VARANO, Giulio Cesare da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VARANO, Giulio Cesare da

Anna Gabriella Chisena

Figlio di Giovanni da Varano e Bartolomea Smeducci di San Severino, nacque attorno al 1433, in un momento drammatico della storia dei da Varano, signori di Camerino.

In quell’anno Gentilpandolfo e Berardo da Varano – figli di Rodolfo III e della prima moglie Elisabetta Malatesta – congiurarono ai danni dei fratelli minori Piergentile e Giovanni, nati da Costanza Smeducci. Giovanni, padre di Giulio Cesare, venne ucciso dai sicari di Berardo (agosto 1433); mentre Piergentile, accusato di aver adulterato la moneta pontificia, fu decapitato a Recanati il 6 settembre. La moglie di quest’ultimo, Elisabetta Malatesta, riparò nel castello di Visso con i figli Rodolfo IV, Costanza e Primavera e forse con il nipote Giulio Cesare.

Il tradimento operato ai danni dei due fratelli provocò la rivolta dei cittadini di Camerino i quali, dopo aver proclamato il governo repubblicano nell’ottobre del 1434, uccisero Berardo, Gentilpandolfo e altri membri della famiglia Varano.

Con Rodolfo IV, figlio di Piergentile, il da Varano scampò all’eccidio; i due erano «fanciulli di poco più tempo di un anno», e Giulio Cesare era «minore di cinque mesi» del cugino (Lilii, 1652, II, p. 136). Artefice della salvezza del da Varano fu la zia Tora da Varano, vedova di Niccolò Trinci di Foligno, che inviò l’infante presso la sorella Guglielmina, sposa del signore di Fabriano Battista Chiavelli. Il 26 maggio 1435, tuttavia, la rivolta dei Fabrianesi e la strage dei Chiavelli nella chiesa di S. Venanzio costrinse Tora a trasferire nuovamente il da Varano a Sassoferrato. Dopo aver trascorso sette anni nella cittadina, Giulio Cesare sarebbe stato mandato a Faenza da Blancina, figlia di Tora e sposa di Antonio Manfredi.

L’opposizione interna dei nobili al governo popolare e la guerra sostenuta contro Francesco Sforza determinarono la fine della repubblica camerte e il ritorno al potere dei due giovani esuli. Il 26 novembre 1443 Carlo Fortebracci, cugino dei da Varano, assaltò Camerino e nel dicembre dello stesso anno Giulio Cesare e Rodolfo IV rientrarono in città accolti dal favore popolare. Considerata la loro giovane età, Elisabetta Malatesta, con l'appoggio dello Sforza e di Federico di Montefeltro, assunse la reggenza.

Negli anni immediatamente successivi i da Varano si dedicarono al consolidamento della loro posizione, fronteggiando da un lato l’ostilità della Curia romana e dall’altro l’opposizione interna. Il 16 dicembre 1448 i due cugini riuscirono a sventare un’insurrezione ai loro danni e conservarono il governo della città. Dopo alterni rapporti con papa Niccolò V e con la curia provinciale della Marca, nel gennaio 1449 Giulio Cesare e Rodolfo ottennero la conferma vicariato. Il rafforzamento della signoria fu possibile anche attraverso un’attenta politica matrimoniale, probabilmente concertata dalla stessa Elisabetta Malatesta: dopo che nel 1448 Rodolfo IV aveva sposato Camilla d’Este, nel 1451 vennero celebrate le nozze fra Giulio Cesare e la settenne Giovanna Malatesta, figlia di Sigismondo e Polissena Sforza.

Dal matrimonio sarebbero nati i figli legittimi Venanzio (1476), Giovanni Maria (1481) e Ginevra. Vennero riconosciuti anche gli illegittimi Cesare Ottaviano, Annibale, Ringarda, Pirro, Emilia e Camilla, divenuta suora con il nome di Battista (v. in questo Dizionario).

Il giovane da Varano si avviò al mestiere delle armi, e la prima condotta di cui si ha notizia risale al 1453, quando militò al soldo di Firenze contro Venezia e Alfonso d’Aragona. L’anno dopo il fragile equilibrio raggiunto con la pace di Lodi fu subito infranto dall’attacco al territorio senese delle truppe di Giacomo Piccinino, e il da Varano per intervento di Callisto III fu nominato capitano; arrivò in aiuto con trecento uomini d’arme e cento fanti.

