Gli Actus Silvestri tra Oriente e Occidente. Storia e diffusione di una leggenda costantiniana

Enciclopedia Costantiniana (2013)

Gli Actus Silvestri tra Oriente e Occidente

Storia e diffusione di una leggenda costantiniana

Tessa Canella

Con il titolo di Actus Silvestri è stata tramandata nei più antichi manoscritti una delle opere letterarie più controverse della storia occidentale, oggetto di dibattito da più di un secolo fra gli studiosi in merito sia alla struttura testuale che alla collocazione culturale, geografica e cronologica1. Si tratta di un testo agiografico, dedicato alla celebrazione del pontefice romano (Silvestro appunto, che occupò il soglio pontificio dal 31 gennaio del 314 al 31 dicembre del 335), sorto con scopo non tanto devozionale, quanto per correggere e riscrivere la memoria di Costantino, primo imperatore ufficialmente cristiano, il cui regno (306-337) coincise cronologicamente con il pontificato di Silvestro. Negli Actus Silvestri il pontefice è protagonista e principale artefice della conversione dell’imperatore, ispiratore e moderatore della sua azione religiosa; inoltre è lui a conferire a Costantino il battesimo. In questo modo la leggenda contraddice la versione del battesimo di Costantino ritenuta ancor oggi storicamente valida, quella che vuole l’imperatore battezzato poco tempo prima della morte da un vescovo ariano, Eusebio di Nicomedia (poi vescovo di Costantinopoli): versione, questa, autorevolmente trasmessa dal Chronicon di Girolamo, realizzato intorno al 380, che traduceva, aggiornandolo e proseguendolo, quello di Eusebio di Cesarea2.

Inoltre, la leggenda costruisce una figura di Silvestro molto diversa da quella a noi trasmessa dalle fonti storiche, le quali ci restituiscono una personalità dai contorni appannati e ben poco incisiva rispetto ai cruciali avvenimenti della sua epoca. Sembra infatti che Silvestro fosse accusato di aver consegnato i libri sacri e di aver offerto incenso quando era presbitero sotto papa Marcellino3, ed è certo che non si recò né al concilio di Arles del 314 né a quello del 325 a Nicea: ad entrambi i concili Silvestro inviò suoi rappresentanti, i quali non intervennero in maniera rilevante, svolgendo invece la funzione di semplici osservatori4. Un pontificato, il suo, più che ventennale, esercitato in uno dei periodi più significativi per la storia occidentale, ma curiosamente privo di risonanze storiche, se confrontato con quelli degli altri pontefici del IV secolo5. Che sia stata proprio la predominante azione di Costantino in ambito ecclesiastico ad annebbiarne la figura, o che la sua assenza ai concili convocati dall’imperatore si debba a una calcolata politica di distacco rispetto all’intervento imperiale, il silenzio delle fonti risulta troppo eloquente e avrebbe condannato Silvestro a un crudele oblio. Ma la coincidenza temporale con la cosiddetta ‘svolta costantiniana’ ha caricato il suo pontificato di una portata simbolica rilevante e ne ha fatto, a suo dispetto, l’alter ego mitico di Costantino e, in quanto capo della sedes Apostolica, l’interlocutore archetipico del potere secolare nella perdurante dialettica fra auctoritas sacrata pontificum e saecularis potestas6.

In un primo tempo fu molto probabilmente la volontà di obliterare il ricordo del battesimo ariano di Costantino a rendere necessaria una rivalutazione e valorizzazione della figura di Silvestro, ma poi la versione leggendaria del battesimo si venne sempre più arricchendo di altri elementi che man mano si sovrapponevano, andando a costituire quella che è chiamata comunemente la Silvesterlegende. In essa il pontefice diventa confessore, eroe dell’ortodossia, dalla vita esemplare e dalle azioni miracolose, vittorioso in dispute verbali e pericolosi confronti con animali demoniaci (il drago), responsabile della conversione e del battesimo di Costantino persecutore, ispiratore della politica religiosa dell’imperatore e infine beneficiario della cosiddetta Donazione di Costantino, la quale raccoglie l’eredità degli Actus Silvestri, costruendoci sopra il falso riconosciuto generalmente tale solo a partire dalle contestazioni di Niccolò Cusano e Lorenzo Valla nel XV secolo7. Si tratta di una vera e propria correzione della memoria, sorta con un’intenzione evidentemente antiariana e filoromana, che finì per oscurare la tradizione storica, acquisendo un’importanza fondamentale e godendo di una vasta fortuna per tutto il Medioevo sia in Occidente che in Oriente.

La leggenda narrata negli Actus Silvestri costituisce il primo atto della Silvesterlegende: essa circola a Roma fra la letteratura apocrifa a uso dei fedeli già tra la fine del V e gli inizi del VI secolo8, ma ottiene sempre più credibilità, in relazione allo sviluppo del culto di Silvestro. Esso fu incrementato in maniera particolare tra fine V e inizio VI secolo da papa Simmaco, il quale dedicò a S. Silvestro e S. Martino il titulus Equitii sull’Esquilino (l’attuale S. Martino ai Monti9), ma era già attestato subito dopo la deposizione del pontefice nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria. La più antica notizia della venerazione di papa Silvestro si trova già nella Depositio Episcoporum, inserita qualche mese dopo la morte, avvenuta il 31 dicembre del 33510. Alla stessa data la sua festa è ricordata nel Martyrologium Hieronymianum e in tutti i martirologi occidentali, compreso il Romano; nei sinassari bizantini è commemorato il 2 gennaio11.

In seguito il culto di Silvestro conobbe un rinnovato sviluppo nel VII secolo: ne sono testimonianza il monastero che Gregorio Magno (590-604) fece costruire sul monte Soratte, dove secondo gli Actus il pontefice si era rifugiato durante la persecuzione di Costantino (con tutta probabilità intitolato a Silvestro e donato nel 747 da papa Zaccaria a Carlomanno), l’oratorio al Laterano, voluto da Sergio I, e il monastero greco di S. Silvestro in capite patrocinato da Paolo I12. La leggenda degli Actus Silvestri ebbe consacrazione ufficiale da parte del papato di Roma al tempo di Adriano I (772-795), e come tale fu tramandata fin oltre il XVI secolo. A livello iconografico offrono testimonianza dell’enorme diffusione della leggenda in epoca medievale i famosi affreschi della cappella dei Ss. Quattro Coronati a Roma e quelli della chiesa di S. Silvestro a Tivoli13. La tradizione del battesimo di Costantino da parte di Silvestro era ancora diffusa (e riproposta in funzione controriformista) alla fine del XVI secolo, quando Sisto V fece restaurare ed erigere in Piazza S. Giovanni in Laterano il famoso obelisco di origine alessandrina, sul cui basamento è ancora possibile leggere: constantinus / per crucem / victor / a s. silvestro hic / baptizatus / crucis gloriam / propagavit14.

Edizioni e redazioni

Le ipotesi sull’origine geografica e cronologica degli Actus si sono moltiplicate nel secolo scorso, e il proliferare di studi corrisponde da un lato all’enorme fortuna che ebbe la leggenda per tutto il Medioevo sia in Occidente che in Oriente, dall’altro al fatto che non se ne è ancora riusciti a fornire un’edizione critica, complice l’abbondanza e la varietà delle versioni tramandate.

Gli studi approfonditi e pioneristici di Wilhelm Levison prima, e di Wilhelm Pohlkamp poi, il quale aveva promesso un’edizione critica degli Actus, hanno fornito un terreno solido per la storia del testo, giungendo a catalogare e classificare circa trecentocinquanta versioni. Ma il progetto editoriale si è arenato di fronte alla complessità della tradizione manoscritta, la quale ci ha trasmesso circa trecento codici latini, novanta greci e molti anche per la versione siriaca, non tutti coincidenti. La massa delle diverse versioni ha subito perdite tali che non è stato possibile finora ricostruire in maniera univoca il testo originario, il suo sviluppo e i rapporti di dipendenza fra di esse. Nonostante ciò, le classificazioni di Levison e Pohlkamp hanno permesso di individuare tre redazioni principali: la versione considerata più antica, definita A, in lingua latina, la cui tradizione manoscritta rimonta al X secolo; la seconda, B, che esordisce di solito con il prologo in cui si fa riferimento a Eusebio di Cesarea, la cui tradizione manoscritta risale all’VIII secolo; la terza, C, la quale fonde sostanzialmente le prime due con qualche aggiunta, utilizza il Liber Pontificalis come una delle sue fonti, e conta manoscritti non anteriori alla metà del IX secolo. Naturalmente sono presenti anche delle redazioni che contaminano le tre versioni principali (Levison distingue A1 e A2, di cui A2 costituisce le contaminazioni di A1 con una versione più recente, B1; e distingue B1 e B2, di cui B2 rappresenta le contaminazioni con A).

Sia Louis Duchesne che Levison, e poi Pohlkamp, hanno ritenuto che tutti i testi degli Actus a noi noti siano riconducibili alle redazioni latine, che presentano un andamento più fisso e simile in tutti i manoscritti, sebbene il gran numero di questi ultimi non abbia permesso finora la realizzazione di una collazione completa. Delle edizioni a stampa Duchesne cita solo quella pubblicata verso il 1475 in un raro incunabolo dell’umanista milanese Bonino Mombrizio (Sanctuarium sive Vitae sanctorum collectae ex codicibus mss., con il titolo di Vita seu Actus Sancti Silvestri papae et confessoris), che, a tutt’oggi, ristampata all’inizio del secolo scorso e riprodotta nel 1974 da Pietro De Leo, costituisce la redazione più accessibile della leggenda e dovrebbe appartenere al terzo gruppo della classificazione suddetta (C)15. Levison invece (come anche Ernest Walter Brooks16) cita un’edizione del 1478, intitolata Legenda Sancti Silvestri, che leggeva in un esemplare del British Museum (I B 3885)17. Fausto Parente ha dato molto rilievo a un’edizione della seconda parte degli Actus, ossia dell’altercatio con i dodici rabbini, stampata nel 1544; operando una collazione di questa edizione con quella del Mombrizio, egli ha supposto che siano due traduzioni distinte dallo stesso originale greco, avvalorando così la sua ipotesi di un’origine orientale della leggenda18.

Il testo ha conosciuto le modalità di diffusione di tutti i testi agiografici, i quali, adattandosi continuamente all’epoca e al contesto in cui vengono fruiti, sono costantemente oggetto di ‘riscrittura’ e quindi rendono estremamente difficoltosa l’analisi filologica e il recupero di una versione originale19. Ciononostante è possibile, ricostruendo la storia della diffusione dell’opera e le fonti che ne costituiscono il sostrato, valutare le ipotesi della critica recente e considerare se siano possibili nuove interpretazioni.

La leggenda: struttura e contenuti

La leggenda non è molto nota nei particolari perché a tutt’oggi, non essendo stata individuata una versione originale, non esiste una traduzione completa in lingua moderna. Solitamente si fa riferimento all’edizione latina più facilmente reperibile, ovvero l’edizione succitata di Bonino Mombrizio, che appartiene alla versione C, quella più recente, della leggenda.

Gli Actus si presentano formalmente divisi in due libri: il primo libro è però chiaramente diviso in due ulteriori sottosezioni, la prima delle quali relativa alla vita di Silvestro, dalla nascita fino alla elevazione al pontificato, e include alcune sue opere di carità e altre di carattere liturgico; mentre la seconda, più cospicua, narra dei rapporti fra Silvestro e Costantino, da quando l’imperatore contrae la lebbra fino al battesimo, agli editti in favore della Chiesa cristiana, alla fondazione di alcune basiliche. Il secondo libro è invece tutto occupato dal racconto di una disputa pubblica fra dodici sacerdoti ebrei e Silvestro. È opportuno fornire un breve ma dettagliato compendio.

Il Liber primus esordisce con la Sylvestri ortus et eruditio. Silvestro nasce da Giusta, una pia vedova, che affida l’istruzione del figlio a un presbitero di nome Cirino; una volta cresciuto, Silvestro offre ospitalità a Timoteo, un cristiano di Antiochia, giunto a Roma durante la persecuzione per predicare Cristo; dopo un anno e tre mesi di permanenza Timoteo viene denunciato al praefectus urbi Propinna Tarquinio e da lui condannato a morte. Silvestro si cura delle spoglie di Timoteo e, dopo una notte di veglia insieme a papa Milziade, fa seppellire il martire nell’orto di una donna cristiana (Theon), non lontano dalla tomba di san Paolo. Il prefetto Tarquinio, sperando che Timoteo avesse lasciato del denaro, fa arrestare Silvestro, imponendogli di sacrificare agli dei; Silvestro rifiuta, annuncia al prefetto la sua prossima morte e lo invita al pentimento. All’alba del giorno dopo, dopo una notte di tormenti, il magistrato muore, avverando così la previsione di Silvestro, il quale viene liberato dal carcere e ordinato presbitero. Alla morte di Milziade Silvestro è eletto al seggio pontificale, e subito si segnala per le sue doti pastorali e le opere di carità verso poveri, orfani e vedove: distribuisce tutte le risorse economiche di cui viene in possesso in quattro parti, una per il ripristino di chiese e cimiteri, una per i chierici, la terza per i poveri, la quarta advenis sub ratiocinio. Intanto un vescovo di nome Eufrosino, giunto a Roma dall’Oriente, che aveva subito la persecuzione ed era noto per il suo potere apotropaico nei confronti dei demoni, introduce nella celebrazione della messa l’uso del colobium, la tunica senza maniche, seguendo l’esempio dell’apostolo Giacomo (abitudine che rimane in vigore fino a papa Liberio, quando è il colobium è sostituito dalla dalmatica). Silvestro affronta con Eufrosino e i greci la questione del digiuno, perché gli orientali volevano imporre l’osservanza festiva del sabato. A essi Silvestro oppone la tradizione apostolica romana, che prescriveva il digiuno del sabato, oltre che del mercoledì e del venerdì secondo l’uso dei greci. Viene stabilita anche un’osservanza festiva del giovedì, in cui sono ricordate l’ascensione del Signore, l’ultima cena e la consacrazione del crisma.

