PISANELLI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PISANELLI, Giuseppe

Stefano Tabacchi

PISANELLI, Giuseppe. – Nacque a Tricase, nell’allora provincia di Terra d’Otranto (Lecce, Taranto, Mesagne), il 29 dicembre 1812 da Michelangelo e da Angela Mellone.

Perso il padre in giovane età, studiò inizialmente nel seminario di Ugento e poi nel collegio gesuitico di S. Giuseppe di Lecce. Dopo che la madre ebbe sposato in seconde nozze il magistrato Vito Ghiga, si trasferì a Trani e fu avviato agli studi di giurisprudenza sotto la direzione del patrigno e di Tommaso Spano.

Nel 1830 Pisanelli si stabilì a Napoli, dove acquisì una solida cultura giuridica e letteraria e si laureò in giurisprudenza nel 1832. Frequentò i salotti della capitale borbonica, in particolare quello di Carlo Poerio, esponente del liberalismo costituzionale appena tornato dall’esilio, e si legò in amicizia con molti coetanei che furono al centro delle lotte risorgimentali, come Giuseppe Massari, Pasquale Stanislao Mancini e Antonio Scialoja.

Dopo alcuni scritti minori di argomento letterario e filosofico, nel 1837 pubblicò a Napoli numerose arringhe e allegazioni e una monografia giuridica, Sul problema della punibilità del mandante nei reati di sangue, che ebbe buona accoglienza. Esercitò la professione di avvocato, prevalentemente in materie civili, e, nel 1839, fondò, insieme a Roberto Savarese, una scuola privata di diritto che fu attiva fino al 1847. L’anno successivo pubblicò l’opera abolizionista Sulla pena di morte (Napoli 1848), in seguito più volte ristampata.

Con l’avvio, nel 1847-48, dei moti costituzionali, Pisanelli entrò nella vita politica, in una prospettiva di liberalismo moderato che si riconosceva nella costituzione concessa da Ferdinando II il 3 febbraio 1848. Eletto al primo Parlamento napoletano nel maggio 1848, non vi poté svolgere un ruolo significativo perché il Parlameno venne sciolto subito, il 15 maggio dello stesso anno. Nuovamente eletto in giugno, poté svolgere un’attività più intensa, nonostante le varie sospensioni dei lavori imposte dal sovrano. L’11 agosto 1848 presentò una proposta di legge per l’abolizione della pena di morte e, il 19 febbraio 1849, una proposta di riforma della legge comunale e provinciale che andava nel senso dell’affermazione dell’elettività degli organi comunali, e un progetto per l’istituzione di un giurì per i reati di stampa e di Stato. Soprattutto lesse una mozione di indirizzo della Camera che sfiduciava il governo presieduto da Gennaro Spinelli, principe di Cariati, alla quale Ferdinando II reagì sciogliendo il Parlamento nel marzo 1849 e sopprimendo le libertà costituzionali.

Mentre altri deputati furono arrestati, Pisanelli riuscì fortunosamente a imbarcarsi da Napoli sul brigantino francese Ariel e il 4 ottobre 1848 raggiunse Genova; il governo napoletano gli intentò in seguito un processo per aver incitato, nel 1848, il popolo a manifestare; il procedimento si concluse nel 1853 con la condanna in contumacia a venticinque anni di reclusione e alla confisca dei beni.

Da Genova, Pisanelli si trasferì a Torino, dove animò, insieme ad altri fuoriusciti napoletani, circoli politico-culturali di orientamento liberale e patriottico. Nel giugno 1850 compì un viaggio a Londra e a Parigi, per sensibilizzare le opinioni pubbliche inglese e francese sulla situazione del Regno delle Due Sicilie. Stabilitosi nella capitale transalpina, entrò in rapporto con Vincenzo Gioberti, Guglielmo Pepe e Ruggiero Bonghi. Dopo il colpo di Stato del principe-presidente Luigi Napoleone, ritenendo che Parigi non offrisse più un asilo sicuro agli esuli, Pisanelli rientrò a Torino nella primavera del 1852. Qui ritrovò Mancini e Scialoja, che gli proposero di collaborare al Commentario al codice di procedura civile per gli Stati sardi, un’opera di ampio respiro che, nell’intento dei curatori, avrebbe dovuto sostituire i manuali stranieri in uso nei diversi Stati italiani, venendo a costituire una sorta di ‘digesto’ con una forte vocazione comparatistica.