Dopo aver partecipato all’assedio di Sorano con Sigismondo Malatesta, riportando alcune ferite, il da Varano avrebbe involontariamente contribuito a rivelare agli alleati il tradimento del suocero (che nel frattempo aveva firmato una tregua con gli avversari non autorizzata da parte di Siena).

Nel 1455 il condottiero camerte fu costretto a ritornare nel suo stato e a fronteggiare le truppe del signore di Matelica Francesco Oddoni che, su invito del Piccinino, aveva attaccato il territorio di Camerino. Dal 1457 da Varano fu coinvolto nelle dispute che contrapposero Sigismondo Malatesta a Federico di Montefeltro e Alfonso d’Aragona.

Per fiaccare il comune nemico, questi ultimi avevano ingaggiato Giacomo Piccinino che, nella speranza di guadagnare un regno, iniziò a devastare i territori soggetti al controllo riminese. La situazione divenne ancora più complessa nel 1458 quando, dopo la morte di Alfonso d’Aragona e l’elezione di Pio II al soglio pontificio, il Malatesta e il da Varano scelsero di appoggiare le pretese di Giovanni d’Angiò al trono di Napoli contro l’erede d’Aragona Ferrante.

Con esiti alterni il signore di Rimini, il da Varano e Giacomo Piccinino (nel frattempo passato dalla parte angioina) si scontrarono nella Marca e negli Abruzzi contro gli eserciti aragonese, papale e feltresco. Nell’agosto del 1462, dopo la sconfitta presso il fiume Cesano ad opera delle truppe papali guidate dal Montefeltro, il da Varano rientrò nel suo stato e probabilmente si riconciliò con il pontefice.

Le relazioni con Roma cambiarono radicalmente con Paolo II, eletto alla fine dell’agosto 1464. Da quel momento il condottiero sposò la causa pontificia ricoprendo più volte la carica di capitano generale delle milizie ecclesiastiche. Alla fine dello stesso anno morì improvvisamente Rodolfo IV, lasciando quattro figli maschi (mentre il da Varano non aveva ancora eredi maschi legittimi). Lo stesso Giulio Cesare fu sospettato di aver avvelenato il cugino, e la diceria venne ripresa alcuni decenni più tardi da papa Alessandro VI nel processo intentato al signore per impadronirsi di Camerino. Le preoccupazioni dinastiche ebbero fine con la bolla pontificia del 13 maggio 1468 in cui Paolo II riconfermò il da Varano signore del territorio camerte e legittimò l’ereditarietà del principato ai figli naturali di quest’ultimo, Cesare e Annibale, e ai cugini nati da Rodolfo IV.

Tra il 1466 e il 1469 il condottiero seguì Paolo II nel suo fallimentare tentativo di riappropriarsi della città di Rimini. Attirato dalla speranza di recuperare parte della dote della moglie Giovanna non ancora riscossa, il da Varano marciò prima contro lo stesso suocero Sigismondo e, alla morte di quest’ultimo (1468), contro il figlio Roberto.

L’elezione di Sisto IV (1471) determinò la ripresa delle attività militari. In qualità di capitano generale, il da Varano affiancò il legato pontificio Giuliano della Rovere nella campagna di sottomissione delle città umbre ribellatesi alla Santa Sede. La presa di Todi e Spoleto (1473) fruttò al condottiero l’acquisizione del territorio, della rocca e del distretto di Montesanto. Dall’estate 1479, dopo essere stato sollecitato con un breve papale datato 2 giugno, il da Varano prese parte alla campagna della Chiesa contro Firenze e i territori toscani, partecipando all’assedio di Poggibonsi a fianco del duca di Calabria e del Montefeltro.

Negli anni seguenti il da Varano seppe avvantaggiarsi della temporanea alleanza fra Venezia e la Santa Sede nella guerra comune intrapresa contro Ferrara. Appoggiando infatti le mire espansionistiche del nipote Girolamo Riario sul territorio ferrarese, Sisto IV lo nominò governatore generale di tutte le armate papali (maggio 1482). Mentre gli schieramenti cambiavano rapidamente assetto – il pontefice aveva stipulato una pace con Milano, Firenze e Ferdinando d’Aragona, alleati di Ferrara, dichiarando guerra alla repubblica veneziana – nel giugno 1484 il condottiero camerte passò al servizio di Venezia.