A questo punto è inserita la parte relativa a Costantino: l’imperatore, ancora persecutore e malato di lebbra, chiede aiuto, dopo aver consultato invano eserciti di maghi e di medici, ai pontifices Capitolii, i quali gli consigliano di immergersi in una piscina piena del sangue calido ac fumante di fanciulli, da allestire sul Campidoglio stesso. L’imperatore, in procinto di seguire il suggerimento dei sacerdoti pagani, si commuove alla vista delle madri disperate dei fanciulli, che gli si fanno incontro sulla strada che conduce al Campidoglio, e desiste dall’orrendo proposito, preferendo «pro salute innocentium mori quam per interitum eorum vitam recuperare crudelem». La stessa notte gli compaiono in sogno gli apostoli Pietro e Paolo, i quali sono mandati da Cristo, per la pietà da lui dimostrata, a indicargli il modo di salvarsi dal morbo: l’imperatore deve convocare Silvestro, rifugiatosi a causa delle sue persecuzioni sul monte Soratte, il quale lo guarirà immergendolo in una piscina pietatis. Recuperata la salute avrebbe dovuto ricompensare il suo salvatore adorando l’unico vero Dio e revocando gli editti persecutori. Il mattino seguente Costantino manda a prendere sul Soratte Silvestro, il quale crede di essere giunto all’ora del martirio. Invece, una volta giunto a corte, Costantino gli racconta il sogno avuto e gli chiede di mostrargli delle immagini di Pietro e Paolo, per avere conferma che quelli del suo sogno fossero davvero i principes Apostolorum. Silvestro gli mostra i ritratti dei due apostoli, subito riconosciuti dall’imperatore, e gli prescrive un digiuno settimanale, accompagnato da penitenza e opere di misericordia. Costantino pronuncia una prima professione di fede. Silvestro, benedicendolo con l’imposizione delle mani, ne fa un catecumeno e indice un digiuno di due giorni per tutta la Chiesa. Alla fine della settimana di digiuno e di penitenza Silvestro battezza l’imperatore immergendolo in una piscina nel palazzo Lateranense. Dopo una serie di prodigi Costantino esce dalla piscina mundus e convertito. Dal primo giorno del suo battesimo per sette giorni consecutivi l’imperatore emana una serie di editti a favore della fede cristiana e della Chiesa, prescrivendo che Cristo sia adorato in tutto l’Impero, che sia punita la bestemmia e qualsiasi ingiuria recata a un cristiano, che il pontefice romano sia capo di tutti i vescovi dell’Impero, così come il re è capo di tutti i giudici, che sia riconosciuto per le chiese il diritto d’asilo, che la costruzione di nuove chiese sia sottoposta all’approvazione del vescovo locale, che siano date per la costruzione delle chiese possessionum regalium decimas. L’ottavo giorno l’imperatore si reca all’altare dell’apostolo Pietro e confessa i suoi peccati. Dopodiché traccia il solco delle fondamenta della basilica degli Apostoli e trasporta dallo stesso luogo sulle sue spalle dodici ceste di terra. Il giorno successivo dà inizio alla costruzione di una basilica nel palazzo Lateranense e promulga un’altra legge che concede vesti candide e venti solidi a qualunque povero si converta al cristianesimo: il numero dei convertiti giunge in un anno a dodicimila, esclusi donne e bambini. Poiché fra i senatori, invece, nessuno si era accostato alla nuova fede e il papa non permetteva a Costantino di adirarsi per questo con nessuno («ob hoc irasci alicui»), l’Augusto pronuncia in una basilica una esortazione alla fede («cohortatio ad fidem»), in cui deplora la vanità degli idoli. Il discorso si conclude con la concessione ai sacerdoti cristiani dei privilegi prima conferiti ai sacerdoti dei templi. Alle acclamazioni del popolo che chiede all’imperatore ritorsioni contro l’idolatria, Costantino risponde affermando il principio fondamentale della tolleranza religiosa: «Deus enim, quia mente colitur et sincero hominis veneratur affectu, spontanea eius debet esse cultura. In hoc enim apparet quia verus deus est, quod per tanta saecula contemptoribus suis non iratus finem imposuit, sed propitium se esse qui coli debeat demonstravit indulgendo crimina, et salutem animabus et corporibus conferendo»20.

Questa legge è lodata da cristiani e pagani; si sparge letizia per tutte le chiese, sono onorati i sepolcri dei santi, liberati i confessori e gli esuli.

A questo punto l’autore passa al racconto di come nacque l’idea della disputa fra Silvestro e i dodici rappresentanti della religione giudaica. La madre di Costantino, Elena, convertita al giudaismo, scrive una lettera al figlio dalla Bitinia, congratulandosi con lui per l’abbandono degli idoli, ma esortandolo a riconoscere il vero dio, quello dei giudei. Costantino risponde alla madre proponendo un confronto fra sacerdoti ebrei e vescovi cristiani sulla base delle Scritture. La disputa si svolge a Roma il 15 marzo 315 fra Silvestro e dodici rappresentanti del giudaismo (scelti fra rabbini, esperti della legge, scribi e maestri della sinagoga), alla presenza di Costantino ed Elena e sotto il giudizio di due virtuosi pagani, il filosofo Cratone e Zenofilo, praefectorius vir21.

Il Liber secundus è occupato tutto dal racconto della disputa, la quale verte su argomenti di diverso genere, a volte anche strettamente teologici, ma anche molto differenti nelle tre versioni A, B e C. Silvestro riesce a prevalere dialetticamente su tutti i suoi interlocutori; l’ultimo, Zambri, cerca di provare l’efficacia del suo dio attraverso il potere fatale del suo nome segreto: pronunciandolo all’orecchio di un toro condotto lì appositamente, quello cade a terra morto. Ma Silvestro dimostra ancora una volta la superiorità del dio cristiano, lasciando esterrefatti tutti gli astanti, quando, invocando il nome di Gesù Cristo, riporta il toro in vita. A quel punto si convertono al cristianesimo Elena, Cratone, Zenofilo e tremila giudei.

Il racconto prosegue con la dimostrazione della definitiva vittoria di Silvestro anche nei confronti del paganesimo. Seguendo le prescrizioni di Pietro e Paolo ancora una volta apparsigli in sogno. Infine Silvestro riesce a rendere innocuo un drago che ogni giorno mieteva vittime nella città di Roma, adirato perché, a partire dalla conversione di Costantino, non riceveva più il nutrimento periodico dalle Vestali. Silvestro sigilla la bocca del drago fino al giorno del giudizio e si convertono al cristianesimo il prefetto Calpurnio, i pontefici e più di trentamila uomini, con le donne e i bambini. Segue una nuova professione di fede dell’imperatore. La parte relativa alla morte di Silvestro e alla sepoltura sulla via Salaria, nel cimitero di Priscilla, dove avvengono miracoli, è presente solo in Mombrizio, mentre non compare nella versione A, vale a dire quella considerata più antica, né nella B.

Lo stesso può dirsi per un racconto di traslazione delle reliquie di Silvestro a Nonantola alla metà dell’VIII secolo (BHL 7736-7737), presente solo nella versione in C. In alcune redazioni sono presenti altre due appendici, che hanno per oggetto rispettivamente la fondazione di Costantinopoli da parte di Costantino (BHL 7733-7734), e il ritrovamento della croce da parte di Elena (BHL 7735): in questo caso non è possibile stabilire con certezza a quale delle versioni esse appartengano. In particolare l’appendice chiamata De inventione sanctae Crucis racconta appunto del rinvenimento dei resti della croce da parte di Elena durante il suo viaggio in Terra Santa, che intraprende dopo essersi convertita al cristianesimo in seguito alla disputa fra Silvestro e i dodici rappresentanti del giudaismo22. Pohlkamp considera questi capitoli sull’Inventio Crucis un’appendice estranea ad A, modellata sull’Historia Ecclesiastica I 8 di Rufino (in PL 21, cc. 476-478) e composta al più tardi nel VII secolo23. Levison, invece, ha constatato che questa sezione manca nella versione B, mentre è presente nella maggior parte dei manoscritti della versione A. Perciò propende per considerarla parte originaria della narrazione degli Actus, e spiega la sua assenza in alcuni manoscritti della versione A con il fatto che in seguito, integrata con la tradizione più ampia di Giuda Ciriaco, divenne leggenda autonoma e conobbe una diffusione indipendente. Levison ammette però che solo un confronto fra le varie versioni potrà fornire una conferma alle sue ipotesi24. Dall’analisi delle fonti si vedrà come sia possibile confortare l’ipotesi di Levison, che propende per ritenere questa sezione come appartenente originariamente allo scheletro narrativo degli Actus.

Tradizione latina

La letteratura sul primo imperatore cristiano, dopo l’esaltazione operata da Eusebio di Cesarea nella Vita Constantini, dovette necessariamente seguire l’andamento delle vicende storiche nelle epoche successive: prima in ambito pagano (nella storiografia di età giulianea e oltre25), poi in ambiente cristiano, a causa delle controversie teologiche che ponevano alla Chiesa, da una parte, la necessità di affermarsi con forza di fronte a tutte le eresie, dall’altra il problema di limitare l’intervento imperiale nelle questioni ecclesiologiche, suscitandone la condanna da parte dei rappresentanti cattolici.

Fu Girolamo il più deciso accusatore di un Costantino battezzato arianamente e per giunta colpevole di intromissione nelle questioni dottrinali e disciplinari della Chiesa, prima fra tutte la convocazione del concilio di Nicea e il ruolo da lui svolto durante lo stesso26. Ma quando la crisi ariana sembrò ricomporsi nei decenni che seguirono gli editti del 380 e del 381 (Cod. Theod. XVI 1,2-3), in cui si stabiliva l’unità della Chiesa nella fede di papa Damaso e di Pietro d’Alessandria, e si condannava definitivamente l’arianesimo, recependo le conclusioni del concilio di Costantinopoli (381), nella propaganda cattolica cominciò a prevalere piuttosto l’esigenza di recuperare Costantino all’ortodossia, per poterne riproporre l’esempio, in quanto primo imperatore cristiano, agli imperatori successivi.

Ciò naturalmente poteva accadere solo a patto di falsificare la memoria storica, epurando dalla sua biografia gli episodi più scomodi, e aggiungendovene altri più conformi al modello astratto che si voleva proporre. Fu così che la complessa vicenda biografica e politica di Costantino venne semplificata, ‘appiattita’ e riscritta. Si possono riconoscere i primi esempi di questa rielaborazione negli interventi di papa Liberio, nel 353/354, in quelli dei vescovi niceni del concilio di Rimini (359), che ripropongono Costantino come esempio e fautore di un corretto rapporto con il concilio, e in quelli di Ilario di Poitiers, che nel Contra Constantium presenta Costantino come modello da imitare in quanto difensore della dottrina nicena27. Ma soprattutto colpiscono i silenzi e le dissimulazioni della vicenda costantiniana riscontrabili in Ambrogio, Rufino, Agostino e Orosio, su cui sarà necessario soffermarsi meglio oltre.

Gli Actus Silvestri costituiscono dal punto di vista della rielaborazione della memoria costantiniana una fase ulteriore, in quanto non soltanto passano sotto silenzio alcuni aspetti scomodi della biografia dell’imperatore, ma li sostituiscono decisamente con elementi più adatti allo scopo, quale l’intervento decisivo di Silvestro nella conversione e nel suo battesimo.

La fortuna di questa versione del battesimo costantiniano era già affermata, grazie al sostegno papale, prima di Adriano I (772-795), che ne fa menzione, dimostrandone l’ufficialità, in due lettere, una a Costantino VI e Irene, e l’altra a Carlo Magno, di cui la prima fu letta al secondo concilio di Nicea (787)28. Da allora si constata una notevole crescita della fortuna della leggenda, che compare come versione ufficiale in gran parte della letteratura latina, greca, siriaca e armena.

