DELMINIO, Giulio Camillo

Enciclopedia Italiana (1931)

DELMINIO, Giulio Camillo

Bindo Chiurlo

Letterato friulano, nato verosimilmente a Portogruaro verso il 1485, da padre immigrato da quei "confini della Croazia" meridionale, dove era fama sorgesse l'antica Delminio; morto a Milano il 15 maggio 1544. Fu uno dei più famosi uomini del secolo, da alcuni riputato un dotto impostore, da altri un "candido" spirito, dai più dei contemporanei uomo straordinario e quasi divino. Esperto in lingue orientali e classiche, ma tutt'altro che sdegnoso del volgare al quale affidò parte delle sue fatiche, imbevuto di idee neoplatoniche, talmudiche e cabalistiche, fanatico di Cicerone, l'imitazione del quale difese accanitamente nel trattato Della Imitazione contro il Ciceronianus di Erasmo, ebbe fama soprattutto dall'enorme erudizione, specie retorica, accesa da una naturale facondia e dal disegno di quel suo Teatro retorico, che fu il grande enigma, la gran meraviglia e la gran favola del mondo letterario nel sec. XVI; sempre promesso, illustrato, preparato; non realizzato, né, quindi, poi ritrovato mai. Dal Discorso in materia del suo teatro, dall'Idea del suo teatro dettata dal Muzio, e da altre scritture sue e di contemporanei, si ricava che codesto "gran miracolo novo" (L. Alamanni) con cui cercava di dare agli uomini mentem quandam fabrefactam et fenestratam, era soltanto un nuovo tentativo di sistemazione retorica dello scibile: per la sostanza, a fondo astrologico e cabalistico (7 pianeti); per la forma, sulla base del lessico e della fraseologia ciceroniana; il tutto reso accessibile in un "anfiteatro" che doveva venir materialmente costruito in legno, dove sotto particolari segni simbolici, in apposite caselle o "dimore delle idee" e da speciali cartigli, fosse possibile attingere ogni retorico ben di Dio per scrivere con somma facilità ciceronianamente.

Il Delminio dunque, piuttosto che un ciarlatano disonesto come ce lo rappresentano gli storici della letteratura dal Tiraboschi al Flamini, o un genio sfortunato e calunniato, quale se lo raffiguravano i biografi del sec. XVIII, possiamo considerarlo da un lato un erudito consumato, dall'altro un visionario della meccanizzazione del sapere, non senza, come già il Bruno, una qualche mistura di ciarlataneria, di scaltrezza e d'ingenuità. E con ciò un precursore, a suo modo, dei moderni "dizionarî analogici" e delle grandi "fraseologie" moderne.

L'attenzione e il denaro ch'ebbe prima, in Francia, da Francesco I, poi a Milano dal marchese del Vasto, invogliarono qualche suo scolaro a imitarlo e, in parte, a plagiarlo, come fece Alessandro Citolini di Serravalle (nato circa il 1500, morto dopo il 1565) nelle 7 giornate della sua Tipocosmia (Venezia 1561). Il Citolini lo seguì anche nel cercar di sfruttare all'estero la sua invenzione; il che tentò di fare presso la regina Elisabetta, quando, pare per accuse d'eresia, s'indusse a lasciare l'Italia. Ma il Citolini merita piuttosto d'essere ricordato per le Lettere in difesa della lingua volgare (Venezia 1540), con cui si schierò accanto al Bembo.

Opere: Le opere superstiti del D., a cura del Dolce, Venezia 1552, e, completate di buona parte delle cose minori a cura del Porcacchi, Venezia 1566. Le Annotazioni sopra le rime del Petrarca, Venezia 1557, e altri scritti inediti di retorica e commenti, Udine 1594 e Macerata 1610.

Bibl.: F. Altan di Salvarolo, Memorie intorno alla vita e alle opere di G. Camillo D., in Nuova raccolta del Calogerà, I, Venezia 1755, pp. 239-288; Liruti, Notizie delle vite ed opere scritte da' letterati del Friuli, Udine 1780, III, pp. 69-134; A. Neri, Una lettera inedita di Ger. Muzio, in Giorn. stor. d. Lett. it., IV, pp. 229-40. Sul Citolini: Liruti, op. cit., pp. 137-146.

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