La condotta, stipulata per due anni di ferma e uno di rispetto e concordata in trecento lance, cinquanta balestrieri a cavallo e duecento fanti, garantiva altresì la protezione e la tutela, da parte della Serenissima, del signore di Camerino, dei suoi domini e della sua famiglia.

Dopo aver militato anche al servizio del re d’Ungheria Mattia Corvino, nel 1487 il da Varano guidò le truppe della Repubblica contro l’arciduca del Tirolo Sigismondo, che aveva posto sotto assedio Rovereto. Nell’inverno dello stesso anno, a seguito della sconfitta di Calliano i veneziani firmarono la pace con il nemico e licenziarono Giulio Cesare revocandogli il comando, anche per alcuni errori tattici da lui compiuti. Alcuni anni dopo, nel 1492, il signore di Camerino riprese le attività belliche al servizio di Ferdinando d’Aragona. Le armate varanesche parteciparono alla difesa del regno di Napoli, passato nel frattempo ad Alfonso II, contro Carlo VIII di Valois (1494-95).

Negli ultimi anni del secolo, il da Varano dovette fronteggiare – come altri signori marchigiani (Giovanni della Rovere di Senigallia, Guidubaldo di Montefeltro) la politica espansionistica di Alessandro VI.

Mirando ad istituire un dominio diretto sui territori della Chiesa, papa Borgia si avvalse del sostegno militare dei membri della sua famiglia; nel 1497 nominò Cesare Borgia gonfaloniere della Chiesa. Nonostante le richieste di protezione che le furono rivolte dalla lega costituita nell’estate di quell’anno dai tre signori di Camerino, Senigallia e Urbino, la Repubblica di Venezia – impegnata nella guerra contro i Turchi – non oppose alcuna resistenza all’avanzata del Valentino che nel 1499, forte dell’appoggio dei Francesi penetrati sul suolo lombardo, occupò Imola, Forlì e Pesaro.

Mentre le truppe nemiche raggiungevano i confini della Marca il da Varano, preoccupato di recuperare la rocca di Magione donatagli da Nicolò Piccinino, fece uccidere Angelo, cugino di quest’ultimo e alleato dei Baglioni, dal fuoriuscito perugino Girolamo della Penna (1498). La contesa con i signori di Perugia si inasprì nell’estate del 1500 con l’appoggio del da Varano al colpo di stato tentato dal già citato della Penna e da Carlo Baglioni detto il Barciglia. La congiura, probabilmente ispirata e promossa da Giulio Cesare e consumatasi la notte fra il 14 e 15 luglio durante le celebrazioni delle nozze fra Astorre Baglioni e Lavinia Colonna, portò alla strage dei principali membri dei Baglioni.

Nel settembre dello stesso anno il da Varano dovette fronteggiare l’offensiva di Alessandro VI che, cercando un pretesto per impadronirsi della signoria di Camerino, richiese il pagamento del censo non ancora corrisposto alle casse pontificie. Il pagamento non avvenne; il da Varano riuscì a conservare lo stato grazie all’intercessione di Venezia, ma il 1° marzo 1501, con una bolla ufficiale, il pontefice accusò formalmente Giulio Cesare, iniquitatis filius et perditionis alumnus.

Al da Varano fu imputato, oltre al mancato pagamento alla Camera apostolica, di aver disobbedito al papa avendo dato asilo ai nemici della Chiesa e di aver ucciso il cugino Rodolfo. Il signore di Camerino, «reo di scomunica maggiore e dell’anatema di spergiuro e sacrilego» (Zampetti, 1900, p. 61) perse ogni titolo e privilegio sulla città.

La cessazione della iurisdictio giustificò di fatto la conquista del territorio camerte da parte del Valentino che, nel giugno del 1502 mosse da Roma alla volta della Marca. Il da Varano – che nei mesi precedenti aveva inviato a Venezia, con il tesoro di famiglia, la moglie Giovanna e il figlio Giovanni Maria – attese coi figli Annibale, Venanzio e Pirro l’arrivo delle truppe del Borgia; ma ben presto Camerino, circondata dalle armate pontificie di Francesco Orsini di Gravina e Oliverotto Euffreducci da Fermo, capitolò (21 luglio 1502). I figli del da Varano vennero rinchiusi nella torre di Cattolica, e lui stesso – rifugiatosi presso il genero Ranuccio di Matelica – fu imprigionato nella rocca di Pergola (25 luglio).

