GIUSTINO, Giuniano

Enciclopedia Italiana (1933)

GIUSTINO, Giuniano (M. Iunianus Iustinus)

Luigi Castiglioni

Epitomatore latino delle Filippiche di Pompeo Trogo. In un periodo di riposo, durante il quale si trovava a Roma, si accinse ad estrarre dall'opera di Pompeo Trogo tutto ciò che v'era di più degno di esser noto, lasciando da parte ciò che non fosse di dilettevole lettura né di utile esempio, per formare "una specie di piccolo mazzo di fiori, perché i conoscitori di greco ne avessero un mezzo d'essere istruiti" (Praef., 4). Tale sua opera inviava a un dotto, più per fargliela correggere che per lettura, e per rendere conto del suo tempo d'ozio, lieto del suo giudizio e della fama dei posteri, dopo passata la gelosia dei contemporanei. Altro non sappiamo di lui; e se ne conclude solo che non era romano. Dai caratteri della sua lingua e del suo stile, per quel pochissimo che può dirsi personale e caratteristico di un periodo, è forse lecito dedurre che egli visse intorno alla fine del sec. II d. C. o al principio del III.

G. conservò intatto il disegno dell'opera da lui riassunta: il sommario di questa, conservato in una parte della tradizione manoscritta dell'epitome, ci è testimonianza e controllo. L'epitomatore suddivise la sua materia secondo i quarantaquattro libri dell'originale, ma nell'omettere, nel contrarre, nel riprodurre, seguì il proprio arbitrio o, se si vuole, il proprio criterio. L'interesse di G. è rivolto in particolare alla parte aneddotica e alle curiosità. Di fronte all'interesse per ciò che potesse essere arguto o moralmente notevole, per i tratti capaci di dilettare o di sorprendere, per le arguzie o per la scienza, per i tempi inedita, passano in secondo ordine o scompaiono affatto cronologia e interessi topografici e precisa determinazione pur nella semplice successione di fatti. G. ha inteso il delectare e il prodesse come finalità della storia, in un senso assai più ristretto di quanto volesse la teoria e la pratica di Trogo. Di qui una grande diseguaglianza nello sviluppo delle parti: cenni fugaci e anche silenzio su avvenimenti di prima importanza; relativa insistenza su cose di poco conto. Così, ad es., sono sfiorati gli avvenimenti di Platea e dell'Eurimedonte (II, 14, 4; 15, 20); ma con lusso di particolari è descritta la fuga di Serse, perché: "res spectaculo digna et ad aestimationem sortis humanae rerum varietate miranda". Non v'è dubbio che anche Trogo si è compiaciuto di queste considerazioni: ma queste cose sono per G. le più importanti e soverchiano gli altri interessi. Nello stesso libro nulla è detto delle origini tessale, alle quali espressamente accenna il prologo di Trogo, ma relativamente molto si parla dell'abilità di Temistocle, del cortese contrasto fra Serse e Ariamene (II, 10, 2-11) per la successione di Dario; contrasto che suggerisce la sua brava conclusione morale: "tanto moderatius tunc fratres inter se maxima regna divideband, quam nunc exigua patrimonia partiuntur". Anche la geografia e l'etnografia, come parte sistematica dell'opera, non hanno migliore fortuna: sono colti soprattutto i dati che a G. appaiono meno comuni, e considerati per sé soli. Anche più compendiate delle altre, a volte omesse senz'altro, sono le parti i cui avvenimenti ci sono noti anche da Livio: a noi moderni sarebbe piaciuto conoscere come li narrasse la fonte di Trogo dal suo punto di vista, in cui prevale su quella di Roma la storia dei regni di Oriente; per G., rivolto al fatto e non al valore di esso, questa materia come troppo conosciuta è senza interesse.

Uniformità di colore retorico e unità d'indirizzo scolastico non sono in G. tali da dare alla sua opera un'impronta personale nel senso pieno della parola. Nella forma e nella sostanza vi è la diseguaglianza propria di chi a volte si tiene vicino alla fonte, a volte se ne allontana così da compendiare intere pagine in brevi parole. E questo permette di ravvisare in più punti e sentire da vicino gli atteggiamenti letterarî e storici di Trogo e delle sue fonti: le cose che per noi hanno, sole, un interesse vitale. Attenzione ora per la persona, ora per i fatti, senza prevalenza assoluta dell'una su gli altri, tendenziosità di giudizî, abilità nel congegnare il disegno dell'opera, sono tracce che permettono la giusta valutazione dell'importanza dell'opera di Trogo anche attraverso il riassunto.

Come era fatale in età nelle quali l'interesse culturale andava sempre più declinando, il riassunto soverchiò l'originale. Per i Padri della Chiesa l'opera di G. fu particolamiente comoda, e il nome più illustre di Trogo non servì che a commendare una dottrina proveniente da più umile fonte. La conoscenza dell'originale dovette essere una rarità, già poche generazioni dopo il divulgarsi dell'epitome. La quale, fornendo una succinta ma piacevole conoscenza del mondo orientale, giudaico, fenicio, delle imprese di Alessandro, delle fortune e del degenerare dei regni dei Diadochi, dell'ascendere dei Parti, del passato di Marsiglia e delle vicende di Spagna, soddisfaceva a bisogni di limitata erudizione, a desiderî di diletto e di curiosità, perfettamente come si era ripromesso il suo autore. Anche il Medioevo occidentale s'interessò dell'opera, come dimostra il numero notevole dei manoscritti che ce l'hanno tramandata.

Ediz.: Ed. principe iensoniana, in Venezia 1470; del 1470 o '71 la prima romana. La prima edizione critica fu curata da M. A. Sabellico a Venezia nel 1490 e nel 1522 uscì l'aldina di F. Asolano. L'elenco delle numerose antiche edizioni e versioni nelle varie lingue, nella farraginosa edizione di C. H. Frotscher, Lipsia 1827-1830. Edizione critica, con criterî moderni, di F. Rühl, Lipsia 1885, a cui segue, ma su basi sostanzialmente eguali, quella italiana di M. Galdi, in Corpus Script. Lat. Paravianum, 1924. Un commento critico, esegetico, storico, che risponda alle nostre esigenze, manca.

Bibl.: W. Kroll, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 956-8; M. Schanz, Gesch. d. röm. Lit., II, i, 3ª ed., Monaco 1911, p. 444 segg.; L. Castiglioni, Studi intorno alle St. Filippiche di G., Napoli 1925 (dove è registrata la prec. prod.); M. Galdi, L'epitome nella lett. lat., Napoli 1922, p. 94 segg.; A. Petersson, De epitoma Iustini quaest. criticae, Upsala 1926. Per la fortuna di G. nel Medioevo: F. Rühl, Die Verbreitung d. I. im Mittelalter, Lipsia 1871.