GUATTANI, Giuseppe Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUATTANI, Giuseppe Antonio

Pier Paolo Racioppi

Nacque a Roma il 18 sett. 1748, nella parrocchia di S. Giovanni dei Fiorentini, da Carlo, chirurgo e archiatra pontificio, e da Caterina Pagliarini, sorella dei tipografi Niccolò e Marco. Dopo aver seguito gli studi di grammatica, eloquenza e, sotto la guida di E.Q. Visconti, lingua e letteratura greca, fu avviato alla professione forense. Dopo studi di diritto alla Sapienza fece pratica presso il tribunale della Camera apostolica; fu quindi aiutante di studio presso un avvocato e poi uditore di casa Gentili. Ebbe però il sopravvento la passione per le arti e le lettere; abbandonò ben presto la toga per studiare e specializzarsi in topografia romana sotto la guida dell'archeologo O. Orlandi, bibliotecario dei principi Gabrielli, con il fine di fare da guida ai viaggiatori importanti che arrivavano a Roma. In seguito F. Piranesi, figlio di Giovan Battista, lo assunse come segretario "con largo stipendio" (Autobiografia, in Lezioni di storia, mitologia e costumi…, Roma 1838, p. XXIV), introducendolo nell'ambiente cosmopolita dei viaggiatori, dei collezionisti e degli eruditi che frequentavano il suo studio presso Trinità dei Monti.

Stanco di fare il "rovinambolo", il G. si dedicò a tempo pieno allo studio dell'antiquaria: prese a frequentare i pensionnaires dell'Accademia di Francia, con i quali intraprese un viaggio a Napoli, e a studiare disegno in un'accademia privata del nudo, diretta dallo scultore C. Pacetti. Nel 1782 dal matrimonio con Clementina Giovannini gli nacque la primogenita Angelica. L'anno seguente vedeva la luce la sua prima pubblicazione antiquaria, dal titolo Della gran cella soleare nelle Terme di Antonino Caracalla, edita dalla tipografia degli zii Pagliarini, che ricevette il plauso di E.Q. Visconti. Il G. vi avanzava l'ipotesi che il vasto ambiente termale fosse una sala di studio o di ricreazione e, nella premessa, affermava di aver voluto trattare l'argomento in italiano, invece che nel latino degli antiquari, per facilitarne la comprensione agli architetti, principali destinatari dello scritto.

Nel 1783 gli nacque una seconda figlia, Marianna. Poco dopo riuscì ad aggiudicarsi l'incarico di proseguire gli incompiuti giornali di antichità di J.J. Winckelmann, i Monumenti antichi inediti ovvero Notizie sulle antichità e belle arti di Roma, grazie probabilmente alla parentela con i Pagliarini, editori del periodico, che uscì dal 1784 al 1789.

Il mensile, poi raccolto in 6 tomi, illustrava i reperti degli scavi promossi da Pio VI e da privati nello Stato pontificio (Palestrina, Tivoli, Otricoli, Castelporziano, Civitavecchia), come pure antichità inedite appartenenti a collezionisti romani (il card. A. Albani, le famiglie Aldobrandini, Rondinini, Sampieri, Chigi, Altieri) e stranieri (T. Jenkins, J.N. de Azara e l'architetto L. Dufourny). Corredata di eleganti illustrazioni a stampa, l'opera presentava, oltre a oggetti che univano alla "vaghezza" il "merito dell'erudizione", anche piante di edifici antichi da poco dissotterrati. Ospitava inoltre contributi di autori come N. Martelli (la celebre lettera a S. Chigi sul restauro delle pitture antiche) o E.Q. Visconti, e interventi di eruditi stranieri che nelle intenzioni del G. avrebbero conferito al giornale un respiro internazionale tale da farlo figurare a pieno titolo tra i periodici più accreditati della repubblica delle lettere. Il suo approccio erudito-antiquario lo portava a privilegiare l'analisi iconografica su quella stilistica, e lo studio di simboli e attributi rispetto agli elementi formali. A questo proposito, sul piano dell'analisi stilistica di un monumento, il ricorso al parere dei "professori", ossia degli artisti, per avvalorare una determinata tesi, fu applicato qui dal G. per la prima volta, divenendo una costante dei suoi scritti successivi.

