EINAUDI, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

EINAUDI, Giulio

Gian Carlo Ferretti
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Preceduto da Mario e Roberto, nacque a Torino il 2 gennaio 1912 da Luigi e da Ida Pellegrini.

Il padre, autorevole economista, senatore del Regno e proprietario terriero, fu governatore della Banca d'Italia dal 1945 al 1948 e presidente della Repubblica dal 1948 al 1955; la madre fu attiva collaboratrice del marito. Dei suoi fratelli Mario, antifascista, insegnò scienze politiche nelle università degli Stati Uniti, mentre Roberto si affermò come imprenditore illuminato e figura di rilievo nell'industria italiana e straniera.

La nascita della casa editrice

Negli anni Venti Giulio frequentò a Torino il liceo-ginnasio Massimo d'Azeglio, dove fu allievo dell' intellettuale antifascista Augusto Monti. Fece quindi parte di una 'confraternita' di ex allievi – composta da Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Fernanda Pivano, Vittorio Foa, Franco Antonicelli e altri – che era solita riunirsi con il professor Monti al caffè Rattazzi e nelle case dell’uno o dell’altro, per discutere di politica, filosofia e letteratura.

Gli studi veri e propri di Einaudi fino alla maturità (conseguita nel 1929) furono invece caratterizzati da scarso impegno e profitto; assai discontinuo, incompiuto e tutt’altro che brillante fu il suo percorso universitario, attraverso scienze naturali prima e medicina poi. Einaudi maturava infatti interessi molto diversi e, dopo un apprendistato (già dal 1929) con la gestione della Riforma sociale diretta dal padre, il 15 novembre 1933 fondò la sua piccola casa editrice al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede dell’Ordine nuovo di Antonio Gramsci. Tra le prime iniziative si distinse la nuova serie della Cultura (1934-35), che si riallacciava alla lezione gobettiana, rivivendola talora politicamente nelle file di Giustizia e libertà, e che aveva tra i suoi redattori proprio alcuni amici della 'confraternita', con un ruolo fondamentale di Leone Ginzburg. L’antica testata della Cultura era stata resuscitata nel 1929 dal banchiere-intellettuale-mecenate Raffaele Mattioli, che aveva scelto per la copertina il marchio cinquecentesco dello struzzo con un chiodo in bocca e con la scritta «spiritus durissima coquit», ceduto anni dopo con la rivista a Einaudi. Quasi a significare, quel marchio, che «[...] lo spirito, insomma, la cultura, può aiutare a digerire anche i tempi di ferro che stiamo attraversando» (cfr. A. D’Orsi, La cultura a Torino fra le due guerre, Torino 2000, p. 291).

Nel 1938 Giulio Einaudi sposò Clelia Grignolio, dalla quale ebbe tre figli: Ida, Riccardo e Mario. Ida svolse più tardi varie attività per la casa editrice tra Roma e Torino.

La storia della casa editrice fu segnata più o meno direttamente dalle repressioni del regime fascista, con la chiusura nel 1935 della Cultura e della Riforma sociale e con una lunga serie di arresti, carcerazioni (anche dell’editore), condanne al confino, autocensure, censure, sequestri e morti drammatiche. Giulio Einaudi dovette perciò fare i conti con condizionamenti e divieti del regime e dovette spesso valersi con pragmatica diplomazia della mediazione del ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai. Ma nonostante qualche compromesso, nell’insieme la produzione degli anni Trenta-Quaranta seguì una politica di non allineamento e di anticonformismo. Il padre Luigi, con il suo orientamento liberale, liberista e contrario al fascismo, e con la sua severità scientifica, impostava e dirigeva di fatto la collana di «Problemi contemporanei» e un filone economico-finanziario, con testi suoi e di studiosi a lui vicini (dal lui e da altri sostenitori vennero anche finanziamenti). Giulio varava numerose collane soprattutto saggistiche, dalla scienza alla storiografia ad altre discipline (significativa la presenza di Luigi Salvatorelli), ma anche letterarie, come «Poeti» e «Narratori contemporanei»: primi titoli rispettivamente Le occasioni di Eugenio Montale e Paesi tuoi di Cesare Pavese: tutte collane che si muovevano tra problematicità ed eclettismo, con una ricerca di nuovi valori che si intensificò dal 25 luglio 1943 nella prospettiva della Liberazione.

Giulio Einaudi, che nel 1940 era stato richiamato alle armi e aveva ottenuto un congedo provvisorio per motivi di lavoro, l’8 settembre 1943 scelse l’esilio in Svizzera (dove continuò l'attività di editore), poi, rientrato in Italia, militò nelle brigate garibaldine in Val d’Aosta. Intanto nel 1941 si era aperta la sede romana, con Mario Alicata, Carlo Muscetta, Giaime Pintor e, più tardi, Pavese. Einaudi, inoltre, nell’ottobre 1944 incontrò per la prima volta Palmiro Togliatti nella Roma liberata, avviando un rapporto dapprima ideale e quindi editoriale con il Partito comunista italiano.

