GOSELLINI, Giuliano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GOSELLINI (Goselini), Giuliano

Massimo Carlo Giannini

Le uniche informazioni di cui disponiamo circa la nascita, i primi anni di vita e l'educazione del G. sono quelle fornite dall'amico e poeta Francesco Melchiori, curatore della quinta edizione delle Rime (edite a Venezia nel 1588 presso la tipografia F. Franceschi), all'indomani della morte dell'autore, utilizzate, spesso senza alcun riscontro documentario, da tutti i successivi biografi del Gosellini. Secondo il Melchiori, il G. sarebbe nato a Roma il 12 marzo 1525 da Pietro e da una Pellegrina, bolognese, di cui si ignora il cognome. A due anni di età, rimasto orfano di madre, il G. sarebbe stato portato a Nizza Monferrato, di cui era originaria la famiglia paterna. A 14 anni sarebbe tornato a Roma, per essere accolto nella familia del cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, nipote di Paolo III e influente membro del Sacro Collegio; presso il prelato egli avrebbe anche completato la sua educazione.

Il primo dato effettivamente documentato risale al maggio 1542, data in cui il G. risulta impiegato nella segreteria del viceré di Sicilia, il principe di Molfetta Ferrante Gonzaga, con la qualifica di cancelliere. Senza dubbio, il servizio presso il Gonzaga, uno fra i maggiori artefici della politica ispano-imperiale in Italia, segnò una svolta radicale nella vita del giovane G. e della sua famiglia, la quale vedeva così aperta la strada per un miglioramento della propria condizione sociale.

Nel 1546 il G. seguì a Milano il Gonzaga - nominato governatore generale del Ducato di Milano dall'imperatore Carlo V - con le mansioni di addetto alla sua segreteria particolare, alle dirette dipendenze dell'influente Giovanni Maona. Purtroppo, l'assenza, per gli anni centrali del Cinquecento, di un quadro complessivo attendibile degli ambienti intellettuali e, più in generale, delle vicende culturali milanesi - specie in relazione alla figura del Gonzaga - non consente di inquadrare con chiarezza il ruolo del G., ma solo di avanzare ipotesi sulla base dei pochi e spesso frammentari dati disponibili. Certamente, il giovane segretario dovette intrattenere da subito stretti rapporti con personaggi legati, per ragioni sia politiche sia culturali, alla corte del governatore, come Leone Leoni, Luca Contile, Girolamo Muzio; fu inoltre membro dell'Accademia dei Fenici di Milano e nel 1552 partecipò con ben sette sonetti all'antologia lirica edita a Venezia da Gabriele Giolito Rime di diversi […] libro terzo.

Nel frattempo, il favore del Gonzaga, valeva al G. prima la concessione di un reddito di 200 scudi annui (1548) e poi, in apprezzamento della sua "integrità" e della sua esperienza "ne le cose di maggior confidenza", l'ufficio di segretario della Cancelleria segreta (1550). Anche dopo tale nomina, tuttavia, le condizioni economiche del G. non dovevano essere particolarmente buone, specie dopo il matrimonio con Chiara Albignana - databile all'incirca al 1550 - e la nascita di tre figli. Nel 1552, sollecitando l'aiuto del Gonzaga, il segretario sottolineava come non gli fosse regolarmente pagato lo stipendio, né le sue mansioni gli offrissero emolumenti significativi, tanto più che egli aveva sempre tenuto "le mani nette". Proprio i servigi resi nella segreteria del governatore e l'essere stato per tanti anni fedele esponente dell'entourage gonzaghesco, valsero al G., alla morte del Maona, la nomina a primo segretario del Gonzaga (gennaio 1554) e quindi la conferma della pensione di 400 scudi annui goduta dal predecessore (1555).