Rimasto vedovo, il G. si risposò con la cantante Marianna Bianchi, in arte Vinci, dalla quale ebbe alla fine del 1786 un figlio, Carlo; nello stesso anno ottenne la carica di assessore alla scultura. Conclusa la fatica dei Monumenti e forte del prestigio che gli aveva conferito, nel 1790 concorse, ma inutilmente, all'ambita carica di direttore antiquario del Museo Capitolino; deluso per la mancata nomina lasciò Roma per Napoli, dove la moglie aveva ottenuto alcune scritture teatrali e dove, nel 1791, gli nacque una figlia, Carolina. In seguito la famiglia si trasferì a Palermo e, nel 1792, a Bologna, dove il G. tornò a dedicarsi agli studi antiquari: qui pubblicò, nel 1795, due volumi illustrati di topografia romana dal titolo Roma antica descritta, dedicati al principe G. Lambertini, prima versione della più nota Roma descritta ed illustrata (1805). Sempre al seguito della moglie, dalla quale ebbe altri tre figli (Giuseppe, Clementina e Giovanni), fu a Madrid, poi per un breve periodo a Lisbona; infine si stabilì a Londra per quasi tre anni, "lucrando assai bene non già con l'antiquaria […] ma con lezioni di musica vocale e di lingue" (Autobiografia, p. XXXI). Un'arte, quella del canto e del comporre musica, che aveva coltivato da quando aveva preso in moglie la Vinci, che affermava essere stata sua allieva.

Intorno al 1800, mentre la moglie si trovava a Lisbona, dove aveva ottenuto una nuova scrittura teatrale, il G. lasciò l'Inghilterra e tentò di raggiungere San Pietroburgo, ma scoraggiato dal clima ripiegò verso la Francia. Si fermò a Parigi, dove si trovava una nutrita colonia di esuli della Repubblica Romana con, tra gli altri, F. Piranesi, che vi aveva trasferito la calcografia paterna, e il Visconti, conservatore delle antichità del Louvre.

Qui il G. riprese la sua collaborazione con Piranesi, scrivendo il testo per la raccolta di incisioni Antiquités de la Grande-Grèce, aujourd'hui Royaume de Naples (Paris 1804), su disegni di Giovan Battista Piranesi: inoltre, per un periodo, fece parte della direzione artistica della Salle Favart, sede del Théâtre-Italien.

Nel 1804, su invito del segretario di Stato E. Consalvi, tornò a Roma per riprendere la pubblicazione dei suoi giornali di antichità in cambio di 12 scudi al mese e del privilegio di depositare nella calcografia camerale 50 esemplari di tutto ciò che avesse pubblicato. Nel 1805 uscì in 2 tomi l'edizione riveduta e ampliata della Roma antica, col titolo di Roma descritta ed illustrata.

