno sviluppo senz'altro minore per ovvie ragioni storico-culturali. Nell'Ottocento i club erano ostili alle donne. Solamente il Royal North Devon Golf Club, sul finire del secolo, le accettò con pari diritti rispetto agli uomini associati. Esistevano competizioni femminili a sé stanti, e le donne frequentavano le gare maschili solo come marcatrici. A St. Andrews potevano usare solamente il putting green e non erano ammesse al percorso degli uomini, onore che verrà loro concesso solo dopo oltre un secolo, nei British Open 2004. Le battaglie femministe, nate e sviluppatesi sul suolo inglese e americano, hanno fatto registrare una crescita a balzi. Nel 1893 le ladies poterono finalmente giocare il loro primo campionato, anche se i circoli femminili nel Regno Unito erano già 128; in America venne considerato fondamentale il contributo dato alla causa dal manuale Golf for women (1904) firmato da Genevieve Hecker, prima campionessa dilettante. Oggi la svedese Annika Sorenstam e la sua erede Michelle Wie sono in grado di far immaginare un futuro di golf 'unisex', riuscendo a figurare nelle sfide dimostrative contro i colleghi uomini. Gioco a parte, in quanto a guadagni la Sorenstam non ha poi nulla da invidiare a moltissimi assi, e non solo del golf.

Il golf in Italia

Prima dell'Acquasanta, unico circolo italiano ad aver compiuto 100 anni, il golf si giocava a Merano, anche se in seguito il campo fece posto all'ippodromo di Maya, famoso per le gare a ostacoli. Nel Settecento a Roma il conte di Albany giocava a Villa Borghese e le sfide della comunità britannica si tenevano a Villa Doria Pamphili. Gli inglesi in Italia finirono per creare una mappa di campi nei luoghi più incantevoli. Nel primo dopoguerra sorsero i primi circoli nelle grandi città: a Milano e Torino, ma anche a Palermo. Il golf italiano era fortemente anglofilo, esclusivamente stagionale, si giocava nelle località preferite per le vacanze: sui rilievi intorno ai laghi lombardi, nelle Alpi, nella Riviera Ligure, a Venezia e anche a Fiuggi.

La prima gara di cartello fu il Campionato internazionale d'Italia per dilettanti nel 1905. Ma bisogna aspettare ventidue anni per la fondazione della Federazione italiana golf, nata nel 1927 a Milano per iniziativa privata dei circoli di Stresa, Firenze, Torino, Villa d'Este e Palermo. L'anno successivo viene spostata a Roma ed entra a far parte del CONI con 20 circoli. Sul percorso di Roma Eugenio Ruspoli è il primo campione italiano nel 1929.

I professionisti di quel periodo sono tutti britannici, conoscono l'arte della costruzione dei bastoni e della manutenzione del campo. Diversi giocatori italiani hanno imparato il golf studiando all'estero, nei collegi inglesi o svizzeri. Contemporaneamente, per riuscire a tirare avanti molti ragazzi varcano i cancelli dei primi circoli offrendosi di fare il caddie per poche lire e intanto imparano l'arte. Diventano professionisti, ma senza avere dietro di sé il mercato e le opportunità di Gran Bretagna e America. Danno lezioni, l'estate insegnano nei golf delle località di villeggiatura, ogni tanto disputano qualche gara, propongono e accettano sfide. Quando si offre loro nell'Open la possibilità di giocare con i maestri britannici, in qualche occasione escono vincitori. Si chiamano Pietro Manca (che fa esordire due giocatori poi divenuti famosi: Ugo Grappasonni, vincitore di due Open d'Italia, e Alfonso Angelini), Cesidio Croce, Silo Gori, Tullio Scarso, Aldo Casera, Giovanni Locatelli, Giuseppe Zuppino. Nel 1935 il romano Umberto Grelli vince il primo campionato Omnium, ma il conflitto mondiale cancellerà quasi del tutto il golf italiano; la faticosa ricostruzione comincerà nel 1946 a Rapallo, dove nasce l'Associazione golfistica italiana che tornerà ad avere il titolo e i diritti di federazione affiliata al CONI nel 1959.

Nell'Italia del secondo dopoguerra il golf è quasi sconosciuto. I giovani italiani che hanno talento per lo sport vedono nel calcio, nel ciclismo e nell'atletica le possibilità di una carriera sportiva di successo. Il giocatore di golf in pratica è l'amateur. Proviene da famiglie benestanti, ha un destino segnato dalla fortuna: la carriera diplomatica o l'azienda di famiglia. È quindi poco incline all'avventuroso tour professionistico. Un filone che più tardi avrà un'unica eccezione: Baldovino Dassù, professionista sui generis, sostenuto da un'agiata famiglia fiorentina dalla quale uscirà anche la sorella Federica, 'proette' di lungo corso oggi vicina con la sua esperienza al team femminile azzurro. Il golf dilettantistico d'alto livello verrà in ogni caso splendidamente rappresentato da Franco Bevione e dalla sorella Isa Goldschmid, plurivincitori in Italia e all'estero. Bevione, fra il 1940 e il 1971, conquista 15 volte il campionato italiano e 3 volte quello internazionale dilettanti; la sorella vanta il record assoluto di successi negli albi d'oro, aggiudicandosi, fra il 1953 e il 1967, 22 volte il titolo nazionale (di cui 15 consecutivamente) e 10 quello internazionale, sulle orme della madre Dorina, a sua volta campionessa nazionale in tre occasioni.

La crescita del golf in Italia e l'avvicinamento a realtà e competizioni che sembravano impossibili hanno creato negli ultimi tempi la nuova figura del 'dilettante tirocinante'. Un giocatore non giovanissimo, di buon talento, interessato a misurarsi o a provare a inserirsi nel circuito professionistico, come Francesco Molinari, 22 anni, accreditato in ben due occasioni del miglior risultato per un dilettante nella storia dell'Open italiano: ventiduesimo nel 2002 all'Olgiata e addirittura tredicesimo nel 2004. I dilettanti azzurri sono considerati giocatori impegnati e non privi di numeri ma poco convinti delle loro qualità per il tour europeo. Nel 2004 Molinari, Andrea Maestroni e Marco Bernardini dopo molto tempo hanno ottenuto la qualificazione debuttando finalmente nel professionismo a fianco dei veterani Rocca, Canonica e Alessandro Tadini (30 anni). Tadini, arrivato secondo nel Challenge, aveva vinto in Costa Rica rompendo un digiuno che durava da quattro anni nei Challenge dove al trentaquattresimo posto si trovava Federico Bisazza, primo italiano nella classifica finale.

Nel tour professionistico degli ultimi 15 anni non è mancato qualche imprevisto successo azzurro, quasi esclusivamente grazie a Costantino Rocca. Oltre a contribuire alla vittoria della squadra europea per ben due volte nella Ryder Cup (1995 e 1997), è stato addirittura sul punto di entrare nella storia sportiva sfiorando la vittoria nei British Open. Era il 5 luglio 1995, e nel tempio del golf di St. Andrews Rocca imbucò un putt da ben 22 m dando la sensazione di poter battere John Daly, ma non ebbe fortuna nello spareggio. Considerato il miglior italiano di sempre, dopo aver arrotondato come caddie lo stipendio di operaio in una fabbrica di materie plastiche di Bergamo, nel 1981 Rocca, ribattezzato Porthos per la mole e la bonomia, era passato venticinquenne al professionismo. Per le sue vittorie e il suo gioco ha goduto di enorme reputazione fra i campioni del golf, soprattutto per aver sconfitto Tiger Woods nel 1997 nella Ryder Cup. Ha ottenuto tre successi nei Challenge e due nel tour americano, fra cui il Volvo PGA nel 1996 che gli ha consentito l'esenzione dalle qualifiche per dieci anni; memorabili le sue partite nella sfida più attesa del golf, la Ryder Cup, dove ha giocato ben tre volte e nella quale l'Italia non aveva mai avuto un posto.

Un altro campione da ricordare è Emanuele Canonica, classe 1971, figlio di un maestro di golf, 101° nell'ordine di merito 2003. Diventato professionista a 20 anni nel 1991, è conosciuto per il suo potente drive. Considerato il 'giocatore più lungo d'Europa' con una media di 270 m (268 m è la media di Tiger Woods), ha avuto un giorno di gloria indimenticabile mettendo a segno un colpo record di 416 m durante l'Open di Spagna nel 1996.

