VERNACCINI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VERNACCINI, Giuseppe

Daniele Edigati

– Nato a Pisa nel 1737 da Giovanni Battista e da Anna Lucrezia Boccacci, fu battezzato il 27 novembre nella parrocchia dei Ss. Cosma e Damiano. La sua famiglia non aveva titolo nobiliare, ma era ascritta alla classe dei cittadini pisani e agiata, sebbene non dotata di cospicue ricchezze.

Vernaccini ebbe la prima formazione a Pisa presso i padri barnabiti, nel collegio della chiesa di S. Frediano, dopo di che intraprese gli studi giuridici per ottenere la laurea in utroque con Leopoldo Andrea Guadagni il 21 giugno 1757. Le fonti lo descrivono come persona onesta, umile, di ottimi costumi e lavoratore indefesso. Rimase celibe e non ebbe discendenza.

Trasferitosi a Firenze per dedicarsi alla pratica forense, fu accolto nello studio di uno dei più rinomati avvocati della capitale, Attilio Maria Bruni. Già procuratore – probabilmente dal 1761 –, ebbe il titolo di avvocato e fu ascritto al Collegio grande fiorentino nell’agosto del 1771. Nel 1777 fu promosso auditore della nunziatura e l’anno successivo avvocato regio. Nel marzo del 1779 fu nominato auditore della ruota civile al posto di Giuseppe Bizzarrini e tenne questa carica continuativamente fino alla morte.

Di questo intenso periodo e del prestigio ottenuto da Vernaccini come giudice rotale sono testimonianza primaria le sue decisioni. Dopo essere comparse in modo sparso in raccolte giurisprudenziali uscite alla fine del Settecento, esse furono integralmente stampate ben oltre la sua morte, a Firenze, nel 1824, a cura di Luigi Lami. Il progetto fu in realtà sostenuto, anche economicamente, dal governo granducale, con il dichiarato scopo di fornire uno strumento utile alle giovani generazioni dedite allo studio del diritto, che in Toscana era ancora imperniato sullo ius commune. L’impressionante Collezione completa delle decisioni si compone di ben otto tomi, di cui uno occupato dagli indici, per un totale di 373 decisioni, datate fra 1776 e 1788, cinque delle quali rese come auditore della nunziatura e quattro nelle vesti di arbitro.

Le decisioni, per quanto non asciutte, tralasciano ogni eccessivo sfoggio di dottrina, si apprezzano per l’ordine logico con cui sono redatte, la capacità di inquadramento delle fattispecie concrete, la raffinata disamina delle tesi dei difensori delle parti e la lucida motivazione della scelta fatta propria. Ben poco spazio è concesso a erudizione e storia, mentre nell’argomentazione è centrale l’impiego della giurisprudenza toscana e dell’armamentario concettuale del diritto comune, al quale si mostra attaccamento in particolare per la materia probatoria. Fra i numerosi spunti ricavabili, merita di essere segnalato lo sforzo applicativo e di sostegno della legislazione leopoldina diretta a reintegrare il diritto di proprietà nella sua pienezza, a favorire la circolazione dei beni e la libertà di commercio. In questa direzione, per esempio, andava l’ermeneutica restrittiva della legge del 1687 sul contratto di cambio, l’assimilazione delle facoltà dell’enfiteuta a quelle dell’usufruttuario nella direzione di rinsaldare il libero sfruttamento della terra da parte di chi godeva del bene (G. Poggi, Saggio di un trattato teorico-pratico sul sistema livellare, I, Firenze 1842, p. 453), il contenimento del diritto di prelazione e la connessa difesa della legge abolitiva del retratto (1778) nei confronti di qualsiasi interpretazione equitativa che ne potesse sminuire la portata (Collezione completa, cit., III, decisione 158). Equità e prudente arbitrio giudiziale, che pure in molte decisioni risultano riaffermati nella prevalenza data alla volontà del testatore e alla giustizia sostanziale del rapporto obbligatorio e più in generale nelle questioni dubbie o intricate. A ciò si unisce il favore per la mediazione, che ci permette di comprendere perché i privati e lo stesso Pietro Leopoldo si valsero di Vernaccini come arbitro e conciliatore in aspre controversie patrimoniali fra famiglie fiorentine, fra le quali i Pazzi (Archivio di Stato di Firenze, Segreteria di Stato 1765-1808, 322, prot. 45, n. 11).

L’ottima reputazione di Vernaccini presso il granduca è provata da diversi incarichi di cui fu onorato. Nel 1782 fu consultato, assieme a Cosimo Amidei e Francesco Mormorai, sulla minuta di costituzione approntata da Francesco Maria Gianni per volontà di Pietro Leopoldo. Il suo parere ebbe tenore tecnico e riguardò alcuni dettagli correttivi per l’adeguamento del futuro sistema, fondato sul principio di non intervento del sovrano nella giustizia civile.

Nel 1788 gli fu conferito l’onere di studiare e di vergare la bozza della riforma dei fidi e soprattutto di quella sui fedecommessi, che avrebbe dovuto portare, poco dopo la morte del giurista pisano e grazie all’ulteriore lavoro di Bartolomeo Martini, alla completa abolizione dell’istituto. La lunga memoria, firmata da Vernaccini il 20 settembre 1788, ci rivela la sua posizione dubbiosa circa una riforma radicale, articolata soppesando i vantaggi della cancellazione del fedecommesso, come la parificazione giuridica degli eredi, la libertà del commercio e la riduzione del contenzioso, con le conseguenze negative a carico di altri beni rilevanti per l’ordinamento, come il contrasto alla dissipazione del patrimonio causato dall’erede immediato, la tutela di certi creditori (come quelli per dote) oppure la preservazione della nobiltà. La conservazione delle distinzioni cetuali e della funzione sociale della nobiltà avrebbe poi informato anche i suoi lavori per la codificazione civile.