Ma gli anni della seconda guerra mondiale incisero pesantemente sulla vita della casa editrice a Torino, con bombardamenti, razzie tedesche, cambiamenti di sede (dall’allora via Mario Gioda a corso Galileo Ferraris 77, con altri passaggi), carta razionata e scadente, commissariamento della Repubblica di Salò e così via. Fino alla Liberazione, e alla sede 'storica' di via Biancamano 1 (con ingresso in un primo tempo, da corso Re Umberto 5), affiancata a Milano dalla redazione del Politecnico di Elio Vittorini.

Nel 1950 (dopo l’annullamento del primo matrimonio a San Marino) Einaudi sposò Renata Aldovrandi che, conosciuta durante la guerra, fu colonna portante della segreteria della casa editrice. Da lei ebbe tre figli: Elena, Giuliana e Ludovico, poi divenuto compositore di fama mondiale.

Lo stile di lavoro

Dal 1945 la biografia e la personalità di Einaudi vennero coincidendo sempre più (assai più che per altri editori) con la storia della casa editrice, attraverso i suoi autori e le sue collane. Dal padre piemontese, oltre all’amore per i libri (e per il libro) e per la montagna, aveva preso l’aristocrazia intellettuale e insieme la ruvidezza nei rapporti, che nel suo stile di lavoro si manifestavano come capacità di seduzione e disposizione al comando. Questi tratti, nella figura e nel comportamento – uniti a un mecenatismo che non escludeva l’insolvenza verso autori e collaboratori e a uno snobismo che contagiava molti einaudiani – si alternavano e confondevano fino a ritrovarsi implicitamente nei titoli di cui il grande editore fu gratificato durante la sua vita e dopo la sua morte: 'il divo Giulio', 'il Principe' o addirittura 'il Re Sole' dell’editoria italiana, spesso con aggettivazioni progressiste. Anche se non gli mancarono aspre e non sempre disinteressate accuse di scoperto narcisismo, megalomania imprenditoriale e avventurismo finanziario. Certo, l’amministrazione einaudiana peccò spesso di approssimazione, ma in generale Einaudi praticò sempre una sorta di rischio calcolato: quasi che con lucida risolutezza e alta coscienza di sé, programmasse o accettasse via via le puntuali crisi e gli altrettanto puntuali ricorsi ai soccorsi pubblici e privati o ai prestiti delle banche.

Le occasioni in cui Einaudi sapeva portare a un alto grado di produttività il suo equilibrio tra mediazione e determinazione, comunanza ideale e dispotismo illuminato, erano anzitutto quelle in cui si elaborava la politica editoriale della Casa. Fondamentali in tal senso, prima il 'direttorio' composto nel 1941 da Ginzburg, Pintor, Muscetta, Pavese (assunto come redattore nel 1938 e dal 1945 direttore editoriale, con crescenti poteri e responsabilità), e poi, dalla fine degli anni Quaranta, il consiglio editoriale 'del mercoledì', via via comprendente anche Felice Balbo e Mila, Franco Venturi e Bobbio, Vittorini e Italo Calvino, Antonio Giolitti e Natalia Ginzburg, Delio Cantimori e altri, insieme ad alcuni redattori interni e a quella straordinaria (e felicemente anomala) figura di direttore commerciale che era Roberto Cerati. Al consiglio, che aveva un ruolo di discussione, progettazione, ricerca, e anche decisione, seguivano il giovedì successivo un comitato editoriale ristretto, che verificava gli aspetti economici e commerciali, e poi le riunioni periodiche dell’editore con funzionari dei vari settori per il controllo del piano di produzione.

Einaudi veniva così costruendo una casa-laboratorio sul lavoro di quel formidabile 'cervello collettivo', conflittuale e insieme coeso: dove tutti si occupavano di tutto, in un continuo scambio di testi e di valutazioni, all’interno e di là dalle discipline e competenze di ciascuno. Un modello operativo davvero ineguagliato, dove emergeva appunto la grande figura di un editore che, anche nel suo ruolo di amministratore delegato e/o di presidente, era insieme primus inter pares democratico e conduttore determinato.

Certo, tra i due momenti di quell’equilibrio le testimonianze di alcuni dei collaboratori più stretti ne avrebbero evidenziato soprattutto  uno: l'editore come regolatore di un processo decisionale, del quale egli restava nonostante tutto il protagonista o addirittura 'il padrone', con aggiunta talora di piccole sopraffazioni e capricci personali. Ma la vera distinzione in realtà passava tra le scelte strategiche editorial-culturali come sua responsabilità e prerogativa, e l’ascolto, la sollecitazione e la valutazione di tutte le diverse e spesso contrastanti voci su autori, testi e collane, nelle varie sedi della casa-laboratorio: dal consiglio editoriale del 'mercoledì', alle riunioni dei consulenti a Dogliani e nel castello di Perno, dai seminari estivi di Rhêmes-Notre-Dame in Val d’Aosta alle stesse sedute letterarie del Prix international des éditeurs e del Prix Formentor per un inedito, con le migliori intelligenze editoriali e intellettuali europee e americane: un premio nato a Barcellona nel 1961 e diventato itinerante, dopo che nel 1963 il governo di Franco aveva vietato l’ingresso in Spagna a Einaudi e ai suoi collaboratori per aver pubblicato una raccolta di canti sulla Resistenza spagnola. Erano tutte esperienze che insieme ai convegni culturali, ai congressi degli editori e alle fiere del libro, vedevano anche crescere il suo prestigio internazionale.

