Glicogeno

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Polisaccaride di riserva degli organismi animali con struttura ramificata. È formato da unità ripetitive di glucosio legate tra loro con legame α-1,4-glicosidico e, nei punti di ramificazione, con legame α-1,6-glicosidico; ha formula (C6H10O5)x. Polvere bianca, inodora, insipida, insolubile in alcol e in etere, solubile in acqua con formazione di soluzioni opalescenti che non riducono il liquido di Fehling e si colorano con lo iodio in rosso. Il g. ha comportamento chimico molto simile a quello dell’amido, dal quale differisce però per la struttura (polimero con più frequenti ramificazioni, simile all’amilopectina, e a elevato peso molecolare). La localizzazione cellulare del g. è citoplasmatica ed è rilevabile al microscopio elettronico sotto forma di particelle dense dette granuli di glicogeno. Tutte le cellule sembra che lo contengano, ma è soprattutto accumulato nel fegato (che ne è l’organo percentualmente più ricco) e nei muscoli (che per l’entità della loro massa rappresentano il maggior deposito) per essere poi consumato a seconda delle necessità dell’organismo: il g. del fegato è utilizzato per mantenere normale il livello della glicemia; quello dei muscoli per l’espletamento del lavoro muscolare. Il metabolismo del g. è regolato dagli ormoni insulina, glucagone e adrenalina.

La glicogenosintesi è il processo che porta alla formazione di g. a partire dal glucosio e che viene effettuato principalmente nel fegato e nel muscolo scheletrico. Il glucosio, per poter essere utilizzato nella glicogenosintesi, deve essere prima fosforilato a glucosio-1-fosfato e quindi attivato enzimaticamente a UDP-glucosio dalla glucosio-1-fosfato uridiltransferasi secondo la reazione: glucosio-1-fosfato + UTP⇄UDP-glucosio + PPi. Il PPi (pirofosfato) è successivamente trasformato in 2 molecole di fosfato inorganico da una pirofosfatasi. L’UDP-glucosio viene quindi legato al gruppo ossidrilico del C-4 terminale del g. con un legame α-1,4-glicosidico. Questa reazione è catalizzata dalla glicogenosintetasi che agisce solo se il g. preesistente contiene già 4 residui di glucosio. Questo enzima esiste in due forme distinte interconvertibili: la glicogenosintetasi a dotata di attività catalitica e la glicogenosintetasi b quasi completamente inattiva. L’interconversione è regolata da due enzimi: una chinasi che fosforila due residui amminoacidici di serina e una fosfatasi che catalizza la reazione opposta. La formazione delle ramificazioni, caratteristiche della struttura molecolare del g., avviene soltanto quando la catena lineare del g. in formazione ha raggiunto una lunghezza di almeno 11 residui di glucosio. Un enzima ramificante, la glicosil-(4→6)-transferasi, catalizza in queste condizioni il trasferimento di un frammento oligosaccaridico terminale formato da 7 residui di glucosio e il successivo attacco di questo all’ossidrile in C-6 di un residuo di glucosio della stessa o di un’altra catena (in un punto più interno) attraverso la formazione di un legame α-1,6-glicosidico nel punto di ramificazione. Lo scopo della formazione delle ramificazioni, che si devono trovare ad almeno quattro residui di glucosio l’una dall’altra, è sia di aumentare la solubilità del g. nel succo cellulare sia di aumentare il numero di estremità non riducenti, che sono i siti di attacco per la glicogenosintetasi e per la glicogenofosforilasi (enzima chiave della glicogenolisi). In tal modo, vengono favorite, a seconda delle necessità dell’organismo, o la glicogenosintesi o la degradazione del glicogeno. La glicogenosintesi è sotto il controllo ormonale ed è stimolata in particolare dall’insulina che induce una serie di reazioni a cascata che provocano l’attivazione della glicogenosintetasi.

La glicogenolisi è il processo catabolico attraverso il quale il g. viene progressivamente degradato per fornire il glucosio necessario ai fabbisogni energetici cellulari. La rimozione sequenziale dei residui glicosidici dall’estremo non riducente della molecola del g. avviene a opera della glicogenofosforilasi mediante una reazione di fosforolisi del legame α-1,4-glicosidico secondo lo schema: glicogeno (n residui) + Pi (fosforo inorganico) ⇄ glucosio-1-fosfato+glicogeno (n-1 residui). Questo enzima può trovarsi in due forme differenti interconvertibili: la glicogenofosforilasi a dotata di attività catalitica e la glicogenofosforilasi b quasi completamente inattiva. L’interconversione è regolata da due enzimi: una chinasi specifica che fosforila la glicogenofosforilasi b su uno specifico residuo amminoacidico (serina in posizione 14), e una fosfatasi specifica che catalizza la reazione opposta (defosforilazione della glicogenofosforilasi a). Il glucosio-1-fosfato prodotto viene convertito in glucosio-6-fosfato dalla fosfoglucomutasi e successivamente metabolizzato attraverso la glicolisi. La scissione su una catena di g. cessa quando la glicogenofosforilasi raggiunge un residuo di glucosio che si trova a 4 residui di distanza da un punto di ramificazione. Tre dei quattro residui vengono quindi trasferiti enzimaticamente dalla glicosil-(4→4)-transferasi su un’altra ramificazione, mentre il quarto residuo (che rappresenta il punto di ramificazione) viene staccato dall’amilo-α-1,6-glicosidasi, noto anche come enzima deramificante, che è l’enzima in grado di idrolizzare il legame α-1,6-glicosidico. Questa reazione, a differenza della reazione catalizzata dalla glicogenofosforilasi, libera glucosio semplice (anziché fosforilato) ed è perciò meno favorevole da un punto di vista energetico. È importante ricordare che scopo della g. nel tessuto muscolare e nel cervello è di ottenere l’energia necessaria per il loro metabolismo energetico. Viceversa nel fegato (ma in parte anche nei reni e nell’intestino) la glicogenolisi viene utilizzata per il mantenimento di concentrazioni plasmatiche di glucosio relativamente costanti a seconda delle esigenze dell’intero organismo. A questo scopo, il fegato possiede l’enzima che trasforma il glucosio-6-fosfato formatosi dalla glicogenolisi in glucosio e fosfato inorganico. Il glucosio, a differenza del glucosio-6-fosfato, è in grado di fuoriuscire per diffusione dalla cellula e di riversarsi nel torrente circolatorio mantenendo così la glicemia costante. Il controllo della glicogenolisi è effettuato da alcuni ormoni, in particolare da adrenalina e glucagone, le cui interazioni con la membrana cellulare inducono una serie di reazioni a cascata che portano all’attivazione della glicogenofosforilasi e quindi della glicogenolisi.

tab.

Con il termine generico glicogenosi si indicano tutti i quadri clinici che si riferiscono a malattie dovute a carenza ereditaria di enzimi che regolano l’utilizzazione del glicogeno. La glicogenosi si basa su un disturbo della glicogenolisi o su un aumento indiretto della glicogenosintesi con conseguente accumulo di g. normale o atipico. La tab. riporta le malattie dovute a disordini del metabolismo del g., elencando gli organi più di frequente colpiti, il tipo di processo ereditario e i sintomi principali.

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