GIUSEPPE da Leonessa, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIUSEPPE da Leonessa, santo

Dario Busolini

Eufranio Desideri nacque a Leonessa, nei pressi di Rieti, l'8 genn. 1556, terzogenito del facoltoso borghese Giovanni e di Francesca Paolini.

Iscritto a dieci anni in una confraternita cappuccina, nel 1567 perse entrambi i genitori. Si occuparono di lui le sorelle e lo zio Giovanni Battista, di professione maestro. Questi mandò G. a studiare prima a Viterbo nel 1569, poi a Spoleto, dal 1571, dove G. maturò (secondo la tradizione, contro il volere dei familiari) la sua vocazione religiosa. Il 3 genn. 1572 entrò nel convento cappuccino delle Carceri, ad Assisi, completando la propria formazione a Spoleto e a Perugia, il 21 maggio 1581, con la patente di predicatore, dopo essere diventato sacerdote nel 1580. Già in precedenza, però, aveva sperimentato i primi segni di quei fenomeni mistici che segneranno il corso della sua vita.

G. voleva essere un semplice predicatore di provincia e iniziò a svolgere questo ministero a Visso e ad Arquata del Tronto. Dapprima preoccupandosi molto dell'oratoria sacra, poi affidandosi sempre di più alla sua ispirazione religiosa, sorretta da appunti preparati volta per volta, sulle linee della spiritualità cappuccina, e dal ricorso a vivaci immagini popolari, descritte con il tono e la maniera delle sacre rappresentazioni. Ma nel 1587, alla notizia della morte per peste dei gesuiti mandati in missione a Costantinopoli da Gregorio XIII e della loro imminente sostituzione con dei cappuccini, G. chiese di entrare nel gruppo di quei missionari. Giudicato non idoneo il 20 giugno, fu tuttavia ammesso alla spedizione il 1° agosto quale sostituto del malato Egidio da Santa Maria. In compagnia di un altro leonessano, fra Gregorio, G. giunse a Costantinopoli nella tarda estate.

Accolti nel monastero di S. Benedetto a Galata, i cappuccini dovevano limitarsi ad assistere i 4000 cristiani prigionieri nel bagno penale. G. si segnalò per l'assiduità con cui si occupava dei detenuti, nonostante il continuo pericolo di epidemie. In un'occasione, essendosi trattenuto troppo con i prigionieri, non fece in tempo a rientrare a Galata prima della chiusura delle porte. Arrestato, venne liberato su cauzione dal balio di Venezia Giovanni Francesco Morosini e dall'ambasciatore francese Jacques Savary. Però, dopo la morte per peste del superiore della missione Pietro della Croce e del compagno di costui Dionisio da Roma, nel 1589, G. tentò, autonomamente, di penetrare di nascosto nel palazzo del sultano, convinto che se fosse riuscito a raggiungerlo avrebbe potuto persuaderlo, se non a cambiare fede, almeno a concedere la libertà di culto nell'Impero. Fermato invece dalle guardie, venne condannato al supplizio del gancio, consistente nella sospensione a un patibolo con due uncini conficcati in una mano e in un tallone. Resistette tre giorni, dopodiché la pena fu commutata con l'espulsione da Costantinopoli, pare in seguito all'intervento della favorita di Murād III, Safiyye Sultān, di origine cristiana.

Un'esaltazione religiosa prodotta dall'esempio dei cappuccini martirizzati in Egitto nel 1551 e dal fatto di avere la stessa età di Cristo, 33 anni, non bastano a spiegare la condotta di G., che nei suoi scritti appare consapevole della prudenza da adoperare nelle relazioni con i musulmani, di cui aveva studiato lingua e costumi. Più verosimilmente, egli potrebbe piuttosto avere male interpretato un decreto del governo turco del 1588, concesso su richiesta francese, che autorizzava i cappuccini ad "andare liberamente" per tutto il territorio dell'Impero. La missione a Costantinopoli resta tuttora, per quanto scarsamente documentata, l'episodio più popolare della sua vita. G. tuttavia preferì non raccontarla mai nei dettagli, né, d'altro canto, si adoperò per smentire le letture miracolistiche della sua sopravvivenza alla tortura e della sua successiva liberazione diffusesi rapidamente.