L’identità della Casa

Ma Casa Einaudi si caratterizzò all’interno dell’editoria italiana per una felice singolarità: una casa-laboratorio di alta cultura e di opposizione cioè, che fin dall’inizio non volle «essere un altro esempio di "editoria minore", ma una casa editrice di impianto nazionale e di larga diffusione» (Mangoni, 1999, p. 59), e capace inoltre di mantenere la sua connotazione e dimensione torinese all’interno di un rilievo europeo e mondiale, documentato anche dalle traduzioni. In questo quadro si collocavano le Antologie e i Cataloghi storici, il Notiziario Einaudi (1952-59) e il periodico Libri nuovi (dal 1968), le librerie di Milano in galleria Manzoni e di Roma in via Veneto, la Settimana del libro Einaudi e le mostre itineranti, tutto con contributi dei prestigiosi redattori e collaboratori, e con criteri di funzionalità e di uso per il lettore; nello stesso quadro si collocarono anche la costruzione nel 1963 (su progetto di Bruno Zevi) di una biblioteca-modello dedicata a Luigi Einaudi (scomparso nel 1961) e donata alla terra familiare di Dogliani, e la pubblicazione nel 1969 di una Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata basata su quella esperienza.

Il programma di Einaudi riusciva a realizzarsi in una produzione diversificata che manteneva un'inconfondibile 'qualità', in un rigore che non era specialismo e in un atteggiamento critico che non ignorava il mercato. La stessa cura delle edizioni e del prodotto-libro e la stessa grafica Einaudi, tanto raffinate quanto sobrie e funzionali, erano coerenti con quella fisionomia complessiva: una grafica 'ispirata' o 'firmata' via via da Francesco Menzio, Albe Steiner, Max Huber, Bruno Munari, con la direzione tecnica di Oreste Molina e la partecipazione personale di Einaudi.

Si affermò così tra gli anni Quaranta e Sessanta un’identità Einaudi, nella quale si ritrovavano il giovanile atteggiamento critico verso il presente e il rigore intellettuale del magistero paterno, rielaborati e rivissuti come interazione tra studio e sperimentazione, scientificità e militanza, classicità e modernità, 'durata' e innovazione, tensione conoscitiva e tensione creativa, solida fisionomia saggistica (e ritornante presenza delle riviste), nonché crescente ruolo di protagonista nella produzione narrativa, con un articolato discorso di 'collana' e di 'tendenza', con una concezione non 'separata' delle varie discipline, con un forte senso di non provvisoria contemporaneità e di problematica politicità, e con una politica editoriale che, influenzata all’inizio da Luigi Einaudi e Benedetto Croce, si veniva fondando sempre più sulla tradizione gobettiana, sulla 'cultura della crisi', sugli apporti marxisti e su un progetto di cambiamento della cultura e della società.

Einaudi riuscì a realizzare una grande casa editrice, a mantenerne l’identità e a conquistare un fedele lettore, attraverso fasi storiche contrastate, dal fascismo alla guerra al dopoguerra, e attraverso profonde trasformazioni dell’editoria dall’artigianato all’industria, assimilando redattori e consulenti di prim’ordine scelti con la sicurezza del grande imprenditore e collocando ogni acquisizione di nuovi autori in una linea di complessa continuità, con lunghe appartenenze. Un processo insomma che finiva per 'einaudizzare' autori e titoli diversissimi: per fare alcuni esempi, Bertolt Brecht e Carlo Emilio Gadda, Antonio Gramsci e James G. Frazer, le Lettere di condannati a morte della Resistenza e le Fiabe italiane, Raymond Queneau e Beppe Fenoglio, Gianfranco Contini e Noam Chomsky, Simone de Beauvoir e Lalla Romano, Sergio Solmi e Bruno Munari, Fernand Braudel e Carlo Dionisotti, Paolo Spriano e Renzo De Felice, Gianni Rodari e Dario Fo, e in generale classici e contemporanei.

Un catalogo aperto e coeso

Dal 1945 dunque gli artefici esterni e interni dell'Einaudi, molti dei quali rientrati dalla clandestinità, ripresero il loro lavoro nel pieno dei fervori del primo dopoguerra, con le sue istanze di rinnovamento e le sue riscoperte e scoperte di autori e di opere osteggiate o vietate dal fascismo, e negli anni difficili della guerra fredda, con i suoi conflitti politici, logiche di schieramento e appassionati dibattiti. Ma attraverso il distacco dalla tradizione idealistica e liberale (e paterna) e la effettiva e progressiva prevalenza dei redattori e consulenti comunisti sugli azionisti, liberaldemocratici e cattolici, la politica editoriale einaudiana restò sostanzialmente coerente alle linee di fondo della sua identità.

Dai rapporti con il Partito comunista fino al 1955-56 derivarono alcune prese di posizione pubbliche dell’editore (come la partecipazione nel 1948 al convegno dei Partigiani della pace a Breslavia in Polonia), alcune chiusure ideologiche e alcune edizioni più o meno 'ufficiali', che sono state spesso oggetto di attacchi polemici. Ma si trattò di vicende assai difficilmente generalizzabili, mentre da quegli stessi rapporti derivarono nella produzione e nella distribuzione einaudiana risultati complessivi e consapevoli di collaborazione e di autonomia, con una sostanziale e concordata divisione di ruoli. Sarebbero da ricordare semmai tra gli anni Quaranta e Cinquanta alcuni episodi di oscurantismo clericale, come gli anatemi dei vescovi contro i libri einaudiani o come le denunce e i processi che colpirono anche altri editori. Comunque, se una costante ideale si può rintracciare in Einaudi, fu la suggestione dei 'movimenti', emblematizzati nel Sessantotto.

Nel contempo prendeva forma uno straordinario catalogo, aperto e coeso, con moltissimi esempi di attiva sintesi tra rigore intellettuale e ricerca del nuovo, lungimiranza e 'tendenza', anche nella prospettiva d'una avanzata sprovincializzazione. Basti ricordarne tre: la Recherche di Proust, oggetto di una lunga e contrastata trattativa tra vari editori (e di un nullaosta negato dalla censura fascista) negli anni Trenta-Quaranta, fino alla pubblicazione iniziata dal 1946 nei «Narratori stranieri tradotti», con la redattrice-consulente Natalia Ginzburg come traduttrice e coordinatrice del lavoro degli altri; la «collana viola» di studi religiosi, psicologici, etnologici, antropologici, da Carl Gustav Jung a James G. Frazer, da Karl Kerényi a Mircea Eliade (1948-55), tanto severa quanto controcorrente rispetto allo storicismo imperante; nonché «I gettoni» di narrativa diretti da Elio Vittorini (1951-58), di sperimentazione e formazione, scoperta e 'durata' insieme (collana idealmente seguita dalla rivista Il Menabò), con autori come Lalla Romano, Beppe Fenoglio, Mario Tobino, Giovanni Arpino, Anna Maria Ortese, Leonardo Sciascia, Mario Rigoni Stern, Giovanni Testori e altri.

Esempi non certamente smentiti dalla rinuncia all’edizione delle opere complete di Friedrich Nietzsche (1957-61), dovuta a ragioni molteplici e complesse, non ultima una scelta di linea editoriale (il progetto fu poi realizzato da Adelphi).

D’altra parte assumeva un valore emblematico la stessa presenza in casa editrice dal 1947 di Italo Calvino, iscritto al PCI fino al 1957, scrittore 'fiabesco', prima responsabile dell’ufficio stampa e via via redattore, direttore letterario e autorevole consulente aperto alle più diverse esperienze culturali.

Continuavano e nascevano negli anni Quaranta-Cinquanta le Biblioteche di economia, storia e filosofia, le riviste Il Politecnico e Società, e le edizioni di Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Guido Dorso, Rodolfo Morandi. Contestualmente,  nel 1947, venivano varati i «Coralli», una collana segnata all’inizio dall’impegno di Pavese e destinata a lunghissima vita: significative le presenze degli einaudiani Natalia Ginzburg, Pavese stesso e Calvino come autori, e di alcune fra le voci più vive della letteratura americana, francese e sovietica contemporanea, ben al di là di talune suggestioni e sollecitazioni afferenti al neorealismo minore o all’'impegno'.

Una feconda e innovativa interazione tra scritture e generi si manifestava all’interno di testi o collane. Nei «Saggi» (nati nel 1937) i diversi risvolti editoriali di una complessità letterario-saggistica potevano ritrovarsi in Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (opera fondamentale del 1945), in Se questo è un uomo di Primo Levi recuperato nel 1958 (dopo il rifiuto del 1947) e avviato a diventare un classico, e nel 'romanzo dell’archeologia' di C.W. Ceram Civiltà sepolte (1952), primo di una serie divulgativa di successo. La poesia inoltre tendeva a confluire in due diverse collane: insieme a narrativa, teatro, scrittori di storia, raccolte di fiabe, nei «Millenni», di grande pregio culturale e grafico, anch’essi voluti da Pavese, e comprendenti dal 1947 classici d’ogni tempo e paese; e insieme a narrativa e teatro nei «Supercoralli», comprendenti dal 1948 autori contemporanei italiani e stranieri di grande rilievo.

All’«Universale Einaudi», che già dalla sua nascita (1942) mirava alla conquista di nuovi lettori, si aggiungeva la «Piccola Biblioteca scientifico-letteraria»: collana di classici e di manuali, di letteratura e di scienza, fondata nel 1949 con il dichiarato «scopo di elevare la cultura generale dell’intellettuale medio, dell’operaio specializzato, dello studente delle scuole serali, dei maestri e dei professori di liceo, ecc.» (in Mangoni, 1999, p. 491).

Ambizioni e salvataggi

La scomparsa di Pavese nel 1950, con la sua straordinaria e molteplice capacità di lavoro, lasciò un vuoto che richiedeva una riorganizzazione dell’assetto direttivo, già avviata peraltro da Einaudi fin dall’anno prima. Tra il 1949 e il 1952 perciò, a figure già consolidate (come il segretario generale Luciano Foà), si aggiungevano alcuni intellettuali di valore: Daniele Ponchiroli e Giulio Bollati, destinati a diventare l’uno redattore capo e l’altro prima condirettore generale e poi direttore generale (Bollati divenne in breve il più stretto e influente collaboratore di Einaudi), Renato Solmi e Paolo Boringhieri, redattori rispettivamente per i testi di economia e politica e per i testi scientifici, Cesare Cases e Franco Fortini come consulenti, mentre veniva crescendo il peso di Calvino come editore e autore. Ma va ricordato fin d’ora che altri valorosi dirigenti einaudiani, come Guido Davico Bonino, Ernesto Ferrero e Nico Orengo, avrebbero avuto una loro personale e apprezzata produzione personale.

