GALANTI, Giuseppe Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALANTI, Giuseppe Maria

Antonello Pizzaleo

Nacque il 25 nov. 1743 a Santacroce di Morcone nel contado di Molise (oggi Santa Croce del Sannio) da Giambattista e da Agata Musaccio. Primo di dodici figli, fu educato secondo i principî paterni, provinciali e retrivi, "così che" - ricorderà il G. - "si poteva fare di me un cattivissimo uomo", e a nove anni fu mandato a Napoli presso uno zio; ma questi "non prese molto pensiero della mia persona, né dei miei studi". Decisivo per la sua formazione fu l'incontro con A. Genovesi, che gli ispirò "un gusto violento per le scienze […], questo solo […] decise del mio destino" (Memorie storiche, ed. Demarco, pp. 32 s.). I primi scritti, mai pubblicati (e conservati a Santa Croce del Sannio, cfr. Venturi, 1962, p. 985) e dai quali emerge il dissenso col padre, che lo voleva avvocato, sono di ispirazione genovesiana: dalla Lettera filosofica (indirizzata al padre, in data 11 giugno 1761), al trattato Della civile filosofia (1761), fino alle Considerazioni politiche sopra i vantaggi e gli svantaggi del Regno di Napoli (1761). Nel 1762 riprese tuttavia gli studi di giurisprudenza, laureandosi il 18 apr. 1765.

Due anni dopo morì il padre. La ritrosia e l'avversione per il foro non impedirono che nel 1768 il G. stendesse per la comunità di Santa Croce una Memoria contro il barone G. Tramontano; la causa si protrasse fino al 1773, quando egli pronunciò un'arringa che lo liberò per sempre dal timore del pubblico. Le cause che trattò in questi anni "ebbero spesso rapporto con la terra che gli aveva dato i natali, e lo dovettero istruire sui problemi della feudalità" (D. Demarco, Introduzione a G.M. Galanti, Della descrizione, p. XI). Dopo la morte del Genovesi (1769), il G. iniziò a comporre l'Elogio storico del signor abate A. Genovesi, un ritratto esemplare, contro le critiche - di parte non solo clericale - al suo magistero, che apparve anonimo a Napoli soltanto nel 1772. Poiché il G. aveva sottoposto l'Elogio al censore di Stato ma non al revisore ecclesiastico, fu avviato contro di lui un procedimento inquisitoriale arrestatosi solo nel 1774 con la seconda edizione dell'Elogio, apparsa a Venezia con permesso ecclesiastico.

L'Elogio ebbe risonanza europea: nel 1773 il G. ritenne di potersi rivolgere direttamente a Voltaire per denunciare i tentativi delle forze conservatrici di ostacolare l'avanzata dei lumi a Napoli. In questi anni il G. intrattenne l'unica relazione sentimentale importante della sua vita con la Urania delle Memorie, Maria Caterina Castiglione Del Ponte: nella vecchiaia giudicherà con disincanto questo tormentato periodo della sua esistenza, segnato dalla passione per la letteratura europea e le correnti più avanzate della filosofia del sentimento. Concepita in questa temperie è l'operetta Dello spirito generale della religione cristiana (pubblicata nel 1780 nella sua trad. delle opere di A. Arnaud; nuova ed. corretta, 1788): "Galanti è preromantico, non romantico ancora […] gli argini della philosophie erano solidi e un equilibrio venne ristabilendosi presto tra gusto e ragione, tra metafisica e sentimento" (Venturi, 1962, p. 950).

