Giusnaturalismo

Dizionario di Storia (2010)

giusnaturalismo


Termine derivato dalla locuzione latina jus naturale, «diritto naturale». Corrente filosofico-giuridico-politica fondata sul presupposto dell’esistenza di un diritto naturale, sulla cui struttura devono essere modellati i diritti positivi. L’idea dell’esistenza di un diritto naturale risale alla cultura greca antica. Aristotele distingue tra diritto naturale e diritto legale: il primo è in vigore dappertutto (ha validità universale, indipendentemente dai luoghi), e riguarda le azioni buone o cattive in sé stesse; il secondo riguarda le azioni moralmente indifferenti (per es. sacrificare a Zeus una capra o due pecore), che possono essere regolate dal diritto positivo prodotto dai governanti. Il concetto di diritto naturale fu sviluppato soprattutto dagli stoici, per i quali il cosmo è retto da una immanente legge razionale (logos). La loro dottrina fu divulgata da Cicerone in pagine che esercitarono una influenza enorme sulla cultura occidentale. Nel De republica Cicerone riconosce l’esistenza di una legge vera perché conforme alla ragione, immutabile, universale ed eterna, che l’uomo non può violare se non calpestando la propria natura di essere razionale. Questo passo, ripreso e diffuso da Lattanzio, influenzò profondamente il pensiero cristiano di cultura latina. Nel Medioevo Tommaso d’Aquino diede una sistemazione definitiva (nella Summa theologiae) al concetto di diritto naturale. Tommaso distingue fra quattro forme di leggi: aeterna, naturalis, humana, divina. La legge eterna coincide con la ragione di Dio che governa il mondo; la legge naturale è partecipatio legis in rationali creatura, è cioè la scintilla di razionalità presente nella mente dell’uomo, il modo in cui l’ordine cosmico si manifesta in quel particolare aspetto che è la razionalità della creatura umana. La legge naturale può essere compendiata in un solo precetto generalissimo, dal quale discendono tutti gli altri (bene faciendum, male vitandum). Tutti i precetti particolari che l’uomo deriva da questo costituiscono la legge umana (lex humanitus posita). Un posto a parte ha la legge divina, rivelata dalle Sacre Scritture. Tutta la sfera della condotta umana è dunque posta sotto la direzione della legge naturale: se la legge fatta dall’uomo (legge positiva) discorda da essa, non erit lex, sed legis corruptio.

Giusnaturalismo moderno

Nel Seicento l’idea del diritto naturale si secolarizza. Traendo forza dalla critica rinascimentale dell’autorità, il g. moderno intende fondare il diritto su basi razionali e immanentistiche. Storicamente, l’esigenza di universalità dei giusnaturalisti fu generata dalle guerre di religione del Cinquecento e Seicento, che spinsero a cercare nuove basi per la convivenza dei popoli, venuto meno l’universalismo cattolico. Rispetto alla dottrina medievale, inoltre, il g. moderno pone l’accento sull’aspetto soggettivo del diritto naturale, ossia sui diritti innati degli individui. Caposcuola del g. moderno è considerato l’olandese Grozio, che definisce la sua dottrina in polemica contro le ali estreme del calvinismo di impronta rigidamente volontaristica. Nella sua opera De jure belli ac pacis (1625), Grozio, affrontando il tema del diritto internazionale, cerca il fondamento di un ordine che possa essere riconosciuto come valido da tutti i popoli e permetterne così la coesistenza pacifica, e lo individua nel diritto naturale. Questo consiste nei dettami della retta ragione, la quale ci fa riconoscere se una determinata azione, a seconda che sia o no conforme alla natura razionale dell’uomo, ha in sé la qualità di necessità morale, e quindi deve essere perseguita, o se invece deve essere evitata. Il diritto naturale, che discende dalla natura razionale e sociale dell’uomo, per la validità è indipendente non solo dalla volontà di Dio, ma anche dalla sua esistenza (infatti sarebbe valido etiam si daremus Deum non esse). Anche Hobbes pone a fondamento della sua costruzione politica il diritto naturale (nel De Cive, 1642, e nel Leviathan, 1651). Le leggi naturali sono per lui «conclusioni o teoremi» tratti dalla ragione in merito a quello che si deve fare o evitare. Le leggi naturali indicano all’uomo la strada da seguire: cercare la pace come condizione migliore di sopravvivenza e, a tal fine, rimuovere la causa principale di guerra, cioè lo jus in omnia. Pertanto gli uomini dovranno, tramite un patto, rinunciare all’illimitata libertà naturale cedendo tutti i loro diritti (tranne quello alla vita) a un sovrano, uomo o assemblea, da cui farsi governare e che garantirà ordine interno e protezione esterna. Il sovrano non è contraente del patto, ma solo beneficiario, e quindi il suo potere non è condizionato da esso: sicché il sovrano ha un potere assoluto sui sudditi, irresistibile e irrevocabile. A conclusioni assai diverse giunge Locke nei Two treatises of government (1690). Anche lui parte da premesse giusnaturalistiche (non ci dà una vera e propria dottrina del diritto naturale, ma egli l’aveva esposta, in modo dettagliato e preciso, nei suoi giovanili Essays on the law of nature, da lui non pubblicati e lasciati fra le sue carte): gli uomini hanno diritti naturali innati (vita, libertà e averi). Tali diritti essi conservano anche quando decidono di abbandonare lo stato naturale, divenuto insicuro, e di edificare una società civile o politica: i diritti naturali degli uomini sono intangibili, e il potere politico che li manometta diventa illegittimo. Inoltre le leggi naturali non scompaiono nella società civile o politica, anzi, dice Locke, «diventano più coattive»: nel senso che le leggi positive, emanate dal potere legislativo, devono essere modellate sulle leggi naturali: se le violano, le leggi positive non sono legittime, e il popolo ha il diritto di rifiutarle e di ribellarsi. Questa concezione di Locke ha esercitato un influsso di enorme importanza sul pensiero politico. La dichiarazione francese del 1789 sui diritti dell’uomo e del cittadino proclama, nei suoi primi due articoli, che «gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti», e che tali diritti inviolabili sono «la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione».