CAMPAGNA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMPAGNA, Giuseppe

Giuseppe Inzitari

Nacque a Serra Pedace in provincia di Cosenza (come risulta dall'atto di battesimo; non quindi nel vicino comune di Pedace, come scrissero L. Accattatis e V. Imbriani, né a Mendicino, come indica il Croce, in nota alla seconda edizione, da lui curata, della Letteratura ital. del sec. XIX di F. De Sanctis, Napoli 1897, pp. 193 s. n. 8), il 29 marzo 1799 da Domenico, medico, e da Gaetana Del Gaudio, gentildonna nativa di Mendicino, dove poi la famiglia si trasferì.

Di famiglia distinta per condizioni economiche e sociali e per nobiltà (da non confondere però col ramo dei baroni di San Marco Argentano), il C. poté trattenersi a Napoli, dopo gli studi universitari, mediante un vitalizio annuo di 600 ducati assegnatogli dal fratello, e dedicarsi esclusivamente agli studi letterari. Condusse dapprima una vita riservata e laboriosa, con poche e scelte amicizie tra studiosi come B. Puoti (dei quale frequentò la scuola, seguendone il movimento purista), G. Rossetti, C. Malpica, F. Ruffa. Dopo il 1830 il C. fu più aperto ai rapporti sociali, partecipando alle manifestazioni letterarie e artistiche dell'élite culturale, che spesso corrispondeva anche all'élite sociale della capitale del Regno. Il suo stesso ingresso a corte, come membro della commissione per la stampa addetto alla produzione teatrale, fu determinato dalla sua fama e attività di poeta.

Partecipò infatti ai più noti gruppi di studiosi, di poeti e letterati, di artisti, che si davano convegno, oltre che nelle Accademie (principalmente la Pontaniana), nelle case private. Particolare importanza ebbero le riunioni tenute presso G. Ferrigni, cognato di A. Ranieri, cui veniva partecipando: il fiore dell'intellettualità presente nella capitale, da G. Leopardi, che ne offriva l'occasione, a S. Pellico, R. Conforti, C. Troya, G. Pepe, C. Mele, F. S. Arabia. Nella casa di G. Di Cesare, lo storico di tendenza ghibellina, s'incontravano B. Puoti, A. Mirabelli, M. Tenore, C. e A. Poerio, N. Sole, P. P. Parzanese, G. Giusti. Alle serate "troiane", che si tenevano in casa di C. Troya, di tendenza neoguelfa, convenivano G. De Renzi, A. Nobile, G. Minervini, A. Capecelatro, E. Pessina, F. S. Arabia, A. Ranieri. Questi convegni, anche se aperti, non mancavano di una qualche coloritura politica. Carattere strettamente letterario avevano invece "le sabatine", che si tenevano, la sera del sabato, in casa della poetessa G. Guacci-Nobile, che il C. aveva conosciuto alla scuola del Puoti e, si potrebbe dire, allevato alla poesia, seguendola poi nella sua fatica letteraria fino alla morte. Ne erano assidui frequentatori P. E. Imbriani, B. Fabbricatore, G. Del Re, M. e S. Baldacchini, M. D'Ayala, C. Dalbono, F. Bozzelli, B. Puoti: i più vicini al Campagna. Vi intervenivano anche G. Leopardi e G. Giusti. Un convegno di letterati e artisti e di diplomatici, che s'interessavano d'arte o coltivavano e amavano la poesia, italiani e stranieri, e dove la presenza del C. era considerata quasi d'obbligo, per i rapporti col padrone di casa, era quello che si teneva nella sontuosa villa Craven, al Chiatamone, abitata dall'ambasciatore di Spagna a Napoli D. Saavedra duca de Rivas, improntata a distinzione e ad eleganza mondana. Non risulta che il C. frequentasse le riunioni in casa di G. Poerio e di P. S. Mancini, aventi più spiccato carattere politico, pur ispirato a un programma sostanzialmente e intelligentemente moderato. Queste riunioni, che offrivano possibilità d'incontri e di discussioni tra poeti e dotti non soltanto napoletani, animandosi, a volte, anche di chiare finalità politiche, erano l'espressione del maggior respiro consentito dall'avvento al trono di Ferdinando II alla cultura e alla stampa napoletane.