Nel 1777 il G. diede vita alla Società letteraria di Napoli, impresa editoriale che seguiva una sua precedente esperienza nel commercio librario; nel 1779, incaricato da F. De Leon dell'allestimento di una tipografia per l'Accademia delle scienze di Napoli, ne rilevò poi il materiale rimasto inutilizzato dando vita alla Società letteraria e tipografica di Napoli. Dopo un insuccesso commerciale (la ristampa delle opere giuridiche di J. Godefroy), maturò il progetto di una edizione delle opere di N. Machiavelli, in auge presso gli ambienti anticurialisti; dopo due anni di preparativi, nel 1779 apparve l'Elogio del segretario fiorentino ma l'edizione critica fu bloccata dalla censura: l'attività editoriale del G. si era attirata, infatti, le critiche degli ambienti ecclesiastici più conservatori e le gelosie dei librai napoletani. La Società letteraria aveva nel frattempo intrapreso la traduzione delle opere di A. Arnaud, di cui il G. stese la prefazione, ripubblicata nel 1781 col titolo di Osservazioni intorno a' romanzi. Nel 1780 vide la luce la traduzione degli Éléments d'histoire générale ancienne et moderne di C.F. Millot; tra il 1781 e il 1785 il G. curò la pubblicazione della Geografia di A.F. Büsching e, sulla scorta del Voyage en Italie di J.-J. Le Français de Lalande, compose la Descrizione storica e geografica dell'Italia.

La progettata continuazione della Geografia con una descrizione di Asia, Africa e America incontrò tuttavia l'opposizione dei soci, i cui interessi commerciali, nei nove anni di vita della Società letteraria, entrarono spesso in conflitto con i progetti e le ambizioni intellettuali del G., che mirava soprattutto alla diffusione della filosofia dei lumi a Napoli. Nel quarto volume degli Elementi il G. aveva inserito un'esortazione della Castiglione a comporre una storia dei Sanniti: il Saggio sulla storia de' Sanniti (1780) apparve nel quinto volume degli Elementi. Inoltre, insoddisfatto dello scritto di E. Bonnot de Condillac sulla protostoria dell'Italia inserito nella traduzione degli Éléments, volle trattare l'argomento nel Saggio sopra l'antica storia de' primi abitatori dell'Italia (1783). Si configurava il mito galantiano di un antico Sannio libero e fiorente, popolo di piccoli agricoltori liberi contrapposto al dispotismo imperiale romano e alla "seconda barbarie" del Medioevo; un'immagine delle antichità italiche funzionale a una rappresentazione critica delle condizioni presenti del contado di Molise, l'antico Sannio, e di tutte le province del Regno, segnate dal persistere del sistema feudale e dallo squilibrio a favore della capitale: il G. "si volgeva alla storia, non con intenti eruditi, bensì con forte impegno civile; e tuttavia nella meditazione dei grandi fatti del passato si smorzava l'illuministico entusiasmo giovanile" (Villani, Il dibattito, p. 292). Nelle estati del 1779 e del 1780, trascorse a Santa Croce, il G. maturò le riflessioni alla base della Descrizione dello stato antico ed attuale del contado di Molise (Napoli 1781), dove si mostrano gli effetti del "mostruoso" sistema feudale nelle campagne: "Il tono è apparentemente distaccato e impersonale […] ma con sempre maggiore evidenza emergono […] la insostenibilità della situazione, la necessità delle riforme, la condanna del regime feudale" (Villani, Il dibattito, p. 297). La radicalità delle analisi era però temperata sia dalla cautela del G., regalista fautore di una monarchia moderata, convinto della funzione progressiva della monarchia borbonica, sia dalla sua consapevolezza della complessità storica dei fenomeni considerati.

Il successo dell'opera sul Molise valse al G. l'incarico da parte della corte di comporre un lavoro analogo sull'intero Regno meridionale. Ebbe inizio così una collaborazione tra le più significative nell'ambito dei rapporti tra riformatori e dinastia borbonica. Il primo tomo della Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie fu pubblicato a Napoli nel 1786 - nonostante l'avversione di F. Galiani - presso il Gabinetto letterario (denominazione con cui il G. aveva continuato a svolgere l'attività di editore dopo la fine della Società letteraria). Il G. fu ritenuto il più adatto a intraprendere una vasta descrizione demografica e un aggiornamento dello stato del Regno: notificata al governo la necessità di effettuare visite in loco per approfondire la conoscenza diretta dei territori del Regno, nel 1790 egli si recò a Cava, Salerno e Paestum; visitò Gaeta, Fondi e Montefusco. I materiali raccolti confluiranno nel IV tomo della Descrizione.