Ricostruito da cima a fondo, il settore femminile, un tempo modesto, sta offrendo le prime vere soddisfazioni. Formato da un piccolo gruppo in cui spiccano le giovani, al debutto internazionale (2004) si è reso protagonista nei circuiti professionistici, compreso quello americano. L'ascesa è iniziata nel 2003, quando Sophie Sandolo riuscì a classificarsi al ventiseiesimo posto; Diana Luna, appena ventiduenne, ha fatto molto meglio nel 2004 classificandosi undicesima, prima azzurra e vincitrice dell'Open di Tenerife. Ha raccolto ottimi piazzamenti Silvia Cavallari, in passato vicina alla vittoria nell'Open italiano. Merita un discorso a parte la ventiseienne triestina Giulia Sergas, che ha optato per il più impegnativo tour americano raccogliendo i frutti del coraggio e dell'impegno con il quinto posto ai British Open 2004, nei quali ha preceduto l'indiscussa star Annika Sorenstam.

Aspetti tecnici

Il campo

Un moderno campo da golf deve sorgere su una superficie di almeno 50-60 ettari e per la sua costruzione il primo passo da compiere è lo studio dei parametri tecnici dell'area. Peculiarità quasi unica del golf è il fatto che si giochi su un'area sempre diversa: non può esistere un campo standard dal punto di vista dell'ecosistema e quindi della presenza di specie animali e vegetali.

Il golf si pratica su campi in erba suddivisi normalmente in 18 buche di lunghezza variabile, all'incirca, dai 70 ai 550 m e dalla larghezza media di 40 m. Esistono anche campi composti da un diverso numero di buche (3, 6, 9, 27, 36), ma il giro convenzionale è sempre di 18 buche. La lunghezza totale di un campo da golf di 18 buche varia in media dai 5500 m ai 6500 m.

Per buca si intende tutta l'area compresa tra la piazzola di partenza (tee) e quella d'arrivo (putting green), dove è sistemata la buca vera e propria; ciascuna buca è composta dunque da diverse parti, la prima delle quali è appunto la zona pianeggiante da cui parte il gioco, delimitata da appositi segnali, detta tee, nome condiviso con i supporti in legno che possono essere utilizzati per tenere la palla sollevata da terra nel colpo di partenza (le donne giocano da tees più vicini alla buca rispetto agli uomini); al tee segue, normalmente, un'area di erba alta, di lunghezza e larghezza variabile, detta rough. L'area di erba accuratamente rasata, all'interno della quale si dovrebbe cercare di mantenere la pallina, è detta fairway; nella zona di gioco possono essere presenti vari ostacoli, piante, specchi d'acqua e bunker: questi ultimi sono una sorta di trappole di sabbia che si trovano per lo più ai bordi del green, l'area al termine della buca, dalla forma più o meno circolare, dove l'erba è tagliata ancor più finemente e dove finisce il gioco. Qui è ricavata la buca propriamente detta (hole), che ha un diametro di 10,8 cm e una profondità di 10-15 cm, con infilata l'asta della bandierina che ne indica la posizione durante il gioco.

Per ogni buca è necessaria la presenza di tee e green, mentre forma e disposizione di altri ostacoli variano caso per caso: ci sono campi pianeggianti o fortemente ondulati, costruiti nel mezzo di foreste o privi di alberi, campi costruiti in riva al mare e fortemente ventosi e campi con ostacoli d'acqua artificiali. Anche le semine d'erba e il tipo di sabbia utilizzato per i bunkers variano; addirittura il medesimo impianto può cambiare caratteristiche per motivi meteorologici e inoltre la commissione sportiva può variare le condizioni di gioco (posizionamento di bandiere e marcatori di partenza ecc.).

Le buche possono essere 'par 3', 'par 4' o 'par 5' a seconda del numero ideale di colpi per concludere la buca; così per esempio una buca par 3 dovrebbe essere giocata idealmente in tre colpi. Ovviamente è anche possibile terminare una buca in un numero di colpi inferiore o superiore al par; un giocatore che conclude una buca con un colpo in meno del par (per es. 4 colpi in un par 5) segna un birdie, un giocatore che conclude una buca in due colpi meno del par segna un eagle, un giocatore che conclude una buca con tre colpi meno del par (evento rarissimo anche tra i professionisti) segna un albatross, mentre un giocatore che conclude una buca con uno, due, tre colpi in più del par segna rispettivamente un bogey, un doppio bogey, un triplo bogey e così via. Le buche par 3 variano in lunghezza approssimativamente da 70 a 200 m, le buche par 4 da 260 a 400 m, le buche par 5 da 450 a 550 m. Un campo di 18 buche ha normalmente par 72, ma esistono anche campi che giocano 71 o 70 di par.

L'approccio al gioco

Nel golf si gioca contro il campo prima che contro l'avversario. Si basa su una tecnica fondamentale, lo swing, che consiste nell'insieme di movimenti necessari per imprimere alla palla la velocità e la traiettoria desiderate, con l'obiettivo di arrivare in buca con il minor numero possibile di colpi. Salvo eccezioni, il fuoriclasse ha sempre dietro di sé, per curare l'esecuzione, un insegnante. Non a caso, il grande Nicklaus ha avuto lo stesso istruttore per 25 anni.

Il principiante ha bisogno di un certo numero di lezioni e per iniziare deve affidarsi a un maestro che lo seguirà sul campo pratica. La fase successiva, la prova del campo, avverrà dopo una quarantina di lezioni sul campo pratica e una quindicina di uscite di un'ora. Un bravo allievo dopo sei mesi sarà pronto per partecipare alle prime gare, anche se per 'non classificati', e potrà cominciare la caccia all'handicap. In questa fase sarà sempre utile agire sotto il consiglio e lo sguardo del maestro. L'alternativa alle lezioni private è la golf clinic, ossia corsi di gruppo brevi e intensi in cui agli allievi viene insegnato come si affrontano le differenti situazioni che si incontrano nel gioco.

Tipologie generali del gioco

Una partita a golf dura in media 5 ore durante le quali bisogna percorrere circa 8 km con passo molto spedito; contrariamente a quanto comunemente si crede, è uno sport faticoso che richiede tecnica, potenza, elasticità e capacità strategiche.

Il gioco si può dividere, con qualche approssimazione, in gioco corto e gioco lungo, e in quest'ultimo si possono distinguere a loro volta il gioco dei legni e il gioco dei ferri. Al campionario dei colpi base fondamentali si aggiungono numerose raffinatezze (colpi come il draw, il fade, il lob, il punch shot, i colpi dalla sabbia, dal rough ecc.) di cui non si può mai raggiungere la padronanza completa, cosa che rende il golf un gioco coinvolgente e stimolante anche per i migliori professionisti.

Il colpo di partenza. - Il colpo di partenza rappresenta in genere il primo momento di una scelta strategica. In media, su un campo di 18 buche, sono infatti almeno 9 quelle per le quali, prima ancora di salire sul tee, bisogna decidere tra potenza e precisione. Nel primo caso la scelta cade naturalmente sul drive, nome con cui è comunemente conosciuto il legno 1: è la mazza più potente a disposizione e anche la più difficile da usare, al punto che molti giocatori più che discreti non la usano affatto. La velocità della testa del drive al momento dell'impatto, nel giocatore medio, supera i 150 km/h; a tali valori è evidente che è molto difficile portare la faccia del drive esattamente perpendicolare alla linea di tiro: basta l'inclinazione di appena un grado per sbagliare pesantemente il tiro. La scelta tra il drive e un'altra mazza dunque non è facile per l'intreccio di potenziali vantaggi e conseguenze dannose che il suo uso presenta. Man mano che la padronanza del gioco aumenta non si tratta più solo di scegliere quale mazza utilizzare, ma subentra la necessità di decidere sul lato di gioco, sulla sua potenza e quindi sulla sua lunghezza anche in base alla visibilità, con calcolo dei rischi tenuto conto del proprio handicap ecc.

Il gioco lungo. - Il cosiddetto gioco lungo è la parte del gioco più difficile da padroneggiare e chi riesce a farlo può essere considerato un buon giocatore. Per ragioni geometriche e per le caratteristiche dei 'ferri lunghi' il campionario di errori possibili nel gioco lungo è vasto; al problema tecnico di eseguire correttamente il colpo si aggiunge il problema della scelta della strategia di gioco. Le scelte strategiche fondamentali si fanno comunque nel colpo al green e comportano la valutazione di una numerosa serie di fattori in pochi istanti. In primo luogo bisogna scegliere il ferro adatto ‒ il che implica conoscere sé stessi per sapere esattamente quale distanza si è in grado di coprire con ogni ferro ‒ e valutare in seguito tutti i fattori ambientali che influenzano in modo determinante il volo della palla: vento, umidità e temperatura dell'aria, pioggia, condizioni e pendenza del terreno nel punto in cui si trova la palla e in quello su cui deve atterrare. La scelta del ferro deve tenere conto anche della posizione dei 'pericoli' rispetto alla bandiera; il più delle volte un colpo sbagliato comporta almeno altri due colpi per rimediare al danno, con tutte le recriminazioni che seguono. In genere i campi sono costruiti in modo da lasciare, su ogni colpo, un'alternativa poco rischiosa ma anche poco redditizia in termini agonistici e una, al contrario, più rischiosa e più remunerativa. Le bandiere vengono volta per volta piazzate in funzione di questo principio.

