PISTOCCHI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PISTOCCHI, Giuseppe

Davide Righini

PISTOCCHI, Giuseppe. – Nacque a Faenza il 12 gennaio 1744 da Antonio, stuccatore e decoratore di finti marmi appartenente a una famiglia con lunghe tradizioni artigiane, e Maria Maddalena Zotti. Ebbe come fratelli i pittori Luigi e Lodovico (Morri, 1839, p. 14).

Lavorò presso l’architetto faentino Giuseppe Boschi detto il Carloncino, ma nel 1762 si recò a Roma per continuare la sua formazione presso Carlo Murena, collaboratore del Vanvitelli e fra gli iniziatori della corrente ‘neocinquecentista’, a cui aderì anche il giovane Pistocchi. Nel fervido ambiente della capitale si dedicò allo studio dei monumenti antichi e moderni della città, ma fu sempre attento alla pratica di cantiere. Entrò in contatto con gli artisti francesi, soprattutto con il gruppo dei filopiranesiani e con i giovani dell’Accademia di Francia legati alla cultura illuministica, pur senza mostrare, in questa fase, particolare adesione.

Al rientro a Faenza, nel 1766, rivelò una propensione verso un linguaggio anticonformista, in cui la tradizione tardobarocca appariva depurata dalle incalzanti innovazioni neoclassiche, come rivela l’altare maggiore del duomo (1767-68).

Attorno al 1774, dopo un soggiorno romano e la visita alla reggia di Caserta, realizzò a Pesaro la fronte della chiesa di S. Maria degli Angeli e i restauri del palazzo apostolico e della chiesa di S. Agostino; diresse poi i lavori di trasporto della statua di Urbano VIII dalla piazza Grande alla piazzetta di S. Ubaldo, incarichi che gli valsero la nomina a ingegnere e architetto dei Beni camerali in Romagna. Fu però attivo soprattutto a Faenza. Qui, oltre che a opere di carattere tecnico e di restauro, si dedicò alla progettazione del palazzo Bandini-Spada (1775-80; abbattuto), di memoria vanvitelliana nel corpo principale, ma innovativo nella loggia corinzia sopraelevata in fondo al cortile; seguirono la ricostruzione di un tratto del loggiato della piazza Maggiore (1777) e poi, a Ravenna, il completamento dei lavori del duomo, di cui costruì la grandiosa cupola ellittica (1780-82).

Il nono decennio del Settecento rappresentò il periodo più felice della carriera di Pistocchi, impegnato in importanti interventi di edilizia civile pubblica e privata, che segnarono il suo avvicinamento alle idee illuministiche e allo stile neoclassico, pur venato di contaminazioni linguistiche. Nell’ideazione del teatro comunale di Faenza (1780-87), i ricordi vanvitelliani, per la rigorosa partitura planimetrica e per l’adozione dell’ordine gigante dell’interno, pur nell’abile regia dei raffinati apparati decorativi, giunsero a esiti in senso classicista. Nel 1781 eseguì il disegno per il nuovo seminario di Faenza (poi eretto secondo il progetto di Boschi), in cui mirò a ottenere una sistemazione urbana più razionale. Nel 1785 la municipalità gli affidò la realizzazione della galleria dei Cento Pacifici, per collegare il teatro al palazzo comunale. L’esterno è semplice, dotato di nove arcate al pianterreno e al piano superiore secondo il modulo compositivo della fronte del teatro, mentre l’interno è connotato da un ricco apparato ornamentale eseguito da Antonio Trentanove e con volta affrescata da Serafino Barozzi.

Anche negli edifici privati, che contribuirono a configurare il volto neoclassico della città, Pistocchi ideò raffinati interni coinvolgendo validi ornatisti e plasticatori. Nel 1786 eresse i palazzi Conti e Gessi, mentre nel 1787 eseguì il restauro del palazzo Pasolini Dall’Onda e il progetto della propria casa, dal nuovo rigore formale. Nel 1788 ricevette il titolo di cavaliere dello Speron d’oro.

Nel 1789 presentò (ma senza successo) al concorso per il teatro La Fenice di Venezia un’innovativa soluzione, con gradinate di platea e una loggia aggiunta (dispersi i disegni, la relazione è nella Biblioteca comunale di Faenza). Il risultato, che documentava l’assimilazione di modelli francesi, mostrava un processo di semplificazione formale anticipatore dello sperimentalismo degli anni successivi. Anche nel completamento del convento di S. Filippo (1790) e nella realizzazione del nuovo macello (1791) usò schemi compositivi semplici e razionali.

Nel frattempo, al percorso culturale verso un neoclassicismo sperimentale, Pistocchi accompagnò una maturazione politica verso ideali giacobini che lo portò più volte in carcere. Ma con la proclamazione della Repubblica Cisalpina, nel quadro delle assegnazioni di incarichi pubblici a esponenti del movimento giacobino romagnolo, avrebbe ricevuto la carica di ingegnere idraulico del canale Naviglio e di ispettore generale delle caserme del Dipartimento del Rubicone, i cui lavori sarebbero proseguiti fino al 1802.