Si trattava di una guida di Roma corredata da stampe raffiguranti "non capricciose vedute" ma "piante, elevazioni, spaccati", al fine di offrire al lettore-turista una restituzione filologica dei monumenti antichi; una guida concepita sulla base degli itinerari seguiti dal G. al tempo in cui svolgeva la professione di cicerone. Sempre nel 1805 licenziò il tomo VII dei Monumenti antichi inediti, che forniva notizie sulle scoperte archeologiche durante il pontificato di Pio VII, e in particolare sui rinvenimenti dello scavo camerale di Ostia e di quello di Albano. A partire dal 1806 diede vita, grazie a un finanziamento pontificio, alle Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, antichità…, mensile che raccoglieva, accanto ad aggiornamenti sulle scoperte archeologiche, notizie sulla coeva produzione artistica, ponendosi come ideale prosecuzione di due fortunati - anche se di breve durata - periodici settecenteschi dedicati all'arte contemporanea: le Memorie per le belle arti (1785-88) e il Giornale delle belle arti (1784-88). Il giornale, che tranne rare eccezioni fu tutto di mano del G., era espressione della volontà di reazione al trauma del biennio repubblicano del 1798-99 che improntava la politica culturale di Pio VII, in particolare attraverso campagne di scavo, restauro di monumenti, acquisti di antichità per i pubblici musei; oltre a celebrare l'avveduta politica culturale del pontefice, cui era solennemente dedicato, intendeva rilanciare energicamente la produzione artistica romana contemporanea, con l'obiettivo di "servire principalmente al commercio delle belle arti" (t. I, p. 1). Il destinatario era pertanto un pubblico di potenziali acquirenti, che veniva informato delle nuove opere degli artisti italiani e stranieri attivi a Roma con dettagliate descrizioni, suggerite probabilmente dagli stessi artefici e talvolta accompagnate da stampe. Una prestigiosa vetrina pubblicitaria in cui comparivano dipinti, sculture, stampe, acquerelli, lavori di oreficeria realizzati, tra gli altri, da A. Canova, B. Thorvaldsen, G. Landi, V. Camuccini e in cui si riferiva sulle esposizioni degli artisti dell'Accademia di Francia e di quella di S. Luca, delle nuove pubblicazioni d'arte e di antiquaria, della vita culturale delle città italiane ed estere, quali esposizioni, grandi committenze pubbliche, spettacoli teatrali. Nel 1809, tuttavia, a metà del tomo IV, il G. dichiarò di voler interrompere la pubblicazione, constatando sia una forte contrazione della committenza, quindi della produzione artistica - probabilmente anche per l'inquieto clima politico generatosi con l'occupazione francese di Roma del 1808 - sia il sorgere di nuovi periodici di belle arti che avrebbero finito con il rendere superflue le Memorie (forse le cronache artistiche dei nuovi giornali come la Gazzetta romana, il Giornale del Campidoglio, il Giornale romano). Non è escluso, però, che prendesse la decisione principalmente per il fastidio verso critiche che gli erano state mosse: "Sono stato rimproverato di lodatore soverchio, e stimolato più volte a sferzare le opere". Respinse le accuse affermando: "Ligio sempre al mio scopo d'incoraggiare e giovare, ho toccato con mano di aver giovato e incoraggiato più volte" (IV, p. 97). Tuttavia, nella parte restante del IV tomo continuarono a comparire, seppur sporadicamente, articoli di arte contemporanea, per l'eccellenza, affermò, delle opere realizzate nel frattempo.

Che il G. non avesse velleità di critico d'arte - e, pertanto, di "sferzare" chicchessia - si deduce dalla presenza nelle Memorie di tutti i principali protagonisti della scena artistica romana, dai nuovi talenti ai professionisti affermati, aderenti anche a diversi orientamenti stilistici, come nel caso di Camuccini e Landi. La sua estraneità a qualunque spirito di partigianeria artistica, a meno dell'incondizionata adesione ai principî cardine dell'estetica classicista e canoviana (l'imitazione dell'antico, il primato della scultura e della pittura di storia), diviene, nell'Autobiografia, vero e proprio motivo d'orgoglio: riferendosi a un suo discorso rilasciato nel 1810 per la neonata Accademia italiana di scienze, lettere ed arti (istituzione napoleonica di cui era socio dal 1808), intitolato Sullo stato attuale delle belle arti in Italia, e particolarmente in Roma (in Atti dell'Accademia italiana di scienze, lettere ed arti, I [1810], pp. 269-292), si vantò d'essere riuscito "taumaturgicamente" a trarsi da quell'"imbroglio" e di aver dato "a ciascuno il suo" (Autobiografia, p. XXXVIII). Interamente incentrato sulla scena artistica romana e sui suoi protagonisti, il discorso si configura come una sintesi di quanto era apparso fino ad allora nelle Memorie enciclopediche con, in più, il chiaro intento di celebrare il primato di Roma in Europa come indiscussa "Maestra del Disegno".