L'opera, per la quale il G. si avvalse della collaborazione del giovane V. Cuoco, ebbe diffusione europea: C.J. Jagemann ne curò la traduzione tedesca. Nominato nel 1791 visitatore generale delle province del Regno, dopo aver interrotto l'esercizio dell'avvocatura, il G. fu, insieme con il fratello Luigi, geografo, a Lecce e a Trani, visitò il Gargano e il basso Molise. Dall'Abruzzo si spinse fuori dal Regno, attraversando le Marche fino ad Ancona ammirando il paesaggio agrario e urbano e il livello di civiltà delle popolazioni. Nel 1792 viaggiò attraverso la Calabria e la Sicilia orientale per una missione che durò quasi tre mesi. Nel 1793, nel corso di una visita regia ai confini del Regno si recò per la prima volta a Roma. Le visite regie davano occasione al G. di riflettere sia su singoli problemi (dalla bonifica delle zone paludose al rimboschimento dei territori montani fino alle condizioni dei carcerati), sia su questioni di carattere generale, per le quali cercò invano la collaborazione di uomini di governo: così fu travisato dal segretario di Stato S. Simonetti il suo progetto di riforma della giustizia; né avevano avuto maggior fortuna i tentativi di riformare il Catasto del Regno e di decentrarne le strutture amministrative. Al principio del 1793, invitato dal Simonetti a esprimersi sulla controversia che opponeva l'intendente agli allodiali D. Di Gennaro e M. Cianciulli, avvocato fiscale della Sommaria, sul destino dei feudi devoluti alla Corona, il G. auspicò una "legge solenne e costituzionale" che rendesse i feudi devoluti allodiali nelle mani dei possessori riservando ogni giurisdizione di origine feudale - per il G. "il cuore del potere baronale" (Galasso, 1983, p. 274) - alla Corona, per "distruggere il sistema feudale con quella moderazione che si conviene alla dolcezza del nostro governo" (G.M. Galanti, Testamento forense, Venezia 1806, II, pp. 8 s.).

A mano a mano che gli eventi rivoluzionari francesi diventavano più minacciosi (ciò che per il G. rendeva più urgenti le riforme), si profilarono le prime difficoltà a corte: già la relazione al re su Montefusco aveva suscitato reazioni negative per le troppo recise affermazioni antifeudali; inoltre, un piano di riforma per la Calabria era stato respinto perché gli intellettuali calabresi coinvolti dal G. erano risultati tutti appartenenti a logge massoniche. Nel 1794 le visite furono sospese e, nonostante il G. contasse su varie protezioni (in primo luogo su quella della regina) e si sentisse garantito dalla natura istituzionale del suo compito, fu vietata la pubblicazione del quinto tomo della Descrizione. La stagione delle riforme era tramontata: "le materie economiche e politiche ch'erano tanto gustate ed animate dal governo nel 1782 non potevano essere più di stagione" (Memorie, pp. 78 s.). Il G. ebbe ancora incarichi politici: nel 1795 fu inviato a Roma per una missione e vi ritornò l'anno seguente. Nel 1797, provato da una grave malattia, si sentiva ormai "disingannato di molte illusioni" (ibid., p. 88) e privo delle risorse economiche necessarie per affrontare l'incertezza dei tempi; riprese dunque la professione forense, essendone in breve così assorbito da abbandonare l'idea di entrare nella magistratura: proprio allora, grazie a un estimatore, fu nominato giudice dell'Ammiragliato. Fu un periodo di tranquillità e di appagamento; durante un soggiorno a Ischia il G. tracciava le linee di un saggio sulla decadenza del foro napoletano, che divenne il Testamento forense (pubblicato, in due voll., a Venezia, qualche mese prima della sua morte, nel 1806).