All’interno del Commentario, edito a partire dal 1855, Pisanelli compose il volume I (Sulla competenza, Torino 1855), il volume IV (De’ mezzi per impugnare le sentenze, Torino 1857) e il volume V, tomo 2 (De’ varii procedimenti speciali, Torino 1856), dimostrando un solido approccio comparatistico che gli consentiva di vedere i limiti del modello francese trasfuso nel codice processuale civile del Regno di Sardegna. Negli stessi anni pubblicò una monografia (Dell’istituzione dei giurati, Torino 1856), in cui valorizzò l’istituto anglosassone della giuria, di nuovo in contrapposizione al modello transalpino.

Nel 1857, insieme a Massari e Scialoja, pubblicò un giornale legale, L’archivio, ma non abbandonò l’attività politica, difendendo tra l’altro gli esuli napoletani Giuseppe del Re e Laura Oliva – moglie di Mancini – incriminati per apologia di reato per aver pubblicato carmi in onore di Agesilao Milano, il soldato che nel 1856 aveva attentato alla vita di Ferdinando II di Borbone. Fin dalla sua fondazione, nel 1857, divenne inoltre uno dei più significativi esponenti della Società nazionale, riaffermando così la sua adesione al movimento liberale unitario.

Con l’avvio della seconda guerra d’indipendenza, Pisanelli collaborò attivamente al processo di unificazione. Nel 1859-60 coadiuvò Luigi Carlo Farini, governatore provvisorio delle province dell’Emilia, nel riordinamento delle Università di Modena e Bologna. Dall’estate 1860, a seguito della spedizione dei Mille e del tracollo della dinastia borbonica, Pisanelli fu tra gli esuli napoletani ai quali Cavour si rivolse nell’estremo tentativo di promuovere a Napoli l’affermazione di un partito liberale moderato in contrapposizione sia a Garibaldi sia al governo borbonico. Tornato a Napoli, Pisanelli entrò dunque a far parte, nel luglio 1860, del comitato dell’ordine, che si prefiggeva di far insorgere le province continentali del regno prima dell’arrivo di Garibaldi.

Tra il luglio e l’agosto 1860 questo tentativo moderato fallì e Pisanelli entrò come ministro della Giustizia nel governo provvisorio insediato da Garibaldi all’inizio di settembre. In quella veste, promosse le tendenze unitarie, cercando di far estendere al Mezzogiorno lo Statuto albertino e i codici del Regno di Sardegna, scontrandosi con la segreteria del dittatore che, il 22 settembre 1860, provocò le dimissioni del ministero. Il momentaneo ritiro di Pisanelli, nel frattempo nominato professore della prima cattedra di diritto costituzionale istituita all’Università di Napoli (29 ottobre 1860), durò comunque poco. Dopo che il plebiscito di annessione delle province napoletane al costituendo Regno d’Italia, del 21 ottobre 1860, confermò l’esistenza di una maggioranza filosabauda, Pisanelli entrò nuovamente come ministro di Giustizia nel governo del luogotenente Luigi Carlo Farini, ma ne uscì quando la luogotenenza passò a Eugenio Emanuele di Savoia, principe di Carignano, nel gennaio 1861. In quella veste Pisanelli promulgò la legge elettorale ed elaborò un ordinamento giudiziario esemplato su quello sardo del 1859.

La breve e contrastata esperienza di governo portò Pisanelli a impegnarsi stabilmente nella vita politica, pur senza abbandonare l’insegnamento e la pratica forense. Tuttavia, la sua produzione più propriamente scientifica rallentò, se si esclude la prolusione Lo Stato e la nazionalità (Discorso inaugurale alle lezioni di diritto costituzionale letto nella Regia Università di Napoli il dì 30 gennaio 1862, Napoli 1862), in cui svolse un tema classico del liberalismo meridionale quale quello dell’identificazione fra Stato e nazionalità.

Nelle prime elezioni per la Camera del Regno d’Italia, del 27 gennaio 1861, fu sconfitto da Liborio Romano nel collegio di Tricase, ma riuscì a imporsi ad aprile nel collegio di Taranto, che lo avrebbe rieletto fino al 1874. Nella prima fase della sua attività parlamentare fece parte, nell’autunno del 1862, della commissione parlamentare incaricata di esaminare la ‘relazione La Marmora’ sul brigantaggio nelle province meridionali, dalla quale scaturì, nel mese di dicembre, l’apposita inchiesta parlamentare.