Ma già in epoca precedente ci sono testimonianze della circolazione della storia degli Actus, per quanto in forma anonima, o di singoli elementi di essa, la più antica delle quali, tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, è costituita dalla Decretale pseudogelasiana, in cui si legge:

«Item actus beati Silvestri apostolicae sedis praesulis, licet eius qui conscripserit nomen ignoretur, a multis tamen in urbe romana catholicis legi cognovimus et pro antiquo usu multae hoc imitantur ecclesiae»29.

Contemporaneamente viene rivalutata anche la figura di papa Silvestro, soprattutto da parte di papa Simmaco, il quale, dopo aver consolidato il suo potere conteso a lungo dall’antipapa Lorenzo, fra il 507 e il 514, fonda nel titulus Equitii sull’Esquilino la chiesa di S. Martino (detta nella seconda redazione del Liber Pontificalis «sanctorum Silvestri et Martini») iuxta sanctum Silvestrum30. Durante il conflitto fra Lorenzo e Simmaco (498-514)31 furono composti dai partigiani di quest’ultimo, presumibilmente intorno al 501, testi tendenti a liberare Simmaco dalle accuse a mossegli dagli avversari (quelle di aver celebrato irregolarmente la Pasqua il 25 marzo anziché il 22 aprile, di aver alienato illegittimamente i beni ecclesiastici e di aver frequentato donne in modi riprovevoli): testi definiti Apocrifi Simmachiani, nei quali si trova la leggenda degli Actus32. I simmachiani puntavano sulla mancanza di una legge in base alla quale il papa potesse essere giudicato e miravano a dare, attraverso gli apocrifi, fondamento storico al principio che il detentore della sede apostolica non potesse essere giudicato da nessuno e in nessun caso. In tre di questi apocrifi ci si riferisce esplicitamente a Silvestro: il cosiddetto Constitutum Silvestri (pervenuto in due redazioni, chiamate SK1 e SK2 nella recente edizione di Eckhardt Wirbelauer33), una lettera indirizzata a Silvestro dai vescovi riuniti a Nicea (chiamato SB in Wirbelauer) e la risposta di Silvestro (SA). Questi ultimi due sono presenti soltanto nella seconda redazione del Constitutum Silvestri (SK2). Dei tre apocrifi si conosce un rifacimento di parte laurenziana, rispettivamente LK, LB, LA.

Il Constitutum Silvestri risulta essere un protocollo di un concilio svoltosi a Roma presso le terme di Traiano il 29 e 30 maggio del 315, e presieduto da Costantino, da poco battezzato e guarito dalla lebbra, da sua madre Elena e dal prefetto urbano Calpurnio, già presente nell’episodio del drago degli Actus. Durante il concilio vengono condannati due eretici e un personaggio colpevole di errori riguardanti il computo pasquale, e sono emanate alcune norme riguardanti i rapporti giuridici in seno alla gerarchia ecclesiastica.

Come detto, l’intento era quello di creare un precedente sulle questioni dibattute nel periodo del conflitto fra Lorenzo e Simmaco. All’inizio dell’apocrifo si legge:

Cum multi nobiles gauderent quod Constantinus baptizatus a Silvestrio episcopo urbis Romae et mundatus fuisset a lepra, per hunc beneficium, quod accepit a domino Iesu Christo per Silvestrio episcopo, coepit integre praedicare dominum Iesum Christum et confiteri eius beneficia34.

Come si vede si tratta di un chiaro riferimento alla vicenda degli Actus. Non si trovano richiami più rilevanti nelle altre redazioni del Constitutum Silvestri: né nella seconda redazione (SK1), accompagnata da due lettere che accreditano maggiormente il falso connettendo il presunto concilio romano con quello di Nicea, né nei tre rifacimenti di matrice laurenziana (LK, LB, LA).

Una curiosa mescolanza tra elementi storici e leggendari si trova in un altro apocrifo simmachiano, i Gesta Liberii35, dove nella figura dell’imperatore guarito dalla lebbra e battezzato da Silvestro si confondono Costante, Costanzo e Costantino, con un battesimo ariano di Costante da parte di Eusebio di Nicomedia:

Erat enim Constans non integre Christianus [...] Baptizatus autem ab Eusebio Nicomediensi in Aquilonia villa [...]». Seguono le parole di Costante: «Sacrilegum Liberium, qui dixit patruum meum fuisse leprosum et baptizatum a Silvestro episcopo, et mundatum [...]» Ottenuta la vittoria contro i barbari, Costante: «transivit usque ad Nicomediam et in Aquilone villa, ubi baptizatus est ab Eusebio Nicomediense - ibidem in Arrianorum dogma declinat36.

Sia gli Acta Eusebii37. che la leggenda di Felice II, leggibile tuttavia soltanto nel Liber Pontificalis, concordano poi con il battesimo nicomediense di Costanzo da parte di Eusebio: «Hic declaravit Constantium filium Constantini haereticum, et secundo rebaptizatum ab Eusebio Nicomediensi iuxta Nicomediam in Aquilone villa»38.

Più tardi il Liber Pontificalis nella Vita Silvestri, datata da Louis Duchesne intorno agli anni Trenta del VI secolo39, riprende in maniera evidente la tradizione presente nella leggenda su Silvestro: «Hic [scil. Silvester] exilio fuit in monte Soracten et postmodum rediens cum gloria baptizavit Constantinum Augustum, quem curavit Dominus a lepra, cuius persecutionem primo fugiens exilio fuisse cognoscitur»40.

La rilevanza del Liber Pontificalis come fonte, e la sicura citazione che vi viene fatta della vicenda degli Actus, determinò la diffusione della leggenda nelle epoche successive.

Altri scritti apocrifi difficilmente databili forniscono testimonianza della conoscenza di parti rilevanti della leggenda, come un’epistola attribuita anticamente a Girolamo, indirizzata a Eustochio de vinculis beati Petri, in cui si parla dell’intervento degli apostoli Pietro e Paolo e del battesimo da parte di Silvestro41.

Nel Libellus de munificentia Constantini, che Duchesne ha incorporato nella prima edizione del Liber Pontificalis, troviamo citato, dopo la vita di Silvestro, il battistero lateranense: «Fontem sanctum ubi baptizatus est Augustus Constantinus ab eodem Episcopo Silvestro»42.

Se non consideriamo gli apocrifi già menzionati, la letteratura latina del IV e V secolo sembra tener conto soltanto della versione del battesimo dell’imperatore in punto di morte, senza il coinvolgimento di Silvestro. Dopo Girolamo, che, come già detto, rappresentava un momento di forte propaganda anticostantiniana da parte della Chiesa impegnata nella lotta contro l’arianesimo e le ingerenze del potere politico43, Ambrogio si inseriva in un clima di moderata rivalutazione della vicenda costantiniana, preferendo fornire nel de obitu Theodosii una versione ortodossa (pur evitando di nominare il ministro del sacramento), del battesimo di Costantino. Ambrogio sottolinea infatti che il sacramento, pur ricevuto in punto di morte, omnia peccata dimiserit, e grazie a esso Costantino, essendo il primo imperatore a credere, magni meriti locum repperit44.

Un’altra tappa importante nella rielaborazione della figura di Costantino in chiave dottrinale è Rufino, continuatore della Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea e fonte principale degli storiografi ecclesiastici occidentali e orientali. Nella sua Storia Ecclesiastica Costantino diventa il modello del religiosus princeps, sebbene nella sua narrazione egli non dia alcuna informazione sul suo battesimo, lasciando trapelare in questo modo un certo imbarazzo per l’argomento45. Sulla stessa linea Agostino (libro V del De civitate Dei) ed Orosio (Historiae adversus paganos) testimoniano l’esigenza da parte della Chiesa di riappropriarsi della figura dell’imperatore, senza esaltarne tuttavia la vicenda attraverso il battesimo. Pur attingendo a piene mani al Chronicon geronimiano, infatti, preferiscono non fare alcun cenno all’episodio46.

Nella seconda metà del VI secolo, per primo fra gli storici latini, Gregorio di Tours, nella sua Historia Francorum47 (seconda metà del VI secolo), riporta senza alcun dubbio la vicenda del battesimo dell’imperatore da parte di Silvestro, evidentemente influenzato dalla letteratura devozionale di ambiente romano. Difatti Isidoro di Siviglia, che aderisce alla tradizione storica che circolava contemporaneamente, testimonia come la versione ortodossa non fosse unanimemente adottata48.

Cassiodoro aderisce alla versione dei tre storici bizantini (Socrate, Sozomeno e Teodoreto), perché, pur attribuendo il battesimo al vescovo di Nicomedia, non esplicita l’adesione dell’imperatore alla fede ariana. Inoltre, non menzionando affatto la versione leggendaria già diffusa con gli Actus e con gli Apocrifi simmachiani, da un lato potrebbe testimoniare il fatto che questi testi non circolassero molto al di là dell’ambiente romano, dall’altro potrebbe invece aver voluto non urtare le volontà della corte bizantina, che con Giustiniano non avrebbe gradito il rilievo dato esplicitamente alla Chiesa romana negli Actus Silvestri49.

La testimonianza letteraria latina cronologicamente successiva risale all’ultima metà del VII secolo, quando Aldelmo vescovo di Sherborn, nel suo libro De laudibus virginitatis, riassume la nostra leggenda, evidenziandone gli elementi più significativi quali l’episodio del drago, la guarigione dalla lebbra e il battesimo di Costantino, la disputa con i dodici rabbini50. Nello stesso periodo Beda il Venerabile narra la leggenda nel discorso De inventione Sanctae Crucis, modificandone alcuni particolari: è il veleno del drago ucciso da Costantino a farlo divenire lebbroso e la madre Elena compare prima, poiché a lei l’imperatore confida il sogno sui principes apostolorum e l’intenzione di convocare Silvestro51.

Come detto, in seguito fu proprio il papato di Roma a conferire ufficialità al contenuto della leggenda. È il momento della cosiddetta Silvesterrenaissance, un fiorire di manifestazioni, atti di culto e di devozione volti ad esaltare la figura del pontefice. Ne è la prova l’ampia diffusione, in questi anni, della leggenda degli Actus Silvestri, anche a livello iconografico. Basti ricordare il mosaico commissionato da papa Leone III nel palazzo del Laterano, in cui sono riconoscibili da un lato Cristo che dà le chiavi a san Silvestro e lo stendardo a Costantino, dall’altro san Pietro che dà il pallio a Leone III e lo stendardo a Carlo Magno.

Il famoso Constitutum Constantini fu composto tra la seconda metà dell’VIII e la prima metà del IX secolo; in esso, oltre alla donazione da parte di Costantino a papa Silvestro di vasti territori, è riportata la professione di fede dell’imperatore ed è ripresa la storia degli Actus, con l’unica variante che la persecuzione da parte di Costantino non è riferita nell’esordio, ma solo accennata in seguito52. La leggenda si trova nella seconda parte del manoscritto carolingio contenente il Constitutum, scritta prima dell’80653; nella narrazione si giunge fino al battesimo, in cui Costantino nella piscina vede una mano dal cielo che lo tocca e, uscito dal fonte battesimale, è unto con il sacro crisma e segnato in fronte con la santa croce. Resta, a questo punto, delle leggi presenti negli Actus, soltanto l’incipit («prima itaque die»), e, in seguito, la professione di fede di Costantino, in cui l’imperatore riconosce il potere che il Signore ha concesso all’apostolo Pietro (richiamo a Mt 16,18), fondando in tal modo il primato della sede romana54.

Risulta quindi che la donazione abbia messo in atto, amplificandola, la quarta delle leggi presenti negli Actus, che definiva proprio il primato della sede romana. Non è facile individuare con precisione quando e dove sia avvenuta questa sostituzione. La testimonianza di Adriano I, se da una parte tratta la leggenda come universalmente considerata veritiera, dall’altra non la collega esplicitamente con la donazione. Infatti, in una lettera a Carlo Magno, riporta come al tempo di papa Silvestro la Chiesa romana «per eius [scil. Di Costantino] largitatem» sia stata «elevata atque exaltata»55, aggiungendo l’auspicio che vengano rese al pontefice di Roma «cuncta alia, quae per diversos imperatores, patricios etiam et alios in partibus Tusciae, Spoleto seu Benevento, atque Corsica simul et Sabinensi patrimonio b. Petro concessa sunt, et per nefandam gentem Langobardorum ablata sunt»56.

Il termine alia suggerisce la precedente attuazione della donazione da parte di Costantino: dunque nel 778 il privilegium proclamato negli Actus dovrebbe essere già stato trasformato in constitutum. Bisogna però tener conto del fatto che, sino a Gregorio IX, i pontefici citano con cautela e solo raramente il Constitutum. Con più probabilità, quindi, Adriano potrebbe riferirsi alla largitas che è attribuita a Costantino nel Liber Pontificalis, che, come detto, era considerato fonte autorevolissima dagli autori successivi. Da quel momento la leggenda è citata in modo piuttosto costante nella letteratura latina.

