RUGGI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUGGI, Giuseppe

Stefano Arieti

– Nacque a Bologna l’11 giugno 1844 da Lorenzo, pittore, scenografo e incisore di una certa fama, e da Ernesta Bonamici.

Studiò dapprima presso il collegio barnabita S. Luigi, frequentando poi la scuola di disegno dell’Accademia di belle arti. Si iscrisse infine, nel 1862, alla facoltà di medicina e chirurgia, laureandosi il 25 luglio 1868 con una tesi su Contributo alla cicatrizzazione delle ferite.

Grazie a uno dei suoi maestri, Giovan Battista Fabbri, gli fu assegnato un corso di anatomia chirurgica sul cadavere e fu assunto in qualità di proassistente all’ospedale del Ricovero, dove, alcuni anni dopo, fu nominato primario chirurgo. Nel 1872 acquisì la libera docenza in chirurgia e nell’anno accademico 1873-1874 ebbe l’incarico di insegnamento della patologia chirurgica. Negli anni trascorsi nell’ospedale del Ricovero si rese conto dell’inadeguatezza delle strutture e dell’impossibilità di curare i meno abbienti. Dopo aver aperto, nel 1869, una piccola casa di cura in via S. Giorgio, nel centro di Bologna, ne aprì un’altra a porta S. Vitale, davanti all’ospedale S. Orsola, per proseguire l’attività filantropica.

Nel 1877 fu incaricato della direzione della prima sezione di chirurgia dell’ospedale Maggiore di Bologna, vacante dopo le dimissioni di Francesco Rizzoli. Ruggi fu subito impressionato dalle infezioni (piemie, setticemie, risipole, gangrene) che affliggevano i pazienti e che, talvolta, assumevano carattere epidemico. Seguendo le indicazioni di Spencer Wells, i chirurghi cercavano di evitarle con una scrupolosa pulizia. La misura poteva risultare sufficiente in luoghi poco frequentati, ma non in ospedali affollati come il Maggiore. Per Ruggi, l’unico mezzo per bloccare le infezioni era ricorrere al sistema antisepsi di Joseph Lister, di cui si iniziavano a conoscere i primi positivi risultati. Non senza difficoltà riuscì a convincere gli amministratori a introdurre questa nuova metodica e il tasso di morbosità e mortalità fu quasi azzerato (Alcuni esperimenti sulla medicatura alla Lister, in Commentario clinico di Pisa, II (1878), pp. 48-58; Dell’arte di medicare secondo il metodo Lister, Bologna 1879). Contemporaneamente bandì le vesti nere, usate fino ad allora, sostituendole con il camice bianco debitamente sterilizzato e abolì l’uso delle filacce, sostituendole con cuscinetti di garza ripiegata e cucita, conservati in una soluzione di sublimato all’1%.

Furono anni di intensa attività: eseguì la prima resezione di ginocchio in una ragazza di quindici anni affetta da artrosinovite tubercolare; trattò una bimba affetta da ‘estrofia vescicale’ con una metodica personale consistente in due lembi autoplastici sovrapposti (Di una bambina affetta da estrofia della vescica e curata con processi d’autoplastica, in Bullettino delle scienze mediche di Bologna, s. 5, XIII (1872), pp. 335-347), operando da lì a poco un secondo caso (Secondo caso d’estrofia della vescica, in Rivista clinica di Bologna, s. 2, III (1873), pp. 43-46). Nel 1875 tentò la prima resezione parziale di polmone in Italia per tubercolosi cavitaria, che, peraltro, ebbe esito infausto in nona giornata, così come una lobectomia superiore eseguita nel 1883 (La tecnica della pneumectomia nell’uomo, Bologna 1885). Sempre in quell’anno praticò, a Bologna, la prima isterectomia per via addominale, adottando per l’occasione un serranodi di sua invenzione. Nel 1885 affrontò lo stesso intervento, eseguendo questa volta un’incisione vulvo-vaginale latero-sinistra per allargare la breccia operatoria, procedendo quindi per via smussa all’isolamento dell’utero. In seguito fece uso di questa metodica sia per la resezione ovarica sia per i prolassi vescico-utero-retto-vaginali. Fu sua l’idea di raddrizzare l’utero retroverso e retroflesso accorciando i legamenti rotondi per via addominale (La technica dell’isterectomia, Bologna 1885).

Nel 1889, intervenendo su un ‘carcinoma primitivo del pancreas’, adottò, per la prima volta nella letteratura mondiale, il taglio trasversale sottocostale, che andò successivamente utilizzando in corso di asportazione di tumori epatici, nefrectomie e splenectomie (Intorno ad un caso di carcinoma primitivo del pancreas, curato e guarito coll’asportazione del tumore, in Giornale internazionale delle scienze mediche, n.s., XII (1890), pp. 81-90). Si occupò anche di problemi di chirurgia ortopedica e di chirurgia maxillo-facciale, in un’epoca nella quale la disciplina era ancora agli albori. All’ospedale Maggiore svolse pure un apprezzato corso libero di ginecologia (Prolusione al corso libero di ginecologia, in Raccoglitore medico, s. 4, XXI (1884), pp. 149-162), nel quale pose l’accento sulle molteplici affinità che esistevano fra la chirurgia e la ginecologia.