Intanto, già dal primo dopoguerra, si manifestava quella che sarebbe stata una costante della storia einaudiana: la specularità tra ricchezza del catalogo e precarietà finanziaria. Il programma 'nazionale' di Einaudi non soltanto si sviluppava in una produzione articolata e in alcune iniziative specifiche con finalità 'popolari', ma portava anche a un eccessivo incremento delle collane e dei titoli (40 collane nel catalogo del 1956), con uno squilibrio tra ambizioni e capitali, sconfinamenti economici e situazione debitoria: uno squilibrio che le iniziative promozionali e pubblicitarie e una distribuzione che oltre alla rete delle librerie utilizzava gli 'autolibri', gli 'scooter libri' e i canali di partito anche per le vendite rateali non bastavano a sanare, considerando del resto la cronica ristrettezza dell’area della lettura in Italia. Dal 1954 al 1957, infatti, si rese necessaria un’operazione di salvataggio nella quale ebbero un ruolo importante Raffaele Mattioli e l’agente letterario Erich Linder. Dopo la trasformazione della ditta individuale in società per azioni con la sottoscrizione di 4300 sostenitori, autori, collaboratori, altri intellettuali e lettori, che non risolse la situazione, Einaudi dapprima cedette le edizioni scientifiche e la «collana viola» al suo redattore Boringhieri, quindi stipulò con Arnoldo Mondadori un ampio accordo per la pubblicazione dei propri titoli in edizione economica Mondadori e Saggiatore.

La nuova domanda

Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, il boom economico e l’ampliamento dei consumi culturali, le istanze di aggiornamento negli studi e nelle ricerche e le discussioni e i conflitti dei movimenti sociali e intellettuali d’avanguardia e di massa provocarono in Italia una 'domanda' culturale e libraria qualitativamente nuova e quantitativamente più estesa rispetto al passato. Gli editori risposero con una rinnovata produzione generalista e con alcuni filoni specifici nei quali la casa editrice Einaudi ebbe un ruolo centrale e anticipatore, ottenendo anche un incremento del fatturato complessivo fino ai primi anni Settanta.

Il boom del romanzo italiano venne aperto proprio da due successi einaudiani: La ragazza di Bube di Carlo Cassola (1960; 70.000 copie in un anno) e Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (1962), due dei molti esempi di appartenenza einaudiana tra «Gettoni», «Coralli» e «Supercoralli», che riguardava anche importanti autori stranieri, come Jorge Luis Borges, Dylan Thomas, Saul Bellow, Marguerite Yourcenar, Robert Musil o Jerome David Salinger (a partire, rispettivamente, dall’Uomo senza qualità e dal Giovane Holden). Per  «I coralli» passava negli anni Sessanta anche la serie dei sovietici contemporanei del dissenso, fino al primo libro-evento di Aleksandr Solženicyn Una giornata di Ivan Denisovič sui campi di concentramento staliniani: serie idealmente annunciata nel 1955 dal Disgelo di Il’ia Ehrenburg. Nasceva nel 1964 una specifica «Collezione di poesia», con classici e contemporanei di tutte le letterature, mentre la collana «Einaudi letteratura», iniziata nel 1969 da Bollati e Paolo Fossati, riprendeva in modo originale la formula dell’interazione, facendo incontrare immagine e scrittura, arti e letteratura, Lucio Fontana e Edoardo Sanguineti, Man Ray e Georges Bataille, con una particolare predilezione per le avanguardie che si ritrovava anche in altre collane.

Si distinguevano inoltre nella saggistica einaudiana due aree. Una sviluppava un rinnovamento teorico e metodologico nella critica letteraria e nella linguistica e negli studi sulla cultura di massa, muovendosi sul terreno del marxismo e del neoempirismo, del formalismo e dello strutturalismo. Si succedevano qui collane vecchie e nuove, insieme con la rivista Strumenti critici, e autori come György Lukács e i francofortesi, Ivor Armstrong Richards e i 'formalisti russi', Roland Barthes e Louis Hjemslev, Giulio C. Lepschy e Gérard Genette. L’altra area rispondeva alla 'domanda' maturata attraverso il dibattito sulla crisi dei partiti comunisti nel 1956 (con riflessi anche in redazione) e attraverso i movimenti di contestazione studentesca e operaia della fine degli anni Sessanta, con testi sui grandi temi economici, sociali e politici del decennio. Tra le collane di attualità e di discussione, di analisi e di intervento varate in quegli anni, per iniziativa tra l’altro di Raniero Panzieri e Antonio Giolitti, spiccava dal 1965 il «Nuovo Politecnico» ideato da Bollati, con una particolare accentuazione critica e progettazione alternativa nei confronti delle istituzioni repressive, come L’istituzione negata e L’erba voglio per le cure di Franco Basaglia ed Elvio Fachinelli.

