PRINA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PRINA, Giuseppe

Stefano Levati

PRINA, Giuseppe. – Nacque a Novara il 20 luglio 1766, secondogenito del notaio Giovanni e di Giustina Portigliotti, figlia di un architetto idraulico e civile.

La famiglia Prina, pur appartenendo al patriziato cittadino, non godeva di particolari ricchezze come la professione del padre potrebbe lasciare intendere. Ciononostante non lesinò sull’educazione dei figli: il primogenito Girolamo venne avviato alla carriera delle armi, divenendo ufficiale d’artiglieria dell’esercito sabaudo, mentre Giuseppe e Giulio Luigi a quella avvocatizia. In particolare, Giuseppe fu iscritto poco più che decenne al Regio collegio, già gesuitico, di S. Ignazio di Monza (1777-83), dove si sarebbero formati, fra gli altri, Carlo Porta e Gaudenzio de Pagave. In seguito, Giuseppe proseguì gli studi di diritto presso l’Università di Pavia, dove poté godere dell’ospitalità gratuita del Collegio Caccia, appositamente eretto nel corso del XVI secolo per accogliere studenti di origine novarese, e nel 1787 si laureò brillantemente in giurisprudenza.

Dopo aver intrapreso una promettente carriere forense, nel 1791 Prina ottenne la nomina a soprannumerario presso l’ufficio del procuratore generale di Torino, primo di una serie di incarichi governativi sempre più prestigiosi: nel 1797 divenne commissario generale per la demarcazione dei confini con la Francia, nel luglio del 1798 primo ufficiale delle finanze e, infine, nel novembre dello stesso anno, consigliere e reggente di governo. In quella veste si prodigò per avviare una politica finanziaria d’emergenza basata su provvedimenti volti a contenere il crescente deficit di bilancio dello Stato sabaudo. Nell’ottobre del 1798 mise in vendita tutte le abbazie e i benefici di nomina regia, le commende dell’ordine di Malta e dei Ss. Maurizio e Lazzaro e i beni del clero regolare e secolare precedentemente confiscati, per un valore di circa 70 milioni. Inoltre, fece ricorso a una tassa straordinaria da imporsi a tutti coloro che tenessero alle proprie dipendenze più di due servitori, possedessero cavalli e carrozze di lusso e case di campagna.

Con l’ingresso a Torino dei francesi e il ritiro di Carlo Emanuele IV in Sardegna, Prina rassegnò le proprie dimissioni e fece ritorno a Novara, dove l’amministrazione municipale prima e quella dipartimentale poi lo chiamarono a ricoprire diversi incarichi, tra cui quello assai rilevante di membro della direzione centrale di finanza del dipartimento dell’Agogna. In quegli anni Prina si spese molto affinché il capoluogo di dipartimento non fosse spostato da Novara a Vercelli e fosse garantito alla sua città natale il mantenimento dei tribunali e delle scuole superiori, nella consapevolezza che – come scriveva all’amico Pampani – «senza istruzione inutilmente si aspira ad essere liberi» (Pellini, 1900, p. 72).

Con il ritorno di Napoleone Bonaparte in Italia, dopo la momentanea restaurazione della monarchia sabauda fra maggio 1799 e giugno 1800, che si avvalse comunque dell’operato di Prina, la carriera del novarese riprese il suo corso: il 30 giugno 1800 la commissione di governo lo nominò ministro delle finanze nazionali, carica che mantenne fino all’ottobre dello stesso anno, allorché, a seguito dell’accorpamento del dipartimento dell’Agogna alla Repubblica Cisalpina, decise di rassegnare nuovamente le dimissioni, non prima di aver sottoposto alla commissione esecutiva un dettagliato resoconto del suo operato (Delle finanze del Piemonte sotto il ministero del cittadino Prina dal 1° luglio alli 15 ottobre 1800, pubblicato in Pellini, 1900, pp. 59-71), dove espose i fondamenti e le linee guida della sua politica finanziaria, incentrata sull’indefessa ricerca di nuovi cespiti d’entrata.

Rientrato nuovamente a Novara e rifiutata la carica di capo della sezione criminale del tribunale d’appello dipartimentale, il 27 maggio 1801 Prina venne nominato consulente legale dell’amministrazione dipartimentale. Il 17 novembre dello stesso anno fu chiamato a rappresentare la propria città nei Comizi di Lione, convocati da Bonaparte nel dicembre del 1801 con l’obiettivo di riorganizzare il nuovo Stato cisalpino e dotarlo di una nuova costituzione che fosse più aderente a quella consolare dell’anno VIII. Fu in quella circostanza che Prina ebbe occasione di mettersi in luce agli occhi di Bonaparte, che aveva già avuto modo di incontrare, sempre nella veste di deputato della Municipalità, all’indomani della vittoria di Marengo (18 giugno 1800). Toccò infatti a lui, in qualità di oratore della quinta delle cinque sezioni in cui era stata suddivisa la Consulta straordinaria, chiudere i lavori dei Comizi con un discorso – purtroppo andato perduto – in cui affermò con enfasi la necessità di realizzare una nuova organizzazione amministrativa, di riformare la riscossione delle imposte, di procedere alle necessarie economie e di forgiare uno spirito nazionale. Compiti ardui, ma realizzabili – concludeva – «se la mano che ci creò e redense vorrà altresì guidarci nel difficile arringo» (I comizi elettorali in Lione per la costituzione della Repubblica italiana, a cura di U. da Como, II, Bologna 1935, p. 216).

In quella medesima seduta Prina venne ascritto al Collegio elettorale dei dotti, previsto dalla nuova costituzione, e al Corpo legislativo, cariche che dovette presto abbandonare in seguito alla nomina a ministro delle Finanze.

Il 28 febbraio 1802 Prina venne infatti chiamato, insieme ad Antonio Veneri e ad Ambrogio Forni, a far parte della direzione generale delle Finanze, un organo collegiale voluto dal vicepresidente Francesco Melzi d’Eril per superare provvisoriamente l’indisponibilità di tutti i possibili candidati ad assumere la guida del ministero delle Finanze.

Quel dicastero si presentava come il ramo chiave della nuova Repubblica italiana e versava in condizioni critiche, sia per le irregolarità di funzionamento e la pletora di impiegati sia, soprattutto, per l’enorme deficit di bilancio, conseguenza di ruberie e malversazioni di ogni genere perpetrate ai danni delle casse dello Stato durante i diciotto mesi di esistenza della seconda Repubblica Cisalpina. Il risanamento finanziario appariva quindi a ragione un’impresa improba, dalle ricadute politiche fondamentali per la credibilità della nuova Repubblica. Secondo il vicepresidente Melzi d’Eril tale credibilità poteva essere ottenuta solo e soltanto riacquistando la fiducia e il credito dei cittadini, ancor prima che dei contribuenti, attraverso una profonda riforma dell’intero sistema fiscale.

Prina si fece immediato interprete di questo programma a cui si dedicò con energia e competenza, tanto che a distanza di due soli mesi sciolse le ultime riserve e – su consiglio dello stesso Bonaparte – il 20 aprile 1802 fu nominato ministro delle Finanze, carica che avrebbe conservato ininterrottamente per dodici anni fino al tragico epilogo del Regno italico e della sua personale esistenza, eccezionale caso di continuità – unitamente a quello di Ferdinando Marescalchi agli Esteri – in un contesto in cui il ricambio dei ministri era la norma.

L’attività di Prina quale responsabile delle Finanze si dispiegò in due direzioni: la riorganizzazione degli uffici e il riordinamento del bilancio. La riorganizzazione degli uffici comportò, da un lato, una decisa riduzione degli organici (tra il 1802 e il 1805 vennero allontanati 420 individui, con una riduzione dei costi pari al 10% sul bilancio del ministero), dall’altro, una costante promozione del merito e dello spirito di servizio tramite un calibrato dosaggio di benevoli consigli e minacciate punizioni. Al momento di cedere la guida del Paese al viceré Eugenio di Beauharnais a fine marzo 1805, in una Nota sugli attuali funzionari della Repubblica, Melzi d’Eril poteva scrivere a Napoleone riguardo all’operato di Prina: «C’est le seul des ministres qui ait su organiser avec force son Ministère; on s’en ressent sur tous les points de la République. La constance avec laquelle il a bravé tous les crialleries des nombreux amis et protecteurs de la Ferme générale, les succès inespérés de son administration ont réduit bien du monde au silence» (I carteggi di Francesco Melzi duca d’Eril, VII, La vice-presidenza della Repubblica italiana, Milano 1964, p. 441).

Quanto al riordinamento del bilancio, Prina incrementò le entrate ricorrendo in prevalenza all’aumento delle imposte indirette, in ossequio a un convincimento diffuso tra gli economisti del XVIII secolo e coincidente con la volontà politica delle autorità di non inimicarsi le simpatie dei possidenti, considerati fondamento della stabilità del nuovo Stato. Più in generale, Prina riformò l’intero sistema fiscale, monetario e finanziario: dalle imposte dirette (settore in cui dispose l’estensione ai nuovi territori del catasto teresiano) a quelle indirette (introdusse l’imposta di registro e la tassa sul macinato), dalla banca (propose, ma non realizzò la creazione di una banca di sconto nazionale) alle monete, dalle poste ai monopoli del tabacco e del sale. Non vi fu praticamente settore di sua competenza che non abbia attratto la sua attenzione e la sua volontà di rinnovamento e ammodernamento. Certo non tutti i progetti avviati andarono nella direzione auspicata e trovarono concreta e duratura realizzazione. A questo proposito, va ricordata la particolare congiuntura in cui egli si trovò a operare, condizionato e schiacciato dalle sempre più esorbitanti spese imposte dai francesi, da un blocco continentale che non aveva condiviso e che probabilmente non approvava e, fatta eccezione per il primo biennio, da un ininterrotto stato di guerra che richiedeva in continuazione uomini e risorse.