Nel 1808, insieme con l'amico archeologo F.A. Visconti, diede alle stampe a Roma un lussuoso catalogo del Museo Chiaramonti aggiunto al Pio Clementino (2ª ed., Milano 1820), con 44 tavole illustrate dei monumenti più notevoli acquisiti da Pio VII per il nuovo museo vaticano, classificati per soggetto - sempre al centro dell'interesse dei due antiquari - con il ricorso, per l'analisi dello stile e degli eventuali restauri storici, al parere di Canova e dello scultore-restauratore A. D'Este.

L'avvento del regime napoleonico risultò particolarmente propizio al Guattani. Nell'ottobre del 1810 fu eletto segretario perpetuo dell'Accademia romana di archeologia, ripristinata grazie al commissario, barone J.-M. de Gérando, del quale godeva la stima incondizionata. Entrò a far parte, nello stesso anno, della Commission des monuments et des bâtiments civils dans le Departement de Rome, preposta alla tutela dei monumenti di Roma e, grazie al de Gérando, ebbe una sovvenzione per il quinto tomo delle Memorie enciclopediche, opportunamente dedicato al "Genio sovrumano e benefico" di Napoleone (p. 9), vero e proprio insieme di reportages degli interventi di scavo e restauro promossi dall'imperatore a Roma.

Nel 1812, col probabile appoggio del Canova, divenne segretario e docente nell'Accademia di S. Luca, appena riformata da Napoleone.

Oltre a compiti di carattere amministrativo il G. assunse anche il ruolo di portavoce ufficiale dell'istituzione, attraverso le prolusioni per le solenni premiazioni dei concorsi o per l'apertura dell'anno scolastico. Tenne un insegnamento di storia, geografia, mitologia e costumi dei popoli dell'antichità, per offrire una base di cultura classica ai futuri pittori e scultori di storia: l'argomento delle lezioni si desume interamente da un manuale edito postumo a Roma in 3 volumi nel 1838 (Lezioni di storia, mitologia e costumi ad uso di coloro che si dedicano alle arti del disegno). Trattando i vari argomenti il G. si serviva di stampe di monumenti antichi per mostrare agli alunni "col fatto, o sia con gli esemplari alla mano la storia, la favola, ed i costumi" (come scrisse in una lettera al camerlengo, card. B. Pacca, pubblicata in A.M. Corbo, L'insegnamento artistico a Roma nei primi anni della Restaurazione, in Rass. degli Archivi di Stato, XXX [1970], p. 109). Sempre in età napoleonica, in polemica con un altro grande esponente dell'antiquaria romana, C. Fea, stampò una dissertazione che aveva tenuto nell'Accademia romana di archeologia (La difesa di Pompeo ossia Risposta di G.A. Guattani alle osservazioni dell'a. C. Fea intorno a quella celebre statua del palazzo Spada, Roma 1813). Fea aveva correttamente interpretato la statua come opera tardo romana con testa non pertinente, sfatando una secolare congettura - cui lo stesso G. dava credito - che la identificava con il simulacro di Pompeo, ai piedi del quale, secondo le fonti, Cesare era caduto pugnalato nella Curia. Contro la fredda analiticità delle osservazioni stilistiche di Fea, il G. reclamò appassionatamente i diritti della tradizione letteraria (in primis quella dello scultore cinquecentesco F. Vacca) adducendo anch'egli argomenti, peraltro assai deboli, di ordine stilistico per i quali si valse, come di consueto, del parere degli scultori, in questo caso i volenterosi V. Pacetti, F.M. Laboureur e C. Albacini, accademici di S. Luca, anch'essi vittime del fascino di una tradizione difficile da estirpare.