Tornato in Italia nel 1589, dopo essere stato ricevuto da Sisto V, si recò in autunno ad Assisi per un periodo di riposo. Nel 1591 prese la peste a Trevi, guarendone per le cure del medico Crispo Duranti. Riassunte in pieno le funzioni di predicatore, si spostò anno per anno in varie località minori dell'Abruzzo e dell'Umbria, approfittando spesso della predicazione per promuovere l'istituzione di Monti frumentari e di pietà, ospedali e altre opere di carità. Mentre, insieme con le esperienze estatiche, cresceva pure la sua fama di taumaturgo.

Nel 1608, su invito del cardinale Odoardo Farnese, compose la vertenza territoriale che divideva i paesi di Posta e Borbona, presso Rieti, compì guarigioni miracolose anche a Roma e in maggio venne eletto segretario del provinciale dell'Umbria Francesco Ranaldi. L'anno seguente, convinto di poterla spendere in beneficenza senza ledere i bisogni della famiglia, rivendicò l'eredità del fratello Ligario. Il cognato Ercole Mastrozzi, però, gli si oppose con violenza, intentando una causa che addolorò gli ultimi anni di G., trascorsi a Città di Castello, Montereale di Spoleto e infine Amatrice, nel Reatino.

Qui il 28 giugno 1611 i medici gli diagnosticarono un tumore all'inguine, per il quale, dopo due inutili interventi, morì il 4 febbr. 1612.

Prima dell'imbalsamazione e della sepoltura nel convento cappuccino di Amatrice, il pittore Pasquale Rigo di Montereale eseguì un ritratto post mortem di G., per conto dei priori della città. Custodito ora nella cappella dell'ospedale di Amatrice, questo quadro resta la più fedele testimonianza iconografica di G., mentre la più nota è la celebre tela di G.B. Tiepolo del 1746 S. G. da L. e s. Fedele da Sigmaringen, nella chiesa dei cappuccini a Parma.

Le spoglie di G. rimasero ad Amatrice fino al 18 ott. 1639 quando, approfittando di un terremoto, i Leonessani le trafugarono riportandole nel santuario a lui dedicato dalla città natale, dove sono custoditi anche trenta codici di sermoni e testi di predicazione lasciati da G., più un trattato di logica derivato dalle opere di Pietro Tatareto e di Francesco Toleti. G. fu beatificato da Clemente XII nel 1737 e canonizzato da Benedetto XIV nel 1746, sebbene nel processo di beatificazione l'allora promotore della fede Prospero Lambertini avesse obiettato che la questione dell'eredità poteva comportare una violazione del voto di povertà. L'apostolato di G. è rimasto a lungo legato ai limiti impostigli dalla devozione popolare. Gli studi più recenti ne hanno invece rivalutato il significato sociale e la base biblica, teologica e anche culturale, confermata dall'attenzione con cui, da segretario provinciale e superiore locale, curò sempre la costituzione di biblioteche nei conventi cappuccini della provincia.

Fonti e Bibl.: Archivio leonessano. Documenti riguardanti la vita e il culto di s. G. da L., a cura di G. Chiaretti, Roma 1965; Tre prediche di s. G. da L. e testimonianze sulla vita di s. G. da L. dai processi informativi e apostolici, a cura di G. Curci, in I frati cappuccini, III, 2, Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C. Cargnoni, Perugia 1991, pp. 2578-2630, 4836-4940; Bonaventura da Mehr, Inventario dei manoscritti di s. G. da L., in Collectanea Franciscana, XVIII (1948), pp. 259-272; Maurizio da Cartosio, S. G. da L. predicatore e apostolo sociale nell'Umbria e nell'Abruzzo, 1556-1612, Romae 1958; Gianmaria da Spirano, Dio lo mandò tra i poveri. Vita di s. G. da L., Leonessa 1968; R. De Sceaux, G. da L., in Dict. de spiritualité, a cura di A. Rayez - A. Derville - A. Solignac, VIII, Paris 1974, coll. 1364 s.; F.S. Toppi, Un evangelizzatore dei poveri: s. G. da L., in Santi e santità nell'Ordine cappuccino, a cura di Mariano d'Alatri, I, Roma 1980, pp. 99-119; G. Chiaretti, Profilo cronistorico di s. G. da L., in Leonessa e il suo santo, XVIII (1981), 2, pp. 1-42; V. Palla, Gli scritti autografi di s. G. da L., ibid., XXI (1984), 17, pp. 193-196; La missione cappuccina a Costantinopoli e il martirio di s. G. da L., IV centenario 1587-1987. Atti dell'incontro di studi, … 1987, a cura di G. Chiaretti - Mariano d'Alatri, Leonessa 1987.

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