Il gioco corto. - Il gioco corto è quella parte del gioco dove si mette a frutto, o si rovina, quanto di buono si è fatto per avvicinarsi alla buca nel minor numero di colpi possibile. Man mano che ci si avvicina al green il gioco diventa una questione di centimetri, anziché di metri o di decine di metri. Un buon giocatore non impiega mai più di 3 colpi per portare la palla in buca quando arriva a meno di 100 m dal green, e spesso ne bastano meno; per capire la difficoltà dell'impresa bisogna considerare che la buca ha un diametro di appena 10,8 cm (poco più del doppio del diametro della palla).

I gesti tecnici. - La prima fase è dedicata alla posizione delle mani sul bastone (grip), fondamentale nel controllo della direzione del tiro. Nella mano sinistra il bastone viene impugnato trasversalmente nel palmo della mano, con il pollice verso il basso. Nella mano destra il bastone viene impugnato sulle dita e il mignolo è generalmente sovrapposto all'indice della mano sinistra. In un grip corretto il pollice e l'indice devono formare un uncino. Raggiunta la corretta impugnatura del bastone, è necessario imparare a posizionare il corpo di fronte e perpendicolarmente alla palla. Da una posizione eretta, le gambe devono essere divaricate di una misura pari alla larghezza delle spalle. Per quanto riguarda la posizione dei piedi, il destro è perpendicolare alla linea di tiro, il sinistro leggermente ruotato verso sinistra (o all'esterno), con minime variazioni che dipendono dai bastoni utilizzati. Il peso viene egualmente distribuito sui due piedi. Le ginocchia vengono appena flesse, il busto è piegato in avanti quanto basta per permettere alle braccia di cadere rilassate e alla testa del bastone di posizionarsi dietro la palla. È il momento di prendere la mira verso il bersaglio, e questo richiede coordinazione: è necessario che le linee immaginarie di piedi, ginocchia, braccia, spalle e occhi siano parallele alla linea di tiro.

La seconda fase è dedicata alla meccanica dello swing. Si inizia con il backswing, movimento uniforme del triangolo formato dalle spalle, dalle braccia e dalla testa del bastone. Le spalle e i fianchi cominciano a ruotare verso destra, e le braccia salgono verso l'alto. All'apice, le spalle sono ruotate di 90° e i fianchi di 45°, i polsi sono leggermente flessi e il bastone è parallelo al terreno. Il downswing è la prosecuzione: il movimento in avanti inizia con la rotazione verso l'esterno dei fianchi portando le spalle, le braccia e il bastone verso la palla. Con il finish (o follow through) il peso del corpo viene trasferito sul piede sinistro, i fianchi e le spalle sono ruotati nella direzione del bersaglio e il corpo è in perfetto equilibrio. La tecnica è basilare e si apprende dopo una lunga pratica.

Ancora a proposito del grip sono previsti tre tipi di impugnature che si differenziano per la posizione del mignolo destro: oltre alla overlap (la più usata), la baseball e la interlock. Nella overlap (resa famosa all'inizio del Novecento dal britannico Harry Vardon e consigliata a chi ha grandi mani) il mignolo della destra si sovrappone all'indice della sinistra. Nel tipo di impugnatura baseball o a due mani, queste devono essere ben unite fra loro. È consigliata una giusta pressione: stringere le mani molto più del necessario fa perdere invece fluidità. Nella interlock (fatta conoscere da Nicklaus e consigliata a chi ha mani piccole e dita corte) il mignolo si aggancia all'indice.

I campi da golf e i golf club

A parte alcuni circuiti automobilistici, dove peraltro la pista d'asfalto viene disegnata e adattata il più possibile all'ambiente, i campi da golf rappresentano gli impianti sportivi con le maggiori dimensioni. Il che pone notevoli problemi per la loro realizzazione in un contesto soggetto a leggi, norme, vincoli che vanno osservati per la tutela del paesaggio, del patrimonio idrico e forestale, della fauna, evitando la cementificazione e proteggendo l'ecosistema.

La progettazione deve essere attenta all'impatto ambientale, alla tutela e valorizzazione del paesaggio, al rispetto delle norme urbanistiche. L'intervento del progettista deve riguardare un'area già predisposta a un'operazione del genere, con piante secolari o d'alto fusto, piccoli laghi, terreno ondulato. La rimozione di grandi quantità di terra, la selezione delle piante e l'utilizzo di corsi d'acqua contrastano con l'intervento ‒ appena percettibile ‒ del progettista. Il pericolo è produrre, oltre all'aumento dei costi, danni irreparabili per l'ambiente. Da parte loro, le amministrazioni devono vigilare attentamente per scongiurare che i lavori di manutenzione non riducano la portata di laghi, bacini e fiumi o che fertilizzanti, diserbanti, pesticidi e prodotti chimici in genere non determinino l'inquinamento delle acque sotterranee e danni alla fauna.

Oggi in Italia un centro per il golf è soprattutto un luogo di prestigio dove si praticano gare, dotato di servizi di alto livello, meta di turismo e relax. Col valore immobiliare in continua crescita, la proprietà è oggi ben salda nelle mani di grandi finanziarie, compagnie, istituti di credito. Si formano consorzi privati e misti con capitale pubblico per realizzare operazioni non più sostenibili altrimenti; si tratta di investimenti di alta rappresentanza, con garanzie di un ritorno sicuro per il patrimonio immobiliare.

Il percorso di gara destinato a grandi appuntamenti deve essere di una certa difficoltà e di forte suggestione, inserito in un contesto attraente, meglio se conosciuto, di risonanza mondiale e collocato in un'area di forte impatto. Quasi tutti i circoli italiani hanno grandi potenzialità in questo senso, come per esempio il Golf Club di Castelconturbia, quello dell'Acquasanta, quello di Villa d'Este. Castelconturbia, con i suoi 110 ettari, progettato da Robert Trent Jones senior, ha ospitato ben due volte (1991 e 1998) l'Open d'Italia. Inserito nell'area del Ticino, col massiccio del Rosa sullo sfondo, è considerato un modello quanto a struttura e servizi. L'Acquasanta di Roma, sulla Via Appia, è stato il primo circolo italiano. Sul Lago di Como con il suo caratteristico paesaggio sorge invece il Golf Club di Villa d'Este.

Gli impianti fino agli anni Ottanta si dividevano in due categorie: golf club e golf commerciali; una terza categoria, più recente, comprende i 'piccoli campi'(o pitch&putt). Se ne sta aggiungendo una quarta, l'indoor field o golf range sul modello giapponese. Il golf, in questo caso, si trasforma in attività imprenditoriale all'interno di edifici urbani a due piani, appositamente attrezzati con green di 60x25 m, aperti fino a tarda sera per 365 giorni all'anno e frequentati da chi ha poco tempo, trova difficile diventare socio di un circolo, desidera spendere poco. Al primo impianto pilota di Mozzo (Bergamo) entro il 2007 si aggiungeranno dieci strutture gemelle offerte in franchising sul territorio nazionale, con un giro d'affari calcolato sui 15 milioni di euro da una ricerca di mercato che parla di 6 milioni di potenziali golfisti italiani.