Già nel 1795 aveva iniziato a lavorare per palazzo Milzetti, capolavoro del neoclassicismo italiano anche dal punto di vista decorativo, ma nel febbraio del 1797 fu sostituito da Giovanni Antonio Antolini, protetto dalla potente famiglia Laderchi, suo antagonista anche negli anni seguenti e che riuscì a estrometterlo dalla scena artistica faentina. Il dissidio tra i due architetti emerse pure in merito alla progettazione degli archi di trionfo e alla sistemazione della zona fuori porta Imolese, e si acuì più tardi a Milano, protraendosi per vari anni e fornendo a Pistocchi argomentazioni per alcuni libelli indirizzati contro il rivale.

Nel 1798, infatti, all’epoca dei grandi progetti napoleonici, Pistocchi fu chiamato a Milano come architetto dei Quartieri militari dal segretario di Stato Luigi Vaccari. Qui eseguì vari disegni (non attuati) di ispirazione illuminista che evidenziano uno spregiudicato sperimentalismo formale in chiave eclettica (rivelando pure l’interesse per le nuove tecnologie), sovente in contrapposizione con Antolini e con il suo neoclassicismo archeologico.

Iniziò con i progetti per piazza Duomo (fino al 1809), riprendendo il modello vitruviano di foro, eseguì il visionario progetto (1800) della colonna commemorativa della battaglia di Marengo. Per l’ospedale civile di Cesena (1799) l’acribia funzionale condusse alla camera singola per il malato, mentre nel gigantismo simbolico di un arco di trionfo alto più di 40 m emerge l’adesione alla causa repubblicana (1800); disegnò anche una fortezza, la casa Caldesi a Faenza e il riattamento di casa Pasetti a Lugo, in Romagna.

Poi, recatosi a Mantova in qualità di ispettore dei Palazzi reali, progettò porta Pradella e un palazzo sul corso della suddetta porta (1800-02), ma fu sempre più relegato a incarichi minori per l’emarginazione riservata ai giacobini, vivendo la delusione della sua avventura politica e culturale.

Di ritorno in Romagna nel 1802, Pistocchi continuò a dedicarsi a progetti: per un moderno porto a Ravenna, per il cimitero comunale di Faenza (1806-08) e per la ricostruzione degli interni della rocca di Imola (1805-10). Poi, ancora per Milano, disegnò le porte Marengo (1802-13), Sempione (1808) e Orientale (1811), nonché il Palazzo Reale sull’area del Castello. Si aggiungono, tra gli altri, i progetti per un ponte sul Ticino (1810 circa) e per il monumento-caserma sul Moncenisio (1813).

Morì a Faenza il 20 agosto 1814 (ibid., p. 22).

Fonti e Bibl.: A. Morri, G. P., in Biografie e ritratti di uomini illustri romagnoli… del conte Antonio Hercolani, IV, Forlì 1839, pp. 13-22; G. P. (1744-1814) architetto giacobino, a cura di E. Godoli, Faenza 1974 (con bibl.); D. Lenzi, Cosimo Morelli e G. P. architetti teatrali, in Architettura in Emilia Romagna dall’illuminismo alla restaurazione, Atti del Convegno..., Faenza... 1974, a cura di C.L. Anzivino, Bologna 1977, pp. 23-34; A.M. Matteucci - D. Lenzi, Cosimo Morelli e l’architettura delle legazioni pontificie, Imola 1977, ad ind.; F. Bertoni, G. P. (1744-1814) e Pietro Tomba (1774-1846), in L’età neoclassica a Faenza 1780-1820 (catal., Faenza), a cura di A. Ottani Cavina, Bologna 1979, pp. 172-180; A.M. Matteucci, Da Cosimo Morelli a Mauro Guidi, ibid., pp. 143-149; G. P.: inventario dei disegni e annessioni al catalogo delle opere, a cura di F. Bertoni, Faenza 1979; G. Kannès, Documenti su G. P., in Labyrinthos, IX (1990), 17-18, pp. 123-142; T. Manfredi, L’età del Grand Tour. Architetti ticinesi a Roma, in Svizzeri a Roma nella storia, nell’arte, nella cultura, nell’economia dal Cinquecento ad oggi, in Arte e Storia, VIII (2007), 35, n. monografico, a cura di G. Mollisi, p. 264; E. Bagattoni, La cultura architettonica faentina tra antico regime e impero, Cesena 2008; L’età neoclassica a Faenza, a cura di F. Bertoni - M. Vitali, Cinisello Balsamo 2013, ad indicem.

G. P., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, p. 111; Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, IV, Roma 1969, p. 465; R.J. Goy, G. P., in The Dictionary of Art, a cura di J. Turner, XXIV, 1996, pp. 885-887.

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