Tra il 1830 e il 1848 era esploso un fervore di studi, di polemiche, di discussioni, d'esercitazioni letterarie, poetiche e artistiche, tanto più esteso e vivace quanto più ritardante e dura era stata la reazione dopo il 1799, e restrittiva la censura sotto il regno di Francesco I. Si trattò di una cultura rispettosa delle tradizioni, ma aperta anche a un respiro nazionale ed europeo, con un indirizzo preminentemente moderato, "cattolico-liberale", ma anche con spunti di ghibellinismo di marca illuministica, illanguiditosi progressivamente dopo i moti del '20-21. Un ridesto vichianesimo s'incontrava con propaggini e reinterpretazioni kantiane e hegeliane, associate all'ontologismo giobertiano, rosminiano, cousiniano, al trascendentalismo schellinghiano. Schiegel, Schiller, Heine, Hugo erano letti e accolti, assieme agli scritti del Manzoni, Berchet, Grossi, Carcano, Byron, Shakespeare, Dante, Mazzini, Leopardi. La tradizione arcadica, neoclassica, foscoliana, montiana, alfieriana incontrava persistenti dottrine graviniane, note campanelliane, gusto per le eleganze formali di tipo petrarchesco e umanistico, residuati nella tradizione meridionale. Un romanticismo d'importazione e di riflesso tentava di germinare e di radicarsi sul terreno di un ambiente naturalistico e di una tradizione popolare, congeniale, nel suo primitivismo, col furore e l'istintività nordiche. Più spesso, da questo impasto di suggestioni e di spinte varie, nascevano, in poesia, composizioni convenzionali, imitazioni contrassegnate dal tipo di produzione della scuola romantica lombarda della seconda maniera. A parte la preparazione delle coscienze più robuste e degli intelletti più vivaci, arricchiti anche da dirette esperienze europee, ad atteggiamenti consapevoli di modernità, di libertà, d'indipendenza nazionale, di democrazia, di storicismo dialettico, sulla base di un rigoroso e adulto pensiero critico, la cultura meridionale tendeva a superare, sia in politica che in filosofia e in letteratura, il momento irrazionale del romanticismo, in un moderatismo conciliativo, in un compromesso tra modernità e tradizione.Tale situazione si riflette, sdrammatizzata, nell'opera e nel temperamento del Campagna. Il suo orientamento letterario è caratterizzato da un romanticismo contenutistico, associato a una mai smessa ricerca di perfezione stilistica, rispondente ai modelli classici, secondo un indirizzo conciliativo tra le due opposte tendenze. E ciò sotto le spinte complesse di un'educazione neoclassico-purista, d'una suggestione dantesca e manzoniana, di un'adesione all'ontologismo giobertiano.

I più importanti periodici, giornali, riviste, strenne, raccolte di versi, annali, atti accademici, che uscirono a Napoli o in Calabria tra il 1830 e il 1860, contengono componimenti del C. in versi o in prosa. Tali sono Il Progresso delle scienze, delle lettere, delle arti, fondato da G. Ricciardi (1832), d'indirizzo inizialmente liberale, continuazione dell'Antologia fiorentina, poi moderato; il Museo di letteratura e filosofia, fondato e diretto da S. Gatti (180), intitolato poi, nelle serie successive al 1842, Museo di scienza e letteratura; Il Poliorama pittoresco (1836); L'Omnibus, fondato e diretto da V. Torelli (1833); Il Calabrese, uscito a Cosenza, fondato e diretto da S. Vitari (1842); L'Osservatore medico; Il Topo letterato; L'Iride, strenna notissima, espressione della cultura napoletana del tempo, diretta, nella I serie (1834-1843), da Giuseppe, poi, nella II serie (1845), da Domenico Del Re; La Sirena, fondata da V. Torelli (1845); Annali civili del Regno delle Due Sicilie (1833-1858); Atti dell'Accademia Cosentina;e infine gli Atti dell'Accademia Pontaniana.