Fra gli altri interessi di Vernaccini, spiccò in particolare quello per la storia pisana. Suoi sono cinque elogi di giureconsulti pisani, fra i quali spicca quello di Francesco Tigrini, stampati nelle Memorie istoriche di più uomini illustri pisani (I-IV, Pisa 1790-1792).

Questi lavori denotano grande perizia bibliografica e filologica, gusto per la ricerca di fonti documentarie edite e inedite in archivi e biblioteche, non solo fiorentine, e una propensione al metodo storico-erudito muratoriano, sulla scia di studi già coltivati a Pisa da Flaminio dal Borgo e Stefano Fabbrucci. Le ricostruzioni sono dunque pregevoli e in certa misura tuttora utili, per quanto non indenni da talune imprecisioni, come per esempio l’attribuzione dell’arcivescovado di Embrun a Giovanni Fagioli. A questo filone appartengono anche due opuscoli inediti sugli scrittori che avevano fatto menzione di Pisa e su varie famiglie pisane stabilitesi nel tempo altrove. Anche queste opere di Vernaccini non sono prive di alcune forzature nelle deduzioni, al fine di valorizzare il prestigio dell’amata patria, come l’affermazione per cui la famiglia Visconti sarebbe stata originaria di Pisa.

A partire dal 1778 fu membro dell’Arcadia di Pisa con il nome di Tritemio Pompeo.

Agli inizi del 1787 il granduca Pietro Leopoldo, riprendendo la vecchia idea di redigere una codificazione generale per il Granducato, ne affidò a Vernaccini l’incarico, dispensandolo dalle sue mansioni di auditore rotale, ma consentendogli di conservare la titolarità dell’ufficio. Vernaccini concepì un’opera assai vasta, al punto da necessitare di non meno di dieci giuristi impiegati al suo servizio e da prefigurare un lavoro di otto anni.

Nell’unica memoria illustrativa del progetto, risalente al 30 aprile 1787, egli tratteggiò un impianto generale del codice in dieci libri, per certi versi restando in un alveo tradizionale, per altri optando per alcune novità degne di rilievo. Il codice avrebbe semplificato notevolmente il panorama delle fonti, attraverso l’unificazione di tutto il diritto proprio e la connessa abrogazione di ogni norma in esso non compresa, ma avrebbe conservato in via suppletiva il diritto comune (e con esso anche il consolato del Mare per la materia marittima), specialmente per la disciplina dei contratti. A riprova dello sforzo di sintesi relativo all’intero ius proprium, Vernaccini pensava di includere nel codice le stesse riforme leopoldine, fra cui la celebre legge criminale del 1786 e le novità su fedecommessi, manomorta ecclesiastica e commercio, nonché una sezione non ben definita per disciplinare questioni finora non regolate neppure dal diritto comune, cristallizzando con disposizioni positive la giurisprudenza toscana in tema, ai fini di una maggiore certezza del diritto. Malgrado la netta spinta verso l’uniformazione, Vernaccini prevedeva un libro apposito con le norme sui ‘particolari ceti’, diretto a conservare privilegi e peculiarità di quanto nella società era sopravvissuto del pluralismo d’antico regime, in modo del tutto analogo a quanto si sarebbe fatto di lì a poco nel codice prussiano. Molto significativa e di certo non in linea con le tecniche legislative in auge in ambito toscano (e più in generale in quello asburgico) era la scelta di uno stile di scrittura delle norme improntato al criterio della brevità e imperatività e all’esclusione della motivazione dal corpo della disposizione.

Le vaste operazioni di scavo nella selva di statuti e materiali normativi toscani poterono però solo essere avviate, poiché Vernaccini morì nella sua abitazione in prossimità di Firenze l’11 gennaio 1789, a causa di una pleurite, dopo una breve malattia di nove giorni. Fu sepolto nella pieve di Sesto, nei pressi di Firenze.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Arte dei giudici e notai, 588, n. 166; Segreteria di gabinetto, 167, inserto 11; Segreteria di Stato 1765-1808, 322, prot. 45, n. 11; 493, prot. 9, inserto 65; 529, prot. 3, inserto 94; Firenze, Biblioteca nazionale, Nuove accessioni, 1050: G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 2, XV, p. 2838; Archivio di Stato di Pisa, Miscellanea mss. di proprietà libera, 9: G. Sainati, Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, cc. 64v-70r. I due citati lavori inediti di Vernaccini sono in Pisa, Biblioteca Cathariniana, ms. 207: Opuscoli e memorie diverse appartenenti alla città di Pisa. Gazzetta universale, 1789, n. 5, pp. 39 s. (necrologio); T. Branchi, Elementi del diritto civile secondo l’ordine delle Istituzioni di Giustiniano, I, Firenze 1852, p. 184.

V. Piano Mortari, Tentativi di codificazione nel Granducato di Toscana nel sec. XVIII, Napoli 1971, pp. 88-92; G. Gorla, Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano 1981, pp. 806-822; M. Verga, «Per levare ogni dubbio circa allo stato delle persone». La legislazione sulle nobiltà nella Toscana lorenese (1750-1792), in Signori, patrizi, cavalieri in Italia centro-meridionale nell’età moderna, a cura di M.A. Visceglia, Roma 1992, pp. 366 s.; D. Edigati - L. Tanzini, Ad statutum florentinum. Esegesi statutaria e cultura giuridica nella Toscana medievale e moderna, Pisa 2009, pp. 117 s.; A. Trampus, Storia del costituzionalismo italiano nell’età dei Lumi, Roma-Bari 2009, p. 135; A. Landi, Storia giuridica per futuri giuristi. Temi e questioni, Torino 2015, pp. 90-92.

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