CAMPAGNOLA, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMPAGNOLA, Giulio

Eduard A. Safarik

Nacque nel 1482 (o intorno a questa data) a Padova da Girolamo, notaio, erudito e forse anche artista dilettante. Da lui il C. non solo ricevette, con tutta probabilità, i primi insegnamenti artistici, ma fu anche introdotto nella cerchia degli umanisti padovani, dove ancor giovanissimo fece la conoscenza di Pomponio Gaurico che aveva più o meno la sua età, dell'umanista M. Bosso, del poeta degli Epigrammata Panfilo Sassi, del filosofo Leonardo Tomeo, amico di suo padre, che tra il 1497 e il 1504 (o 1507) insegnava a Padova la filosofia aristotelica, e del "filosofo" ermetico Giovanni Aurelio Augurelli (Hartlaub). Secondo testimonianze contemporanee (Bosso, Sassi, M. de Placiola, P. Gaurico), il C. operò come pittore, scultore, poeta, cantore, suonatore di liuto e calligrafo: "dipinse, miniò e intagliò in rame", dice di lui il Vasari. Anche se non è provato, è comunque da ritenere che si riferiscano al C. il Gaurico e l'Augurelli quando nominano uno "Iulius noster".

Sulla vita del C. siamo abbastanza informati. M. Bosso, in una lettera indirizzata forse nel 1493 al padre Girolamo, ne parla già in termini elogiativi come di un bambino prodigio "vix tertium ingressus lustrum" (doveva avere perciò poco più di dieci anni). L'8 dic. 1495 il Bosso, scrivendo a Hector Theophanius Iustinopolitanus, gli parla della capacità del C. che, appena tredicenne, era in grado di copiare alla perfezione qualsiasi quadro di Mantegna e di Bellini (dal Gaurico, De sculptura, che scriveva nel 1503, risulta che prima di questa data, e quindi in età assai giovane, il C. copiava i Trionfi di Cesare del Mantegna). Sempre nel 1495 si dà notizia che presumibilmente in età di quindici anni, in Padova, il C. "fu fatto chierico" (Colpi, p. 85: documento non più rintracciabile).

Il 10 sett. 1497 Michele de Placiola scrivendo al consigliere di Francesco Gonzaga in Mantova, Ermolao Bardellino, loda il C. "garzone de anni 15" che già "taia de bulino, et anche in calcedonio" e cerca di collocarlo alla corte di Mantova perché possa perfezionarsi nella pittura sotto la guida del Mantegna. Ma il tentativo non sembra esser riuscito, perché il 16 febbr. 1499 (more veneto, 1498), quando il Bosso scrive al padre del C., quest'ultimo si trova già alla corte di Ercole d'Este. La supposizione che le prime prove del C. nel campo dell'incisione su rame risalgano all'incirca al periodo 1497-1500 si fonda sul fatto che i motivi paesistici delle incisioni di Dürer, eseguite tra il 1496 e il 1501, hanno ispirato alcuni fogli del C. (Hind, 1948, nn. 1-5, 7), oltre che su quel disegno del Mantegna, datato dal Tietze (1955) attorno al 1490-1500, che gli è servito come modello per una incisione (Hind, n. 4). Mancano notizie per alcuni anni fino al 1507, quando, a Padova, viene dichiarato "emancipato"; nello stesso anno, il 14 giugno e il 28 dicembre, il padovano Bartolomeo di San Vito annota nel suo Memoriale di aver prestato al C., che allora dimorava a Venezia, un disegno acquarellato rappresentante Fetonte, opera di un certo "Gasparo" non altrimenti conosciuto, e tre lastre di rame destinate alla stampa (restituiti il 5 maggio 1510). Del 1509 è l'unica incisione datata del Campagnola. Il Morelli (1800) dice di aver visto nei Diarii di Marino Sanuto un "sonetto in morte di Papa Giulio II", opera del C., "ricopiato da Marino Sanudo": anteriore, quindi all'anno 1513.

Il 16 genn. 1515 (more veneto, 1514), il testamento di Aldo Manuzio ci informa che il C. doveva ricevere l'incarico di fare le maiuscole per la scrittura corsiva; nello stesso anno l'Augurelli ne elogia i paesaggi idillici. Il Fiocco rimanda alle ricerche ararchivistiche della Cocco, che non sono mai state pubblicate, secondo le quali il C., quando cessò di vivere, era sacerdote.