Il golf club tradizionale realizza un'operazione imprenditoriale tramite una società finanziaria che investe nell'acquisto del terreno, nella progettazione e nella realizzazione del percorso di gioco, nell'edificazione o ristrutturazione della club house e di altre infrastrutture. È un'operazione immobiliare realizzata in base a un piano finanziario articolato che richiede grandi capitali, tempo e investimenti in marketing, comunicazione e pubblicità. Il costo dovrebbe essere ripartito su 5000-6000 quote/azioni al prezzo del mercato immobiliare, che possono essere rivendute a prezzo rivalutato. Collocate le quote/azioni, solitamente la società immobiliare trasferisce la gestione del golf club all'associazione sportiva o alla finanziaria di gestione. Quest'ultima si occupa del reperimento delle risorse, delle sponsorizzazioni, del territorio, delle imprese, delle istituzioni. Due esempi, destinati ad aprire nuove strade, sono il Golf Club Asolo e il Golf Club Casentino. Nel primo la holding, capogruppo della famiglia Benetton, ha trasferito al ramo sportivo (Verdesport Treviso) la gestione del circolo. Un accordo con 150 aziende di supporto permette di coprire il budget (3,5 milioni di euro) e avere 650 soci selezionati. Nell'Aretino gli esponenti di Rifondazione Comunista del Comune di Poppi sono stati i primi a dare il via libera alla realizzazione del campo all'interno del Parco del Casentino, e la Provincia di Arezzo ha acquistato quote/azioni societarie vigilando con la Comunità montana sulla tutela del territorio: questo perché intende favorire lo sviluppo del gioco nelle scuole, ampliare l'offerta turistica di qualità puntando sugli arrivi degli stranieri e favorire così lo sviluppo dell'economia del luogo.

L'Associazione sportiva senza fini di lucro (unica forma riconosciuta dalla Federazione per l'affiliazione e il tesseramento) si costituisce per gestire l'impianto, creare una bozza di statuto che l'assemblea approva, eleggere i membri del consiglio e il presidente che sono i responsabili del bilancio. Per quanto riguarda investimenti, migliorie al percorso (rifacimento dei greens, risistemazione di alcune buche ecc.) e acquisto di macchinari o spese straordinarie (terreno, edifici ecc.) il consiglio richiede l'approvazione dei soci mediante assemblea. I ricavi derivano dalle quote sociali, dal green fee (tassa di gioco), dal campo pratica, dalle tasse di gara. Altre possibili entrate vengono da sponsorizzazioni, contributi, iniziative.

I golf commerciali comprendono i golf turistici, che negli anni Novanta erano il 10% degli impianti e oggi sono in rapida crescita. La struttura sociale è identica al golf club per la gestione sportiva, ma la proprietà fa capo a imprenditori o società che considerano il golf strategico per lo sviluppo turistico e immobiliare. Ovviamente alcuni golf turistici, come quelli di montagna, funzionano solo per pochi mesi all'anno, mentre generalmente quelli sulle coste o al Sud sono aperti per quasi tutto l'anno: le problematiche e i bilanci sono quindi totalmente differenti. La redditività degli impianti dipende dal mercato, dai flussi turistici e da altre variabili (efficienza dei trasporti, costo della vita, sicurezza), da un'efficace strategia di comunicazione e marketing anche verso l'estero, infine da frequenti operazioni immobiliari (compravendita, case vacanza, multiproprietà). I golf turistici sono oggi considerati strumento strategico per consorzi, municipalità ed enti che riconoscono nel golf la capacità di portare al recupero di forti investimenti, con ricadute d'immagine e profitti su tutto il territorio.

Per quanto riguarda le piccole imprese a basso rischio, con costi contenuti, esse potrebbero in pochi anni trasformare il golf in sport di massa. Considerata la potenzialità di questo fenomeno, la Federazione italiana golf (FIG) ha investito in campagne pubblicitarie risorse maggiori rispetto a tutte le altre federazioni. Puntando su testimonials famosi, come la campionessa di salto in lungo Fiona May, ha realizzato pubblicazioni, opuscoli informativi, manifesti, affidato i comunicati stampa direttamente a un'agenzia giornalistica fra le più importanti. Scelte quasi obbligate, che per ora non hanno però portato a una maggiore attenzione per questo sport.

Anche la più piccola golf academy privata è considerata oggi una ramificazione della FIG a pieno titolo. L'affiliazione vale la certificazione del circolo e per i soci la tessera federale che consente di disputare tornei di circolo, gare di putting green, lezioni individuali e di gruppo. I servizi comprendono anche lezioni con videocamera per correggere i movimenti, corsi per ragazzi, pratica, noleggio e vendita di attrezzatura, eventuali escursioni golfistiche, così come avviene a Cortona dove un accompagnatore consente di fare il giro dei campi toscani e umbri.

Le piccole strutture, quelle che grosso modo hanno carattere 'pubblico' (o di pubblica utilità), finiscono per essere più dinamiche, incisive, creative, rapide nel prendere decisioni importanti. Anche le strutture legate all'assemblea dei soci stanno trasformandosi in circoli, attrezzando aree interne per l'addestramento, la pratica, il gioco, creando percorsi con 3-6 o 9 buche più corte che si sviluppano su superfici da 6 a 12 ettari. I pitch&putt presentano buche molto corte (da 45 a 90 m), si sviluppano su una superficie da 1 a 2 ettari, hanno un loro calendario annuale delle gare, una loro Federazione (con sede a Busto Arsizio) e una squadra nazionale.

Fra i piccoli e i grandi golf si è scatenata la caccia al 'non classificato', ossia al giocatore emergente dietro il cui anonimato si cela quasi certamente una favorevole condizione sociale e la voglia di arrivare. L'attribuzione di handicap permette di giocare insieme ai giocatori più bravi, di partecipare alle gare sociali dei grandi club: una volta raggiunto handicap 2 si è ammessi alle pre-qualifiche dei grandi eventi. Si tratta in realtà della ricerca di nuovi soci, per la quale vengono usate strategie differenti: c'è chi organizza gare infrasettimanali, chi apre ai 'non classificati' le gare del fine settimana, chi crea un calendario a loro riservato.

Il Golf Club Le Rovedine di Noverasco-Opera, alle porte di Milano, in pochi anni ha fatto scuola per mentalità e attrezzatura "all'americana". Nel suo interno è stato realizzato un campo pratica, il Mirasole, con ben 60 postazioni illuminate, di cui 40 coperte, per consentire di giocare di notte in ogni stagione, anche quando il clima della bassa milanese è sfavorevole. Sono sempre più numerose le grandi strutture golfistiche che seguono questa nuova impostazione, la quale comporta costi di manutenzione più bassi, ottimizza il costo del personale, crea una valvola di sfogo se il campo è affollato, serve per l'addestramento e il gioco.

I non classificati in questo momento sono dovunque i benvenuti: dal Piemonte (Le Colline di Acqui Terme e del Gavi, il biellese Cavaglià Green Park, il Villa Carolina nel cuore delle colline del Monferrato) alla Lombardia (l'Ambrosiano di Bubbiano, il Green Club Lainate verso il polo autostradale per i laghi e la Svizzera, il Golf del borgo di Zoate, il Panorama e le Robinie di Solbiate Olona, il Golf Club di Crema all'interno di uno storico podere), al Veneto (il veronese Ca' degli Ulivi, lo Zerman di Mogliano Veneto in provincia di Treviso), per scendere in Emilia e in Toscana o presso Roma (l'Academy in località Due Ponti, il complesso Le Querce dove sorge il centro federale di Sutri con le sue terme), ma anche in Sardegna e in Puglia.

Le regole e l'etichetta

Approvato dal Royal and Ancient Golf Club of St. Andrews e dalla United States Golf Association, il regolamento del gioco, aggiornato 30 volte in 120 anni, è stato tradotto con il titolo Le regole del golf e lo status del dilettante dalla Federazione italiana golf.

Dalla primavera 2004 è entrato in vigore il 30° aggiornamento, che non è affatto l'annunciata 'abituale limatura'. Le nuove regole hanno influenzato ben 43 nuove decisioni e l'emendamento di altre 214, determinando perciò un accavallarsi di disposizioni alle quali si fa ricorso. Ci vorrà del tempo per comprendere bene quando le penalità si sommano, quando non si sommano o si applica la penalità maggiore.

Il golf si è affermato in fondo anche per il suo corredo di consuetudini apparentemente anacronistiche. La sua etichetta rappresenta una serie di regole non necessariamente scritte: comportamento sul campo e in gara, cura del percorso di sicurezza, codice di cortesia la cui violazione non comporta penalità o sanzioni ma ha comunque un peso. A ogni giocatore vengono richiesti educazione individuale, civica e sportiva, rispetto dell'avversario, del campo e dello spirito del gioco. Le indicazioni nel corso dei secoli sono in gran parte immutate. Si mette al bando chi impreca, lancia i bastoni, li spezza dalla rabbia, sbatte la sacca per terra, tiene comportamenti violenti. Negli Stati Uniti, dove la United States Golf Association dimostra di voler difendere strenuamente lo spirit of the game e si contano il maggior numero di praticanti, strutture e iniziative, il golf è considerato l'unico sport in cui la sublimazione del piacere per la vittoria è totale solo se si rispettano le regole. Il gioco si tramanda di padre in figlio, come la tecnica e il rispetto della persona, di qualsiasi stato sociale, del suo gioco e dello sforzo che fa per godere pienamente il piacere per il risultato.

