MORELLATO, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MORELLATO, Giulio

Elisabetta Novello

MORELLATO, Giulio. – Nacque a Marsango, comune di Campo San Martino, vicino Padova, il 10 ottobre 1892, settimo di otto figli, da Giacinto e da Isabella Betto.

Il padre, un artigiano attivo anche in politica – fu sindaco di Campo San Martino dal 1922 al 1926 –, esercitava contemporaneamente i mestieri di calzolaio e di orologiaio. Giulio frequentò la scuola elementare fino alla terza classe e conseguì il diploma in età adulta seguendo corsi serali. Tornato dal fronte dopo la Grande guerra, in assenza di prospettive di lavoro a Marsango, partì con il fratello minore in cerca di fortuna per Bologna, città nella quale aprirono un negozio di orologi, gestito insieme fino alla seconda metà degli anni Venti. Giulio decise allora di mettersi in proprio e iniziò a vendere e riparare orologi frequentando come ambulante i mercati di Bologna, Lugo e Ferrara. In tal modo riuscì ad ampliare il giro di affari e, al tempo stesso, a diversificare la clientela rendendo l’attività più stabile e redditizia.

Nel 1925 sposò una ragazza di Lugo di Romagna, sorella di un commilitone conosciuto in tempo di guerra, dalla quale ebbe cinque figli, tre maschi e due femmine.

Intorno al 1930 Morellato, colpito da gravi disturbi alla vista, decise di abbandonare il lavoro di precisione per dedicarsi alla produzione e al commercio dei cinturini per orologio, cogliendo l’opportunità offerta dal nascente mercato degli orologi da polso che in quegli anni iniziavano ad affiancarsi a quelli tradizionali da taschino. Constatata la cattiva qualità dei cinturini allora in commercio, importati dalla Svizzera, Morellato decise di mettere a frutto le sue competenze nel settore della pelletteria e dell’orologeria creando un prodotto più conveniente e pregiato.

Inizialmente i cinturini furono realizzati nel negozio di Bologna e commercializzati con gli orologi dallo stesso Morellato; in seguito, preso atto del successo del nuovo prodotto, decise di dedicarvisi totalmente. Abbandonata l’orologeria, ingrandì il laboratorio di cinturini fino a inglobare anche fabbricati vicini, collegandoli al corpo principale tramite ponti aerei e piccole teleferiche. In quegli anni «non solo gli ambienti sono di fortuna, ma anche l’attrezzatura risulta primitiva: macchine da cucire per calzaturieri per lo più tedesche adattate alle specifiche lavorazioni; macchine per lavorare la pelle; stampi, fustelle, qualche pressa e scarnitrici di fabbricazione artigianale» (Ceccato, 1993, p. 18). L’attività, pur ottenendo i primi successi, restava ancora di carattere artigianale. «La materia prima [era] costituita da pelli di vari animali, tanto di produzione nazionale che d’importazione: vitello, cinghiale e rettili in primo luogo. Come collante si impiegava un mastice al benzolo di cui ancora si ignorava la pericolosità per il sistema nervoso» (ibid.).

La crescita continuò ininterrotta per tutto il ventennio fino allo scoppio della guerra. Nel 1943, Morellato decise di sfollare con la famiglia a Lugo di Romagna, dove risiedevano i parenti della moglie, e di trasferirvi gran parte dei macchinari, che – in vista di una ripresa dell’attività nel dopoguerra – tenne il più possibile nascosti (pur senza mai cessare il lavoro e la commercializzazione dei cinturini). Subito dopo la liberazione tornò a Bologna e riaprì il suo laboratorio, con l’obiettivo di riprendere la produzione. Ma, l’Italia postfascista era profondamente cambiata e l’Emilia più di altre regioni.

Tra i dipendenti dell’azienda il sindacato di sinistra era diventato molto forte; Morellato, di fronte alla richieste della commissione interna, non accettò il dialogo né acconsentì a compromessi con la rappresentanza operaia. Non potendo continuare la gestione dell’impresa con gli stessi metodi del passato, decise di chiudere lo stabilimento di Bologna e di tornare in Veneto, dove il sindacato era meno organizzato, aprendo uno stabilimento a Piombino Dese, in provincia di Treviso, in «un’area ad economia prevalentemente agricola, con aziende di piccole dimensioni ed una produzione destinata all’autoconsumo familiare. In effetti, al censimento del 1951 il 73% della popolazione attiva [era] dedita al lavoro dei campi, contro il 18% di occupati nell’industria/artigianato e il 9% nel commercio» (Ceccato, 1993, p. 21). Morellato trovò la collaborazione di Domenico Cecchin, giovane sindaco di Piombino Dese, il quale mise a disposizione dell’imprenditore una villa dell’Ente comunale di assistenza, previo accertamento della serietà professionale e della moralità, cattolica e anticomunista, di Morellato. La chiusura del laboratorio a Bologna e il trasloco a Piombino avvennero così già nel 1947.