La letteratura greca

Esaminando la letteratura greca e bizantina, è possibile riconoscere in Sozomeno57 e in Zosimo58 alcuni elementi in comune con la tradizione presente negli Actus, senza alcun cenno peraltro a papa Silvestro59. Zosimo nella sua Storia Nuova racconta di Costantino che giunge a Roma e, ancora pagano, manda a morte Crispo e Fausta60. Lacerato dai rimorsi, poi, si rivolge ai sacerdoti pagani, che non trovano adeguata espiazione per il grave crimine. Interviene a quel punto un certo Αἰγύπτιος, proveniente dalla Spagna (identificato comunemente con Ossio di Cordova), che assicura a Costantino la purificazione dal delitto , purché aderisca al culto cristiano, l’unico che garantisca la remissione di ogni colpa. Lo stesso Egizio, poi, manderà all’imperatore un φάσμα, per dissuaderlo dal celebrare la cerimonia sacra in Campidoglio.

A sua volta Sozomeno, pur riportando nella sua Storia Ecclesiastica questa tradizione di Costantino convertitosi al cristianesimo dopo essersi macchiato di azioni delittuose, tradizione che egli riferisce come diffusa soprattutto fra gli ῾Έλληνες polemizza vivacemente con essa. Riferisce infatti l’opinione secondo cui l’imperatore, dopo aver fatto uccidere Crispo, per trovare sollievo ai rimorsi, si sarebbe rivolto prima al filosofo Sopatro ed in seguito ai vescovi cristiani, che si erano dichiarati disposti a garantirgli la purificazione attraverso la conversione e il battesimo. Sozomeno oppone a questa versione l’argomento che la conversione di Costantino era già avvenuta nelle Gallie, dove con Crispo aveva emanato nuove leggi in favore dei cristiani, prima quindi dell’arrivo a Roma dell’imperatore e della morte di Crispo stesso.

Il solo battesimo ortodosso, collocato però in articulo mortis e quindi non riferita certamente a Silvestro, era già presente, come appare attraverso la testimonianza di Fozio, nel III libro della cosiddetta Storia Ecclesiastica di Gelasio di Cizico, scritta intorno al 47561.

Oltre un secolo più tardi Evagrio, nella sua Storia Ecclesiastica, confuta la versione pagana del battesimo di Costantino presente in Zosimo utilizzando come fonti la Storia Ecclesiastica di Eusebio e Teodoreto62. Se anche, come possibile, Evagrio era a conoscenza della versione degli Actus attraverso Zaccaria il Retore63, comunque preferiva utilizzare fonti considerate più attendibili, ovvero Eusebio e Teodoreto.

Giovanni Malalas, storico bizantino di origine antiochena della prima metà del VI secolo, nella sua Storia Ecclesiastica adotta una forma media fra tradizione storica e tradizione leggendaria: la lebbra e il motivo della conversione causata da un delitto scompaiono e, pur parlando esplicitamente del battesimo a opera di Silvestro vescovo di Roma, egli attribuisce la causa della conversione dell’Augusto alla visione della croce64, grazie alla quale, impegnato in una campagna contro i barbari in Occidente, sarebbe riuscito a prevalere sugli avversari. In seguito Costantino torna a Roma, ordina la chiusura dei templi pagani, ed è battezzato da Silvestro insieme alla madre Elena e a molti dei romani. Questa tradizione sembra riprendere il racconto tradizionale cristiano della conversione dopo la visione della croce presente in Eusebio (v.C. I 28). La visione però non è collocata nell’imminenza della battaglia contro Massenzio del 312, ma nel contesto di una guerra contro i barbari in Occidente, il che sembra poter collegare la narrazione di Malalas con quella presente nella Visio Constantini, appartenente al ciclo della Kreuzauffindungslegende, in cui Costantino nel 312 riceve la visione della croce nell’imminenza della guerra contro i barbari sul Danubio, ottenendo così la vittoria. Differenza da non sottovalutare fra le due tradizioni è che nella Visio Constantini l’imperatore si fa battezzare non da Silvestro, ma da «Eusebio vescovo di Roma», dato su cui sarà opportuno soffermarsi in seguito.

In Leonzio di Gerusalemme, dello stesso periodo, autore di una raccolta di testimonia sanctorum contro i monofisiti, si trova citato un passo della disputa fra Silvestro e gli ebrei65.

Fino ad Adriano I, la leggenda degli Actus, che pure doveva essere conosciuta, non trova altre attestazioni fra gli autori bizantini, che riprendono a citarla solo successivamente al ristabilirsi di rapporti pacifici fra le due Chiese. Questo inabissamento era dunque dovuto al clima conflittuale fra Oriente e Occidente e al carattere filoromano degli Actus. Da papa Adriano in poi invece si trovano varie e molteplici citazioni della leggenda, che compare presso gli storici bizantini in forme differenti ed è accolta unanimemente nella letteratura ecclesiastica: per primo, Teofane (785-818), riporta le due versioni, quella storica e quella leggendaria, mostrando la sua propensione per la seconda66. Nella letteratura bizantina, peraltro, è generalmente prediletta la versione che presenta la conversione di Costantino come frutto di un percorso morale, eliminando la guarigione dalla lebbra. Difatti Teofane riferisce il racconto dell’apparizione della croce prima della battaglia di Ponte Milvio e della visione notturna, e, per rigettare l’ipotesi del battesimo impartito in fin di vita da Eusebio di Nicomedia, egli sostiene che Costantino non avrebbe potuto partecipare ai rituali del concilio di Nicea, argomento adottato dalla maggior parte dei fautori del battesimo romano da allora in poi.

Giorgio il Monaco, nel trattare la vita di Silvestro, fornisce un compendio degli Actus, in cui non compaiono affatto la conversione e il battesimo dell’imperatore67. Riferendosi alla vita di Costantino, rifiuta esplicitamente l’attribuzione ad Eusebio di Nicomedia, avvalorando così implicitamente la versione ortodossa.

Con Simeone Metafraste (914-965) gli Actus sono riportati per intero, con alcune discrepanze nei particolari, nella collazione attribuita all’autore. In seguito la leggenda è presente con alcune varianti in Michele Glica, Giovanni Cedreno, Zonara, Gioele, Ephraem, Niceforo Callisto e altri autori posteriori.

Le letterature orientali

Nella letteratura siriaca si evidenzia un percorso interessante della tradizione legata agli Actus. L’omelia attribuita a Giacomo di Sarûg, vescovo monofisita, scritta in siriaco probabilmente in epoca precedente a tutti gli apocrifi romani, ma posteriormente al 473, presenta Costantino battezzato per guarire dalla lebbra fisica e morale68. Nella stessa omelia si trovano tuttavia molti elementi discordanti con la nostra leggenda, come ad esempio il fatto che la lebbra sia contratta dall’imperatore fin dalla nascita. Ancora più rilevante è l’attribuzione del battesimo e della conversione ad un vescovo non ben denominato, non a Silvestro; inoltre la localizzazione romana è solo supponibile, poiché mancano cenni topografici; il sacrificio dei fanciulli è consigliato qui da indovini babilonesi, mentre due esponenti del culto cristiano, in questo caso il capo degli schiavi e la madre dell’imperatore, vi si oppongono con forza. Risulta determinante l’intervento, infine, di un angelo mandato dal Signore, per convincere l’imperatore a seguire il consiglio del capo degli schiavi e quindi a farsi guarire attraverso il battesimo. In seguito il capo degli schiavi viene innalzato da Costantino alla seconda dignità del regno e vengono perseguitati crudelmente gli indovini e i caldei.

Considerando la quantità e la rilevanza degli elementi che si discostano dalla versione ortodossa, sembra che l’omelia del vescovo monofisita dia voce ad una tradizione anteriore e parallela a quella degli Actus. È possibile ipotizzare che circolasse una tradizione locale su Costantino, nella quale non compariva ancora la figura di Silvestro, a cui si sovrapposero man mano gli elementi provenienti da Occidente.

Ma la tradizione silvestrina è già ben nota in area siriaca almeno nel VI secolo. Ci è pervenuto, infatti, un manoscritto siriaco non posteriore al VI secolo69, che riporta una vera e propria traduzione degli Actus in tutti gli elementi narrativi fondamentali presenti nella versione A: si tratta di un’epitome siriaca, compilata da un anonimo monaco di Amida, della Storia Ecclesiastica di Zaccaria il Retore (465-536), risalente circa al 492. Essa corrisponde a una traduzione della versione greca 1a, che dovrebbe corrispondere a quella latina B1, ed è estremamente importante perché costituisce la versione più antica a nostra disposizione del testo degli Actus. Supponendo che l’epitomatore sia stato fedele all’originale di Zaccaria di Mitilene, questo testo costituirebbe la prova che la versione B1 in greco (e di conseguenza anche la A) era conosciuta precedentemente al 492. Altrimenti, si dovrebbe concludere che A e B circolassero prima della versione siriaca del 569.

In un’altra versione siriaca degli Actus Silvestri si tralascia però tutta la parte relativa alla disputa fra Silvestro e i rabbini70. Le due tradizioni si trovano invece giustapposte in un testo del tardo VIII secolo: la cronaca siriaca detta dello pseudo Dionigi, perché attribuita erroneamente al patriarca giacobita Dionigi di Tell Mahre71. In essa Costanzo ed Elena sono già convertiti mentre Costantino, affetto da lebbra, risulta persecutore. Per il resto il racconto riportato coincide, seppur in forma abbreviata, con la leggenda degli Actus, ed è ambientato nel nono anno del regno di Costantino. Successivamente in Oriente non abbiamo più attestazioni della leggenda fino al XIII secolo.

Sia Louis Duchesne che Arthur Frothingam hanno attribuito grandissima importanza alla versione armena presente in Mosè di Khorene, dove Costantino lebbroso è guarito per mano di Silvestro, perché, avendola datata alla metà del V secolo, sembrava costituire la più antica testimonianza della diffusione di questa tradizione72. Solo recentemente è stato dimostrato che la datazione dell’opera di Mosè non può essere antecedente al VII73 o all’VIII secolo74.

L’area di diffusione della leggenda degli Actus tocca anche l’Egitto copto, dove viene accolta però solo molto tardi: dalla letteratura ecclesiastica nell’XI-XII secolo (profondamente influenzata da quella greca), e da quella storica non prima del XIII, poiché evidentemente a livello ‘popolare’ non giungevano gli echi delle tradizioni circolanti altrove sulla conversione e il battesimo di Costantino.

Conclusioni sulle tradizioni battesimali

In conclusione la letteratura storica tradisce un certo imbarazzo per la versione leggendaria del battesimo di Costantino tramandata negli Actus Silvestri, nonostante l’esigenza prevalente di riabilitare in chiave ortodossa la figura di Costantino e quindi tramandare un battesimo che assicuri l’hereditas fidei. Soltanto Girolamo riconosce apertamente il battesimo ariano ricevuto a Nicomedia per opera del vescovo Eusebio, dato spiegabile con l’esigenza di condannare apertamente gli interventi filoariani dei successori di Costantino. Probabilmente la leggenda non circola ancora quando Ambrogio, Rufino, Agostino, e Orosio forniscono le loro versioni ‘dissimulate’ della conversione dell’imperatore, in qualche caso tacendo completamente del battesimo. Il racconto tramandato dagli Actus è invece sicuramente noto in ambiente romano, come dimostra la fondamentale testimonianza della decretale pseudogelasiana, quando Cassiodoro e Isidoro di Siviglia si trovano a scegliere fra le varie versioni, e ancora optano per quella nicomediense (pur epurata dei riferimenti ariani), storicamente giudicata più attendibile, e come tale riportata dagli storici bizantini Socrate, Sozomeno e Teodoreto. Gelasio di Cizico ed Evagrio riportano la versione nicomediense; in Occidente invece gli Apocrifi Simmachiani, ma soprattutto il Liber Pontificalis, contribuiscono alla diffusione e all’affermazione della narrazione del battesimo a opera di Silvestro. Gregorio di Tours è il primo degli storici latini ad accogliere la leggenda.

In area siriaca si assiste a una precoce diffusione di elementi narrativi presenti anche negli Actus, come il battesimo ortodosso (non attribuito però a Silvestro) di Costantino lebbroso presente nell’omelia di Giacomo di Sarûg, l’intervento esplicito di Silvestro come battista di Costantino nell’opera storica dell’antiocheno Malalas, pur inserito nel contesto di una visio Constantini, nonché la narrazione dell’intera leggenda degli Actus nell’epitome siriaca di Zaccaria il Retore, anteriore al 569.

L’alternanza fra tradizione storica e leggendaria si ricompone poi a favore degli Actus nel IX secolo, quando il battesimo di Silvestro è accreditato in chiave iconodula dalla lettera di Adriano I, tradotta in greco negli atti del concilio di Nicea II. Da allora in poi Oriente e Occidente accolgono definitivamente la versione leggendaria, a discapito di quella storica che dovette attendere le confutazioni di Lorenzo Valla e Niccolò Cusano prima di essere recuperata.