Il manuale di gioco della United States Golf Association offre consigli e raccomandazioni per 35 milioni di appassionati. Questi i 25 punti da osservare: 1) Mai muoversi quando un giocatore effettua il colpo; 2) Mai parlare o disturbare quando un giocatore effettua il colpo; 3) Mai mettersi alle spalle del giocatore o dietro la sua buca quando sta per tirare; 4) Mai mettere la palla sul tee fino a quando la palla dell'avversario è in gioco; 5) Mai tirare fino a quando tutti i giocatori non sono fuori portata della palla; 6) Osservare il proprio turno di gioco e colpire la palla senza perdere tempo; 7) Se si perde una palla, segnalarlo ai giocatori e cercarla; 8) Spianare col rastrello o con la scarpa le impronte lasciate sulla sabbia del bunker; 9) Se si smuove una zolla, rimetterla al suo posto e ripianare il terreno; 10) Le impronte lasciate dalla palla sul putting green devono essere aggiustate con un tee e poi schiacciate col piede; 11) Mai appoggiare la sacca da golf sul putting green; 12) Reggere la bandiera per il proprio avversario, alla distanza di un braccio; 13) Sul putting green mai mettersi sulla traiettoria di tiro di un altro giocatore; 14) Accertarsi che la bandiera sia saldamente rimessa nella buca; 15) Non guidare il golf cart vicino al putting green o vicino agli ostacoli; 16) Terminata la buca, non indugiare sul putting green; 17) Permettere ai giocatori più rapidi di passare se la buca davanti è vuota, o lasciare in ogni caso il passo a coloro che seguono; 18) Togliere immediatamente la palla entrata nella buca che deve essere liberata per gli altri giocatori; 19) Non dare nessun consiglio, se non richiesto, ai giocatori sul campo; 20) Quando l'avversario è una donna, tirare per primo dal tee; 21) Non permettere la guida del golf cart a chi ha meno di 16 anni; 22) Non allontanarsi dal putting green fino a quando tutti i giocatori non hanno terminato il gioco; 23) Se si gioca da soli, dare la precedenza a chi sta giocando altre partite in gruppo; 24) I colpi di pratica sul percorso sono proibiti; 25) Verificare il numero della propria palla prima di iniziare il gioco, perché potrebbe avere lo stesso numero di quella di un altro giocatore.

Attività e gare

L'handicap. - Per poter disputare una qualsiasi gara di circolo è necessario avere un handicap riconosciuto dalla federazione. Si tratta di una sorta di coefficiente che va a modificare la graduatoria stilata sul numero dei colpi effettuati per girare il campo: per esempio, ai fini della classifica un giocatore che ha 12 di handicap e gira il campo in 84 colpi ottiene lo stesso piazzamento di un giocatore che ha 18 di handicap e gira il campo in 90 colpi, in quanto entrambi, detratto l'handicap, hanno ottenuto un punteggio netto di 72. L'handicap è anche una sorta di certificato universalmente riconosciuto dell'abilità di un giocatore. Qualsiasi principiante, dopo un periodo di apprendistato iniziale che varia mediamente dai sei mesi a un anno, può ottenere l'assegnazione dell'handicap sostenendo un esame teorico sulle regole del golf presso la segreteria di un circolo affiliato alla federazione e presentando uno score (una carta segnapunti firmata) che dimostri, grazie a determinate casistiche e tipologie di calcolo, il grado di abilità acquisita dal giocatore stesso. Esistono meccanismi via via più selettivi per adattare l'handicap all'abilità effettiva del giocatore, e così come l'handicap viene abbassato in caso di punteggi positivi, viene anche alzato in caso di punteggi negativi, in modo da essere sempre adeguato all'attuale abilità del giocatore (tutto questo, peraltro, ha un valore pratico relativo, sia perché il giocatore ha vari mezzi più o meno onesti per ottenere un handicap più alto del dovuto, sia perché abbassamento e innalzamento hanno tempi diversi).

Le gare. - Ciascun circolo ha in media un calendario gare che va da marzo a ottobre con due gare ogni fine settimana. Normalmente i partecipanti sono divisi in due o tre categorie in base all'handicap (di solito nelle gare per tre categorie l'handicap della prima categoria di giocatori va da 0 a 12, quello della seconda da 13 a 21, quello della terza da 21 a 34), con classifiche e premi (consistenti in genere in piatti o coppe d'argento e omaggi degli sponsor) distinti per ogni categoria. Molte gare fanno parte di circuiti organizzati da grandi aziende o banche, che prevedono finali nazionali ed eventualmente mondiali per i primi classificati di ogni categoria. Si gioca in gruppi, sorteggiati dalla commissione sportiva, di tre o quattro giocatori, ciascuno dei quali marca i punti di uno dei compagni di gioco ed è responsabile della corretta applicazione delle regole da parte di quel compagno. Le partenze per la copertura del percorso avvengono ogni 10 minuti circa; esistono comunque gare individuali e gare a squadre di due giocatori e anche diverse formule di gara.

Per quanto riguarda le gare individuali, le più diffuse sono la medal e la stableford. La più amata dai puristi è la medal: si sommano i colpi effettuati per realizzare 18 buche e vince chi ha il numero più basso. Oltre a essere la più classica, la medal è anche la gara più difficile, perché rende possibile giocare perfettamente per 17 buche e rovinare tutto in una singola buca disastrosa in cui si giocano un'infinità di colpi: questa formula incontra scarso favore presso molti golfisti per la sua difficoltà e la sua attitudine a rallentare il gioco (non essendoci limiti al numero di colpi che è possibile effettuare per ogni buca), e sta diventando sempre più rara. La gara stableford è invece una gara a punti: ciascun giocatore ha un numero di colpi limitato per buca (calcolato in base al suo handicap e alla difficoltà della buca) per conseguire un determinato punteggio. Essendo i danni limitati in partenza, la stableford ha diffuso un gioco del golf per alcuni snaturato, dove si gioca sempre il tutto per tutto.

Per quanto riguarda le gare a coppie, le formule sono ancora più numerose. La più semplice è la '4 palle la migliore': due giocatori giocano in coppia, ciascuno gioca la sua palla e per ogni buca si segna soltanto il risultato migliore tra i due conseguiti da ciascuna coppia. Nella greensome i due compagni tirano entrambi il colpo di partenza in ogni buca e scelgono il colpo che ritengono migliore, dopo di che proseguono la buca tirando ciascuno un colpo in alternanza. Nella foursome un giocatore gioca il colpo di partenza in tutte le buche pari mentre il compagno gioca il colpo di partenza in tutte le buche dispari, dopo di che si procede alternativamente. Nella lousiana si sceglie volta per volta la palla migliore giocata da entrambi i compagni e da quella posizione tutti e due giocano il colpo successivo.

A livello internazionale l'attività del golf si articola in gare per dilettanti e gare per professionisti (Open). Fra le prime, il campionato europeo dilettanti maschile e femminile e fra le seconde i due appuntamenti più antichi e prestigiosi al mondo: British Amateur Championship e US Amateur Championship.

Altri appuntamenti del calendario internazionale sono le qualificazioni per l'European Tour professionistico, l'Alps Tour (circuito dei paesi dell'arco alpino europeo), incontri fra selezioni nazionali o per continente e le gare ufficiali organizzate in Italia in 13 circoli: Olgiata, Padova, I Roveri, Varese, Venezia, Roma, Montecchio, Milano, Le Querce, Cervia, Monticello, Torino, Gardagolf.

I professionisti mondiali si affrontano negli Open nazionali del calendario dell'European Tour organizzato dalla Professional Golf Association europea che controlla i Challenge, la serie B del golf. Il tour europeo comincia già a dicembre dell'anno precedente, termina a novembre e comprende oltre 40 appuntamenti; si sposta dall'Africa agli Emirati Arabi, dall'Asia all'Australia, dagli Stati Uniti alla Russia, arrivando in Europa a fine marzo. Il tour americano della US PGA, con 54 prove, è il maggior richiamo della stagione e non prevede soste: comincia ai primi di gennaio nelle Hawaii e termina a dicembre. Gli appuntamenti più importanti, come già detto, sono i quattro majors: Masters di Augusta, British Open, US Open e US PGA Championships. La Walker Cup si gioca parallelamente ogni due anni, ed è la sfida fra i dilettanti britannici e quelli americani.