Stabilitosi nella nuova struttura Morellato dovette affrontare diverse difficoltà, professionali e personali. Non solo i locali della villa si rivelarono insufficienti e dovette integrarli con adiacenze e costruzioni precarie; ma la ripresa produttiva fu più faticosa e accidentata del previsto. I mesi di inattività, durante il trasferimento, avevano allontanato «gli operai che aveva addestrato a Bologna» e l’immissione nel ciclo di lavoro di pelletteria di ragazze di campagna «la cui unica precedente esperienza di lavoro era stato il cucito domestico » (ibid., p. 23), creò non pochi problemi; i familiari, infine, si dichiararono ostili al trasferimento e due dei suoi figli si rifiutarono di seguirlo.

Una volta avviata la produzione – l’iscrizione della ditta Giulio Morellato alla Camera di commercio di Padova e l’inizio della produzione datano maggio 1948 – dovette affrontare i primi concorrenti, a Bologna e a Vicenza. Dopo alcuni anni difficili, tuttavia, i profitti ripresero a salire e, soprattutto in seguito all’entrata nella direzione della ditta del figlio Michele, ragioniere, la redditività tornò ai livelli degli anni precedenti alla guerra. Un ulteriore miglioramento della gestione e un ampliamento del volume degli affari avvennero grazie al sodalizio con Iginio Arrigo Volpato (un falegname a cui Morellato aveva affidato il compito di ripristinare gli infissi della villa e delle adiacenze) e Silvano Carraro (un giovane perito industriale incaricato di predisporre la rete di illuminazione aziendale). I due uomini si guadagnarono in breve la fiducia di Morellato e, con essa, incarichi di responsabilità: Volpato assunse la direzione del settore acquisti e produzione, Carraro del settore commerciale. Nel gennaio 1955, Morellato designò Carraro come suo procuratore speciale con delega alla firma per una serie di atti.

Fin dai primi anni Morellato improntò la gestione del personale a un marcato paternalismo combinato con l’azione sindacale della CISL, unico sindacato ammesso in azienda e i cui rappresentati erano Volpato per gli operai e Carraro per gli impiegati. Per evitare che i dipendenti si iscrivessero ad altri sindacati, Morellato concesse «che le assemblee sindacali si tenessero in fabbrica, mentre dalle altre parti no, bisognava riunirsi nei patronati» (Interviste ai sindacalisti CISL Giovanni Sedani ed Armando Bellia, 28 ottobre 1992, in Ceccato, 1993, p. 65). Il personale era in larga prevalenza composto da operaie, mentre la presenza maschile era limitata ad alcuni meccanici con mansioni di supporto alla produzione. A Bologna come a Piombino Dese il numero delle dipendenti variò tra le 100 e le 130 unità.

Si trattava di giovani donne di età compresa tra i 14 ed i 25 anni, nubili e alla loro prima esperienza lavorativa, scelte in ragione del minor costo orario rispetto a quello previsto dalle tabelle sindacali per gli uomini e, comunque, regolarizzate soltanto dopo alcuni mesi di lavoro. Tale modello gestionale implicava un alto turn-over, in quanto le ragazze si licenziavano nell’imminenza del matrimonio o dopo la nascita del primo figlio. La giornata lavorativa variava dalle 10 alle 12 ore dal lunedì al sabato e il contratto non prevedeva ferie, né riposo ulteriore rispetto alla domenica. Consapevole dell’importanza dell’istruzione di base, Morellato riservò una cura speciale alla formazione delle operaie, per le quali organizzò corsi di cultura popolare e di economia domestica mettendo a disposizione una maestra che teneva lezioni nelle aule dell’asilo e dei locali della fabbrica.

Nonostante i buoni risultati aziendali e la relativa pace sindacale, non mancarono momenti politicamente caldi, come per esempio nell’ottobre 1955, quando, durante una vertenza promossa dalla CISL a tutela dei dipendenti della fabbrica di cinturini e dei braccianti assunti per i lavori sul terreno adiacente la villa padronale, Morellato inviò una lettera indignata al sindacato.

Nella missiva definiva lo sciopero un atto di insubordinazione che avrebbe generato un «micidiale senso di sfiducia e di sospetto» fra padrone e operai. Ancor più intollerabile gli appariva il fatto che l’agitazione fosse promossa dal sindacato cattolico, l’unico per il quale aveva acconsentito che i contributi sindacali fossero trattenuti direttamente nella busta paga. Morellato ricordò di aver lasciato a Bologna «operai buoni e capaci», ma annebbiati da «idee inconcludenti e terribili». Tornato nel Veneto, in una località dove mancavano anche attività di trasformazione manifatturiale, egli aveva dimostrato la sua benevolenza nei confronti dei sindacalisti «amatori e sistematori degli operai », finché si fossero limitati ad agitare «la bandiera dell’umile lavoro per portare tutto quello che possono a favore della più nobile impresa che è la giustizia sociale», ma, insisteva, non poteva tollerare che essi fossero in disaccordo «con chi vuole prendere in mano e nel cuore la bellezza di portare in mezzo alla gente, ad una piccola parte di questa gente, che veramente lavora, una scintilla bruciante di verità e di cristiana fraternità» (Lettera, riportata da Ceccato, 1993, p. 81).