Non c'è occasione, episodio o avvenimento della vita pubblica o privata, rispondente, in qualche modo, ai suoi interessi culturali o spirituali, che non trovi riscontro o eco nei suoi scritti, prevalentemente in versi: il problema dell'arte e la polemica classico-romantica (La scienza e l'arte, in Atti dell'Accad. Pontaniana, Napoli 1845, pp. 111-116; Sonetti estetici, in Poesie, I, Napoli 1849, pp. 45-54; Intorno alle presenti condiz. della bella letter. in Italia e al modo come migliorarle, in app. a Poesie, II, Napoli 1849, pp. 155-166; Intorno allo scopo cui dovrebbe mirare la bella letter., ibid., pp. 166-176); il rinato interesse per gli argomenti di storia medievale e moderna e la diffusione dell'opera drammatica (Tragedie, Cosenza 1842); il gusto per le leggende ispirate alle tradizioni regionali e popolari (L'Abate Gioacchino, leggenda in versi, Napoli 1829, Cosenza 1838, Napoli 1859. L'ultima edizione, sostanzialmente rifatta, è quella di Parigi, 1861); la morte del Puoti, del Galluppi, del Piazzi, del Bellini, della poetessa G. Guacci-Nobile (Poesie, I-IV, Napoli 1849-50); il VII congresso degli scienziati d'Italia (La scienza e l'arte, 1845, cit.); l'elezione al pontificato di Pio IX (Canzone a Pio IX, in Poesie, I, Napoli 1849, pp. 19-22); il trasferimento in Italia del cuore di D. O'Connell, il famoso agitatore politico irlandese (Il cuore di O'Connell trasportato a Roma,ibid., pp. 15-18); l'involuzione politica di Pio IX e il conseguente problema del potere temporale dei papi e della riforma religiosa (Ai papi, sonetti pubblicati anonimi dalla tipografia del Polioroma pittoresco, s.d.); la polemica intorno a Machiavelli (Niccolò Machiavelli, in Atti dell'Accademia cosentina, III [1844], fasc. 2); gli affetti familiari, l'amore alla natura, il ricordo della Calabria e del paese natio, il culto di Dante (Poesie,passim; Alla mia patria, in Atti dell'Accademia cosentina, I [1838], pp. 82 s.).

Dante sigla di sé, con una ricchezza di reminiscenze, a volte sovrabbondante e stucchevole, gran parte della composizione lirica del C.; non ne sono nemmeno esenti le tragedie e le prose. Il metro, l'argomento, il frasario denunciano una preminente influenza dantesca nei primi e più noti componimenti: Buondelmonte (Napoli 1827), poemetto in versi, ispirato a un episodio di contrasto interfamiliare, nel quadro delle sanguinose lotte municipali della Firenze del Duecento, del conflitto tra guelfi e ghibellini, delle discordie d'Italia; L'Abate Gioacchino (1829 e 1838), che sviluppa, nello scenario "naturalistico" della Sila Grande, dei luoghi solitari e selvaggi, già abitati e resi famosi dall'abate, vivo ancora nella tradizione popolare calabrese per la reputazione di profeta, di mistico, di anacoreta, il tema della vendetta e del brigantaggio, come disperata espressione di rivolta contro una società ingiusta. Il C. aderiva così, a suo modo, dietro il suggerimento di Dante e con l'ausilio del poema sacro come modello, nonché sotto l'influenza di Byron e dei romantici lombardi, all'esigenza di concretezza contenutistica e di naturalezza, d'interpretazione dell'anima e del gusto del popolo che era insita nel movimento romantico; egli veniva a dare avvio, inoltre, a quel tipico, anche se limitato e discusso, fenomeno letterario, che il De Sanctis definì come "romanticismo naturale calabrese", per distinguerlo da quello convenzionale "urbano-napoletano".

