CHERUBINI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHERUBINI, Giuseppe

Cesare De Michelis

Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Eufemia alla Giudecca, il 7 sett. 1738, con il cognome Chiribiri, ch'egli stesso, come attesta una sua poesia, volle cambiare nel nuovo con cui è conosciuto: "Uno io ne ho, che nol vo' per niente, / e di cambiarlo in questo punto bramo. / Che Chiribiri? Chi lo dice mente".

La famiglia sembra appartenesse al ceto borghese e non mancano indizi, anche interni alle sue opere, che lasciano pensare a un ambiente di mercanti: un suo cugino, che viveva a Trieste, Antonio Rossetti, con "industria, lealtà e fortuna" era "arrivato ad essere uno de' primi mercanti della Germania".

Seguì studi regolari fino al conseguimento del titolo di dottore e contemporaneamente vestì l'abito clericale, prima con i soli ordini minori poi divenendo prete.

Giovanissimo esordì come poeta tanto che, solo diciassettenne, nel 1755 aveva pubblicato a Venezia versi augurali "per l'ingresso di don Giuseppe Calzavara in Pievano della Giudecca", ottenendo in quello stesso anno l'ammissione nell'Accademia degli Agiati di Rovereto col nome di Luscinio. A Venezia egli crebbe nell'ambiente dei Granelleschi, tanto che i suoi più autorevoli protettori furono per tutta la vita Gasparo e Carlo Gozzi e tra i loro seguaci si ritrovano i suoi più teneri e fedeli amici, tra i quali va almeno ricordato il chioggiotto Giovannantonio De Luca, che, nel 1762, fu tra gli autori de Gli osservatori veneti.

Né mancano esplicite dichiarazioni di stima del Gozzi per il C.: "ritrovò tra ferri vecchi / un Cherubin certi ferruzzi buoni / e riaperse a rossignuoli i becchi" (Gasparo), "il Cherubin... / cammina con le Muse a passo a passo" (Luisa Bergalli); o del C. per i Gozzi: "Carlo, difensore, anzi redentore delle Muse", o ancora "Ho qui Antonio [rivolto allo Zatta, suo editore] d'amici una brigata / che per il Gozzi si faria smembrare", e infine "quel sangue e quel latte ch'ho, succiato dal Berni, dal Pulci, dal conte Gasparo Gozzi e dallo stesso signor Carlo...".

La precoce vocazione poetica è confermata dalle Rime piacevoli apparse nel 1759 a Venezia, che si aprono con un esplicito richiamo a La Tartana degli influssi invisibili, il polemico lunario di Carlo Gozzi. Il C. si rivela poeta di facile vena bernesca, in cui emergono numerosi i motivi autobiografici accanto a temi più consueti, quali la polemica antifemminile e, soprattutto, contro il matrimonio ("vorre' morire anziché maritarmi..."). Gli stessi, versi riappariranno poi nel volume assai più ricco e vario delle Poesie bernesche (Venezia 1767), che si apre con un ritratto del C. firmato da Alessandro Longhi. Accanto alle edite compaiono in questa edizione altre poesie spesso polemiche con i costumi e con le mode contemporanee, a partire dal teatro del Goldoni ("non lo posso sofferire"), del quale si censurano Il filosofo inglese e La sposapersiana;per altro verso è evidente in questa seconda raccolta l'influenza del Parini del Mattino, ormai e definitivamente maestro di ogni satira "sociale".

In quello stesso anno (1767) il C. pubblica ancora a Venezia I miei pensieri, una singolare raccolta di saggi morali che suscita immediatamente l'interesse del pubblico e qualche polemica. L'editore Graziosi sostiene il libro con grande entusiasmo, annunciando sul Corrier letterario (il settimanale da lui edito, diretto da Francesco Griselini) di averne venduto ben seicento copie in solo due settimane e aprendo le porte del periodico alla collaborazione del C., che vi pubblicherà altri pensieri dal febbraio all'aprile del 1767.

Il senso di questo libro è ideologicamente sfuggente: per un verso il C. difende tradizioni e costumi della società esistente: "ogni cambiamento di leggi e di credenze e delle consuetudini e delle osservanze è pericolosissimo e produce sempre piuttosto male che bene", e polemizza quindi con le mode francofile e anglofile e soprattutto contro il lusso, che sarebbe l'origine dell'"universale disordine d'ogni condizione"; per un altro il C. stesso sembra aperto alla moderna, cultura europea illuministica, autodefinendosi con orgoglio evidentemente eccessivo "un piccolo Volter dell'Italia", ma soprattutto ricorrendo ben spesso al Rousseau, che sembra conoscere assai bene, e ancora lodando il Parini e il Beccaria come gli autentici "saggi" di Milano; d'altronde il Corrier letterario, cui collabora, è noto perché alterna articoli dell'Encyclopédia ad altri del Caffè. Ma di queste contraddizioni è piena la storia della cultura veneziana del secolo perché il C. possa sorprendere: sono anni in cui a una singolare curiosità e apertura europea non sempre corrisponde una più meditata e profonda adesione alle sue tensioni più autenticamente innovatrici.

Èa questo punto della sua vita che il C., dopo qualche anno di studi e di residenza padovana, prese gli ordini e, unavolta prete, rinunciò prudentemente alla poesia. Di lui resta ancora soltanto La traduzione del Cento nuziale di Ausonio (Venezia 1769), pubblicata in un opuscolo "per nozze".

Prete della parrocchia dell'Angelo Raffaele intraprende l'attività di predicatore, presto anch'essa abbandonata per i malanni di una salute malferma; ormai ridotto a vita sedentaria nei confessionali, il C. raccoglie in volume otto sue Prediche (Venezia 1772), nelle quali non mancano le testimonianze della sua educazione letteraria e della vivacità di uno stile oratorio singolarmente colloquiale; naturalmente vi si ritrova anche l'inevitabile abiura dei propri trascorsi mondani: "io che ho fatto pubbliche ne' miei scritti le debolezze della mia immaginazione e che mi gloriava di mandare a' posteri la scostumatezza della mia gioventù...mi accuso qui in faccia dei miei fratelli...sì, sono stato per tanto tempo, fratelli, lo scandalo vostro".

Malato, trascorse gli ultimi anni della sua vita in silenzio; morì nella parrocchia di S. Cassiano, a Venezia, il mattino dell'8 ag. 1790.

Bibl.: La maggior mole delle notizie sul C. si deduce dai suoi stessi scritti, ma vedi anche G. A. Moschini, Della letter. venez. del sec. XVIII..., Venezia 1806, II, p. 143; III, p. 20; A. Lombardi, Storia della letter. ital. nel sec. XVIII, Modena 1827-30, III, p. 313; G. Melzi, Diz. delleopere anonime e pseudonime..., Milano 1848-59, II, p. 327; G. Dandolo, La caduta della Repubblicadi Venezia..., Venezia 1855, p. 233; Mem. dell'I. R. Accademia... degli Agiati in Rovereto, Rovereto 1901, p. 412; A. Zardo, Coi berneschi venez. del Settecento, in G. Gozzi nella letteratura delsuo tempo in Venezia, Bologna 1923, pp. 214-16; G. Natali, Il Settecento, Milano 1955, pp. 668, 759, 1139.

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