Il da Varano morì il 9 ottobre, per mano del condottiero borgiano Micheletto da Valenza, che lo strangolò per ordine del Valentino, preoccupato della sollevazione di Urbino e della formazione della lega antiborgesca.

Secondo la vulgata tramandata dal Lilii, lo stesso sicario, recatosi dopo l’assassinio a Cattolica, uccise anche Annibale e Venanzio.

Nel novembre del 1503, in seguito alla restaurazione del dominio varanesco ad opera del figlio Giovanni Maria, le salme del condottiero e dei suoi figli furono riportate in patria e onorate con solenni funerali.

Il lungo dominio del da Varano, celebrato dalla storiografia locale come l’età aurea della signoria, si fondò su una politica di relativa concordia fra le classi sociali. L’attenta visione del condottiero è ben descritta nella Relazione sullo stato di Camerino che Alessandro VI commissionò all’arciprete Lodovico Clodio subito dopo la presa dello stato (1503). Ottenuto l’appoggio dell’aristocrazia mercantile e dell’oligarchia locale, il signore ebbe anche il consenso dei «plebei, contadini e poveri» (Falaschi, 1987, p. 29) destinando loro una parte delle entrate. L’atteggiamento insieme paternalistico e promozionale di Giulio Cesare, secondo il Clodio, trovava la sua massima espressione nell’abitudine alla ricreazione presso il palazzo varanesco, dove tutta la gente di Camerino si radunava.

Secondo la testimonianza del Lilii, il da Varano e Federico da Montefeltro «gareggiarono insieme nella magnificenza», rivaleggiando nella committenza artistica e letteraria (Lilii, 1652, II, p. 213). Prendendo come punto di riferimento il palazzo urbinate dell’antagonista, tra il 1465 e il 1490 il signore si dedicò all’ampliamento e alla ricostruzione parziale della dimora di famiglia sotto la probabile guida dell’architetto fiorentino Baccio Pontelli. La perdita quasi integrale delle decorazioni pittoriche – già registrata dal Lilii – impedisce di valutare appieno l’entità degli interventi dovuti a Giulio Cesare; tuttavia il ritrovamento di tre cicli pittorici nel cosiddetto Palazzo di Venanzio in seguito ai lavori di restauro del 1984, ha riportato alla luce alcuni elementi decorativi quali gli stemmi dei Varano e dei Malatesta, e frammenti parietali con figure umane generalmente interpretate come raffigurazioni del matrimonio fra Giulio Cesare e Giovanna.

L’esistenza di una corte varanesca favorì anche lo sviluppo di una scuola pittorica locale: artista prediletto fu Giovanni di Angelo d’Antonio, che ritrasse Giulio Cesare in preghiera nella tavola San Giovanni; a lui sono attribuite alcune delle decorazioni del palazzo ducale. Al 1512 risale invece la tela votiva di Venanzio da Camerino, che ritrae il da Varano in preghiera tra i pennoni delle condotte militari da lui tenute (Mattia Corvino, Sisto IV, Repubblica di Venezia e Ferdinando d’Aragona).

Numerosi furono gli interventi di edilizia pubblica urbani e extraurbani, resi possibili dai proventi guadagnati con le condotte militari. Fra questi si ricordano: l’ampliamento della facciata del Santuario di S. Venanzio, l’ospedale di S. Maria della Pietà, il tempio dell’Annunziata e il convento di S. Chiara (1484), realizzato per ospitare la figlia Camilla Battista. La fama del Varano si accrebbe anche con la bonifica dei piani di Serravalle e Montelago e con la trasformazione delle dimore di Pioraco, Lanciano e Beldiletto in palazzi rinascimentali.