Nel 1963 Einaudi fu insignito con il premio Libro d’oro dall’Associazione italiana editori e dalla Presidenza del consiglio dei ministri.

Segnali di crisi

Ma già si venivano manifestando i primi segnali di crisi, con un tendenziale indebolimento della casa editrice rispetto ai concorrenti (da Mondadori a Feltrinelli ad altri).

Negli anni Sessanta vi fu carenza di nuova iniziativa e ricerca verso i narratori italiani contemporanei, mentre nell’area della saggistica il rifiuto opposto all’inchiesta di Goffredo Fofi del 1963 sull’Immigrazione meridionale a Torino ebbe gravi conseguenze. Di là dai rilievi su alcune carenze metodologiche del lavoro e di là dal disagio più o meno interessato dell’editore per le critiche mosse da Fofi alla Fiat, alla Stampa, ai sindacati e ai partiti della sinistra, la discussione interna e il rifiuto conclusivo aprivano una profonda lacerazione ideologico-politica nella redazione, facendo saltare ogni mediazione da parte di Einaudi e portando a licenziamenti e dimissioni eccellenti.

Negli anni Settanta la narrativa italiana contemporanea, dei «Coralli» e dei «Nuovi Coralli», fu caratterizzata da una politica di riproposte e da una folta serie di nomi nuovi (spesso anche esordienti), dalla quale peraltro venivano risultati limitati di 'durata', salvo eccezioni come Rosetta Loy o Andrea De Carlo. La stessa area della saggistica manifestò una certa tendenza all’assestamento: nei «Saggi», con avanguardie ormai classiche dalla letteratura alle arti, o autori di alto livello ormai 'istituzionali' (come Federico Fellini o Ingmar Bergman) e  nelle collane politiche, con una graduale contrazione della progettualità e dell’intervento, mentre nasceva nel 1969 la «Einaudi Paperbacks», collana ad alto livello di approfondimento su vari terreni disciplinari (con opere di Carlo Ginzburg e Michail Bachtin, Michel Foucault e il filone storico delle «Annales»).

Per contro le collane letterarie più belle apparivano lontane da una vera politica di nuove sperimentazioni: i «Supercoralli», con il loro attraversamento di diversi generi e sottogeneri e con una compresenza di contemporanei affermati e di classici moderni, da Virginia Woolf a Hans Magnus Enzensberger, da William Butler Yeats a Heinrich Böll, da Pier Paolo Pasolini a Paolo Volponi a Vittorio Sereni (ma anche Vincenzo Consolo, che si affermava con Il sorriso dell’ignoto marinaio); e la vera e propria 'collana d’autore' «Centopagine», che Calvino fondò e diresse dal 1971 alla morte nel 1985, seguendo la sua predilezione per la misura narrativa breve, e accogliendo gli autori più 'suoi', come Balzac, Conrad o Stevenson, insieme a vere riscoperte come la Fosca di Iginio Ugo Tarchetti o Un matrimonio in provincia della Marchesa Colombi. Al tempo stesso nascevano nel 1970 «Gli struzzi», una collana di lunga vita che si rivolgeva a un vasto pubblico per riproporre dal catalogo libri essenziali, dai classici alla narrativa, alla poesia e al teatro contemporanei, e che peraltro ospitò anche novità di grande rilievo come La Storia di Elsa Morante nel 1974: un vero e pregnante 'caso', con vasto dibattito critico e vendita di 600.000 copie in cinque mesi.

Fine di un'egemonia

Gli anni Settanta furono caratterizzati, nell’editoria italiana, da una profonda trasformazione, per il passaggio dagli 'editori protagonisti' all’apparato, e cioè dagli editori-imprenditori con una ben definita identità e personalizzazione della produzione a una sorta di 'dio ascoso' con un tendenziale appiattimento delle differenze: passaggio coincidente con l’ingresso del capitale extraeditoriale nell’editoria libraria e con un irreversibile processo di concentrazione. Si sviluppò, per contro, un articolato movimento intellettuale, editoriale e politico, in difesa del pluralismo e di un’editoria non condizionata dalle concentrazioni, con la costituzione tra l’altro di una Lega dell’editoria democratica, comprendente numerose case editrici che si potevano catalogare sotto un’assai generica etichetta 'di sinistra': Einaudi, Feltrinelli, Editori Riuniti, Zanichelli, Marsilio, Mazzotta, Boringhieri, Guaraldi, Bertani. La Lega era però troppo eterogenea nella sua composizione e troppo contraddittoria nei suoi orientamenti per poter tradurre in risultati concreti un interessante dibattito e un convegno nel 1974 a Rimini, non privo di proposte. Giulio Einaudi fu il leader naturale di questa operazione, sopportando così più di altri le conseguenze del fallimento.

Ma la crisi dell’identità einaudiana come casa-laboratorio e come casa di opposizione fu aggravata da una vera e propria svolta strategica: la serie delle 'grandi opere' in molti volumi con il contributo di autorevoli studiosi italiani e stranieri e con Carmine Donzelli in redazione, che vide nascere tra il 1972 e il 1982 la Storia d’Italia per iniziativa di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, l’Enciclopedia dalla formula antitradizionale per iniziativa dello stesso Romano, la Storia dell’arte italiana a cura di Giovanni Previtali e Federico Zeri, e la Letteratura italiana diretta da Alberto Asor Rosa. Si trattava di 'grandi opere' di alto livello scientifico, ma fondate su politiche finanziarie, aziendali, produttive e commerciali, per le quali la Casa Einaudi non era predisposta e attrezzata.