Intorno al 1815 il G. si cimentò nell'ambiziosa impresa editoriale de La pittura comparata nelle opere principali di tutte le scuole, pubblicazione in fascicoletti periodici raccolti in tomo nel 1816, che mettevano a confronto celebri quadri e affreschi di diverse epoche e scuole raffiguranti, in ogni singola distribuzione, lo stesso soggetto.

Commentando le tavole, incise a semplice contorno, il G. verificava se l'artista si fosse attenuto alle fonti letterarie o visive (i monumenti antichi) da cui era desunto il tema del dipinto, sempre rigorosamente di genere storico, e confrontava l'"invenzione" dell'opera con quelle di altri pittori sul medesimo soggetto, stilando implicitamente una graduatoria di merito tra quelli più filologicamente corretti. A ogni commento seguiva una sintetica biografia dell'artista, ritenuta dal G. di grande praticità perché avrebbe supplito alle "costose Vite del Vasari, del Baldinucci, della Felsina Pittrice ecc." (Autobiografia, p. XXXVIII).

Per l'intento divulgativo, il basso costo dei fascicoli e, soprattutto, la portata innovativa di questo inedito genere di letteratura artistica, confidava in un grande successo di pubblico; in realtà le 400 tavole previste inizialmente si ridussero a 72 (con un'aggiunta di 14 nel 1828) per la rinuncia dell'incisore S. Morelli a proseguire l'opera ma anche, come si evince da una nota rilasciata dall'autore a metà del tomo, per l'ostilità degli artisti, che contestavano la validità dei commenti stilistici di chi, come il G., non era pittore. Egli replicò di essersi valso dei giudizi di "biografi […] che furono Pittori e Scrittori; o di letterati che scrissero magistralmente intorno alle arti, come il Winckelmann e il Lanzi", e che sua intenzione era semplicemente "spiegare il figurato ne' quadri; i quali il più delle volte non si trovano descritti abbastanza per bene intenderli" (La pittura comparata, p. 151).

Alla Restaurazione pontificia il G. fu confermato nelle cariche; nel 1817 e nel 1819 pubblicò i tomi VI e VII delle Memorie enciclopediche (redatti nel 1816 e nel 1817), recanti prevalentemente notizie sugli scavi a Roma e resoconti sulle adunanze dell'Accademia romana di archeologia. Nel 1820 fu incaricato di redigere il catalogo della Pinacoteca Vaticana (I più celebri quadri delle diverse scuole italiane riuniti nell'Appartamento Borgia del Vaticano, Roma 1820), con tavole, disegnate e incise da G. Craffonara, raffiguranti le opere restituite dalla Francia tra il 1816 e il 1817, dopo le spoliazioni napoleoniche, grazie alla missione di Canova.

Dal 1819 si dette prevalentemente agli studi antiquari, spesso in vista delle dissertazioni da tenere presso l'Accademia romana di archeologia, allora dominata dalle figure di Fea, G. Amati, L. Biondi, F. Cancellieri, F.A. Visconti: Spiegazione di un bassorilievo denominato I fanti scritti di Carrara (Roma 1819); Dissertazione sopra un antico elmo campano (ibid. 1820); la Lettera… sopra una statua di Pallade scoperta nella villa di Lucullo in Posillipo (ibid. 1821); La difesa della spelonca di Egeria nella valle della Caffarella (ibid. 1824), scritta per controbattere ancora una volta le tesi di Fea che, insensibile al fascino della leggenda, si rifiutava di identificare la grotta con il luogo in cui Numa Pompilio si intratteneva in colloqui con la ninfa Egeria.