Con la guerra alle porte si prospettava per il G. un incarico alla direzione delle Finanze, che sfumò per il coinvolgimento di un fratello in attività sovversive ma soprattutto per la sua accresciuta fama di riformatore. La fuga del re nel dicembre del 1798, "di terribili cose causa e principio" (Memorie, p. 121), gettò il G. nella disperazione: alla ricerca di un "luogo di sicurezza" vagò tra Napoli e Casoria, dove aveva la sua residenza di campagna, mentre gli alti dignitari di corte fuggivano col risultato di "lasciarci in preda a tutti gli orrori dell'anarchia" (ibid., p. 123).

Con l'insediamento del Consiglio provvisorio rivoluzionario il G. trovò davanti a sé uomini nuovi che, con poche eccezioni, non conosceva o non stimava. Secondo lui né il popolo, "che non ha idea di repubblica", né il ceto colto avrebbero potuto appoggiare una rivoluzione i cui obiettivi non potevano ottenersi in "meno di tre generazioni" (ibid., p. 129). Così, già ripiegato sugli studi di antichità, il suo pensiero tendeva ormai al conservatorismo: "L'ideale d'un assolutismo illuminato si volgeva contro ogni aspirazione costituzionale" (Venturi, 1962, p. 981). Il 25 genn. 1799 venne invitato a esprimersi sulle finanze davanti ai commissari francesi, che gli prospettarono un incarico ufficiale: egli si disimpegnò con una memoria stesa in modo assai prudente. Tra accuse di tradimento e attestazioni di stima il G., ricollocato in febbraio al suo posto di giudice, fu chiamato a partecipare alla commissione per il riordino delle finanze pubbliche e a comporre una memoria sui feudi e le decime per il Comitato di legislazione: in essa egli cercava di opporsi alla decisione del governo provvisorio di "sovvertire la proprietà de' feudatari" (Memorie, p. 142). Dopo che lo si era indicato come ministro delle Finanze della Repubblica, A.-J. Abrial lo chiamò nella Commissione legislativa; qui, tuttavia, il suo atteggiamento troppo schivo alimentò nuovi sospetti.

Un contegno prudente non lo preservò dalla successiva reazione borbonica e sanfedista: la sua villa di Casoria fu saccheggiata ed egli dovette rimanere nascosto, aiutato in questo difficile frangente dal conterraneo marchese F. De Attellis. La sua partecipazione alla Commissione legislativa fu considerata "delitto capitale, e poco mancò che non gli costasse la vita. Fu per due anni fuggiasco, il che vuol dire peggio che arrestato; e quei due anni di disagi e di timori gli indebolirono la salute" (V. Cuoco, L'Elogio di G.M. G., in Giornale di Napoli, 13 ott. 1806, in Id., Scritti vari, a cura di N. Cortese - F. Nicolini, Bari 1924, II, pp. 233 s.).

Nel 1803 approdò a una relativa tranquillità e negli anni seguenti riprese a viaggiare (nel 1805 fu in Italia settentrionale, Firenze e Roma), alternando lunghi ritiri a Casoria e Santa Croce. L'avvento di Giuseppe Bonaparte nel 1806 coincise con la ripresa delle pubblicazioni della Descrizione. Il G., ormai gravemente malato, fu nominato bibliotecario del Consiglio di Stato e prese parte alla fondazione del Reale Istituto d'incoraggiamento.

Si spense a Napoli il 6 ott. 1806.