Il circuito professionistico femminile ha il suo principale appuntamento con le 33 prove della US Ladies Professional Golf Association (LPGA) e si sposta anche in Europa (Irlanda, Gran Bretagna, Francia) e Asia (Corea del Sud); inizia i primi di marzo in Arizona e termina a fine novembre a Las Vegas. Il tour europeo, il Ladies European Tournament, prevede la metà dei tornei (17 totali) di quello americano, e comprende il Ladies Italian Open. Nel Senior Tour maschile della PGA, per giocatori che hanno superato i 55 anni, giocano 'vecchie glorie' in buona forma o professionisti decisi a riscattare carriere anonime.

Un professionista non può partecipare a gare per dilettanti (eccetto l'Omnium nazionale), mentre le porte dell'Open possono spalancarsi al dilettante (amateur) invitato per meriti di gioco. Non gli è concesso ritirare premi in denaro, ma solo un simbolico rimborso. Sono rare e si perdono nella memoria le imprese di dilettanti sconosciuti, come John Goodman vincitore dello US Open 1933 e la francese Catherine Lacoste trionfatrice dello US Open 1967. La classifica mondiale o World Ranking si basa sui punti, la Money List (americana) e l'Order of Merit (europeo) si basano sulle vincite.

Il calendario internazionale, fitto di gare, comprende anche i tour continentali di Africa, Australia e Asia. Soprattutto quest'ultimo è destinato a diventare un grande affare con l'apertura della Cina al golf, la crescita economica della Corea del Sud e l'entusiasmo per il golf in Giappone (e a Taiwan). In Europa si tentano circuiti minori, con altri mezzi e risultati. Oltre all'Alps Tour per i paesi alpini, esiste un circuito creato da una società italiana nell'area del Centro Europa, con 300 gare che si giocano nei circoli italiani, francesi, tedeschi e austriaci.

Se il beach volley è diventato disciplina olimpica, non è da trascurare il beach golf, novità che va diffondendosi sulle spiagge della Riviera Adriatica, la quale assegna anche il titolo italiano. Il campo si snoda su una striscia sabbiosa di 2 km e le partite sono giocate da due squadre (un principiante e un giocatore per parte) sotto lo sguardo di un maestro. Gli ostacoli sono le sdraio, gli ombrelloni, le cabine; la pallina è più grande e leggera per evitare danni e contusioni.

La federazione

La Federazione italiana golf (FIG), che comprende le associazioni affiliate (o circoli) e aggregate (senza diritto al voto e alla concessione dell'handicap), è riconosciuta dal CONI che stabilisce per i costi di gestione i contributi per parametri alle federazioni. Nel periodo post-olimpico, valutati i programmi dei candidati alla presidenza, gli affiliati eleggono il Consiglio federale composto di 12 membri e i revisori dei conti che durano in carica quattro anni e possono essere rieletti. Il decentramento avviene trasferendo una serie di attribuzioni ai comitati regionali e provinciali (eletti dalle assemblee locali) e, nelle regioni con un basso numero di circoli, ai delegati regionali e provinciali. I dipendenti sono inquadrati nel CONI, che ha il compito della sorveglianza amministrativa tramite il segretario federale. Il presidente può avvalersi di collaboratori esterni qualificati o appaltare alcuni servizi. Il modello organizzativo è simile in tutte le federazioni nazionali che si impegnano a riconoscere l'autorità del Royal and Ancient Golf Club of St. Andrews sulle regole e il dilettantismo. La struttura della Federazione tende a essere simile a un'azienda. Ogni ramo d'attività fa capo a commissioni specifiche, che si occupano di decentramento, rapporti con gli organi periferici, turismo, promozione e contributi ai circoli, comunicazione, stampa e rapporti esterni, impianti, nuovi progetti, ambiente e sezione tappeti erbosi, finanza e bilancio, consulenza fiscale, affari legali, carte federali e tesseramento, scelte delle ditte, aggiudicazioni delle gare d'appalto, rapporti internazionali, commissione medica (e anti-doping), settore tecnico dilettanti, collaboratori periferici (allenatori), gare, regole e rating, settore tecnico professionisti. La giustizia sportiva è amministrata da giudici di prima istanza e dalla Commissione di disciplina nazionale, organo di appello.

Il settore tecnico coordina la Scuola nazionale di golf, distaccata dagli uffici federali, che si occupa da un lato della formazione professionale di personale specializzato nell'insegnamento (per concorso e titoli), nella manutenzione dei campi e nella gestione dei circoli (segretari e direttori), e dall'altro della selezione e preparazione delle squadre nazionali. Agli stages azzurri partecipano dilettanti e professionisti per accrescere la competizione e creare un ricambio: circa 70 elementi vengono in questo modo preparati per il grande salto nel 'tour'. Il programma di lavoro è intenso e prevede un mini-circuito di gare su 3 campi dislocati in località diverse nonché addestramento su nuove tecniche di allenamento, psicologia, alimentazione.

A livello europeo, il coordinamento del golf è invece gestito dal comitato esecutivo dell'Associazione europea di golf (EGA), il cui presidente rimane in carica due anni e si avvale della collaborazione dell'ex presidente. Gli uffici hanno sede a Losanna e sono diretti da un segretario generale.

La Federazione internazionale riconosciuta dal Comitato olimpico internazionale (CIO) è il World Amateur Council, che organizza i campionati del mondo dilettanti e femminili. L'assemblea ha luogo ogni due anni, in occasione del campionato del mondo, e l'esecutivo, composto dai rappresentanti delle zone continentali, è diretto dai presidenti della United States Golf Association e dal presidente del Royal and Ancient Golf Club of St. Andrews. Nel 2004 questo organismo si è riunito a Roma per discutere le modalità dell'ingresso alle Olimpiadi, passo obbligato per dare al golf il giusto rilievo.

Nei principali paesi il professionismo è gestito da associazioni autonome o (come nel caso dell'Italia) riconosciute dalla propria Professional Golf Association (PGA), che organizzano un proprio campionato. La PGA britannica attraverso il suo braccio operativo organizza e regola il PGA European Tour, i Challenge, i Seniors e il Ladies European Tour. Lo stesso avviene negli Stati Uniti per il US PGA Tour e il US Ladies Professional Golf Association (LPGA) Tour.

Attrezzatura ed equipaggiamento

I bastoni

Le regole del golf consentono di utilizzare durante una partita un massimo di 14 bastoni. I bastoni sono fondamentalmente costituiti da tre componenti: l'impugnatura, detta grip, la testa e la canna che collega il grip alla testa, detta shaft.

Il grip può essere di gomma o di pelle, è sostanzialmente simile, anche se più sottile e a sezione circolare, a quello di una racchetta da tennis, e ha come scopo quello di garantire una presa salda.

Distinguendo in base alla testa, si hanno fondamentalmente tre tipi di bastone: i legni, i ferri e il putter (anche se ultimamente le industrie produttrici di bastoni hanno iniziato a proporre ibridi).

I legni portano questo nome perché fino ai primi anni Ottanta erano fatti in legno, mentre al giorno d'oggi sono prodotti in leghe metalliche (in particolare titanio, acciaio e tungsteno). Si usano per i colpi più lunghi e hanno sezione ovale: il lato piatto è detto 'faccia', è solcato da scanalature parallele e ha un'inclinazione rispetto al terreno (loft) che varia in funzione della potenza. Più basso è il numero che contraddistingue il legno, più esso è potente: il legno 1 è comunemente detto drive, ha un loft che va mediamente dai 6° ai 12° e lo shaft particolarmente largo. Il drive si usa quasi esclusivamente quando è necessario ottenere la massima distanza a discapito della precisione: il giocatore medio tira a 230 m di distanza, mentre i professionisti più potenti superano i 300 m. Sono inoltre diffusi i legni 3, 4, 5 e 7 con loft e lunghezza dello shaft decrescenti.

I ferri si usano per i colpi di media e corta distanza, hanno per lo più shaft in acciaio ma sono relativamente diffusi anche i ferri con shaft in grafite. I ferri hanno normalmente una numerazione che va dal 3 al 9, per cui vale lo stesso discorso fatto per i legni riguardo al loft e alla lunghezza dello shaft. A questi si aggiungono i cosiddetti wedges, tra i quali i più diffusi sono il pitching wedge o più semplicemente pitch, il sand wedge e il lob wedge; si tratta di ferri dal loft particolarmente alto (fino a 60°) e dallo shaft particolarmente corto, che si usano per i colpi più corti. Il sand wedge, inoltre, ha una caratteristica curvatura della suola, detta bounce, che lo rende particolarmente idoneo ai colpi dalla superficie in sabbia. Esistono anche i ferri 1 e 2, che sono però piuttosto rari perché molto difficili da usare e adatti solo ai giocatori più abili. Il giocatore medio tira un ferro 3 a 180 m e un sand wedge a 60 m, con distanze proporzionalmente decrescenti per i ferri intermedi.