Fonti e ipotesi

Vale la pena di soffermarsi più a fondo sull’area siro-palestinese per un’accurata indagine sulle fonti degli Actus: in questa zona agli inizi del V secolo circolavano tradizioni e leggende che evidenziano importanti paralleli con numerosi elementi strutturali degli Actus Silvestri; in particolare nella Dottrina di Addai e negli Atti di Giuda Ciriaco si trovano temi consonanti con gli Actus: il re malato guarito e convertito da un ‘apostolo del Signore’, la conversione di tutto il regno, polemiche idolatriche, questioni cristologiche, conversione di pagani ed ebrei, tolleranza religiosa, immagini sante, ritrovamento della vera croce, la polemica antigiudaica75. Si tratta, d’altra parte, di costruzioni leggendarie esemplate sul modello veterotestamentario di 2 Re, 5,1-19, in cui il capo dell’esercito degli Aramei, Nàaman, è guarito dalla lebbra dal profeta Eliseo attraverso sette immersioni nelle acque del Giordano. Il tema della lebbra e del sacrificio dei fanciulli si trovano connessi in alcuni mitemi legati all’Esodo, come il commentario medievale all’Esodo di Rashi, in cui il Faraone è colpito dalla lebbra e si vuole purificare con il sangue di fanciulli76.

Negli Atti di Giuda Ciriaco, poi, sono presenti un racconto della scoperta della vera croce molto simile a quello presente negli Actus, il tema della polemica con i giudei e l’attribuzione del battesimo di Costantino a un vescovo romano, in questo caso Eusebio di Roma. Secondo Michel Van Esbroeck la presenza di questo ‘Eusebio di Roma’ potrebbe derivare proprio da una volontà di correzione rispetto ad Eusebio di Nicomedia, ariano, e rispetto a Costantinopoli, di cui fu vescovo lo stesso Eusebio, che era diventata rappresentativa della corrente filoariana grazie ad alcuni imperatori del IV secolo. Tre elementi, quindi (la polemica antigiudaica, la finalità antiariana e la volontà di favorire la sede romana), che riconducono evidentemente agli Actus Silvestri77.

Anche per quanto riguarda la rappresentazione, presente negli Actus, di Elena pene Iudaea, essa non trova altri riscontri in fonti storiche, ed è collegabile probabilmente alla questione sulle origini della madre dell’imperatore. Procopio testimonia che Elena era legata proprio a quella Bitinia da cui scrive la lettera a Costantino, secondo la versione B degli Actus. Ulteriore conforto viene dalla più nota tradizione storica, quella sul lungo pellegrinaggio intrapreso in Palestina dal 326 al 328/329, per visitare i luoghi santi, durante il quale, oltre a distinguersi in numerose opere di beneficenza, la madre dell’imperatore promosse la costruzione della basilica della Natività a Betlemme e di quella dell’Ascensione sul monte degli Ulivi (Eus., v.C. III 42-47)78. Da questa tradizione si sviluppò poi la leggenda che riguarda il ritrovamento delle reliquie della vera croce di Cristo da parte di Elena proprio durante il suo famoso pellegrinaggio, ritrovamento che avrebbe spinto Costantino a innalzare la basilica del Santo Sepolcro: tradizione testimoniata anche dall’appendice narrativa degli Actus, chiamata De inventione sanctae Crucis, che racconta appunto del recupero dei resti della croce da parte di Elena durante il suo viaggio in Terra Santa, intrapreso dopo essersi convertita al cristianesimo in seguito alla disputa fra Silvestro e i dodici rappresentanti del giudaismo. Arnold Ehrhardt invece ha preferito spiegare la descrizione di Elena così come si presenta negli Actus con l’influsso di tradizioni orientali quali quella su un’altra famosa regina, Elena dell’Adiabene, madre del re Izate, convertita al giudaismo79. Elena ‘giudaizzante’ degli Actus Silvestri è risolta quindi nella necessità di trovare un pendant di Costantino per la parte giudaica: «Has she not been brought into the conflict for the purely mechanical reason that the Jews must have an equally exalted sponsor as Sylvester had in the person of Constantine?»80.

La parte riguardante la disputa pubblica e le modalità di risoluzione della stessa trovano importanti analogie con gli Atti di Pietro e Simone, originari probabilmente dell’Asia minore e variamente diffusi dal II secolo in poi: Pietro e Simone ingaggiano una gara di miracoli, in cui Simone (come l’ultimo contendente di Silvestro Zambri, noto per le sue doti di magia) uccide un uomo sussurrandogli all’orecchio, mentre Pietro ottiene la vittoria riportandolo in vita. La disputa fra Silvestro e i giudei si conclude alla stessa maniera, con una gara di virtù sulla capacità di dare e togliere la vita, in cui l’avversario risulta sconfitto perché riesce a uccidere, ma non a resuscitare.

I due testi differiscono nel fatto che negli Actus Zambri sussurra all’orecchio qualcosa di ben preciso, ovvero il ‘Grande Nome’ di YHWH, e nel fatto che Silvestro e Zambri misurano le loro capacità non su un essere umano, ma su un toro. La pronuncia del nome divino all’orecchio del toro con effetti letali è sicuramente di origine giudaica, poiché rimanda a tradizioni, commentari, pratiche magiche di cui si trovano diverse testimonianze, fra le quali la più antica è rappresentata da un passo di Artapano: essa suggerisce peraltro che la figura di Silvestro sia stata costruita sul modello di quella di Mosè, nelle varie tradizioni che lo raffigurano in opposizione al faraone.

Per quanto riguarda la disputa fra Silvestro e i dodici dotti giudei, si riscontrano differenze notevoli fra le tre versioni A, B, e C81. Trascurando C, che è evidentemente frutto di elaborazione posteriore, è possibile constatare che le argomentazioni teologiche presenti sia in A che in B presuppongono la conoscenza degli argomenti dibattuti nell’ambito delle dispute monofisite fra il concilio di Efeso (431) e quello di Calcedonia (451): fra le due A sembra conservare forse maggiormente elementi di una disputa giudaico-cristiana, mentre B appare del tutto assorbita dalle questioni cristologiche dibattute in quel periodo. Le due versioni contengono divergenze tali che sembra difficile supporre una stessa mano alla base della loro composizione. Ma bisogna considerare che questo tipo di letteratura sacra di ambiente romano nasceva già come romanzo storico consapevolmente costruito dal redattore su un piccolissimo nucleo di verità, e per il resto era letterariamente e fantasiosamente integrato; per questo motivo i ritocchi, le modifiche inserite in un secondo momento a scopo edificante non erano considerati interventi del tutto illegittimi. Partendo da questo aspetto della questione Wilhelm Levison preferiva considerare A e B opera dello stesso redattore, che avrebbe scritto successivamente le due versioni, modificando e abbellendo A nella seconda. Levison aveva verificato alcune costanti nelle modalità della narrazione e nel ritmo di chiusura delle frasi, che lo spingevano inoltre a proporre una possibile identificazione dell’autore: uno scrittore della cerchia romana della seconda metà del V secolo, Arnobio il giovane. Lo studioso era confortato in questa supposizione da alcune importanti analogie individuate con le opere di Arnobio (il Commentario ai Salmi, il Praedestinatus, il Conflictus Arnobii et Serapionis, alcune passioni)82, che, considerate complessivamente, risultano avere una certa consistenza.

Nonostante si trovino similitudini importanti con Arnobio sia in A che in B, alcune sono presenti in B, ma non in A. In base a questo Levison svolgeva una serie di considerazioni: se gli elementi sono forse troppo pochi per attribuire gli Actus Silvestri ad Arnobio, si può tuttavia affermare con una certa sicurezza che l’autore degli Actus Silvestri si sia ispirato alle opere di Arnobio nel processo di composizione; se in B ci sono dei parallelismi con Arnobio che non sono presenti in A, gli echi di Arnobio presenti in B non possono derivare tutti da A e quindi hanno un’origine indipendente; ma, poiché Arnobio non era un autore così conosciuto, è difficile supporre che due autori diversi di A e di B ne siano stati influenzati: l’ipotesi più probabile è dunque per Levison che A e B siano opera di uno stesso redattore, che, se non era Arnobio, senza dubbio ne fu fortemente influenzato.

Non bisogna trascurare il fatto che molte delle caratteristiche degli Actus ricorrono in testi piuttosto tardi: ad esempio la risoluzione di una disputa attraverso un miracolo si ritrova nel Dialogo sulla religione alla corte dei Sasanidi (fine V secolo), nella Vita in lingua greca dell’arcivescovo Gregenzio di Tafar, risalente agli inizi del VI, e nell’episodio narrato nella lettera attribuita a Severo, vescovo di Minorca; mentre, per l’idea del dibattito pubblico si trovano analogie nel Dialogo di Papisco e Filone con un monaco, in cui la disputa avviene alla presenza dei seguaci di entrambe le religioni, nella pseudoagostiniana Altercatio Aecclesiae et Synagogae, dove i censori di Roma assistono alla discussione fra i due personaggi allegorici della Chiesa e della Sinagoga, e nel testo antigiudaico I Trofei di Damasco, scritto a cavallo fra VII e VIII secolo in ambiente siriano, che rappresenta alcuni dotti giudei, scelti per affrontare la discussione con un monaco; i giudici pagani compaiono negli Atti di Archelao di Egemonio e nel Dialogo di Adamanzio sulla retta fede in Dio, entrambi tradotti in latino alla fine del IV secolo, e nel Dialogo sulla religione alla corte dei Sasanidi, probabilmente della fine del V.

In ogni caso non è possibile stabilire dipendenze precise dall’una o dall’altra opera, ma si può constatare la presenza diffusa di alcuni nuclei narrativi in un certo tipo di letteratura, il che consente di restituire gli Actus Silvestri a un contesto di produzione e circolazione di opere con caratteristiche simili. Se negli ultimi testi citati si riconoscono somiglianze generiche, i primi (Atti di Giuda Ciriaco, Dottrina di Addai, Atti di Pietro e Simone) contengono analogie più stringenti e abbondanti, e inducono a pensare a un’origine orientale, sia per quanto riguarda l’intenzione di sostituire Eusebio di Nicomedia con un vescovo di Roma, sia per molte delle idee narrative presenti nel testo. In particolare il fatto che negli Atti di Giuda Ciriaco si trovino connessi un episodio di confronto con i giudei, la storia del ritrovamento della croce e il battesimo di Costantino per opera di un vescovo romano (che fa pensare a un’intenzione antiariana) inducono a supporre che anche negli Actus questi motivi fossero originariamente compresenti, e ne costituissero direi lo scheletro iniziale, su cui poi vennero a sovrapporsi tutte le altre parti progressivamente. Questa ipotesi naturalmente scardina alcune di quelle avanzate dalla critica recente, le quali tendono a considerare il testo come la giustapposizione di tre sezioni originariamente indipendenti: quella riguardante la nascita e le virtù di Silvestro, quella definita conversio Constantini e la terza sulla altercatio fra Silvestro e i giudei. Il pregio fondamentale di questa ricostruzione è che alcuni degli elementi solitamente considerati in contraddizione fra loro (ovvero il richiamo ad alcune tradizioni orientali e l’importanza conferita alla sede romana), che hanno prodotto circa un secolo di dibattiti nella critica storica fra i sostenitori dell’origine orientale e quelli che invece propendono per un’origine occidentale dell’opera, sarebbero così ricomposti in un quadro coerente.

Considerati insieme, questi dati sembrerebbero comprovare la genesi orientale dei nuclei originari degli Actus Silvestri, rendendo difficile rintracciare la strada attraverso cui tutte queste tradizioni sarebbero state utilizzate e adattate in una leggenda allo stesso tempo così tipicamente occidentale. È infatti dimostrato che la redazione più antica degli Actus, A, era scritta in latino e presenta anche caratteristiche prettamente romane. In conclusione è possibile affermare che quello che noi possediamo degli Actus Silvestri è già il risultato di una lunga tradizione orale e del suo adattamento al contesto romano.

Probabilmente può essere recuperato il suggerimento di Levison riguardante Arnobio il giovane. Oltre ai dati relativi alla disputa, la lettura della sua opera suggerisce ulteriori osservazioni: è interessante il fatto che anche nel dibattito narrato da questo autore (la disputa fra Arnobio e Serapione) sono presenti giudici che fungono da garanti esterni e che pronunciano un giudizio sui ragionamenti delle due parti. Inoltre Arnobio definisce i suoi avversari, rappresentati poi dal solo Serapione, discepoli di Iamne e di Mambre, antichi maestri egiziani: proprio a queste figure è possibile connettere quella di Zambri della dodicesima altercatio, la quale sembra riproporre, trasfigurata, la gara di miracoli fra Mosè e i due avversari egiziani83. Inoltre è stato osservato, a proposito della disputa di Arnobio, che essa può essere stata suggerita all’autore da una pratica diffusa nel periodo di composizione dell’opera. Stessa cosa potrebbe dirsi per l’altercatio degli Actus Silvestri. Infine deve essere considerato il fatto che la disputa di Arnobio mira evidentemente a sostenere la sede romana e la linea dottrinale di Leone Magno, per difenderla dall’accusa di abbracciare una cristologia divisiva alla maniera di Nestorio, e allo stesso tempo per dimostrare quanto essa sia coincidente con quella alessandrina: questo dato ci riconduce al particolare interesse che gli Actus dimostrano per la difesa del primato della sede romana la sua valorizzazione attraverso la figura di Silvestro.