Fonti e Bibl.: Le Memorie storiche del mio tempo, a cura di D. Demarco, Napoli 1970, costituiscono, insieme con il Testamento forense, I-II, Venezia 1806, le fonti autobiografiche di riferimento per uno studio sul Galanti. Per la bibliografia anteriore al 1962 si rimanda a F. Venturi, G.M. G. Nota introduttiva, in Illuministi italiani, V, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, pp. 939-985. Si veda inoltre: G. Galasso, La legge feudale napoletana del 1799, in Riv. stor. italiana, LXXVI (1964), pp. 507 s., 515-517; M. Rosa, Dispotismo e libertà nel Settecento. Interpretazioni "repubblicane" di Machiavelli, Bari 1964, pp. 59-67; N. Cortese, Eruditi napoletani del Settecento, in Id., Cultura e politica a Napoli dal Cinque al Settecento, Napoli 1965, pp. 261 s.; Id., Il Mezzogiorno e il Risorgimento italiano, Napoli 1965, ad ind.; G. Procacci, Studi sulla fortuna del Machiavelli, Roma 1965, pp. 368-371; M.A. Cattaneo, Illuminismo e legislazione, Milano 1966, pp. 58 s.; M.L. Perna, G.M. G. editore, in Miscellanea Walter Maturi, Torino 1966, pp. 223-258; C. Rainone, Il pensiero economico di G.M. G., Roma 1968; R. Ajello, Legislazione e crisi del diritto comune nel Regno di Napoli. Il tentativo di codificazione carolino, in Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli 1968, pp. 190-192; P. Villani, Il dibattito sulla feudalità nel Regno di Napoli dal Genovesi al Canosa, ibid., pp. 254-256, 291-298, 314-319; Id., La questione feudale nel Regno di Napoli da Carlo di Borbone a Gioacchino Murat, in Feudalità, riforme, capitalismo agrario, Bari 1968, pp. 76, 79-81, 83, 91; D. Demarco, Introduzione a G.M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle due Sicilie, a cura di F. Assante - D. Demarco, Napoli 1969, pp. IX-LXXXVI; Id., La vita e le opere di G.M. G., introd. a G.M. Galanti, Memorie storiche del mio tempo, cit., pp. 7-31; R. Sirri, La cultura a Napoli nel Settecento, in Storia di Napoli, VIII, Napoli 1971, pp. 224-230; F. Venturi, Napoli capitale nel pensiero dei riformatori illuministi, ibid., pp. 40-48, 61-63; G. Tocci, Terra e riforme nel Mezzogiorno moderno, Bologna 1971, pp. 103-112; A. De Martino, Antico regime e rivoluzione nel Regno di Napoli…, Napoli 1972, pp. 51-91, 93-104; F. Diaz, Per una storia illuministica, Napoli 1973, pp. 437-441; P. Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari 1973, pp. 224 s., 272, 324; B. Vecchio, Il bosco negli scrittori italiani del Settecento e dell'età napoleonica, a cura di L. Gambi, Torino 1974, pp. 152 s., 158-160; F. Venturi, Settecento riformatore, II, La Chiesa e la Repubblica dentro i loro limiti, Torino 1976, pp. 205-213; G. Galasso, Genovesi e G., in Riv. stor. italiana, XC (1978), pp. 294-310; A. De Martino, Tra legislatori e interpreti. 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Ferrone, I profeti dell'Illuminismo…, Roma-Bari 1989, ad ind.; G.A. Arena, La cultura politica molisana nell'età dell'Illuminismo, Napoli 1990, pp. 13-23, 31-46; G. Giarrizzo, Erudizione storiografica e conoscenza storica, in Storia del Mezzogiorno, IX, Aspetti e problemi del Medioevo e dell'Età moderna, Napoli 1991, II, pp. 575-580; A. Placanica, Cultura e pensiero politico nel Mezzogiorno settecentesco, ibid., III, pp. 227-233; Id., G. alla scoperta della Calabria, introd. e note a G.M. Galanti, Scritti sulla Calabria, Cava de' Tirreni 1993, pp. 7-98; Enc. Italiana, XVI, pp. 258 s.

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