Interessante, in questo periodo, è il resoconto allegorico di una giostra avvenuta a Milano nel 1554, alla quale il G. prese parte al fianco del Gonzaga. Il G. viene descritto vestito di rosso e verde "con un cimiero d'un cavallo alato vestito d'ogni intorno d'un picciolo fascio di gionchi palustri che nella celata facevano ufficio di penne assai vezzosamente; e perché egli è gentil poeta, fu giudicato quel cavallo con le ali essere il Pegaso autore del fonte che ogni bel spirito inherba e come il gionco non ha groppi, così s'interpretò che volesse dire che si viveva fra i suoi studii di poesia senza offendere alcuno, cedendo alquanto per allhora all'avversità dell'acqua contraria che lo faceva chinare, ma non lo faceva già rompere, né stirpare" (Vianello, p. 377).

Ai primi del 1554 si era anche definitivamente consumata la parabola politica del Gonzaga, rimosso dal governo dello Stato di Milano a seguito delle pressioni dei suoi avversari politici alla corte di Carlo V, concentrati soprattutto negli ambienti vicini al principe Filippo. Il G., pur restando fedele al proprio patrono in disgrazia, verso il quale proclamò sempre lealtà e riconoscenza - anche quando gli sarebbe senz'altro convenuto tacere -, riuscì a mantenere il proprio ufficio di segretario della Cancelleria segreta. A ciò contribuirono, da un lato, l'immagine che egli stesso più o meno consapevolmente proiettò di poeta e uomo di cultura lontano dai traffici del defunto Maona e dei suoi colleghi; dall'altro, il fatto di aver intrecciato - almeno dal 1550 - relazioni cordiali con personaggi di primo piano della corte imperiale, come il segretario Diego de Vargas e Antoine Perrenot de Granvelle, vescovo di Arras, quest'ultimo fra i principali avversari politici del Gonzaga. La ricerca di nuovi e influenti appoggi alla corte imperiale non impedì peraltro al segretario di mantenere stretti rapporti con il Gonzaga, di cui rimase il fedele informatore sugli affari milanesi. Alla morte del suo antico patrono, il legame con la famiglia dei Gonzaga di Guastalla non si interruppe: il figlio di Ferrante, Cesare, e, in seguito, il nipote Ferrante (II) ereditarono anche il rapporto di patronato nei confronti del G., che, da parte sua, continuò fino alla morte a intrattenere una fitta corrispondenza con i discendenti del suo antico signore, rappresentandone gli interessi e informandoli puntualmente delle principali questioni politiche di Milano.

Tuttavia, nella delicata fase di transizione da Carlo V a Filippo II e a causa degli avvicendamenti al governo dello Stato di Milano, la posizione del G. - privo di un patrono nella capitale lombarda - si era fortemente indebolita: infatti, pur restando titolare del suo ufficio, egli non era in pratica impiegato in alcuna mansione. Per questa ragione si recò alla corte di Filippo II a Bruxelles, tra la fine del 1556 e i primi del 1557, ottenendo dal nuovo sovrano una commendatizia per il governatore del Ducato di Milano, il cardinale Cristoforo Madruzzo. La situazione tuttavia non migliorò: nel 1558, complice un nuovo avvicendamento ai vertici del governo milanese, il G. venne rimosso dal suo incarico, proprio con la scusa che non aveva materialmente esercitato il suo ufficio. Questa volta, grazie all'intervento dei suoi protettori a corte e di Cesare Gonzaga, venne reintegrato. Inoltre, egli conquistò i favori del nuovo governatore, don Gonzalo Fernández de Córdoba, duca di Sessa, il quale lo volle al proprio fianco, nel 1560, per un lungo soggiorno alla corte spagnola, nel corso del quale il G. entrò in contatto con lo stesso Filippo II, che gli elargì una pensione di 200 scudi annui e una ayuda de costa - una sorta di rimborso spese una tantum - di altri 800. Per giunta, al suo ritorno a Milano, il G. recò con sé la nomina a segretario unico del Consiglio segreto, suscitando le proteste dei suoi colleghi della Cancelleria, che rivendicavano la tradizionale rotazione in tale incarico. Nell'agosto 1567 venne implicato in una trama dai contorni ancora oscuri: fu infatti incarcerato per ordine del governatore, Gabriel de la Cueva duca di Alburquerque, in seguito alle rivelazioni di un malfattore, secondo il quale il G. sarebbe stato l'autore di alcune pasquinate diffuse a Milano. Dato il suo contenuto politico, la causa - di cui fu informato anche Filippo II - venne istruita dal gran cancelliere Andrés Ponce de León e da un senatore. Solo dopo sei mesi e mezzo di prigione, nel febbraio 1568, il G. ottenne gli arresti domiciliari, grazie all'intervento in suo favore di Cesare Gonzaga e del duca Emanuele Filiberto di Savoia. Da parte loro, gli amici del segretario alla corte di Madrid ottennero a più riprese che lo stesso Filippo II desse disposizioni per una rapida conclusione del processo istruttorio. Finalmente, nel giugno 1568, il G. venne completamente assolto da tutte le imputazioni.