In sostanza l’attribuzione ad Arnobio della redazione latina A degli Actus può essere ipotizzata solo molto cautamente, non disponendo di dettagliate notizie sull’autore e di prove letterarie più consistenti. Le forti consonanze con la leggenda costringono però a considerare seriamente questa ipotesi, tenendo conto del fatto che l’epoca e il luogo di composizione devono essere stati in ogni caso a lui molto vicini: Roma, metà del V secolo, probabilmente un monaco, con una profonda conoscenza di tradizioni giudaiche e orientali, derivatagli forse dalle sue stesse origini. D’altra parte nella stessa leggenda la vita di Silvestro è segnata dall’incontro con due cristiani giunti a Roma da Oriente: Timoteo di Antiochia, e il vescovo Eufrosino.

Si tratta di letteratura composta a edificazione dei fedeli, e non è improbabile che potesse scaturire da un ambiente legato alla memoria di Silvestro, come poteva essere la Chiesa di S. Silvestro e S. Martino ai Monti, ex titulus Equitii, la cui istituzione fu promossa dallo stesso pontefice e che proprio alla fine del V secolo fu restaurata e valorizzata in concomitanza con la rivitalizzazione del culto di Silvestro da parte di papa Simmaco: letteratura edificante, quindi, spiccatamente orientata però in senso filoromano, e di conseguenza con un aspetto politico importante per il quale finì per prevalere sulla tradizione storica, condizionando gli esiti del lungo dibattito ideologico fra auctoritas sacrata pontificum e saecularis potestas.

1 Riguardo alla collocazione cronologica della leggenda conosciuta a Roma con il nome di Actus Silvestri ci si può orientare in un arco di tempo non più ampio di un secolo circa. Infatti possono essere considerati come terminus post quem il Chronicon di Girolamo e tutto il periodo della polemica anticostantiniana della Chiesa, e come terminus ante quem la decretale di Gelasio della fine del V secolo, dove gli Actus sono citati per la prima volta. Recentemente ha ritenuto probabile un’origine alla fine del IV secolo W. Pohlkamp, Tradition und Topographie: Papst Silvester I. (314-335) und der Drache vom Forum Romanum, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und für Kirchengeschichte, 78 (1983), pp. 1-100; Id., Kaiser Konstantin, der heidnische und die christliche Kult in den Actus Sylvestri, in Frühmittelalterliche Studien, 18 (1984), pp. 357-400 e Id., Textfassungen, literarische Formen und geschichtliche Funktionen der römischen Silvester-Akten, in Francia. Forschungen zur Westeuropäischen Geschichte, 19,1 (1992), pp. 117-196; Arthur Lincoln Frothingham e Arnold Ehrhardt avevano proposto invece la prima metà del secolo (A.L. Frothingham, L’omelia di Giacomo di Sarûg sul battesimo di Costantino imperatore, in Memorie della classe di scienze morali e storiche dell’Accademia dei Lincei, 8 (1883), pp. 167-242, e A. Ehrhardt, Constantine, Rome and the Rabbis, in Bullettin of the John Rylands Library, 42 (1959-1960), pp. 288-312). Propensi per una datazione più bassa sono stati Franz Joseph Dölger, Wilhelm Levison e Raymond Joseph Loenertz (F.J. Dölger, Der Taufe Konstantins und ihre Probleme, in Konstantin der Grosse und seine Zeit, hrsg. von F.J. Dölger, Freiburg 1913, pp. 337-447; W. Levison, Konstantinische Schenkung und Silvester-legende, in Miscellanea Francesco Ehrle. Scritti di storia e paleografia, II, Roma 1924, pp. 159-247, ristampato in W. Levison, Aus rheinisches und fränkischer Frühzeit, Düsseldorf 1948, pp. 390-465; R.J. Loenertz, Actus Silvestri. Genèse d’une légende, in Revue d’Histoire Ecclésiastique, 70 (1975), pp. 426-39). Quest’ultimo ha proposto che la leggenda sia stata dapprima parzialmente elaborata nella prima metà del IV secolo e poi sia stata corredata di tutti gli elementi riguardanti la vita di Silvestro nella prima metà del VI, sotto l’impulso della canonizzazione del papa e della fortuna che aveva in quel periodo il titulus Equitii. Per quanto riguarda la collocazione geografica, propendono per un’origine occidentale J.J. von Döllinger, Die Papstfabeln des Mittelalters. Ein Beitrag zur Kirchengeschichte, München 1863; A. Graf, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio evo, 2 voll., Torino 1915; V. Burch, Myth and Constantine the Great, Oxford 1927; A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West: Sources and Hagiographic Commemoration, in Studi medievali, 16 (1975), pp. 43-95, e J.H. Lavagne, Triomphe et baptême de Constantin. Recherche iconographique à propos d’une mosaïque médiévale de Riez, in Journal des Savants, 3 (1977), pp. 164-190; riconducono, invece, a Oriente elementi importanti della leggenda A. Frothingham, L’omelia di Giacomo di Sarûg, cit.; L. Duchesne, Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire, I-II, Paris 1886-1892; C.B. Coleman, Constantine the Great and Christianity. Three Phases: the Historical, the Legendary, the Spurious, New York 1914; H. Leclercq, s.v. Constantin, in Dictionaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, 3/2, 1948, pp. 2622-2695; E. Ewig, Das Bild Constantins des Grossen in den ersten Jahrhunderten des abendländischen Mittelalters, in Historisches Jahrbuch, 75 (1956), pp. 1-46; e F. Parente, Qualche appunto sugli Actus beati Silvestri, in Rivista Storica Italiana, 90 (1978), pp. 878-897; Augusto Fraschetti ha recentemente valorizzato gli elementi che nella leggenda indicano la volontà da parte del redattore di collocare la narrazione in ambiente romano: A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, p. 114; ultimamente si è occupato in particolare della sezione degli Actus definita conversio Constantini Vincenzo Aiello, proponendo di individuarne l’origine nella reazione cattolica alle polemiche pagane anticostantiniane rivitalizzate dopo il 410 (cfr. V. Aiello, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), I, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1992, pp. 17-58, e Id., Cronaca di un’eclisse: osservazioni sulla vicenda di Silvestro I vescovo di Roma, in Il Tardoantico alle soglie del 2000. Diritto religione società, Atti del quinto Convegno nazionale dell’associazione di studi tardoantichi (Genova 3-5 giugno 1999), a cura di G. Lanata, (Genova 2000, pp. 229-248); fondamentale anche G. Fowden, The Last Days of Constantin: Oppositional Versions and Their Influence, in Journal of Roman Studies, 84 (1994), pp. 146-170; un’utilissima sintesi dello status quaestionis in F. Scorza Barcellona, s.v. Silvestro I, in Enciclopedia dei Papi, I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2000, pp. 321-333; gli ultimi interventi sull’opera si devono a G. Bonamente, Sull’ortodossia di Costantino. Gli Actus Sylvestri dall’invenzione all’autenticazione, in Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 6 (2004), pp. 1-46; T. Canella, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006: in questa monografia, tutta dedicata all’analisi del testo agiografico, si pone in questione il discorso dei nuclei originari e delle successive riscritture, prendendo in esame e riportando in appendice alcuni manoscritti delle tre versioni principali.

2 Hier, chron. a. Abr. 2395, a. 337, ed. R. Helm, p. 234: «Constantinus extremo vitae suae tempore ab Eusebio Nicomediensi episcopo baptizatus in Arrianum dogma declinat. A quo usque in praesens tempus ecclesiarum rapinae et totius orbis est secuta discordia», da confrontare con Eus., v.C. IV 61 segg. Si vedano R.W. Burgess, Jerome Explained: An Introduction to his Chronicle and a Guide to its Use, in Ancient History Bulletin, 16 (2002), p. 9; Id., Chronicles, Consuls, and Coins: Historiography and History in the Later Roman Empire, London 2011, papers IX and X.

3 Si veda Aug., un. bapt., 27,30; se ne trova un’allusione anche in Epistula concilii Romani ad Gratianum et Valentinianum imperatores, contenuta in Mansi 3, c. 627b.

4 Concilium Arelatense a. 314, Epistula ad Silvestrum, a cura di C. Munier, Turnholti 1963 (CCh. SL, 148), pp. 4-6; su Nicea si veda Patrum Nicaenorum nomina latine graece coptice syriace arabice armeniace, in Scriptores sacri et prophani, II, hrsg. von H. Gelzer, H. Hilgenfeld, O. Cunz, Lipsiae 1898, pp. LX, 3, 61, 79, 119, 187; Eus., v.C. III 7,2 suggerisce che Silvestro non si poté recare a Nicea per l’età avanzata; non c’è alcun riferimento diretto a Silvestro, bensì alla sede romana nel periodo in cui era da lui retta, in una lettera sinodale di dubbia autenticità dei vescovi riuniti in una sinodo ad Antiochia nel 325 (anch’essa oggetto di grossa discussione), su cui si veda Synodus Antiochena (circa anno 324), Epistula Synodica, in Gesammelte Schriften, III, hrsg. von E. Schwartz, Berlin 1959, pp. 136-143 (testo siriaco e retroversione greca); precedentemente Littérature canonique syriaque inédite, in Revue de l’Orient Chrétien, 14 (1909), éd. par F. Nau, pp. 13-16 (trad. francese), pp. 16-24 (testo siriaco). Sulla funzione svolta dai due presbiteri di Silvestro a Nicea si veda Thdt, h.e. I 7,3.

5 Si veda soprattuto F. Scorza Barcellona, s.v. Silvestro I, cit., pp. 321-332, e anche il contributo di V. Aiello, Cronaca di un’eclisse, cit., pp. 229-248.

6 T. Canella, Gli Actus Silvestri, cit., pp. 1 e segg.

7 In particolare il primo a riconoscere la falsità del Constitutum Constantini, costruito sulla leggenda degli Actus Silvestri, fu Niccolò Cusano, in un’opera presentata al concilio di Basilea nel 1433 (De concordantia catholica), seguito poco dopo da Lorenzo Valla (1440) e dal vescovo inglese Reginald Peckock (1449). Si veda M. Regoliosi, G.M. Vian, Valla e la donazione di Costantino tra storia e apologia, in Cristianesimo nella storia, 3 (2007), pp. 67 segg.

8 Come testimonia la Decretale pseudogelasiana, su cui si veda infra.

9 Con tutta probabilità il titulus Equitii era originariamente legato al culto di Silvestro, se, come attestano il Fragmentum Laurentianum e gli atti della sinodo romana del 595, poteva essere denominato anche Sanctus Silvester: può costituirne una conferma il ritrovamento di una lampada della seconda metà del V secolo, dedicata a Sanctus Silvestrius, nel giardino dell’attuale chiesa di S. Martino ai Monti. Si veda F. Scorza Barcellona, s.v. Silvestro I, cit., p. 327.

10 Depositio Episcoporum, in L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, I, cit., p. 10.

11 H. Delehaye, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronymianum ad recensionem H. Quentin, in Acta Sanctorum Novembris, II, pars posterior, Bruxelles 1931, pp. 16-17 (31 gennaio); H. Quentin, Les Martyrologes historiques du Moyen-âge, Paris 1908, pp. 56, 451, 469, 471, 626; H. Delehaye, Martyrologium Romanum ad formam editionis typicae, scholiis historicis instructum, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Decembris, Bruxelles 1940, p. 610; BHL 7725-7743 Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Novembris, éd. par H. Delehaye, Bruxelles 1900, cc. 365 (2 gennaio).

12 F. Scorza Barcellona, s.v. Silvestro I, cit., p. 331.

13 Entrambi manifesto di opposizione alla politica imperiale: i primi a quella di Federico II, i secondi a quella di Federico I. Cfr. V. Aiello, Aspetti del mito di Costantino in Occidente. Dalla celebrazione agiografica alla esaltazione epica, in Annali della Facoltà di Lettere di Macerata, 21 (1988), pp. 87-116.

14 L’obelisco proviene da Tebe in Egitto, ed era stato portato a Roma per volontà dell’imperatore Costanzo II nel 357, eretto in un primo tempo sulla spina del Circo Massimo. Fu poi ritrovato in tre pezzi nel 1587, restaurato e collocato dove è attualmente nel 1588 per volontà di Sisto V, evidentemente in opposizione alla cultura umanistica e protestante, che in quel periodo ricordava e valorizzava la tradizione storica del battesimo di Costantino.