Forse anche per le contrarietà nate da tale vicenda, all’inizio del 1956 Morellato decise di farsi da parte e di affidare l’azienda al figlio e ai due fidati soci. Il 15 marzo 1956 a Padova, Michele Morellato, Carraro e Volpato costituirono una «società in nome collettivo sotto la ragione sociale Morellato Morellato & C.», con un capitale sociale di L. 300.000 «conferito in contanti in parti uguali da ciascun socio» e sede a Piombino Dese. Il giorno dopo Morellato concesse a questa società, «a titolo di semplice locazione-conduzione », lo stabilimento di sua proprietà compresi i macchinari, le attrezzature e gli impianti, a un canone annuo di L. 1.000.000 e il 16 marzo fu comunicata alla Camera di commercio di Padova la cessazione della ditta Giulio Morellato. La nuova società, pur garantendo la continuità col mantenimento dell’antica denominazione, si impose via via come soggetto nuovo e originale, anche per l’ostilità della famiglia Morellato (che mal gradiva il coinvolgimento di due soci esterni nella gestione di un’impresa ancora familiare). Negli anni seguenti, mentre l’apporto della famiglia si affievoliva, Giulio Morellato continuò comunque a seguire le sorti dell’azienda, fornendo pareri sulle scelte produttive e presenziando alle occasioni più importanti.

Il buon livello di produzione si scontrò con carenze di manodopera quando, in seguito all’applicazione della legislazione sulle aree depresse (legge n. 635/1957), a Piombino Dese si insediarono nuove imprese industriali e artigiane, sottraendo manovalanza femminile alla Morellato. Dopo una difficile esperienza a Camposampiero, città natale e luogo di residenza di Silvano Carraro, dove era stato aperto un piccolo opificio di 30 operaie, il 2 maggio 1962 fu costituita una nuova società in nome collettivo con la denominazione di «Giulio Morellato & C.» e sede a Fratte di Santa Giustina, in provincia di Padova, i cui soci erano Giulio e Michele Morellato, Carraro e Volpato. La nuova struttura permise a Morellato di rientrare formalmente nell’attività, seppure con un apporto di capitale di 80.000 lire a fronte di un capitale sociale di 2.000.000. La fabbrica di Piombino rimase tuttavia in funzione. La coesistenza delle due strutture durò soltanto tre anni e nel 1965, con la morte di Giulio e l’abbandono di Michele Morellato, l’intera produzione fu concentrata nello stabilimento di Fratte sotto la denominazione sociale di «Giulio Morellato s.n.c. di Carraro Silvano e Volpato Igino Arrigo».

Ammalatosi nel 1964, Morellato morì all’Ospedale civico di Padova il 10 febbraio 1965.

Fonti e Bibl.: Informazioni sui momenti più significativi dell’evoluzione aziendale sono rintracciabili presso l’Archivio della Camera di commercio industria artigianato agricoltura (CCIAA) di Padova: fasc. Morellato Giulio, n. 52812, Atti notaio G. Spinelli, Treviso 21 gennaio 1955; fasc. Morellato M. & C. n. 72069, Comunicazione alla Camera di commercio, Piombino Dese, 16 marzo 1956; fasc. Morellato M. & C. n. 72069, Atto costitutivo di società in nome collettivo, Atti notaio Letter, Padova 15 marzo 1956. Per la ricostruzione dell’esperienza imprenditoriale si veda: E. Ceccato, Morellato S.p.A. Storia di un’azienda. Storia di uomini e di donne, Piombino Dese 1993; G. Prini - C. Fenzo, Come eravamo, in Morellato News. Periodico di moda e informazione, III (1989), dicembre, pp. 14-17; G. Prini, Morellato 1956- 1990: la storia continua, ibidem, IV (1990), dicembre, pp. 14-16; G. Roverato, Morellato S.p.A., Fratte di Santa Giustina in Colle (Padova). Azienda attiva nella produzione di cinturini per orologio, in G. Roverato, L’industria nel Veneto: storia economica di un caso regionale, Padova 1996, pp. 355-357. Di particolare interesse per la ricostruzione del personaggio sono le interviste a Michele Morellato, Arrigo Volpato e Silvano Carraro (sett.-ott. 1992); ai sindacalisti CISL Giovanni Sedani e Armando Bellia (28 ottobre 1992); a Rita Basso, Bertilla Basso, Silvana Fardin (1992), in Ceccato, pp. 15 s.; 65-68; 73-78.

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