Il mecenatismo del Varano favorì anche gli studi letterari. Il letterato camerte Macario Muzio, maestro di Marin Sanudo, servì il signore in qualità di oratore e ambasciatore presso le corti di Ferrara e Rimini. Francesco Sperulo, dopo aver completato gli studi di diritto a Perugia, soggiornò presso la corte di Giulio Cesare, mentre Varino Favorino fu al servizio del figlio di lui Giovanni Maria. Legato stabilmente alla corte dei da Varano per alcuni anni fu Ludovico Lazzarelli di San Severino il quale, attorno alla metà degli anni Settanta del Quattrocento e su invito di Giulio Cesare, si trasferì a Camerino per seguire negli studi Fabrizio da Varano, figlio di Rodolfo IV. Durante il soggiorno camerte, protrattosi fino al 1480, il poeta diede inizio alla stesura dei Fasti Christianae religionis, ideati presso la dimora di villeggiatura di Pioraco e portati a termine a Roma (Lazzarelli, 1991, p. 605). Il Cantalicio (Giovanni Battista Valentini) cercò senza successo il favore del da Varano dedicandogli una sezione dei suoi Epigrammata. Nella silloge, denominata Camerina e composta a Foligno probabilmente fra il 1477 e il 1480, il letterato celebrò le glorie militari e il mecenatismo del principe, la cultura della moglie Giovanna e del nipote Fabrizio, e l’educazione del figlio Venanzio.

A Giulio Cesare venne dedicata la prefazione della prima fase redazionale della Buccolica di Girolamo Benivieni. La dedica, benché rimaneggiata, rimase nelle successive fasi redazionali. Al condottiero camerte, protettore del poeta durante la congiura de’ Pazzi, fu indirizzato anche il componimento iniziale dell’intera Buccolica, intitolato «Varo». Il da Varano è anche il probabile dedicatario del trattato di prosodia De carminibus opusculum composto da Basinio da Parma e tramandato dai mss. Città del Vaticano, Biblioteca apost. Vaticana, Chig. I.V.158, cc. 42v-60v; Napoli, Biblioteca nazionale, V.C.40, cc. 1r-9r; Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 241.

Parte dei documenti relativi al da Varano è custodita nelle miscellanee liliane della Biblioteca Valentiniana di Camerino (manoscritti 142-149). Particolarmente importanti i Diarii inediti dei notai Pierantonio e Berardino Lilii: Camerino, Biblioteca Comunale Valentiniana, mss. 142 e 144. Parzialmente inedite anche le carte di Bernardino Feliciangeli conservate presso la stessa biblioteca (cfr. Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, CVII, Camerino. Biblioteca Comunale Valentiniana, a cura di G. Boccanera - D. Branciani, Firenze 1993, pp. 92-100, 229).

Fonti e bibliografia

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Sul mecenatismo di Giulio Cesare e sul clima culturale della corte: Cantalicii Epigrammata Cantalycii et aliquorum discipulorum eius, Venetiis, per Matheum Capcasam, 1493 [ma 1494], cc. m.v-n,ii, q.iiii; E. Mestica, Varino Favorino camerte, Ancona 1887; B. Feliciangeli, Notizie sulla vita e sulle opere di Macario Muzio da Camerino, in Scritti storici in onore di Giovanni Monticolo, a cura di C. Cipolla - R. Sabbadini, Venezia 1922, pp. 229-254; L. Allevi, Umanisti camerinesi. Il Cantalicio e la Corte dei Varano, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province delle Marche, s. 4, II (1925), pp. 167-195; M. Loreti, La vita privata dei Varano Signori di Camerino nel Rinascimento, Siena 1927; S. Corradini, Il palazzo di Giulio Cesare Varano e l’architetto Baccio Pontelli, in Studi Maceratesi, V (1969), pp. 186-220; C. Corfiati, Il cod. Vat. lat. 2853: per la storia dei «Fastorum Christianae Religionis libri» di Ludovico Lazzarelli, in RR Roma nel Rinascimento, 2003, pp. 245-276; F. Paino, The Palazzo of the da Varano Family in Camerino (Fourteenth-Sixteenth Centuries). Tipology and Evolution of the Central Italian Aristocratic Residence, in The Medieval Household in Christian Europe, c. 850-1550, a cura di C. Beattie et al., Turnhout 2003, pp. 335-358; G. Remiddi, Giulio Cesare da Varano abbellitore e trasformatore di Camerino, in I Da Varano e le arti, 2003, pp. 75-92; Ead., Il palazzo da Varano di Giulio Cesare, ibid., pp. 93-104; A. De Marchi, Camerino, in Corti italiane del Rinascimento. Arti, cultura e politica, 1395-1530, Milano 2010, pp. 315-325; E. Podestà, Le egloghe elegantissimamente composte: la «Buccolica» di Girolamo Benivieniedizione critica e commento, Tesi di dottorato, tutor D. Coppini, Firenze, 2013, pp. 77-79, 153-173.

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