Dall’8 dicembre 1862 al 24 settembre 1864 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Farini - Minghetti. Oltre ai suoi interventi nel dibattito sul brigantaggio meridionale, sfociato nell’approvazione della legge 15 agosto 1863, n. 1409, detta ‘legge Pica’, l’azione ministeriale di Pisanelli si legò soprattutto all’opera di unificazione legislativa e alle politiche di alienazione del patrimonio ecclesiastico.

Il 15 luglio 1863 Pisanelli presentò al Senato un progetto di codice civile, accompagnato da un’importante relazione. Dopo aver subito alcune modifiche – in particolare in relazione all’istituto dell’adozione –, il progetto non proseguì il suo iter a seguito della caduta del governo, ma fu alla base anche del progetto ripresentato dal suo successore, Giuseppe Vacca, di cui Pisanelli, tornato deputato, fu relatore. Dopo aver istituito una commissione ministeriale incaricata di compilare un codice penale unitario per tutta l’Italia, Pisanelli presentò inoltre alla Camera un disegno di legge per l’estensione alla Toscana delle norme del codice di procedura penale sardo, che pure ebbe accoglienza favorevole, ma che fu superato dal più ampio dibattito apertosi sull’abolizione della pena di morte, che non vigeva in Toscana. Più legato alla personale riflessione di Pisanelli fu il progetto di codice di procedura civile, da lui presentato al Senato il 26 novembre 1863 e fondato su un impianto schiettamente liberale, che valorizzava l’autonomia delle parti processuali e la ragionevole durata dei processi. Anche in questo caso, toccò al successore di Pisanelli promulgare il testo, senza peraltro rinnegarne l’impianto originario.

Molto importante fu anche il disegno di legge sull’abolizione delle corporazioni religiose e sulla sistemazione dell’asse ecclesiastico, presentato da Pisanelli il 18 gennaio 1864, che non divenne legge, ma fu alla base della disciplina emanata a partire dal 1866. Lo stesso Pisanelli contribuì a quest’ultima partecipando alla commissione nominata dal governo presieduto da Alfonso Ferrero della Marmora per l’esame del disegno di legge relativo alla soppressione delle congregazioni religiose.

Nella seconda metà degli anni Sessanta le fortune politiche di Pisanelli declinarono. Alle elezioni del 1865, caratterizzate da una generale sconfitta della Destra meridionale, fu battuto nel collegio di Tricase, ma vinse nuovamente in quello di Taranto. Il 18 giugno 1865 fu inoltre nominato al Consiglio di Stato ma, assorbito dalle sue attività politiche, non vi operò. In un contesto caratterizzato dal rimescolamento dei gruppi politici, Pisanelli non assunse cariche ministeriali, ma svolse un’attività parlamentare intensa.

Dall’ultimo scorcio della IX legislatura (dicembre 1866) alla fine dell’XI (settembre 1874) fu vicepresidente della Camera e presidente della giunta per le Elezioni. Nel 1867-69 fu presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sulle condizioni della provincia di Palermo, costituita a seguito della rivolta palermitana del 1866. Fu, infine, presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sulle operazioni della Regìa cointeressata dei tabacchi, istituita nell’estate del 1869, allo scopo di indagare su fenomeni di corruzione di parlamentari nell’ambito dell’appalto del monopolio dei tabacchi a un consorzio di finanzieri, deciso dal governo diretto da Luigi Federico Menabrea nel 1868. La relazione finale della commissione scagionò il deputato coinvolto (il giornalista garibaldino Giuseppe Civinini), pur richiamando a una maggiore moralità della vita pubblica.

Nel 1869 sposò la fiorentina Bianca Naldini, già vedova, adottando il figlio di lei, Alfredo Codacci, che fu a sua volta illustre giurista.

Rieletto nelle elezioni del 1869, non entrò nel governo Lanza - Sella, che pure appoggiò con la sua azione parlamentare. Intervenne in particolare sulla legge delle guarentigie (1871), sostenendo la classica posizione liberale separatista tra Stato e Chiesa e, nel 1873, si schierò a favore di un rapido avvio della costruzione dell’arsenale di Taranto, facendosi interprete delle pressioni che gli venivano dalla sua base elettorale.