Un’analisi impietosa veniva tracciata da Bollati fin dal 1978, in una lettera a Einaudi che preludeva a una rottura tra loro: Bollati parlava di una casa editrice che non era più «un gruppo di intellettuali raccolti intorno» all’editore, e non era ancora «un organismo strutturato razionalmente secondo le sue nuove dimensioni» e moderne esigenze, con il conseguente pericolo di passare dai processi decisionali collettivi e democratici dei celebri 'mercoledì', alla prevalenza del «momento decisionale-autoritario» (in Giulio Bollati. Lo studioso, l’editore, scritti di D. Bidussa et al., Torino 2000, pp. 47 s.).

La svolta delle 'grandi opere' perciò, nonostante alcuni successi di mercato, finì per aggravare il già pesante carico dei debiti e dei tassi bancari, contribuendo a un vero e proprio tracollo finanziario (che avrebbe coinvolto i beni di famiglia), perché nel mutato contesto la politica del rischio calcolato non poteva funzionare più.

All’interno di tale crisi identitaria, strutturale e finanziaria, comunque, agiva qualcosa di più profondo che non riguardava soltanto Casa Einaudi, ma la più generale crisi e fine di una egemonia. Nel giudizio 1983 di Vittorio Foa in sostanza, era la crisi di quella «cultura di sinistra» che si era espressa editorialmente nell’incontro tra «la tradizione liberal-democratica e il marxismo» (in Cesari, 1991, p. 195), aprendosi ad altre esperienze.

Il tracollo e la ripresa

Al grave sbilancio economico-finanziario della casa editrice Einaudi nel 1983 seguì nel 1984 il commissariamento governativo nella persona dell’avvocato Giuseppe Rossotto, rinnovato nel 1985. Si sviluppava intanto dal 1986 una lunga e complicata serie di trattative, cordate, passaggi di proprietà, traversie giudiziarie per Giulio Einaudi e altri dirigenti, fino all’acquisizione della Casa da parte dell’Electa nel 1989 e del gruppo Elemond, costituito da Electa e Mondadori, nel 1991. La casa editrice riusciva tuttavia a superare la durissima prova, riorganizzando il suo gruppo dirigente, continuando l’attività editoriale e raggiungendo un buon fatturato e un risanamento aziendale complessivo.

Dal 1984 rientrò per alcuni anni Bollati come direttore della programmazione editoriale, con Ferrero direttore editoriale. Dopo alcuni avvicendamenti nelle cariche direttive, entrarono nel 1988 Alessandro Dalai come amministratore delegato e nel 1989 Piero Gelli come direttore editoriale; dallo stesso anno Vittorio Bo fu prima direttore generale e poi amministratore delegato, con Ernesto Franco direttore editoriale dal 1998. Dopo il suo passaggio a un ruolo di consulente esterno, Einaudi tornò nel 1988 come presidente, ricevendo inoltre, nel 1997 e nel 1998 due lauree honoris causa: in lettere moderne dall’Università di Trento (con lectio brevis) e in lettere dall’Università di Torino (con lectio magistralis).

Tuttavia lo spostamento della sede dal civico 1 al 2 di via Biancamano assunse quasi un valore simbolico: l’acquisizione mondadoriana segnava l’ingresso di Casa Einaudi nella grande concentrazione multimediale di proprietà di Silvio Berlusconi, che dal 1994 diventava il capo di una maggioranza e di un governo di centrodestra. Anche per un condizionamento oggettivo perciò, oltre che per la crisi e fine di quella egemonia, la saggistica einaudiana pur mantenendo un livello alto e una complessiva solidità, con titoli buoni e ottimi, insieme a un coerente filone antifascista (e maturando anche una nuova coscienza aziendale), non poteva avere ormai la capacità di proposta ideale, strategica e progettuale di un tempo.

Complessivamente vivace e nuovo il panorama lato sensu letterario. Nascevano nel 1983 gli «Scrittori tradotti da scrittori», voluti particolarmente da Giulio Einaudi, e nel 1988 i «Saggi brevi» di personali esperienze letterarie ed extraletterarie, fuori da ogni etichetta di genere: collane in gran parte fondate su autori della tradizione Einaudi. Ma tra gli anni Ottanta e Novanta era la schiera dei narratori contemporanei ad apparire particolarmente ricca, distribuita nei «Nuovi Coralli» (che chiudevano nel 1996), nei «Supercoralli» e nei «Coralli Nuova serie» varati nel 1993. Per i narratori stranieri si delineavano significative appartenenze: come Álvaro Mutis e Amitav Ghosh, Alejo Carpentier e Abraham B. Yehoshua, Antonia S. Byatt e Martin Amis, Anita Desai e Don De Lillo, Kazuo Ishiguro e Paul Auster, José Saramago, Tahar Ben Jelloun e altri ancora. In area italiana Casa Einaudi, oltre a proseguire la pubblicazione di molti dei 'suoi' scrittori (con abbandoni eccellenti durante la crisi: Italo Calvino nel 1984 e Natalia Ginzburg nel 1990), tornava a essere protagonista nella ricerca di narratori nuovi, condividendo tuttavia con gli altri editori un'incapacità o impossibilità di condurre un vero discorso 'di tendenza', in un contesto generale caratterizzato dalla caduta delle identità. Ne risultavano comunque numerose e più o meno stabili appartenenze, da Daniele Del Giudice a Marco Lodoli, da Giulio Mozzi a Marcello Fois. Tra gli arrivi di autori già affermati spiccava quello di Vincenzo Cerami, che peraltro attraversava collane e sottogeneri diversi. Nel 1996-97 uscivano due antologie dichiaratamente sperimentali: gli anticorpi e i cannibali.