Nonostante nel 1569 si ventilasse una possibile nomina del G. all'importante incarico di capitano di Giustizia, negli anni successivi egli rimase sostanzialmente al margine dell'attività di governo, benché continuasse a occupare il proprio scranno di segretario del Consiglio segreto. Secondo la testimonianza del Melchiori, tale emarginazione sarebbe da collegare all'avversione del duca di Alburquerque per il castellano Álvaro de Sande e di tutti i suoi "più cari amici, et servitori", tra cui vi era il Gosellini. Al distacco del G. dai contrasti fra i diversi gruppi di potere non fu estranea probabilmente la morte prematura del giovane figlio Giuliano Agrippa. Anche l'ascesa del de Sande al governo ad interim del Ducato, una volta morto l'odiato duca di Alburquerque, non mutò tale orientamento.

Al progressivo defilarsi dalla scena politica, voluto o forzato che fosse, corrispose l'intensificarsi della sua produzione poetica e della sua attività intellettuale. Del 1572 è infatti la prima edizione delle Rime (tipografo P.G. Da Ponte), dedicata al duca di Sessa - suo unico benefattore dopo il Gonzaga -, cui seguì, l'anno seguente per lo stesso tipografo, un corposo volume di commento (Dichiaratione di alcuni componimenti del s. Giuliano Gosellini), preceduto da una dedica a un altro importante membro della famiglia Gonzaga, Vespasiano, duca di Sabbioneta e viceré di Navarra. Del resto, non sembra che i governatori i quali si succedettero a Milano - don Luis de Zúñiga y Requesens e Antonio de Guzmán y Zúñiga marchese di Ayamonte - riponessero particolare fiducia nell'antico segretario di Ferrante Gonzaga, costretto a rivolgersi al sovrano per avere una promozione ad altro ufficio, ottenendo solo una raccomandazione affinché fosse trattato - anche in considerazione della gotta che lo affliggeva - "con el honor y termino" che si doveva a un ufficiale regio della sua età e che tanti servigi aveva reso alla Corona.

Negli ultimi anni il G. visse circondato dall'affetto della moglie e degli amici, spegnendosi a Milano il 13 febbr. 1587.

Allo stato attuale degli studi, la bibliografia più esauriente del G. resta quella settecentesca dell'Argelati (coll. 2121-2124). Noto negli ambienti intellettuali milanesi e italiani del secondo Cinquecento, grazie all'apprezzamento che circondò la sua attività lirica, il G. fu in rapporti di amicizia e stima con numerosi artisti e letterati del tempo: dallo scultore Leone Leoni al poeta bembista veneziano Domenico Venier, da Giovanni Vendramini al medico Bartolomeo Assandri, da Annibal Caro a Giovanni Battista Amalteo. Eloquente testimonianza di questi intensi rapporti è il volume delle Lettere (Venezia, P. Meietti, 1592), che raccoglie parte della corrispondenza degli ultimi anni non solo con letterati, ma anche con papi, cardinali, funzionari milanesi e spagnoli. La fama di poeta del G. fu legata essenzialmente alle quattro edizioni delle sue Rime (Milano, P.G. Da Ponte, 1572; Venezia, P. Deuchino, 1573; Milano, P.G. Da Ponte, 1574; Venezia, Err. P. Deuchino, 1581), cui vanno aggiunti la quinta, alla quale stava lavorando al momento della morte (uscita postuma ibid., F. Franceschi, 1588), nonché i Componimenti christiani in materia de la peste (Milano, G.B. Da Ponte, 1577).