Il suo rigoroso operato gli valse la gratitudine e le onorificenze dell’imperatore (dal quale era considerato l’unico «homme essentiel» dello Stato italiano), tra cui l’elevazione a conte del Regno nell’ottobre del 1808, la nomina a senatore nel dicembre del 1809 e l’ammissione agli ordini cavallereschi della Corona di ferro, in qualità di gran dignitario, e della Legion d’onore, ma al contempo suscitò e accrebbe l’odio nei suoi confronti da parte di una popolazione sempre più vessata dalle tasse. Un odio che, abilmente alimentato da quanti – in prevalenza ex nobili – miravano a far naufragare la candidatura di Eugenio di Beauharnais a sovrano di un nuovo Stato cisalpino indipendente, ebbe culmine a Milano nella tragica ‘giornata degli ombrelli’.

Il 20 aprile 1814 Prina morì a seguito di un autentico e drammatico linciaggio da parte della folla che si accanì anche sul suo palazzo in una furia di inconoclastia politica che mirava a cancellare financo la memoria dell’esperienza francese.

Fonti e Bibl.: In assenza di un archivio privato, andato completamente distrutto insieme a quello del ministero nella rivolta del 20 aprile 1814, le principali informazioni biografiche riguardanti la giovinezza e la formazione di Prina si possono trarre dagli studi condotti agli inizi del XX secolo dal novarese Silvio Pellini, fra cui, oltre ad alcuni articoli pubblicati sul Bollettino storico per la provincia di Novara, si segnalano: G. P. ministro delle finanze del Regno d’Italia. Documenti inediti, Novara 1900; La giovinezza del P., Novara 1901. Per quanto riguarda invece la sua attività di ministro delle Finanze della Repubblica e del Regno d’Italia resta imprescindibile lo studio di Giuseppe Pecchio, Saggio storico sull’amministrazione finanziera dell’ex Regno d’Italia dal 1802 al 1814, Londra 1826. Per uno sguardo di insieme può risultare utile anche E. Picchetti, I conti del P., Napoli 1915. Più di recente la sua politica economica è stata fatta oggetto degli studi di C. Zaghi, L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Torino 1986, pp. 515-539; A. Grab, La politica finanziaria nella Repubblica e nel Regno d’Italia sotto Napoleone (1802-1814), in L’Italia nell’età napoleonica. Atti del LVIII Congresso di storia del Risorgimento italiano, Milano... 1996, Roma 1997, pp. 37-113; A. Cova, Lo Stato attraverso le finanze, in La formazione del primo stato italiano e Milano capitale 1802-1814, a cura di A. Robbiati Bianchi, Milano 2006, pp. 307-360. Studi specifici sono stati dedicati ai progetti di Prina riguardanti l’erezione di una Banca nazionale da R. Bachi, Una pagina di storia bancaria italiana. Tentativi di G. P. per l’istituzione di una banca d’emissione nell’Italia napoleonica, in Rivista di storia economica, II (1937), 2, pp. 209-246; M. Roberti, Il primo tentativo per l’istituzione di una «Banca generale italiana» (1802-1804), in Rivista internazionale di scienze sociali, XVIII (1940), 2, pp. 429-457; G. Piluso, L’arte dei banchieri. Moneta e credito a Milano da Napoleone all’Unità, Milano 1999, pp. 21-28 e 190 s.; G. De Luca, Per una storia del sistema creditizio milanese negli anni della Repubblica italiana, in La formazione del primo Stato italiano e Milano capitale 1802-1814, a cura di A. Robbiati Bianchi, Milano 2006, pp. 405-439.

Ricchissima è invece la memorialistica sull’eccidio di Prina. Utili e aggiornati strumenti d’orientamento, oltre al datato lavoro di S. Pellini (Il generale Pino e la morte del P., Novara 1905), sono Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini, a cura di A.M. Banti con la collaborazione di P. Finelli - G.L. Fruci - A. Petrizzo - A. Zazzeri, Roma-Bari 2010, pp. 27 s.; G. Coltorti, I Lombardi contro l’Italia di Napoleone. La battaglia perduta per uno Stato indipendente in Padania, Novara 2012, ad ind.; F. Bouchard, Relectures d’un assasinat politique: G. P. e la Canaglia, in La chute du Royaume d’Italie (1814) et la culture du Risorgimento, a cura di F. Bouchard - T. Crivelli, Paris 2014, pp. 349-370.

Una riflessione storiografica aggiornata è infine offerta da S. Levati, G. P. (1766-1814). Un grande ministro alla ricerca di un biografo, in Archivio storico lombardo, CXL (2014), pp. 189-205; M. Meriggi, Aprile 1814: P., Milano e l’Europa, ibid., pp. 207-221.

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