Si estendeva inoltre nella «Collezione di poesia», la presenza di significative voci italiane contemporanee (anche dialettali): da Gianni D’Elia a Patrizia Valduga, da Giovanni Raboni a Valerio Magrelli, da Albino Pierro a Raffaello Baldini a molti altri.

Tra sperimentazione e mercato

L’iniziativa einaudiana più originale scaturì senza dubbio dal provocatorio e divertente collage di aforismi e battute di Gino & Michele Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, pubblicato nei «Tascabili» (1991), che suscitò vivaci reazioni in casa editrice portando all’uscita di Oreste Del Buono, già fondatore della collana e promotore delle formiche. Dalla piccola crisi nasceva un filone aperto a un universo multimediale in continuo movimento. Dopo alcuni esperimenti nei «Coralli Nuova serie», il discorso si riaprì dal 1996 nei «Tascabili» con la serie «Stile libero» che era in realtà una vera e propria collana, ideata e curata da Severino Cesari e Paolo Repetti nel segno di compresenze, contaminazioni, ibridazioni e assemblaggi tra letteratura e spettacolo, fumetti e video, manuali e sottogeneri narrativi, giallo e noir, comico e fantascienza, e altro ancora. Erano quasi sempre libri-novità, spesso con videocassetta: dai Monologhi & Gag di Roberto Benigni agli esercizi di scrittura creativa di Raymond Carver, dal noir-horror di Carlo Lucarelli alla Striscia la Tivú di Antonio Ricci, da Pedro Almodóvar ad Andrea Pazienza, da Moni Ovadia a John Lennon, dal Vajont di Marco Paolini a Luther Blissett, pseudonimo di gruppo che riprendeva il nome di un movimento con ambizioni 'sovversive' nel mondo della comunicazione. Le tirature andavano dalle 200.000 copie di Benigni alle 100.000 di Paolini alle 50-80.000 di Lucarelli. Casa Einaudi sembrò voler rispondere alla crescente istanza commerciale di questa fase dell’editoria italiana, proprio con «Stile libero»: con una collana 'd’avanguardia', cioè, al tempo stesso ben inserita nel mercato (soprattutto giovanile, ma non soltanto), che riprendeva con spregiudicatezza due 'storici' criteri einaudiani come lo sperimentalismo e la commistione. Ma una collana nella quale sarebbe apparso difficile in prospettiva mantenere un equilibrio 'di qualità' e realizzare un discorso 'di collana' attraverso una ritornante e marcata eterogeneità.

Einaudi morì il 5 aprile 1999 a Poggio Sommavilla (Rieti) ed è sepolto nel cimitero di Dogliani.

Roberto Cerati è il suo successore alla presidenza della Casa.

Quasi tutti i filoni continuavano anche dopo la morte di Einaudi, ultimo grande 'editore protagonista' che, oltre all’eredità di un catalogo di titoli e di un contributo culturale incomparabili, lasciava una casa editrice capace di mantenere una posizione di rilievo e di prestigio, e perciò anche una sua riconoscibilità e una sua immagine, senza arrivare tuttavia a ricostituire una vera identità.

Nel 2003 è nata a Torino la Fondazione Giulio Einaudi, fondata e diretta dal nipote Malcolm Einaudi Humes.

Opere

Frammenti di memoria, Milano 1988; S. Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Roma-Napoli 1991; Tutti i nostri mercoledì, interviste a cura di P. Di Stefano, Bellinzona 2001.

Fonti e Bibliografia

Torino, Arch. storico di Casa Einaudi;  G. Turi, Casa Einaudi. Libri uomini idee oltre il fascismo, Bologna 1990; Le edizioni Einaudi negli anni 1933-1998, Indici, Torino 1999; L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni Trenta agli anni Sessanta, Torino 1999; G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino 2004, ad ind.; E. Ferrero, I migliori anni della nostra vita, Milano 2005; I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1943-1952, a cura di T. Munari, con prefazione di L. Mangoni, Torino 2011; Le biblioteche di G. E. Catalogo per sezioni, a cura di A.L. Agus, con uno scritto introduttivo di M. Einaudi Humes, Torino 2011; W. Barberis, G. E.: un ritratto, Torino 2012; P. Soddu, G. E.: un percorso biografico, Atti del convegno: G. E. nell’editoria di cultura del Novecento italiano, Torino… 2012 (in corso di stampa).

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