BOSSI, Giuseppe Aurelio Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOSSI, Giuseppe Aurelio Carlo

Carlo Francovich

Nato a Torino il 15 nov. 1758 da Baldassarre, di famiglia borghese, studiò legge all'università di Torino conseguendo la laurea nel 1780, e coltivò nello stesso tempo gli studi letterari seguendo le lezioni di C. Denina, che divenne in seguito suo amico. Fino da quegli anni, sotto lo pseudonimo di Albo Crisso, cominciò a scrivere tragedie e componimenti poetici che ebbero un notevole successo, non tanto per il loro valore estetico quanto per il coraggio con cui veniva esaltato lo spirito riformatore di Giuseppe II e per le lodi sperticate alla democrazia americana.

Nominato segretario della legazione sarda a Genova, resse tale carica fino al 1792, allorché le armate rivoluzionarie francesi invasero la Savoia e Nizza. Fu allora inviato presso il re di Prussia per chiedere aiuti contro la Francia; quindi si recò in Russia, ricoprendo la carica di segretario di legazione prima e di incaricato d'affari poi. Dopo l'armistizio concluso dal re di Sardegna con la Francia (15 maggio 1796) il B., che nonostante la sua carica non aveva nascosto di simpatizzare con la causa rivoluzionaria, fu bruscamente invitato a lasciare Pietroburgo.

Al suo ritorno, fu inviato da Carlo Emanuele IV quale ministro residente presso la Repubblica di Venezia e, dopo la caduta di questa, venne incaricato di rappresentare il governo sardo presso il generale Bonaparte, allora a Milano. Infine fu mandato, sempre come residente, all'Aia, dove assistette all'organizzarsi della Repubblica batava (1798). Quando nel dicembre dello stesso anno si giunse all'abdicazione di Carlo Emanuele IV, il generale Jourdan, comandante delle truppe d'occupazione, lo invitò a rientrare a Torino per collaborare alla riorganizzazione politica e amministrativa del paese.

In seno al governo provvisorio installato dai Francesi il B. fu il maggiore sostenitore della immediata annessione del Piemonte alla Francia. Egli, infatti, non credendo alla possibilità di creare una repubblica italiana unita e indipendente, e avendo saputo che il Direttorio aveva già deciso l'annessione del Piemonte, ritenne più utile che tale atto si realizzasse come iniziativa dei Piemontesi stessi che non come imposizione, considerandolo anche un male minore, di fronte alla prospettiva di una restaurazione sabauda o di un'autonomia larvata che lasciasse adito allo sfruttamento da parte della Francia. In tale modo, però, il B. si attirò l'odio sia dei conservatori sabaudi sia dei giacobini unitari, che desideravano almeno l'immediata annessione alla repubblica cisalpina e ligure.

Dopoché un plebiscito, manovrato dal governo e dalle autorità d'occupazione, votò l'annessione alla Francia, il B. con due colleghi venne inviato a Parigi per riferire al Direttorio la volontà del popolo. Frattanto era stato nominato commissario del dipartimento dell'Eridano, ma non poté esercitare tale carica perché, appena rientrato in Piemonte, questo fu invaso dalle truppe austro-russe del generale Suvarov (maggio 1799). Fra gli ultimi a partire per favorire il rientro in patria dei Francesi, il B., rifugiatosi in Francia, non esitò ad accusare, in un rapporto segreto, i colleghi di governo autonomisti di cospirare in combutta con gli Austriaci.

Ristabilitosi dopo la vittoria di Marengo (14 giugno 1800) il diretto dominio francese in Piemonte, il B. insieme con due colleghi fece parte della Commissione esecutiva del Piemonte, che in modo autoritario adeguò l'amministrazione subalpina ai criteri legislativi francesi e rimase in carica fino al 12 apr. 1801, allorché Napoleone unì formalmente il Piemonte alla Francia. Il B., che aveva redatto in termini ampollosi l'annuncio ufficiale della fatidica decisione, fu uno dei sei notabili inviati a Parigi su richiesta del Bonaparte per ragguagliarlo sulla situazione piemontese. Ritornato in patria, cadde in disgrazia, essendo venuto in contrasto con il commissario generale Menou, probabilmente per la chiusura di una loggia massonica anticonsolare, cui il B. sarebbe appartenuto. Certo è che, nonostante i meriti acquisiti presso le autorità francesi, al B. fu assegnata la carica di commissario generale delle relazioni commerciali in Valacchia e Moldavia: il B. rifiutò, e solo dopo diciotto mesi - nel gennaio 1805 - fu nominato prefetto dell'Ain, carica non adeguata a chi come lui aveva diretto in un periodo difficile quasi tutta l'amministrazione del Piemonte. Ma l'apprezzamento dei suoi meriti venne tre anni dopo con la nomina, da parte di Napoleone, a barone dell'Impero accompagnata da una dotazione nello Hannover (15 agosto 1809).