Il putter è il bastone che si usa in green per mandare la palla in buca. Ha un loft che va da 1° a 4° ed è l'unico bastone che deve far rotolare la palla invece che sollevarla da terra. Le case produttrici si sforzano di produrre ogni anno bastoni innovativi, ma per quanto riguarda il putter l'unica cosa che conta è che dia una buona sensazione in mano e al contatto con la palla.

Lo shaft era originariamente in legno, mentre al giorno d'oggi quasi sempre gli shafts sono in grafite e in acciaio. Quelli in grafite vengono generalmente utilizzati nei legni, perché essendo più leggeri garantiscono maggiore velocità e quindi maggiore potenza; quelli in acciaio sono normalmente usati nei ferri, perché garantiscono un po' più di precisione rispetto agli shafts in grafite e avendo una massa maggiore restituiscono una maggiore sensibilità, oltre a essere più economici. Esistono shafts di diversa flessibilità (normalmente si distinguono in flex, regular, stiff, extra-stiff), a scelta del giocatore. Quelli più flessibili si addicono ai principianti proprio perché, grazie al cosiddetto effetto frusta, garantiscono elasticità e potenza, mentre i giocatori più bravi e veloci non possono utilizzarli in quanto ad alte velocità lo shaft si curva, con effetti negativi sulla precisione del tiro.

Le palline

Le attuali palline rappresentano la combinazione dell'attrezzo originale con i progressi tecnici; esse hanno un peso massimo di 45,93 g e una dimensione minima di 4,267 cm di diametro; sono quasi sempre di colore bianco e la loro superficie è costellata di tante fossette circolari, dette dimples, che garantiscono la tenuta della traiettoria in volo. Le palline si differenziano tra loro tanto per il materiale del rivestimento quanto per il materiale, la composizione e la compressione dell'interno (palle in due, tre pezzi, palle multistrato, nuclei liquidi, nuclei in titanio ecc.). Tutto ciò conferisce alla pallina leggerezza, precisione, profondità, robustezza e permette velocità anche vicine ai 250 km/h.

I giocatori migliori preferiscono le palle più morbide e con maggiore rotazione, che sono più manovrabili nei colpi in prossimità del green; i principianti preferiscono palle più dure che limitano maggiormente l'errore nei colpi lunghi e consentono di raggiungere maggiori distanze.

Gli accessori

L'attrezzatura è completata da una serie di accessori indispensabili. La sacca, oltre ai bastoni, serve a portare tutto ciò che può essere necessario durante le cinque ore di una partita, compresi asciugamani, tute da pioggia, libretto delle regole ecc. La sacca può essere portata in spalla o su un carrello e può essere in pelle o in materiale sintetico. Le sacche da spalla sono di dimensioni ridotte e materiali leggeri e il più delle volte sono dotate di un treppiede. Il carrello che serve per portare la sacca, se non si desidera portarla in spalla, deve essere leggero e stabile.

Le scarpe fino a pochi anni fa avevano la suola chiodata, ma negli ultimi anni hanno cominciato a imporsi chiodi in plastica (soft spikes) che dovrebbero essere meno dannosi per la superficie del green (e per il pavimento degli spogliatoi), al punto che oggi in molti circoli i chiodi in acciaio sono vietati. Lo scopo dei chiodi è quello di garantire la stabilità sia nel cammino sui pendii bagnati sia nell'esecuzione del colpo. Una buona scarpa da golf, poi, oltre che comoda deve anche essere impermeabile.

Il guanto può essere in pelle o in materiale sintetico. Ha lo scopo di garantire la presa migliore anche in caso di pioggia e di prevenire le vesciche alla mano. Si usa solo per la mano sinistra (per i giocatori destrorsi), che è l'unica ad aderire interamente al grip.

Per finire, tre accessori assolutamente indispensabili sono i tees (supporti in legno che possono essere utilizzati per mantenere la palla sollevata da terra nel colpo di partenza di ogni buca, come già detto), i 'marchini' e un 'alza pitch marks'. I marchini servono per contrassegnare la posizione della palla sul green quando la si voglia togliere dalla traiettoria di gioco di un compagno. Per 'alza pitch marks' si intende una specie di forchettina che serve a riparare i danni lasciati dalla pallina all'impatto con il green, pratica fondamentale per la tutela del campo di gioco.

Il boom italiano

Come dimostrano le cifre attuali, il gioco del golf in Italia è cresciuto, sta uscendo dai confini di un fenomeno di nicchia e vanta ottime prospettive (6 milioni di giocatori potenziali). All'inizio del 2004 i dati ufficiali segnavano un 7,3% di incremento dei tesserati ‒ percentuale record rispetto a tutte le federazioni del CONI ‒ e il balzo sarebbe potuto essere maggiore se il golf fosse stato ammesso alle Olimpiadi.

I tesserati italiani sono arrivati a circa 72.000. Erano 1220 nel 1954, 7000 nel 1970, 33.576 nel 1990; nel 2000 il numero era salito a 58.946. Si tratta di balzi significativi. Gli juniores (under 21) sono 6006, e le donne sono circa un terzo dei tesserati adulti. Tra i professionisti abbiamo 416 maschi e solo 33 donne.

I circoli erano 17 nel 1954, 37 nel 1970, 72 nel 1986 (quando sono comparsi i primi campi pratica), 120 nel 1990, 271 nel 2000; nel 2004 sono 300 (con 81 circoli aggregati). Si notano due grandi stacchi, il primo negli anni Ottanta e il secondo, ancor più marcato, negli anni Novanta; bisogna però considerare che in America ogni anno si aprono 300 nuovi campi, tanti quanti quelli esistenti in Italia.

Significative le cifre della Lombardia, con 61 percorsi e un'ulteriore crescita del 5,7% su standard già alti, soprattutto per quanto riguarda i 'campi aggregati'. Escludendo i campi pratica, i giocatori lombardi alla fine del 2003 erano circa 20.000, con 5524 donne. Anche in questo caso siamo oltre la media nazionale, dato confermato dal numero delle giocatrici juniores lombarde (557 contro 1156 ragazzi). Come numero di campi viene poi il Piemonte, seguito da Emilia-Romagna e Toscana, che hanno superato il Lazio.

Ancora oggi gioca a golf appena un italiano su 1000, con una media di 228 giocatori per campo. Nel mondo giocano 70 milioni di persone, poco più di tutta la popolazione italiana, e funzionano 33.700 campi registrati. In Europa i giocatori sono 6.500.000 con 6200 campi da golf; in Giappone sono 15 milioni.

In prospettiva, le cifre potrebbero consentire all'Italia di uscire dall'anonimato. Ciò dipende non solo dalle iniziative, dagli investimenti, dalle sinergie fra pubblico e privato. L'idea è quella di creare una forza operativa permanente coordinata dallo Stato, come è stato fatto in Spagna. Per ora si è iniziato con un protocollo d'intesa tra la Federazione e Sviluppo Italia, che ha stanziato 810 milioni di euro per incrementare il turismo tramite il golf. La Federazione avrà il ruolo di responsabile della formazione dei quadri professionali e di coordinamento della promozione. Va infine ricordato che alla Fiera mondiale del turismo golfistico che si è tenuta nel 2003 a Santo Domingo l'Italia è stata riconosciuta e premiata quale 'destinazione golfistica emergente'.

Le gare italiane

Da 61 edizioni l'Open d'Italia è la manifestazione più interessante del calendario nazionale. Si svolge abitualmente ai primi di maggio, secondo la formula medal sulle 72 buche, e vi sono ammessi i dilettanti selezionati dal settore tecnico della Federazione fra i migliori giovani. Al termine di quattro giri, con 18 buche giornaliere (in 2 sessioni, al mattino e al pomeriggio), si procede al 'taglio' fissato dopo 36 buche, che consente ai primi 70 (e ai pari merito) di giocare per la vittoria. Appuntamento tradizionale del calendario europeo, la sua storia inizia nel 1925 e ha raggiunto il prestigio degli Open di Francia (1906), Belgio (1910), Germania (1911), Spagna (1912), Olanda (1919) e Svizzera (1923). Oltre a essere un evento mondiale, l'Open d'Italia viene considerato un investimento con ricadute d'immagine notevoli per chi opera nel golf, da quando l'australiano Greg Norman, soprannominato The White Shark, inaugurò la fase più felice dell'Open. Grazie alla diplomazia e al lungo rodaggio si è creato un ciclo virtuoso, a dispetto di molti insuccessi in questa prova da parte di nomi illustri quali gli spagnoli Severiano Ballesteros e José María Olazábal e il gallese Ian Woosnam. Ragione fondamentale della crescita è il monte premi che ha raggiunto la cifra di 1,2 milioni di euro, accresciuta annualmente di 100.000 euro.