Poiché si conoscono incisioni firmate di Domenico Campagnola solo per gli anni 1517-18, si potrebbe dedurre che - se i due artisti hanno lavorato insieme - l'attività del C. si sia protratta al massimo sino al 1518, a meno che Domenico non abbia proseguito il lavoro dell'altro per un certo periodo di tempo dopo la sua morte. Il Gaurico prima del 1501 scrisse una delle sue Sylvae dedicata al C. nell'ediz. del 1526 (Venetia) con il titolo greco Ζωγραϕία (H. Brockhaus, Über die Schrift des P. Gauricus "De Sculptura"…, Leipzig 1885, pp. 84 s.).

Se è vero che le fonti esagerano i molteplici talenti del C. e che le sue incisioni per la maggior parte riproducono solo modelli altrui, va pur detto che nella maniera punteggiata egli sviluppò una tecnica incisoria originale, come mezzo idoneo a rendere il modellato pittorico dei dipinti, anticipando così gli effetti dell'acquatinta e conquistandosi, di conseguenza, una posizione a sé stante nella storia della grafica.

Hind (1948) ci dà l'elenco completo delle sue incisioni, alcune delle quali sono firmate (nn. 1, Tobia con l'angelo;2, Saturno; 3, S. Giovanni Crisostomo penitente; 4, Ganimede;8, Il vecchio pastore;12, S. Giovanni Battista; 14, Cervo giacente legato a un albero);altre gli si possono attribuire con certezza (nn. 5, Paesaggio; 6, Paesaggio con pastori musicanti;7, S. Girolamo;9, L'astrologo; 10, Il giovane pastore; 11, Cristo e la Samaritana;13, Venere giacente in un paesaggio;15, Bambino con tre gatti). Due fogli (nn. 16, S. Giovanni Crisostomo penitente;17, Paesaggio con un pastore e una suonatrice di flauto)sono attribuiti al C. dal Kristeller; ma per lo Hind il primo è forse opera del monogrammista "F. N.", mentre nel secondo, noto solo al Kristeller, l'attribuzione non si è potuta verificare. Cinque fogli (nn. 18-22) sono a ragione ritenuti da Hind della maniera del C. (il n. 19, Leda, rifiutato dal Borenius, 1923, è ancora giudicato autentico da Hartlaub; quanto ai nn. 21, Venere giacente in un paesaggio, e 22, Paesaggio con pastore e satiro, Hind propende piuttosto ad assegnarli ad Agostino Veneziano; il 22 è ritenuto autentico, Tietze, 1942). Il gruppo più antico (nn. 1537) è databile all'incirca entro gli anni 1497-1507-1509; il secondo (nn. 8-15), prevalentemente ispirato da Giorgione, entro gli anni 1507-1509-1515; un foglio (n. 6) è stato completato da Domenico (vi è aggiunto il gruppo dei musicanti) e sembra essere un'opera tarda, del periodo attorno al 1515.

Nelle incisioni è difficile distinguere ciò che è ispirato da altri, e ciò che è stato eseguito come variante. È però certo che, fatta eccezione per un unico foglio (n. 15) si può dire che esse non sono state quasi affatto ideate dal Campagnola. Non si tratta tuttavia di copie, e si può dire di esse che sono libere rielaborazioni. Molte (nn. 2, 6-11, 13) risalgono a invenzioni di Giorgione; ma il C. si è servito anche di altri modelli, quali, per esempio, il Mantegna (nn. 1, 4, 12), Cima da Conegliano (n. 1: secondo Venturi, 1913), Iacopo de' Barbari (n. 2, sec. Venturi, 1928), Tiziano (n. 11, secondo Hourticq e Suida), Sebastiano del Piombo (n. 11, sec. Venturi, 1928, e Pallucchini) e Antonello da Messina (forse Hind, n. 14); un foglio (n. 18) è copia da L. Krug.