In quegli anni il B. non solo diresse la pubblicazione della Statistique de l'Ain, dedicandosi nello stesso tempo agli studi giuridici culminati nell'opera De l'indipendence de la loi civile, ma continuò e intensificò l'attività poetica, del resto mai trascurata anche negli anni di più intenso lavoro, componendo l'opera sua maggiore, il poema Napoleonia (Londra 1816), esaltazione sincera, nonostante una certa ampollosità, dell'opera civilizzatrice del Bonaparte.

Il B. intanto era passato dalla prefettura dell'Ain a quella della Manica, dove lo colse la notizia dell'abdicazione di Napoleone (6 apr. 1814). Come la maggior parte dei funzionari imperiali, aderì al governo di Luigi XVIII, che non solo gli confermò la carica, ma, avendo il B. perduto la cittadinanza francese per il ridimensionamento territoriale della Francia, gliela concesse ugualmente assieme al titolo di ufficiale della legion d'onore.

Durante i Cento giorni, con nuovo voltafaccia, il B. si schierò fra i seguaci del Bonaparte e temendone, dopo Waterloo, le conseguenze, si rifugiò in Inghilterra.

A Londra curò anche la pubblicazione della seconda edizione integrale delle sue poesie (Versi di Albo Crisso, Londra 1816), in cui due motivi risaltano sugli altri: l'ammirazione per gli Stati Uniti d'America, patria della democrazia, e il culto di Napoleone, considerato come il difensore degli ideali sostenuti dalla Rivoluzione francese.

Rientrò in Francia dopo l'ordinanza del 5 sett. 1816 che poneva fine ad ogni persecuzione politica, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita a Parigi, in contatto personale ed epistolare con gli esuli piemontesi. Continuò anche a scrivere versi, che - se di scarso interesse estetico - rivelano però come il B., nonostante gli atteggiamenti politici contraddittori, tenesse fede nel suo animo agli ideali di libertà che sperava di veder presto realizzati (cfr. Esametri italiani al signor Narciso Vieillard, scritti nel novembre del 1822, mentre si teneva il congresso di Verona).

Morì il 20 genn. 1823 a Parigi.

Bibl..: Per un giudizio critico sull'opera letteraria del B., cfr. T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, Torino 1841, II, p. 260; G. Natali, Il Settecento, Milano 1960, pp. 770 s.; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1960, pp. 440 s.; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, pp. 571, 638; Id., I Filopatridi, Torino 1941, p. 462. Un profilo biografico ampio e documentato è stato redatto da F. Patetta, C. B. (Albo Crisso) poeta, diplomatico, statista (1758-1823), in Memorie della R. Accad. d'Italia, classe di scienze morali e storiche, s. 7, III (1942), 3, pp. 85-187. Per l'atteggiamento del B. di fronte alla politica piemontese del Direttorio, cfr. G. Vaccarino, Crisi giacobina e cospirazione antifrancese nell'anno VII in Piemonte, in Occidente, VIII (1952), pp. 33-60, 126-48; Id., La classe polit. piemontese dopo Marengo nelle note segr. di A. Hus, in Boll. stor.-bibl. subalp., LI (1953), pp. 5 ss.; Id., Annessionismo e autonomia nel Piemonte dopo Marengo, in Studi in memoria di G. Solari Torino 1954, pp. 273 ss.; Id., I patrioti anarchistes el'idea dell'unità italiana (1796-1799), Torino 1955, ad Indicem. Sulla missione diplomatica del B. in Russia cfr. G. Berti, Russia e stati italiani nel Risorgimento, Torino 1957, ad Indicem. Per i rapporti con C. Botta, cfr. A. Bersano, L'abate Francesco Bonardi e i suoi tempi, Torino 1957, ad Indicem.

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