Mazzini, Giuseppe

L'Unificazione (2011)

Mazzini, Giuseppe


Patriota e uomo politico (Genova 1805 - Pisa 1872). L’ambiente familiare contribuì a dare al giovane Mazzini una formazione severa sulla quale ebbero indubbi riflessi gli ideali democratici del padre, Giacomo, medico, e il rigorismo morale della madre, Maria Drago, la cui concezione religiosa della vita era ricca di motivi giansenistici non infrequenti nella Liguria della fine del Settecento. Giansenisti erano anche i due abati – prima Luca Agostino De Scalzi e poi Stefano De Gregori – ai quali fu affidata la sua prima educazione. Iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, partecipò alle agitazioni scoppiate a Genova tra il giugno del 1820 e il marzo 1821 e sviluppò, accanto all’interesse per la politica, anche quello per la letteratura aderendo con passione allo spirito romantico. Durante gli anni universitari Mazzini si legò ai fratelli Jacopo, Giovanni e Agostino Ruffini in un sodalizio in cui polemica letteraria e lotta politica erano strettamente collegate, nella convinzione che una nuova letteratura presupponesse un rinnovamento morale e politico del paese. In questo senso va letta la collaborazione mazziniana all’«Indicatore genovese» (1828) e, dopo la soppressione di questo, all’«Indicatore livornese» di Francesco Domenico Guerrazzi. Nel 1827, anno della sua laurea, si affiliò alla carboneria e cominciò un’intensa attività cospirativa in Liguria e in Toscana. Arrestato nel novembre 1830, in seguito a una delazione, fu rinchiuso nella fortezza di Savona, dove rimase fino al termine del processo conclusosi nel gennaio 1831 con l’assoluzione per insufficienza di prove di tutti gli imputati. Dopo la sentenza, alcuni di questi – tra i quali Mazzini – furono invitati a scegliere tra il confino in qualche piccola località all’interno del Regno e l’esilio. Mazzini scelse l’esilio e fu a Lione, a Marsiglia e a Ginevra. Durante la permanenza nel carcere di Savona egli aveva maturato il distacco dalla carboneria, ormai fatta «cadavere», avviando il disegno della Giovine Italia che egli fondò nel 1831. Obiettivo della Giovine Italia era una repubblica unitaria «di liberi ed eguali», consapevoli di appartenere alla stessa nazione. Il programma politico risultava chiaro nel giuramento degli aderenti alla nuova organizzazione «Do il mio nome alla Giovine Italia, associazione di uomini credenti nella stessa fede e giuro: di consacrarmi tutto e per sempre a costruire con essi l’Italia in una nazione una, indipendente, libera e repubblicana». Il pensiero politico di Mazzini era incentrato sull’idea di nazione che egli intendeva come una comunità etico-religiosa, una comunità che esiste prima della politica, ma che trova nella politica la sua realizzazione consapevole, una comunità voluta da Dio che affida a ogni nazione lo svolgimento di una particolare missione: l’Italia doveva porsi alla guida dei popoli oppressi. Se la Roma antica aveva unito tutti i popoli del continente e la Roma dei papi li aveva condotti sotto un’unica autorità religiosa, la terza Roma sarebbe stata un faro di libertà per tutti i popoli della terra. La dimensione religiosa informava tutto il linguaggio e la pratica politica mazziniana che diveniva così un vero e proprio apostolato: le nuove idee erano definite «il verbo» da diffondere, l’azione patriottica una «santa impresa» e i caduti per la causa dei «martiri». Il popolo era lo strumento in cui Dio si manifestava, come ben esprimeva il motto «Dio e popolo». La Giovine Italia dal punto di vista organizzativo si contrapponeva alle pratiche cospirative e iniziatiche della carboneria: la propaganda, l’azione educativa nei confronti delle masse che andavano coinvolte nel processo rivoluzionario, il dibattito interno, il legame tra la riflessione politica e l’azione, riassunta nell’altro motto mazziniano «pensiero e azione» ne erano i tratti caratteristici. Gli aderenti alla Giovine Italia organizzarono da subito numerose iniziative insurrezionali tutte destinate all’insuccesso: nel 1833 vi furono decine di arresti e 12 esecuzioni capitali dopo la scoperta di una congiura in Piemonte; nel 1834 fu bloccato un tentativo insurrezionale in Savoia e a Genova. Mazzini reagì allargando il suo programma con la fondazione della Giovine Europa (1834) per favorire in tutto il continente le lotte dei popoli oppressi. Nel 1837, dopo essere stato espulso dalla Svizzera, si stabilì a Londra dove entrò in contatto con John Stuart Mill e con Thomas Carlyle che nutrirono per lui stima e ammirazione. Il periodo londinese fu connotato però da grandi difficoltà materiali e morali: la sua unica risorsa era la scrittura e