Anno dopo anno l'Open è diventato una vera e propria sfida a mostrare il meglio delle strutture. Il debutto si ebbe all'Alpino, il campo che domina Stresa dall'alto, e i due principali protagonisti furono Francesco Pasquali, il vincitore, e Luigi Prette. Il campo, non ancora completato, fu flagellato per giorni dalla pioggia e molti non finirono il percorso, mentre altri non consegnarono lo score. Pasquali aveva iniziato come caddie, poi prese a giocare e divenne insegnante grazie a un inglese che gli insegnò a costruirsi le mazze.

Gli italiani dovettero aspettare la fine della guerra per tornare al successo. A Pasquali succedette un ragazzino francese, August Boyer, il più giovane vincitore dell'Open con i suoi 18 anni. Boyer era un talento ma mancava di potenza. Preciso sul green, determinato, ottenne quattro successi nell'arco di 6 anni. Al trofeo del 1926 seguì una tripletta nel 1929, 1930 e 1931 quando l'Open lasciò per la prima volta Stresa per Villa d'Este, il campo dove si sono disputate ben 12 edizioni. Il suo record resiste ancora oggi, condiviso col belga Flory Van Donck, un tipo flemmatico ma capace di scatti d'ira imprevisti, vincitore 4 volte in un arco di tempo ben più ampio (1938, 1947, 1953, 1955). Giocatore sempre alla ricerca della perfezione, curiosamente impugnava il putter vicino alla testa del bastone. Vinse l'ultimo Open prima del conflitto mondiale e alla fine delle ostilità tornò per difendere vittoriosamente il titolo.

In seguito hanno trionfato quasi sempre gli inglesi. Avevano vinto il primo titolo nel 1927 con Percy Allis, che si ripeté nel 1935 sui greens di Sanremo superando ogni record di punteggio. Il suo 262 è stato battuto, negli Open europei, solo nel 1971 da Lu Liang Huang di Taiwan con 261, un colpo in meno. Un altro britannico, Aubrey Boomer, ha conferito prestigio alla gara vincendo nel 1932 a Villa d'Este, dove si presentò dopo aver contribuito alla vittoria inglese nella Ryder Cup (1929) e aver ottenuto un secondo posto nell'Open britannico (1927) a St. Andrews dietro l'imbattibile americano Bobby Jones.

Il dopoguerra fu invece un periodo d'oro per i professionisti italiani, che conseguirono tre vittorie, una con Aldo Casera e due con Ugo Grappasonni. I giornali scoprirono il golf grazie alle imprese degli ex caddies azzurri, Casera, Grappasonni e Alfonso Angelini, ribattezzati 'i tre moschettieri'. Si trattava di giocatori in accanita competizione fra loro, grandissimi talenti che avrebbero avuto una carriera professionistica luminosa, gloria e dollari se fossero nati in America o nel Regno Unito.

Proprio quando cominciavano le prime soddisfazioni per l'Italia, arrivò l'inopinata sospensione decennale, dal 1961 al 1971, dell'unica competizione che permetteva di vedere all'opera i grandi campioni del golf. Casera si era affermato nel 1948 a Sanremo su Pietro Manca e Grappasonni aveva vinto la prima volta nel 1950 a Roma, con due record nella stessa giornata (69 nel mattino, 66 nel pomeriggio), per respingere gli attacchi di Angelini eterno secondo (nel 1958 e 1959). Grappasonni si ripeté a Villa d'Este prevalendo sullo statunitense John Jacobs.

L'Open riprese nel 1971 a Garlenda, in provincia di Savona, con la vittoria dell'iberico Ramón Sota, zio di Severiano Ballesteros. Riacquistò subito slancio con l'affermazione negli anni successivi di tre grandi campioni: gli inglesi Tony Jacklin a Roma e Peter Oosterhuis a Venezia, e il quarantaquattrenne Billy Casper che nel 1975 si congedò dal golf restando l'unico americano vincitore della gara.

Baldovino Dassù portò a 5 i successi italiani col trasferimento dell'Open per la prima volta in Sardegna, a Is Molas. Il 1976 fu per lui e per il golf italiano un anno indimenticabile. Vinse il Dunlop Masters in un vero e proprio stato di grazia che poi non è più riuscito a ritrovare. Il golf italiano conquistava le prime pagine dei giornali e, grazie al fiorentino, sembrava aver trovato finalmente il suo campione. Proiettato verso un grande futuro, Dassù improvvisamente smarrì la sua identità tecnica e la sicurezza. Nei mesi e negli anni successivi andò invano alla ricerca del maestro che gli permettesse di rigiocare con facilità e sicurezza. Quattro anni più tardi Massimo Mannelli, un giovane romano che in precedenza aveva lavorato nel circolo organizzatore della manifestazione come caddie, vinse a sua volta gli Open d'Italia, salvo rientrare presto nei ranghi. Per i colori italiani, quella vittoria non faceva presagire un quarto di secolo senza altre vittorie. Tuttavia il bergamasco Costantino Rocca e il piemontese Emanuele Canonica, protagonisti di tanti assalti, riuscirono a salire sul podio senza però andare oltre un duplice terzo posto, nel 1991 e nel 1997 per il primo, nel 1995 e nel 2002 per il secondo.

Nella sua ultima fase la gara è diventata trampolino di lancio dei campioni. Nell'albo d'oro del trofeo, considerato uno dei più ambiti d'Europa, sono scritti i nomi di Casper, Henry Cotton, Jacklin, Bernhard Langer, Sandy Lyle, Norman, Peter Thompson. Ultimi in ordine di tempo, l'inglese Ian Poulter e lo svedese Mathias Gronberg, che si erano affermati dopo la vittoria nell'Open in alcuni grandi appuntamenti continentali. Fattosi conoscere nel 2000 a Is Molas, Poulter è stato incoronato trionfalmente per la seconda volta 're d'Italia' due anni dopo all'Olgiata, abbassando il record sul giro (61 colpi, 11 sotto il par); è fra i 6 giocatori che sono stati autori di una doppietta, insieme con Percy Allis, Grappasonni, Lyle, Sam Torrance e Langer.

Pari opportunità rispetto all'Italian Open offre il Ladies Italian Open. La prima edizione si giocò nel 1987 al circolo di Croara, in provincia di Piacenza, e il rodaggio fu difficoltoso. Con un progetto quinquennale, il circolo fiorentino di Poggio de' Medici è riuscito finalmente a valorizzare questo torneo come merita. Se non altro perché consente opportunità di crescita alle giocatrici azzurre: per esempio Silvia Cavalleri, che per ben due volte (seconda nel 2000 e nel 2002) è andata vicinissima al successo. Per la Cavalleri e le altre giocatrici è stato consolatorio sapere che neppure la regina del golf, la svedese Annika Sorenstam, è riuscita ad apporre il suo nome nell'albo d'oro, nonostante nel 1993 a Lignano fosse tra le favorite. Sono previste iniziative rivolte alle giocatrici con la crescita del monte premi, che dagli attuali 190.000 euro arriverà a 425.000 euro nel 2008. Nel frattempo il golf italiano potrebbe avere per la prima volta una protagonista femminile di livello internazionale. Le possibili candidate a tale ruolo non mancano. Interessante la personalità della ventiquattrenne Giulia Sergas, protagonista di un grande exploit nei British Open 2004. Decisa a mettersi alla prova nel difficile tour americano, nel quale si era lanciata per prima nel 1993 Stefania Croce, la triestina ha mostrato la sua stoffa ottenendo uno splendido quinto posto assoluto in un major, lasciandosi alle spalle Sorenstam e tante altre ottime giocatrici. Al momento il gruppo delle italiane (le dieci che hanno sorprendentemente difeso la 'carta' per il 2005 e le tre che hanno superato le qualificazioni: Marina Marsili, Costanza Trussoni e Caterina Quintarelli) è guidato dalla romana Diana Luna, arrivata all'undicesimo posto nel tour europeo. Il golf femminile, considerato fino a poco tempo fa, tranne in America, prova d'appendice, oggi ha quasi raggiunto i livelli maschili.

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