Sul modello dell'Abate Gioacchino, sia pure con diverso metro, disegno, colorito ed efficacia stilistica, furono composti poi i poemetti, che costituiscono il nucleo del suindicato fenomeno poetico: L'Incognito e La vendetta calabrese di P. Giannone da Bisignano; Il Milosao di G. De Rada; Il brigante di B. Miraglia da Strongoli; Il vecchio anacoreta di V. Selvaggi; Leggenda calabrese di G. Ferrari; Il monastero di Sambucina e il Valentino di V. Padula; l'Errico di D. Mauro; Marco Berardi di N. Romano.

L'esigenza romantica di concretezza contenutistica, intesa come interesse ai problemi umani, psicologici e storici, si manifesta anche nelle liriche d'ispirazione religiosa, condotte su modelli manzoniani con l'intrusione di elementi leopardiani accanto a reminiscenze complesse; e più largamente nelle tragedie. L'argomento di queste, secondo il nuovo indirizzo dei tragediografi, sensibili alle opere di Byron, di Shakespeare e di V. Hugo (P. De Virgiliis, il duca di Ventignano, il marchese di Montrone), è desunto dalla storia medievale e moderna: Ferrante (1832) è ispirata alla storia della dominazione aragonese a Napoli e rappresenta un feroce intrigo di corte, in cui si avverte la presenza di spietati metodi di repressione, largamente riscontrabili nei cronisti di tradizione napoletana e suggeriti anche dalla lettura del Principe di Machiavelli; Ludovico il Moro (1834) è riferita alla fosca vicenda dell'assassinio di Gian Galeazzo Visconti in occasione della calata di Carlo VIII in Italia; Sergio (1837) esalta il coraggio di un valoroso, vittima degli atroci intrighi del messo imperiale, durante la difesa della città di Napoli, minacciata dal duca longobardo di Benevento; Il bosco di Dafne (1844) rappresenta un episodio delle persecuzioni contro i cristiani sotto l'imperatore Giuliano.

Le tragedie sono condotte col pieno rispetto delle unità tradizionali di tempo, di luogo e di azione, e tendono a svolgersi con unità strutturale e sostanziale secondo il modello del teatro greco. Vi si riscontra pero qualche altro aspetto che le avvicina, sempre con misura e moderazione, alla sensibilità e al carattere del teatro romantico: lo sforzo d'approfondimento psicologico, della realizzazione di caratteri autonomi, che si sviluppano in azioni coerenti, regolate da una finalità morale evidente anche nel complesso dell'opera, la presenza di un'idea madre, di un concetto centrale, di un conflitto d'ideali (paganesimo-cristianesimo in Il bosco di Dafne). L'insufficiente capacità d'immersione nel reale umano, notata dal De Sanctis, a proposito della poesia del C. - il che di per se stesso era un segno di insufficiente attitudine alla creazione di efficaci opere drammatiche - derivava anche da una scelta di metodo, d'indirizzo estetico rivolto alla misura, alla ricerca, al rispetto e al controllo del vero storico, psicologico, filosofico, attento ai riscontri stilistici coi modelli.

In sede politica, il C. manifestava largamente, nei suoi scritti, adesione di principio agli ideali di libertà, ma era contrario ai mutamenti e alle azioni radicali e non si trovò mai coinvolto direttamente nei moti liberali, come avvenne invece di intimi suoi amici e parenti quali G. Rossetti e il fratello Carlo. L'ideale moderato è chiaramente espresso nella canzone a Pio IX, in cui la teoria manzoniana degli oppressi appare composta in equilibrio o meglio ridimensionata a una visione strettamente storico-politica: colpevoli gli oppressori, ma non esenti da colpa, talvolta, nemmeno gli oppressi. Il C. esprime orrore per gli eccessi, che provengono da ogni parte, per le viltà, i furori, gli odi, coerentemente con una sensibilità essenziale al suo temperamento.