Una polemica analoga a quella sollevata da La pittura comparata si ebbe con l'uscita, nel 1823, di un breve scritto del G. su un bozzetto del pittore G. Errante raffigurante la morte di Antigone, inserito da F. Cancellieri nella sua biografia dell'artista. Le lodi del G. alla qualità del dipinto e la sua appassionata apologia delle grandi composizioni di soggetto storico furono stigmatizzate da un ignoto (forse T. Minardi, firmatario all'epoca di una Proposta di riforma degli studi accademici di S. Luca) che, con lo pseudonimo di O. Franceschi, irrise, seppur bonariamente, le sue qualità di critico d'arte. Adottando il nome del fittizio A. Teodori cui Franceschi si rivolgeva, il G. replicò con tre interventi pubblicati dal Cancellieri in Ristampa di due lettere intorno ad un quadro di Antigone dipinto dal cav. Giuseppe Errante di Trapani del ch. sig. G.A. G. al ch. sig. ab. Francesco Cancellieri e di Odoardo Franceschi al sig. Alessandro Teodori con la risposta dello stesso A. Teodori al sig. O. Franceschi, Roma 1824.

In occasione della premiazione per il concorso dell'Accademia di S. Luca del 1824 il G. scrisse un poemetto in terzine dal tono lieve e scherzoso, il Parallelo di Roma antica e moderna in diversi usi e costumi, apologia della moderna Roma cristiana e della sua superiorità su quella pagana relativamente a usi e costumi. L'ultima sua fatica furono i Monumenti sabini, in 3 tomi (editi a Roma nel 1827, 1828, 1832), vera e propria guida storico-artistica e naturalistica della Sabina, contenente anche un Saggio comparativo per conoscere l'epoche degli edifici antichi tanto sacri che profani.

Il G. morì a Roma il 29 dic. 1830.

Fu membro dell'Arcadia, della Società degli antiquari di Londra, dell'Accademia Etrusca di Cortona e censore filologo nella Sapienza. Erede della tradizione antiquaria italiana settecentesca facente capo a F. Bianchini e S. Maffei, che ricercava nei monumenti, sulla base delle fonti letterarie, concrete "prove della storia", all'opposto del moderno metodo induttivo ed empirico di un conte A.-C.-Ph. di Caylus o di un Winckelmann, il G. fu un efficace e appassionato divulgatore di una materia solitamente appannaggio di una ristretta cerchia di eruditi, pronto a cogliere le esigenze di un pubblico di lettori che agli inizi dell'Ottocento si era fatto più vasto e desideroso di essere edotto o aggiornato sull'archeologia e sull'arte. Ad eccezione di scritti encomiastici dei contemporanei (S. Betti, P.E. Visconti), è assente a tutt'oggi un profilo storico-critico, anche se le sue opere (in primo luogo le Memorie enciclopediche) non hanno mancato di attirare in anni recenti l'attenzione di studiosi dell'arte e dell'archeologia dell'Ottocento.

Oltre a quelle menzionate, le sue pubblicazioni includono: Galleria del senatore Luciano Bonaparte, Roma 1808 (riedita dopo la Restaurazione, senza indicazione di luogo e data, col titolo Descrizione della galleria dei quadri del principe di Canino); Descrizione delle statue e busti antichi che si ammirano nel casino Marconi in Frascati (Roma 1808); I tre archi trionfali di Costantino, Severo, e Tito eseguiti in piccola proporzione con marmo e metalli dorati dalli signori Gioacchino, e Pietro Belli romani scultori in metallo (ibid. 1815); Pompa funebre per le solenni esequie di Maria Isabella di Braganza, regina delle Spagne e delle Indie (ibid. 1820); Paesaggi in tavola giudicati di Claudio Gelée (ibid. 1826); Lettera all'esimio architetto sig. Leone Dufourny sopra un'antica figulina (s.l. né d.); Descrizione degli oggetti d'arte esistenti nel palazzo di s.e. il sig. don Giovanni Torlonia, duca di Bracciano (s.l. né d.). Secondo l'Autobiografia il G. scrisse anche un'inedita descrizione dei monumenti di villa Borghese trasferiti in Francia.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Vicariato, Parrocchia S. Andrea delle Fratte, Battesimi, IX, pp. 42, 53, 109; Parrocchia S. Lorenzo in Lucina, Stati delle anime, 1805, p. 28; Biblioteca apost. Vaticana, Autografi Ferrajoli, Raccolta Visconti, nn. 3471-3553; Codici Ferrajoli, 908, cc. 1-280; Arch. di Stato di Roma, Miscellanea famiglie, b. 89, f. 17; Camerale II, Accademie, b. 3, ff. 3, 6; Camerale II, Antichità e Belle Arti, b. 10, f. 257; Congregazione delBuon governo, s. III, bb. 126, 132; Consulta straordinaria per gli Stati Romani, cass. 22, 27, 35. Una ricca documentazione sull'attività del G. come segretario e docente è conservata in Roma nell'archivio dell'Accademia nazionale di S. Luca (si rimanda ai relativi inventari, alla voce Guattani).