All’inizio di maggio 1873, con la presentazione delle dimissioni del governo Lanza - Sella proprio a causa della questione dell’arsenale di Taranto, a Pisanelli fu richiesto da Vittorio Emanuele II di formare un nuovo ministero, ma egli declinò l’invito, come del resto fecero gli altri capi della Destra, e consigliò il sovrano di respingere le dimissioni del dicastero uscente. La crisi fu però rimandata solo di pochi mesi e, tra il giugno e il luglio 1873, Pisanelli fu nuovamente al centro delle trattative che portarono alla formazione del governo presieduto da Marco Minghetti, sulla base di una formula politica maggiormente aperta alla Sinistra. Insieme a Giuseppe Biancheri, egli gestì infatti le trattative con il capo della Sinistra, Agostino Depretis, contribuendo in maniera decisiva alla formazione dell’esecutivo.

Pisanelli rinunciò a entrare, come ministro di Grazia e Giustizia, nel governo, ritenendo di poter «giovare di più rimanendo fuori» (Confessore, 1979, p. 68), come egli stesso scrisse. Appoggiò criticamente Minghetti, cercando di creare le condizioni per un migliore rapporto tra il governo e le esigenze delle regioni meridionali, di cui egli si fece più volte portavoce.

Progressivamente, Pisanelli ridusse la sua attività politica, ritenendo che la Destra fosse ormai troppo schiacciata sugli interessi delle regioni settentrionali e valutando sempre più criticamente la politica economico-finanziaria del governo. Costante fu invece, durante tutti gli anni Sessanta e Settanta, il suo impegno nella professione forense, con una predilezione per le cause civili o, in qualche caso, fiscali.

Nelle elezioni del 1874 fu sconfitto nel collegio di Taranto da Vincenzo Carbonelli, esponente della Sinistra con cui si era più volte misurato, nonostante avesse presentato un programma aperto a un cauto riformismo. Poté tuttavia rientrare alla Camera affermandosi nelle elezioni suppletive svoltesi nei collegi di Agnone (27 dicembre 1874) e Brindisi (3-10 gennaio 1875) e optando per quest’ultimo.

Si distanziò progressivamente dalla Destra liberale e, pur rimanendo deputato, tornò soprattutto al suo impegno di giurista. Dopo aver pubblicato il volume su I progressi del diritto civile in Italia nel secolo XIX (Napoli 1871), nel 1875 entrò a far parte del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli e pubblicò un importante trattato dal titolo Della Corte di Cassazione (Napoli 1875), in cui prese posizione a favore di una netta distinzione del giudizio di Cassazione rispetto a quello di merito. Nel 1877, infine, entrò a far parte del comitato di redazione della rivista giuridica Il Filangieri.

Nelle elezioni del 1876 fu nuovamente sconfitto nel collegio di Manduria da Vitantonio Pizzolante, ma rientrò alla Camera nel gennaio 1878, a seguito dell’elezione suppletiva svoltasi dopo la morte di Pizzolante. Poco mesi dopo si ammalò.

Morì a Napoli il 5 aprile 1879.

Scritti e discorsi. Oltre ai testi citati, si segnalano: Mie idee sulla pena di morte, e confutazione del paragrafo 28 dell’opera su’ Delitti e le Pene di Cesare Beccaria per l’avv. Giacinto Nunziata, Napoli 1833; Passatempi di una onesta brigata nel tempo del colera, Napoli 1837; Vincenzo Gioberti, in Il cimento. Rivista di scienze, lettere ed arti, 1852, vol. 2, pp. 542-585; Elogio di Vincenzo Gioberti letto nell’Accademia di filosofia italica il dì 2 gennaio 1853, Torino 1853; Onori funebri renduti a Vincenzo d’Errico, Torino 1856 (con Paolo Emilio Imbriani); Del duello, Torino 1859; Discorso pronunziato dal ministro di Grazia e Giustizia nella tornata del Senato del 15 luglio 1863 presentando il primo libro del codice civile, Torino 1863; Parole di G. P. nella inaugurazione dell’Associazione napoletana per il progresso delle scienze sociali, Napoli 1869; Discorso pronunziato nel comizio elettorale di Taranto, nell’8 ottobre 1874, Lecce 1874; Lettera politica agli elettori, Napoli 1874.