Le cose migliori del C., come giustamente annotava l'Augurelli, sono i suoi paesaggi, benché rivissuti attraverso Dürer e Giorgione; ed è già stato rilevato, a ragione, che l'attività principale del C. non fu quella di pittore. Nonostante il fatto che il Michiel citi come esistenti a Padova in casa di Pietro Bembo "quadretti de capretto inminiati", finora non si è potuto proporre (ad onta dei molti tentativi fatti) nemmeno una attribuzione convincente. Il primo di questi, "una nuda tratta da Zorzi, stesa e volta", sembra richiamarsi a una composizione di Giorgione e probabilmente era analoga al foglio n. 13 di Hind. È pure possibile che si trattasse di una copia compilativa della figura nuda del Giorgione, scomparsa, che ci è stata tramandata da un'incisione di Marcantonio Raimondi, Sogno di Ecuba (Bartsch, XIV, p. 274 n. 359). Il secondo quadretto che viene riferito al C., "una nuda che dà acqua ad un albero, tratta dal Diana, con dui puttini che zappano", è anch'esso in relazione con il Raimondi che ha trattato un tema simile, Donna che innaffia una pianta (Bartsch, XIV, p. 292 n. 383), e forse corrisponde all'ermetica allegoria della Natura naturans (Hartlaub). È evidente la connessione della figura del Raimondi con la Giuditta di Giorgione a Leningrado (Ermitage) e con la donna nuda, anch'essa in atto di versare acqua nel Concerto di Giorgione (?) al Louvre. E, infine, l'ultima delle miniature citate dal Michiel, un "quadretto piccolo del Cristo morto sostenuto da dui angioletti, fu de mano de ... gargion de Iulio Campagnola, e aiutato da esso Iulio in quell'opera", richiama a sua volta analoghe composizioni connesse con il Bellini e Giorgione. Il "gargion" potrebbe essere Domenico Campagnola. Sembra dunque che solo occasionalmente il C. abbia svolto attività di miniaturista (il Gaurico [cfr. Brockhaus, cit., p. 86] cita alcune miniature con Giove), coerentemente con la sua predilezione per le incisioni di piccolo formato nella maniera punteggiata, in cui egli non fu ancora una volta che imitatore di modelli altrui. Quando il Michiel dice di "Domenico Veneziano" che fu "allevato da Iulio Campagnola", non si deve intendere (cfr. Suter) che il C. possedesse una regolare bottega di pittura.

Al C. sono stati attribuiti quadri talmente eterogenei che non possono assolutamente conciliarsi con le sue incisioni sicure (per le varie attribuzioni vedi P. Brandolese, Pitture... di Padova..., Padova 1795, p. 171; Kristeller, 1907; Gronau, 1908; Hind, 1908; Fiocco, 1915; Borenius, 1923; Suter, 1926-27; Venturi, 1928; Richter, 1934; Suida, 1935-36; Pallucchini, 1946; Hind, 1948; Tietze, 1949; Middeldorf, 1958)

Non ha trovato conferma l'ipotesi del Tietze (1949) secondo la quale il C. potrebbe aver preso parte alle illustrazioni della Hypnerotomachia Poliphili del 1499.

Secondo l'interpretazione di Hardaub, il C. frequentava i "filosofi" ermetici e anzi avrebbe addirittura iniziato il più anziano Giorgione alla concezione romantica della natura caratteristica dell'ermetismo. Certo sembra più giusto riconoscere al C. una funzione abbastanza importante sul piano teorico nella cerchia giorgionesca, che non sopravvalutare i suoi tentativi di pratica artistica.

Fonti e Bibl.: M. Bosso, Familiares et secundae epistolae, Mantuae 1498, nn. 75, 86, 211; P. Gaurico, De sculptura (Firenze 1504), a cura di A. Chastel-R. Klein, Genève 1969, pp. 15 s., 82, 100 n. 24, 101, 187 n. 15, 247; [M. A. Michiel], Notizia d'opere di disegno nella prima metà del secolo XVI…, a cura di J. Morelli, Bassano 1800, pp. 19, 130; I. A. Augurelli Chrysopoeia..., Venetiis 1515, libro III; B. Scardeonii De antiquitate urbis Patavii, Basileae 1560, p. 244; G. Vasari, Le Vite..., a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 628, 639; C. H. von Heinecken, Dictionnaire des artistes..., Leipzig 1789, III, p. 548; P. Zani, Materiali..., Parma 1802, p. 132; A. Bartsch, Le peintre graveur, Vienne 1811, XIII, pp. 368-376; P. Zani, Enc. metodica... delle Belle Arti, I, 5, Parma 1820, pp. 326 ss.; A. M. Zanetti, Le Cabinet Cicognara, Venezia 1837, pp. 167-170; E. Galichon, G. C., in Gazette des Beaux-Arts, XIII (1862), pp. 332-346; J.-D. 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