M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 364 ss., 405; S. Betti, Notizie del prof. G. e de' cavalieri Laboureur, Scaccia e Manno, in Giornale arcadico, LI (1831), pp. 91-103; P.E. Visconti, Elogio di G.A. G., in Atti della Pontificia Accademia romana di archeologia, IV (1831), pp. 323-333; L'Album, III (1836), pp. 125 s.; S. Betti, in E. De Tipaldo, Biografie degli italiani illustri…, I, Venezia 1834, pp. 278-280; D. Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 182-196 (ristampa dell'Autobiografia); G. Amati, Bibliografia romana. Notizie della vita e delle opere degli scrittori romani, Roma 1880, pp. 140-142 (altra ristampa dell'Autobiografia); O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, II, pp. 586 s., 632 s.; G. Cantino Wataghin, Archeologia e "archeologie". Il rapporto con l'antico fra mito, arte e ricerca, in Memoria dell'antico nell'arte italiana, Torino 1984, I, p. 216; P. Panza, Antichità e restauro nell'Italia del Settecento, Milano 1990, pp. 207-210; S. Susinno, La pittura a Roma nella prima metà dell'Ottocento, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 401, 405 s.; M.I. Palazzolo, I provvedimenti sull'editoria nel periodo napoleonico tra immobilismo e segnali di rinnovamento, in Roma moderna e contemporanea, II (1994), 1, pp. 170-172; R. Carloni, Per una ricostruzione della collezione dei dipinti di Luciano: acquisti, vendite e qualche nota sul mercato antiquario romano del primo Ottocento, in Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d'arte le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840), a cura di M. Natoli, Roma 1995, pp. 21 s.; L. Barroero, Giovanni Gherardo De Rossi biografo. Un esempio: la "Vita" di Gaetano Lapis, in Roma moderna e contemporanea, IV (1996), 3, pp. 678 s., 682, 685 s.; A. Cerutti Fusco, L'Accademia di S. Luca nell'età napoleonica: riforma dell'insegnamento, teoria e pratica dell'architettura, in Roma negli anni di influenza e dominio francese 1798-1814, a cura di P. Boutry - F. Pitocco - C.M. Travaglini, Napoli 2000, pp. 410-413; R.T. Ridley, The pope's archaeologist. The life and times of Carlo Fea, Roma 2000, pp. 158-162; M. Calzolari, Le commissioni preposte alla conservazione del patrimonio artistico e archeologico di Roma durante il periodo napoleonico (1809-1814). Nuove ricerche sui fondi documentari dell'Archivio di Stato di Roma, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell'età rivoluzionaria e napoleonica. A proposito del trattato di Tolentino, Atti … Tolentino … 1997, Roma 2000, pp. 535, 537, 546, 559; P.P. Racioppi, "Per bene inventare e schermirsi dalle altrui censure". G.A. G. e l'insegnamento di storia, mitologia e costumi all'Accademia di S. Luca (1812-1830), in Le "scuole mute" e le "scuole parlanti". Studi e documenti sull'Accademia di S. Luca nell'Ottocento, a cura di P. Picardi - P.P. Racioppi, Roma 2002, pp. 79-98.

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