Fonti e Bibl.: L’archivio di Giuseppe Pisanelli è andato perduto. Un nucleo di cinquanta lettere scritte alla madre e ai familiari durante l’esilio torinese sono conservate presso l’Archivio di Stato di Lecce, mentre il carteggio dal 1830 al 1860 con il cognato Tedorico Soria si trova nell’archivio della Biblioteca provinciale S. Teresa dei Maschi - De Gemmis di Bari. Lettere, documenti, incisioni, fotografie di Pisanelli sono altresì presenti in diversi fondi dell’archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano di Roma (http://www.risorgimento.it/php/page_gen.php?id_sezione=3&id_menu_sx=15 (20 giugno 2015) e nell’Archivio privato Ruggiero Bonghi, depositato presso l’Archivio di Stato di Napoli. Brani del suo epistolario reperibili in queste e altre collezioni sono pubblicati in O. Confessore, G. P.: lettere inedite con un saggio introduttivo, Milano 1979. Cinque faldoni e quarantottto fascicoli di incartamenti della commissione d’inchiesta sui fatti della Regìa cointeressata dei tabacchi sono conservati nell’Archivio storico della Camera dei deputati di Roma. Inoltre: necr., Onoranze a G. P. morto addì 5 aprile 1879, Napoli 1880; Indice generale degli Atti parlamentari 1848-97, II, Le elezioni politiche al parlamento subalpino e al parlamento italiano. Storia dei collegi elettorali dalle elezioni del 17-27 aprile 1848 a quelle del 21-28 marzo 1897, a cura di L. Nuvoloni, Roma 1898, pp. 108, 359, 642.

La bibliografia su Pisanelli è molto ampia, ma si trova esaurientemente collazionata in una serie di contributi recenti e meno recenti, di seguito indicati: L. Stampacchia, G. P.: la biografia e il suo progetto di codice civile, Lecce 1880; G. P.: commemorazione letta da Luigi Sampolo nella grande sala dell’università, ricorendo l’undicesimo anniversario della fondazione del circolo giuridico, Palermo 1880; F. Pepere, Della vita e delle opere di G. P.: memoria letta all’Accademia di Scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli, Napoli 1889; A. Moscati, I ministri del Regno d’Italia, II, Da Aspromonte a Mentana, Napoli 1957, pp. 26-39; A. Aquarone, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano 1960, ad ind.; M. D’Addio, Politica e magistratura 1848-1876, Milano 1966, ad ind.; A. Capone, L’opposizione meridionale nell’età della destra, Roma 1970, ad ind.; A. Berselli, Il governo della Destra. Italia legale e Italia reale dopo l’unità, Bologna, 1997, ad ind.; V. Marvasi, Diomede Marvasi. Patriota, scrittore, magistrato, Soveria Mannelli 2001, pp. 26 s., 29, 39, 44 s., 49, 60, 64, 68, 82, 113, 117; L. Lacché, Il ‘discorso’ costituzionale nell’opera di G. P., in Giornale di storia costituzionale, X (2005), 2, pp. 87-103; G. Vallone, Dalla setta al governo. Liborio Romano, Napoli 2005, ad ind.; G. P.: scienza del processo, cultura delle leggi e avvocatura tra periferia e nazione, a cura di C. Vano, Napoli 2005; C. Ivaldi, G. P., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. Melis, I, Milano 2006, pp. 190-204 (con completa bibliografia delle opere); B. Montesi, Questo figlio a chi lo do? Minori, famiglie, istituzioni (1865-1914), Milano 2007, pp. 16, 21, 70, 93, 98, 100, 137; G. P. (1812-1879), in Avvocati che fecero l’Italia, a cura di S. Borsacchi - G.S. Pene Vidari, Bologna 2011, pp. 679-724; A. Spinosa, G. P., in Il contributo italiano alla storia del pensiero - Diritto, Roma 2012, pp. 290-293; C. Vano, P. G., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), a cura di I. Birocchi et al., Bologna 2013, pp. 1600-1602; I lavori preparatori dei codici italiani. Una bibliografia, Roma 2013, pp. 5, 33, 51, 55, 66 s.; Camera dei Deputati, Portale storico,http://storia.camera.it/ deputato/giuseppe-pisanelli-18121229#nav (20 giugno 2015).

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