Alcuni eccessi, verificatisi in occasione dei moti liberali, i disordini succedutisi a Napoli durante il governo provvisono garibaldino non furono senza ripercussione negativa nell'animo di molti moderati napoletani, aderenti al programma giobertiano de Il Primato. Ciò spiega il declinante entusiasmo del C. per gli ideali politici dopo il 1859, che fu il preannunzio del definitivo allontanamento dall'Italia, nel 1860, e del conseguente isolamento. E se vi poté influire, come vogliono alcuni, il matrimonio, nel 1858, con la contessa russa Zenaide de Laval, vedova dell'ambasciatore di Vienna presso la corte borbonica, conte L. Lebzeltern, non fu quella la sola ragione.

L'Imbriani afferma che, per quel matrimonio, il C. cadde nella disistima di tutti i buoni e aggiunse considerazioni ancor più malevole, tra gli altri, anche sul corregionale e amico D. Mauro. Il De Sanctis, testimone assai attendibile degli avvenimenti politici e della condotta dei letterati napoletani e calabresi, ha invece parole vibranti di commossa ammirazione per il Mauro, trovatosi nel vivo delle lotte insurrezionali in Calabria, e non esprime alcun giudizio di riprovazione per il C., così come non riprova l'opera del Puoti. L'italianità si difendeva, infatti, in quell'ambiente e in quelle circostanze, per concorde giudizio, anche sulla linea del purismo linguistico e del classicismo letterario, ispirato al grandi italiani e principalmente a Dante.

Secondo diversi biografi (G. Falcone, Aliquò-Taverriti, F. Scalfari) il C. sarebbe morto a Langenschwalbach, vicino Vienna, il 28 luglio del 1869; secondo notizie, desunte da altri biografi. e direttamente controllate, morì il 28 luglio del 1868, a Langenschwalbach, oggi Badschwalbach (Assia, R.F.T.). Non si riscontra alcuna località o centro abitato presso Vienna, che abbia avuto o conservi la citata denominazione. Secondo alcuni, la salma sarebbe stata trasferita a Parigi, tumulata in Notre-Dame, e il posto della sua sepoltura contrassegnato e onorato da una lapide, a cura della moglie. L'Accademia Pontaniana di Napoli, di cui egli era stato, per molti anni, socio residente, revisore, fervido animatore e più volte solutissimo presidente, nel decennio 1847-1857, ne commemorò l'opera e l'attività.

Fonti e Bibl.: D. Mauro, L'Anacoreta, poema di V. Selvaggi, in Il Calabrese, I (1843), 24, p. 174; S. Paladini, Esposizione della tragedia "Il Bosco di Dafne" di G. C., ibid., II (1844), 16, pp. 121-124; U. Bassi, G. C., in Museo di scienze e letteratura, Napoli, I, t. III, 2, 1844, p. 426; C. Malpica, Dal Sebeto al Faro, Napoli 1845, p. 91; C. Caracciolo, Della odierna poesia italiana e delle opere di G. C., Napoli 1856; P. Calà-Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du Royaume de Naples, I, Genève 1858, p. 238; D. Andreotti, Storia dei Cosentini, III, Napoli 1874, pp. 272 s., 293; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, IV, Cosenza 1877, pp. 299-306; V. Imbriani, A. Poerio a Venezia, Napoli 1884, p. 451 n. 270; F. Persico, Poeti napoletani della prima metà del secolo, Napoli 1891, p. 6; F. Scalfari, Un poeta calabrese: G. C., Lucera 1919; F. De Sanctis, La letteratura del sec. XIX, a cura di Muscetta, Torino 1953, pp. 63-65, 82, 96, 100-109, 129; G. Falcone, Poeti e rimatori calabri, II, Napoli 1902, pp. 253-259; A. Villari, Itempi, la vita... di F. S. Arabia, Firenze 1903, p. 64; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, I, Reggio Calabria 1955, pp. 130 s.; B. Mangino, Il poeta G. C., Caserta 1955; E. Cione, Napoli romantica, Napoli 1957, pp. 139, 227, 233-235, 253, 334, 338; A. Piromalli, La letteratura calabrese, Cosenza 1965, p. 147; M. Sansone, La letteratura a Napoli dal 1800 al 1860, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, pp. 464 ss.; Enc. Ital., VIII, p. 563.

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