Dopo la delusione per non essere stato ternato nel concorso del 1889, bandito per la cattedra di clinica chirurgica di Bologna a seguito della tragica morte del suo maestro Pietro Loreta, negli ultimi anni trascorsi all’ospedale Maggiore Ruggi approfondì il problema della cura radicale dell’ernia crurale ideando un nuovo metodo (Del metodo inguinale nella cura radicale dell’ernia crurale, Bologna 1893).

Nel 1894, dopo la morte di Alfonso Corradi, la facoltà di medicina e chirurgia di Modena propose al ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli, di incaricare Ruggi dell’insegnamento della chirurgia generale e della direzione della clinica. Conservò, tuttavia, il suo incarico nell’ospedale Maggiore fino al 1897, quando fu nominato professore ordinario dal ministro Giovanni Codronchi: compì in quell’anno la sua millesima laparatomia, numero che, fino a quel momento, nessun operatore poteva vantare in Italia (Rendiconto statistico relativo a 1.000 laparotomie eseguite di preferenza per la cura di interne lesioni muliebri, in Bullettino delle scienze mediche, s. 7, IX (1898), pp. 65-80)

Negli undici anni trascorsi a Modena, Ruggi approfondì in particolar modo il problema di limitare, ove possibile, gli interventi demolitivi sui genitali femminili utilizzando tecniche più conservative, quali la resezione del plesso utero-ovarico. Nel 1906 descrisse un’operazione radicale per la diastasi primitiva dei retti addominali; si occupò della terapia chirurgica del varicocele. Il suo insegnamento modenese fu compendiato nelle Lezioni di chirurgia (Bologna 1901).

Nel 1905 la facoltà di medicina e chirurgia di Bologna bandì il concorso per la cattedra di clinica chirurgica, che era rimasta vacante per il trasferimento di Ernesto Tricomi a Palermo e assegnata per incarico ad Alfonso Poggi: Giuseppe Ruggi ne risultò vincitore. Durante la sua direzione la clinica venne dotata di un anfiteatro per le lezioni; inoltre, riuscì a recuperare i pezzi superstiti del vecchio armamentario chirurgico donato nel 1742 da Benedetto XIV a Pier Paolo Molinelli per la cattedra di medicina operatoria.

La sua attività clinico-scientifica spaziò in ogni settore della disciplina: dalla neurochirurgia alla chirurgia gastroenterologica; dall’otorinolaringoiatria alla chirurgia plastica; dall’urologia alla chirurgia vascolare, settore nel quale fin dall’inizio della sua carriera scientifica aveva dato importanti contributi. Durante tutta la sua attività prestò sempre molta attenzione allo strumentario e non poche volte inventò nuovi ferri chirurgici.

Il 29 maggio 1919 si congedò, per sopraggiunti limiti d’età, dall’insegnamento attivo con una lezione magistrale dal titolo Come dovrebbe essere studiata ed esercitata la chirurgia, in cui sostenne che «se non è necessario che un buon medico sia un buon chirurgo», è bensì necessario che il «chirurgo sia un ottimo medico» (Bernabeo, 1990, p. 56).

Consigliere comunale fra il 1872 e il 1875, fu deputato nella XVI legislatura. Nel periodo fra il 1909 e il 1913 fu consigliere provinciale. Socio di numerose società scientifiche, fu accademico benedettino dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna e presidente della Società medica chirurgica di Bologna per il biennio 1893-94.

Morì a Bologna il 14 marzo 1925.

Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio storico dell’Università, Fascicoli docenti, R. G.

D. Giordano, Compendio di chirurgia operatoria, Torino 1911, ad ind.; G. Ruggi, Ricordi della mia vita privata, politica, professionale, scientifica, Bolo-gna 1924 (con l’elenco completo delle sue pubblicazioni); B. Nigrisoli, Commemorazione, in Annuario della R. Università di Bologna, a.a. 1924-1925, Bologna 1925, pp. 257 s.; La Società italiana di chirurgia nei suoi primi 30 congressi, a cura di G. Lusena, Roma 1930, ad ind.; D. Giordano, Chirurgia, I-II, Milano 1938, ad ind.; R.A. Bernabeo, Ricordo di G. R. (1844-1925), in Atti del XXXI Congresso internazionale di storia della medicina... 1988, Bologna 1990, pp. 51-56; A. Forti Messina, Quando i medici scrivevano di sé: i Ricordi di G. R. (1844-1925), in Scritture di desiderio e di ricordo. Autobiografie, diari, memorie tra Settecento e Novecento, a cura di M.L. Betri - D. Maldini Chiarito, Milano 2002, pp. 137-158; Ead., G. R. La carriera di un chirurgo bolognese (1844-1925), in L’Archiginnasio. Bollettino della Biblioteca comunale di Bologna, CI (2006), pp. 339-369.

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