15 Boninus Mombritius, Sanctuarium sive Vitae Sanctorum, novam hanc editionem curaverunt duo monachi solesmenses, H. Quentin et A. Brunet, Paris 1910, (rist. anast.), Hildesheim-New York 1978, da Boninus Mombritius, Sanctuarium sive Vitae Sanctorum collecta ex codicibus mss., Mediolani, circa 1475; ora in P. De Leo, Ricerche sui falsi medievali, I, Il “Constitutum Constantini”: compilazione agiografica del sec. VII. Note e documenti per una nuova lettura, Reggio Calabria 1974, pp. 153-221, in partic. 132 segg. Sui rapporti fra il testo di Mombrizio e la versione C cfr. W. Pohlkamp, Tradition und Topographie, cit., p. 68 nota 77 e p. 92 nota 324.

16 Historia Ecclesiastica Zachariae Rhetori vulgo adscripta, edidit E.W. Brooks, Parisiis 1919, (CSCO 83, Scriptores Syri, series tertia 5) (testo siriaco), pp. 56-93 e Historia Ecclesiastica Zachariae Rhetori vulgo adscripta, edidit E.W. Brooks, Lovanii 1924 (traduzione latina), pp. 39-65, in partic. 39.

17 W. Levison, Konstantinische Schenkung, cit., p. 169.

18 Si tratta della Disputatio Christianorum et Iudaeorum, olim Romae habita, coram imperatore Constantino cum Praefatione Georgij Vuicelij, su cui F. Parente, Qualche appunto sugli Actus beati Silvestri, cit., pp. 884-885.

19 Sul problema del rapporto fra i testi agiografici ‘originali’ e le loro varianti, e sulla costante opera di ‘riscrittura’ del prodotto agiografico, si può far riferimento alle pubblicazioni fondamentali di Sofia Boesch Gajano, di Guy Philippart e di François Dolbeau: S. Boesch Gajano, Le metamorfosi del racconto, in Lo spazio letterario di Roma antica, III, La ricezione del testo, a cura di G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Roma 1990, pp. 217-243; G. Philippart, Le manuscrit hagiographique latin comme gisement documentaire. Un parcours dans les “Analecta Bollandiana”, in Manuscrits hagiographiques et travail des hagiographes, éd. par M. Heizelmann, Sigmaringen 1992, pp. 17-48; F. Dolbeau, Les hagiographes au travail: collecte et traitement des documents écrits (Xe-XIIe siècles), in Manuscrits hagiographiques, cit., pp. 49-76; G. Philippart, Pour une histoire générale, problématique et sérielle de la littérature et de l’édition hagiographique latines de l’antiquité et du moyen âge, in Cassiodorus, 2 (1996), pp. 197-213, in partic. 207 segg.; S. Boesch Gajano, L’agiografia, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra Tarda Antichità e Alto Medioevo, Atti della XLV Settimana di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 3-9 aprile 1997), Spoleto 1998, pp. 797-843, in partic. 805-810, in cui le difficoltà delle edizioni critiche dei testi agiografici portano l’autrice a propendere «verso un’interpretazione ‘individualizzata’ di ciascuna versione e dunque per l’attribuzione di un’identità ‘debole’ a un testo presunto originario, e di un’identità ‘forte’ a ciascuna riscrittura» (ivi, p. 808).

20 «La devozione verso Dio, adorato e venerato dall’uomo con l’anima e con sentimento sincero, deve essere spontanea. Anche in questo infatti si manifesta che è il vero Dio, perché per tanti secoli non si è scagliato, adirato, contro coloro che lo disprezzavano, ma Lui, che dovrebbe essere adorato, si è dimostrato benevolo, dimostrando indulgenza verso i crimini e conferendo salvezza alle anime e ai corpi». L’edizione citata è quella di Boninus Mombritius, Sanctuarium sive Vitae Sanctorum, cit., in P. De Leo, Ricerche sui falsi medievali, cit., pp. 172-173, ll. 605-628.

21 La collocazione della disputa nel 315 costituisce un’incongruenza con la parte precedente degli Actus, definita conversio Constantini, datata dopo il 324. Su questo problema, che, insieme ad altri, ha portato a supporre nel testo una giustapposizione di sezioni originariamente indipendenti, cfr. T. Canella, Gli Actus Silvestri, cit., pp. 32-46.

22 Ora leggibile in BHL 7735 e 4165.

23 W. Pohlkamp, Textfassungen, cit., pp. 184 segg.

24 W. Levison, Konstantinische Schenkung, cit., pp. 174 segg.

25 Si faccia riferimento a V. Neri, Medius Princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Bologna 1992; R. Lizzi Testa, Alle origini della tradizione pagana su Costantino e il senato romano (Amm. 21, 10, 8 e Zos. 2, 32, 1), in Transformations of Late Antiquity. Essays for Peter Brown, ed. by P. Rousseau, M. Papoutsakis, Farnham-Burlington 2009, pp. 85-128.

26 Sul tono ostile del Chronicon di Girolamo, sull’anticostantinianesimo presente in maniera velata in Ossio di Cordova ed esplicitamente in Lucifero di Cagliari si veda V. Aiello, Costantino, la lebbra, cit., pp. 38-44 e bibliografia relativa. Di poco posteriore un altro intervento di Aiello sulla notizia geronimiana: Id., La fortuna della notizia geronimiana su Costantino «eretico», in Messana, 13 (1992), pp. 221-237.

27 Hil., op.hist.frg. 5,1,1, CSEL 65,79, e op.hist.frg. A 7,1, CSEL 65,89. Cfr. K. Rosen, Ilario di Poitiers e la relazione tra la chiesa e lo stato, in I Cristiani e l’Impero nel IV secolo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico, Atti del Convegno (Macerata 17-18 dicembre 1987), a cura di G. Bonamente, A. Nestori, Macerata 1988, pp. 63 segg.; M. Simonetti, s.v. Liberio, in Enciclopedia dei Papi, I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2000, pp. 341 segg.; K.M. Girardet, Kaisertum, Religionspolitik und das Recht von Staat und Kirche in der Spätantike, Bonn 2009, pp. 295 segg.

28 Mansi 12, cc. 1055 segg. (a. 787). Il passo che riprende e riassume gli Actus è molto lungo; se ne riporta solo un estratto esemplare: «Ex eo enim quo Christi Dei nostri ecclesiae tempore quietis et pacis apertae sunt fores, hactenusque depictae ecclesiae imaginibus sunt ornatae, beato atque sanctissimo papa Silvestro testante».

29 Epistolae Romanorum Pontificum, rec. A. Thiel, Brunsbergae 1868, 42,4, p. 462 e PL 59, cc. 173-174: «Poi gli Actus del beato Silvestro, capo della sede apostolica, anche se si ignora il nome di colui che li ha scritti, tuttavia sappiamo che erano letti da molti fedeli cattolici in Roma, e molte chiese, secondo un’antica abitudine, fanno la stessa cosa». L. Duchesne (Étude sur le Liber Pontificalis, Paris 1877, p. 167) e A. Frothingham (L’Omelia di Giacomo di Sarûg, cit., p. 172) hanno interpretato il pro antiquo usu della Decretale gelasiana come indizio che la leggenda fosse letta ufficialmente in altre chiese prima che a Roma, dove circolava solo in forma privata.

30 Fragmentum Laurentianum, rec. T. Mommsen, in MGH GPR I, p. IX, ll. 12-14, 25. La chiesa fondata da Simmaco è definita basilica Sanctorum Silvestri et Martini in L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, cit., p. 262. Fondamentale a questo proposito lo studio di E. Coccia, Il titolo di Equizio e la basilica dei SS. Silvestro e Martino ai Monti, in Rivista di Archeologia Cristiana, 39 (1963), pp. 237-238.

31 Sullo scisma laurenziano cfr. T. Sardella, Società Chiesa e Stato nell’età di Teoderico. Papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Catania 1996.

32 Probabilmente la leggenda di Silvestro era stata accolta dagli Apocrifi Simmachiani perché sanciva l’indipendenza della Chiesa dal potere statale, come sostiene V. Aiello, Costantino, la lebbra, cit., p. 57. Sugli Apocrifi Simmachiani cfr. S. Vacca, Prima Sedes a nemine iudicatur. Genesi e sviluppo storico dell’assioma fino al Decreto di Graziano, Roma 1993, in partic. pp. 33-78; fondamentale anche come edizione più recente degli apocrifi E. Wirbelauer, Zwei Päpste in Rom: der Konflikt zwischen Laurentius und Symmachus (498-514). Studien und Texte, München 1993. Per le accuse mosse a Simmaco si veda Fragmentum Laurentianum, cit.

33 E. Wirbelauer, Zwei Päpste in Rom, cit., pp. 228 segg.

34 «Mentre gran parte dell’aristocrazia gioiva del fatto che Costantino fosse stato battezzato e guarito dalla lebbra dal vescovo di Roma Silvestro, l’imperatore grazie a questo beneficio, ricevuto dal Signore Gesù Cristo attraverso il vescovo Silvestro, cominciò a predicare integralmente il Signore Gesù Cristo e a confessare i suoi benefici».

35 I Gesta Liberii si possono leggere in P. Coustant, Epistulae Romanorum Pontificum, Paris 1721, Appendice, pp. 89 segg.; in PL 8, cc. 1388-1393 e nell’edizione ultima di E. Wirbelauer, Zwei Päpste in Rom, cit., pp. 248-260.

36 Ivi, pp. 248, 250, 256, 260.

37 Acta Sanctorum augusti III 14, p. 167, pubblicato in S. Baluze, Miscellanea sacra, Vicenza 1761, II, p. 497.

38 L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, cit., Passio sancti Felicis pontificis et martyris, p. 211.

39 Ivi, pp. CXIV-CXX.

40 «Questi [scil. Silvestro] fu mandato in esilio sul monte Soratte, ma subito dopo, tornato gloriosamente, battezzò Costantino Augusto, che il Signore aveva guarito dalla lebbra, per sfuggire alla persecuzione del quale, come è noto, si era recato in un primo tempo in esilio». L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, cit., Silvester, p. 170. Sui rapporti di dipendenza della Vita Silvestri nel Liber Pontificalis dal Constitutum Silvestri (o dalla cosiddetta sinodo dei 275 vescovi) si veda ivi, pp. CXXXVII-CXL. L’autore del Liber Pontificalis ha disseminato fra le notizie sui papi Evaristo, Vittore, Zefirino, Silvestro, Siricio, Bonifacio, norme che documenti anteriori (appunto il Constitutum Silvestri e il suo rifacimento laurenziano, detta sinodo dei duecentose

41 PL 30, cc. 234-235.

42 L. Duchesne, Étude sur le Liber Pontificalis, cit., p. 147.

43 Su cui M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda verità, Stuttgart 2005, pp. 74 segg.

44 Ambr., obit. Theod. 40,8: «Cui [scil. Constantino] licet baptismatis gratia in ultimis costituto omnia peccata dimiserit, tamen quod primus imperatorum credidit et post se hereditatem fidei principibus dereliquit, magni meriti locum repperit». Su Ambrogio si veda G. Bonamente, Potere politico ed autorità religiosa nel “De obitu Theodosii” di Ambrogio, in Studi storici in onore di p. Ilarino da Milano, Roma 1979, pp. 83-133; R. Teja, L’influenza di Sant’Ambrogio e la formazione dell’interpretazione cristiana di Costantino, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, I, cit., pp. 109 segg., e M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande, cit., pp. 77 segg.

45 Ivi, pp. 80 segg.

46 Aug, civ. V 25,238: «diu imperavit, universum orbem Romanum unus Augustus tenuit et defendit; in administrandis et gerendis bellis victoriosissimus fuit, in tyrannis opprimendis per omnia prosperatus est, grandaevus aegritudine et senectute defunctus est, filios imperantes reliquit». Cfr. S. D’Elia, Storia e teologia della storia nel “De civitate Dei”, in La storiografia ecclesiastica nella tarda antichità, Atti del convegno di Erice (Erice 3-8 dicembre 1978), Messina 1980, pp. 391-481, in partic. 451 segg.; su Orosio cfr. N. Baglivi, Costantino I nelle “Historiae adversus paganos” di Paolo Orosio, in Orpheus, 9 (1989), pp. 13 segg. Su questo movimento di rivalutazione della vicenda costantiniana cfr. V. Aiello, Costantino, la lebbra, cit., pp. 46-48.

47 Greg. Tur., Franc. II 31, in MGH SRM I², p. 77, in cui confronta il battesimo di Costantino con quello di Clodoveo (chiamato novus Constantinus): «Procedit [Chlodovaeus] novus Constantinus ad lavacrum, deleturus leprae veteris morbum, sordentesque maculas gestorum antiquorum recenti latice deleturus […]. Erat enim sanctus Remigius […] sanctitate ita prelatus, ut Silvestri virtutibus aequaretur».