si impegnò duramente per trovare quotidiani e riviste disposti a pubblicare i suoi articoli. La sua riflessione si andava intanto estendendo alla questione sociale e si concretizzava, in opposizione al socialismo, in una proposta di riformismo di stampo solidaristico. Divenuto una personalità di fama internazionale dovette subire i contraccolpi delle sfortunate iniziative insurrezionali in Romagna (1843-45) e della spedizione dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera in Calabria nel 1844. In particolare quest’ultima, di cui pure non aveva responsabilità diretta, gli procurò l’accusa di avventurismo politico. Nell’aprile 1848, dopo aver fondato a Parigi l’Associazione nazionale italiana, arrivò a Milano liberata dagli austriaci. Qui, oltre al tradizionale contrasto con le correnti moderate che auspicavano in vario modo la fusione con il Regno di Sardegna, si consumò la definitiva rottura con l’ala federalista del movimento risorgimentale. Costituitasi nel febbraio 1849 la Repubblica romana, giunse in città e nel marzo entrò nel triumvirato dando prova di notevoli capacità di governo. Dopo la caduta la Repubblica riprese la via dell’esilio prima in Svizzera poi di nuovo a Londra. Negli anni Cinquanta Mazzini tentò di dare nuovo impulso all’azione insurrezionale e a questo scopo fondò nel 1853 il Partito d’azione, ma tutte le iniziative da lui promosse andarono incontro all’insuccesso e scatenarono una dura repressione. In Liguria, in Piemonte e in Lombardia, vi furono tra il luglio 1851 e la fine del 1852 circa un centinaio di arrestati: dieci furono impiccati a Belfiore, nei pressi di Mantova, tra il dicembre 1852 e il marzo 1853. Tra la prima e la seconda serie di esecuzioni si ebbe a Milano il moto del febbraio, sull’opportunità del quale, in realtà, c’erano stati dissensi tra gli stessi mazziniani. Il completo fallimento del moto colpì duramente Mazzini e le sue aspettative di un coinvolgimento degli strati popolari della capitale lombarda che invece ancora una volta non avevano risposto all’appello. Nel 1857, in concomitanza con la spedizione di Carlo Pisacane finita tragicamente, giunse a Genova per impadronirsi di un carico di armi, ma il tentativo fallì e Mazzini, già colpito da una condanna a morte nel 1833, fu nuovamente condannato in contumacia. Tornato a Londra, dal suo periodico «Pensiero ed Azione» deprecò l’alleanza franco-piemontese, ma spronò i suoi seguaci a combattere contro l’Austria insieme con l’esercito regio. Dopo Villafranca, tentò inutilmente di promuovere, da Firenze, un’iniziativa di volontari nelle Marche, nell’Umbria e nel Regno di Napoli. Ancora a Lugano, poi a Londra, dopo l’impresa dei Mille tornò a Genova, in incognito, ma la spedizione da lui promossa nell’Italia centrale fu fermata. Da Napoli, dove nell’ottobre 1860 aveva fondato il «Popolo d’Italia», si recò a Lugano e poi ancora a Londra, amareggiato per l’ostilità che la sua presenza di «esule in patria» provocava, per l’indirizzo ormai regio del Risorgimento e affranto da sofferenze fisiche. In contrasto anche con Garibaldi, del quale non approvò i tentativi di soluzione della questione romana del 1862 (Aspromonte) e del 1867 (Mentana), si irrigidì nella sua posizione repubblicana, specie dopo la Convenzione di settembre (1864). Visse gli ultimi anni tra Londra e Lugano, con brevi e furtivi soggiorni a Genova e a Milano. La sua azione politica era ormai polarizzata su due temi: Roma e la questione sociale. Roma non era per Mazzini una città come le altre da annettere: Roma era un’idea, il simbolo di un’età che da essa avrebbe avuto inizio. Per liberarla egli organizzò nella primavera 1870 una spedizione che sarebbe dovuta partire dalla Sicilia. Arrestato mentre si preparava a sbarcare a Palermo, fu internato nel forte di Gaeta. Ne uscì amnistiato e riprese il suo esilio. Fondò ancora la «Roma del popolo» (1871), per l’educazione degli operai, riprendendo i temi del libro I doveri dell’uomo (1860). Nel 1864 la partecipazione alla fondazione della Prima internazionale lo aveva visto opporsi ai marxisti e agli anarchici di cui condannava l’irreligiosità, la negazione della nazione e della proprietà individuale, la lotta di classe. Quest’ultimo periodo fu per Mazzini il più duro della sua vita: lasciata Londra, nel febbraio 1871, si recò a Lugano dove rimase circa un anno. Tornò per l’ultima volta in Italia per trascorrervi i suoi ultimi giorni e, dal febbraio 1872 alla morte, visse a Pisa, sotto il nome di dottor Brown, accettando l’ospitalità di Giannetta Nathan Rosselli. La sua salma fu tumulata nel cimitero di Staglieno a Genova.

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