La produzione poetica del G., nonostante la cospicua fama che godette ai suoi tempi, è stata in seguito del tutto negletta e attende ancora di essere studiata in maniera adeguata. Di notevole interesse - ma anch'essa scarsamente valorizzata - è la produzione storico-politica, in parte rimasta inedita (eccetto una limitata circolazione manoscritta) e oggi disponibile in edizioni moderne, in parte stampata nel corso degli anni Settanta del Cinquecento. Tra le opere del primo gruppo sono la Congiura di Piacenza contro Pier Luigi Farnese (in Miscellanea di varia letteratura, a cura di G. Rocchi, I, Lucca 1762, e quindi a cura di A. Bonucci, Firenze 1864) e il Compendio storico della guerra di Parma et del Piemonte (con il titolo Compendio storico della guerra di Parma e del Piemonte 1548-1553, a cura di A. Ceruti, in Miscellanea di storia italiana, XVII [1878], pp. 105-357). Opera, quest'ultima, che - ancorché tesa a illustrare il punto di vista del Gonzaga - ha il pregio di rappresentare una notevole miniera di notizie, spesso tratte da documenti dell'epoca, cui il G. poté attingere a piene mani. A questi scritti ne andrebbero aggiunti altri, già noti all'indomani della morte del G., ma oggi irreperibili, relativi alle congiure dei Pazzi contro i Medici del 1478 e dei Fieschi contro i Doria del 1547.

La principale opera storiografica del G., pubblicata nel 1574 (Milano, P.G. Da Ponte) e ristampata quattro anni dopo (Venezia, Err. F. Rampazzetto; ibid., C. Zanetti), è la Vita del principe don Ferrante Gonzaga, che rappresenta l'estremo omaggio alla figura del suo patrono e benefattore, scritta in ottemperanza al desiderio espresso dallo stesso Gonzaga, nel 1557. Nella Vita, il G. coniuga uno dei modelli celebrativi della trattatistica encomiastica cinquecentesca, quella del perfetto capitano, di cui il Gonzaga rappresenta uno fra gli esempi ideali, con la volontà di difendere il defunto governatore dalle accuse di scarsa lealtà verso Carlo V di cui era stato oggetto e che ne avevano favorito la caduta. Il G. non esitò a tale scopo a riutilizzare i materiali della storia della congiura di Piacenza contro Pier Luigi Farnese e di quella della guerra di Parma per difendere la memoria dell'integrità politica e della capacità militare del Gonzaga.

Pressoché sconosciuta - a riprova della molteplicità degli interessi del segretario - è rimasta la Vera narratione de le cose passate ne' Paesi Bassi dopo la giunta del ser.mo s.or don Giovanni d'Austria luogotenente, governatore, et capitan generale del Re Catholico in quelle parti. Con la risolutione de gli obietti contenuti nel Discorso non vero, mandato in luce da gli Stati d'essi paesi, intorno a la rottura per loro fatta de la ultima pace (Milano, P.G. Da Ponte, 1578). Si tratta della traduzione dal francese dell'opera del fiammingo Hannard van Gamer, che raccoglieva alcuni documenti relativi alla politica di Giovanni d'Austria e degli Stati generali dei Paesi Bassi ribelli a Filippo II.

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