48 Isid., chron. VII.

49 Cassiod., hist. III 12 riunisce le notizie raccolte in Socr., h.e. I 38-40, Thdt, h.e. I 30 e Soz., h.e. II 34,1. Cfr. in particolare V. Aiello, Cassiodoro e la tradizione su Costantino, in Cassiodoro. Dalla corte di Ravenna al Vivarium di Squillace, Atti del Convegno internazionale di studi (Squillace 25-27 ottobre 1990), a cura di S. Leanza, Squillace 1993, pp. 131-57.

50 Aldelmo, De laudibus virginitatis XXV, in MGH AA XV 1, pp. 257-260. Cfr. A. Coen, Di una leggenda relativa alla nascita e alla gioventù di Costantino Magno, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, 4/3 (1881), pp. 275 segg.

51 Beda, Chronicon, PL 90, basti citare la c. 556: «Constantinus de persecutore Christianus efficitur [...] Constantinus fecit Romae, ubi baptizatus est, basilicam»

52 Sul Constitutum in generale si vedano W. Levison, Konstantinische Schenkung, cit., pp. 158-247. P. De Leo, Ricerche sui falsi medioevali, cit., il quale avanza l’ipotesi che la leggenda sia opera di un monaco greco rifugiatosi a Roma al tempo della lotta iconoclasta, probabilmente operante nel monastero romano di S. Silvestro in capite; G.M. Vian, La donazione di Costantino, Bologna 2004; M. Regoliosi, G.M. Vian, Valla e la donazione di Costantino tra storia e apologia, cit.

53 Edizione di H. Fuhrmann, in Fontes Iuris Germanici Antiqui, MGH X, Hannover 1968, pp. 79 segg., ll. 1-306.

54 Das Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., ll. 50-153.

55 P. Jaffé, Regesta Pontificum Romanorum, Berlin 1851, p. 2423 (a.778).

56 Ibidem.

57 Soz., h.e. I 5,1-5: Sull’interpretazione del passo si veda F. Paschoud, Zosime 2, 29 et la version païenne de la conversion de Constantin, in Historia, 20 (1971), ora in Id., Cinq études sur Zosime, Paris 1975, pp. 29-32; Id., Zosime. Histoire Nouvelle, I, Paris 1971, pp. 220-221; V. Aiello, Costantino, la lebbra, cit., pp. 49-51; M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, I, cit., pp. 77 segg.

58 Zos., II 29,2-5. Sulle diverse interpretazioni del capitolo si vedano F. Paschoud, Zosime 2, 29 et la version païenne de la conversion de Constantin, cit., pp. 24-62; L. Cracco Ruggini, Simboli di battaglia ideologica nel tardo ellenismo, in Studi in onore di Ottorino Bertolini, Pisa 1972, pp. 177-300, in partic. 208-210 nota 61; V. Aiello, Costantino, la lebbra, cit., pp. 17-58, in partic. 28-34; F. Paschoud, Ancora sul rifiuto di Costantino di salire al Campidoglio, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, I, cit., pp. 737-749; A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, cit., pp. 9-47 e 124.

59 Ma rapporti diretti fra gli Actus e Zosimo, nel senso che Zosimo possa aver rielaborato e risposto nella sua Storia alla narrazione degli Actus, sono stati esclusi già da W. Pohlkamp, Kaiser Konstantin, cit., pp. 389-391. Al contrario, il redattore degli Actus potrebbe aver conosciuto le versioni pagane del battesimo di Costantino e ad esse aver voluto rispondere: cfr. V. Aiello, Costantino, la lebbra, cit., pp. 52-57. Probabilmente sia Sozomeno che Zosimo utilizzano come fonte il perduto Eunapio di Sardi: cfr. A. Baldini, Ricerche sulla storia di Eunapio di Sardi, Bologna 1984; F. Paschoud, Les fragments de l’ouvrage historique d’Eunape correspondant aux deux premiers livres de l’Histoire nouvelle de Zosime, in Mélanges Fontaine. De Tertullien aux Mozarabes, I, Paris 1992, pp. 613-625; A. Baldini, Il filosofo Sopatro e la versione pagana della conversione di Costantino, in Simblos. Scritti di storia antica, a cura di L. Criscuolo, G. Geraci, C. Salvaterra, Bologna 1995, pp. 265-286; G. Fowden, The Last Days of Constantine, cit., pp. 146-170.

60 La tradizione del battesimo cercato da Costantino a espiazione di delitti efferati risale a suo nipote Giuliano, il quale nel De Caesaribus accusa apertamente lo zio di essersi convertito al cristianesimo e di aver voluto il battesimo per ottenere il perdono per le uccisioni del figlio Crispo e della moglie Fausta, perpetrate nel 326. J. Straub, Regeneratio Imperii. Aufsätze über Roms Kaisertum und Reich im Spiegel der heidnischen und christlichen Publizistik, Darmstadt 1972, p. 108, F. Paschoud, Cinq études sur Zosime, cit., pp. 32-35, e G. Bonamente, Eutropio e la tradizione pagana su Costantino, in Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli, Macerata 1978, p. 37, hanno proposto di individuare la genesi di questa tradizione che collega battesimo e delitti di Costantino nei Caesares. La notizia riguardante le uccisioni di Crispo e Fausta, non legate però al battesimo, è presente in altre fonti pagane (cfr. Aur. Vict., Caes. 41,11; Eutr., X 6,3; Amm., XIV 11,20), e anche cristiane (cfr. Hier., vir ill. 80 e chron. a. 325), probabilmente dipendenti da una fonte comune (forse la Enmanns Kaisergeschichte, su cui R.W. Burgess, On the Date of the Kaisergeschichte, in Classical Philology, 90 (1995), pp. 111-128, e B. Bleckmann, Überlegungen zur Enmannschen Kaisergeschichte und zur Formung historischer Traditionen in der Tetrarchischen und Konstantinischen Zeit, in Historiae Augustae Colloqium Bonnense, Atti del Convegno sulla Historia Augusta (Bonn 12-15 mai 1994), a cura di G. Bonamente, K. Rosen, Bari 1997, pp. 11-27).

61 Phot., Bibliotheca, cod. 88, 67a 11-67a 16. Cfr. R.-J. Loenertz, Actus Silvestri. Genèse d’une légende, cit., p. 429.

62 Evagr., h.e. III 40-41, su cui M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande, cit., pp. 103 segg.

63 Su cui si veda infra, paragrafo successivo e nota 69.

64 Malal., Chron. XIII, in CSHB 24, pp. 316-317.

65 Leont., PG 86, c. 1835.

66 Theoph. Conf., Chron. XXXIII 17-22, in CSHB 1, pp. 19, 24, 25.

67 PG 100, c. 646.

68 Si veda la traduzione redatta da A. Frothingham, L’omelia di Giacomo di Sarûg, cit., pp. 197-216. Si veda anche L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, I, cit., pp. CXVII-CXVIII.

69 J.P.N. Land, Anecdota Siriaca, III, cit., pp. 46-76.

70 Si tratta del codice London, British Museum, Add. 12, f. 174r., di cui si trova notizia in A. Frothingham, L’omelia di Giacomo di Sarûg, cit., p. 184.

71 Su Dionigi di Tell Mahre si veda S.H. Griffith, in The Oxford Dictionary of Byzantium, I, New York-Oxford 1991, pp. 628-629. La cronaca attribuita a Dionigi di Tell Mahre si trova edita da J.-B. Chabot, Chronique de Denys de Tell Mahre, quatrième partie, Paris 1895; e Id., Incerti auctoris Chronicon Pseudo-Dionysianum vulgo dictum, 2 voll., in CSCO 91, 104, 121, Paris 1927-1933, Louvain 1949-1952, con traduzione latina. Il terzo libro, che è una trascrizione della seconda parte della Storia Ecclesiastica di Giovanni di Efeso, è edito e tradotto in francese da F. Nau, Analyse de la seconde partie inédite de l’Histoire Ecclésiastique de Jean d’Asie, in Revue de l’Orient Chrétien, 2 (1987), pp. 41-68.

72 L. Duchesne, Le Liber Pontificalis I, cit., pp. 117-118; A. Frothingham, L’omelia di Giacomo di Sarûg, cit., p. 182.

73 Cfr. C. Vogel, Histoire du liber Pontificalis depuis l’édition de Duchesne, Paris 1957, p. 57.

74 A. Ehrhardt, Constantine, Rome and the Rabbis, cit., p. 299.

75 Già Louis Duchesne (Le Liber Pontificalis, I, cit., pp. CXVII-CXX), occupandosi degli Actus Silvestri nel suo commento al Liber Pontificalis, insisteva sull’origine orientale dell’idea del re malato, guarito e convertito tramite il battesimo, attribuita al Costantino degli Actus. A dimostrazione portava due esempi: la leggenda di Abgar V Ukkama, re di Edessa (dal 4 a.C. al 7 d.C. e di nuovo dal 13 al 50 d.C:), pagano e lebbroso, guarito e convertito dall’apostolo Taddeo/Addai poco dopo la morte di Gesù, sicuramente anteriore a quella riguardante Silvestro perché già conosciuta da Eusebio di Cesarea; e quella di Tiridate IV, re d’Armenia contemporaneo di Costantino (298-330 d.C.), in un primo tempo persecutore dei cristiani e affetto da una sorta di licantropia (in quel caso la trasformazione in un cinghiale), infine convertito e battezzato da s. Gregorio l’Illuminatore, nobile armeno, educato alla fede cristiana in Cesarea di Cappadocia e divenuto apostolo degli armeni. Più recentemente ha ricordato il parallelismo fra le tre leggende di Silvestro, Addai e Tiridate A.M. Cirese, Il battesimo di Costantino e l’ingresso di Alessandro nell’Islam, in L’albero della Croce prima, dopo, nell’esilio e nell’Islam, in Studi sull’Oriente Cristiano, suppl. 7/2, a cura di R. Favaro, Roma 2003, pp. 193-213.

76 Esodo Rashi, II 23. Del fatto che gli egiziani curassero la lebbra con bagni di sangue si trova notizia anche in Plin., nat. XXVI 1-5; Jasher Shemot, CXXXVIII b; Cantico Rabba, I 34. Cfr anche F. Martelli, Il sacrificio dei fanciulli nella letteratura greca e latina, in Sangue e antropologia biblica, Atti della settimana di studi (Roma 10-15 marzo 1980), a cura di F. Vattioni, Roma 1981, pp. 247 segg.

77 Cfr. P. De Leo, Ricerche sui falsi medievali, cit., pp. 103-104; R.J. Loenertz, Constitutum Constantini, in Aevum, 48 (1974), pp. 199-245, in partic. 236-38; Id., Actus Silvestri, cit., pp. 428-29. Coloro che considerano originale la versione siriaca propongono che l’errore sia derivato dal fatto che in siriaco Eusebio è definito vescovo di Rum, che fu tradotto in greco e latino con «Roma», ma che in realtà significa «Impero Romano». Un Eusebio vescovo di Roma, che si oppose fermamente alla politica filopagana dell’imperatore Giuliano, è menzionato anche nel romanzo siriaco di Giuliano, su cui si veda J.W. Drijvers, The Syriac Romance of Julian. Its Function, Place of Origin and Original Language, in VI Symposium Syriacum 1992 (Cambridge 30 August-2 September 1992), ed. by R. Lavenant, pp. 201-214.

78 Cfr. soprattutto E.D. Hunt, Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire, Oxford 1982, p. 33; J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., cap. 5; H. Heinen, Helena, Konstantin und die Überlieferung der Kreuzauffindung im 4. Jahrhundert, in Der Heilige Rock zu Trier. Studien zur Geschichte und Verehrung der Tunika Christi, hrsg. von E. Aretz, M. Embach, M. Persch et al., Trier 1995, pp. 83-117, in partic. 98 segg.

79 Cfr. Giuseppe Flavio, AJ XX 15-53 e BJ V 55 e VI 355.

80 A. Ehrhardt, Constantine, Rome and the Rabbis, cit., p. 309.

81 Per un confronto specifico del testo della disputa così come si presenta nelle tre versioni A, B, C, condotto su alcuni manoscritti campione appartenenti alle tre redazioni, si veda T. Canella, Gli Actus Silvestri, cit., pp. 179-260, e l’appendice ivi contenuta.

82 PL 53, cc. 239-322; ed. K.D. Daur, in CCh. SL, 25, 1990; XXV A, 1992; Arnobio il Giovane. Disputa tra Arnobio e Serapione, a cura di F. Gori, Torino 1993; M. Simonetti, E. Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, Casale Monferrato 1999, p. 523.

83 Nell’episodio sembra potersi cogliere un riferimento alla gara di magia tra Mosè e gli hartummim egiziani (si veda Es, 7,10-12), chiamati Iannes e Iambres (nome di cui Zambri/Zamri sarebbe una variante attestata) nella tradizione ebraica (ad esempio nel Targum Pseudo-Johnatan a Es, 1,5 e 7,11) e cristiana (2 Tm, 3,8, in cui i maghi che si oppongono a Mosè sono anonimi, e l’apocrifo noto sotto il loro nome).

CATEGORIE