Medici, Giuliano de'

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Medici, Giuliano de’

Stefano Tabacchi

Nacque a Firenze il 12 marzo 1479, da Lorenzo il Magnifico e da Clarice Orsini. Sulla giovinezza di Giuliano non si hanno molte notizie, anche se non mancano sue immagini, come un ritratto realizzato nel 1485 da Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio nell’ambito del grande ciclo di affreschi della chiesa fiorentina di S. Trinita. Ultimo dei figli maschi del Magnifico, Giuliano, pur essendo molto amato dal padre, fu oscurato dalla presenza dei fratelli maggiori, Piero, destinato al governo di Firenze, e Giovanni, futuro papa Leone X.

Persa la madre in giovane età (nel 1488), fu educato a Firenze insieme con i fratelli, dapprima sotto la guida del canonico Matteo Franco e di Bartolomeo da Pratovecchio, e in seguito dei più noti Bernardo Michelozzi e Gregorio da Spoleto. Fu poi a Pisa con Giovanni, che seguiva gli studi universitari, tra la fine del 1489 e il 1491, e a Roma, nel marzo del 1492, in occasione della pubblicazione della nomina cardinalizia di Giovanni.

Alla morte del padre, nell’aprile del 1492, Giuliano si trovò a vivere una fase politicamente difficile, che fu gestita in maniera inefficace dai suoi fratelli. Mentre Piero assumeva la direzione del partito mediceo e la signoria di Firenze, Giuliano, ancora adolescente, coltivò interessi letterari, rimanendo distante dalle leve del potere. Già in quegli anni si cominciò a pensare a un suo possibile matrimonio, allo scopo di consolidare l’alleanza dei Medici con le altre casate italiane. Nel corso del 1493 il vescovo di Arezzo Gentile Bechi avviò trattative per le nozze con Lucrezia Borgia, ma il progetto fu lasciato cadere, e si avviarono più consistenti trattative per un fidanzamento con una figlia di Iacopo Appiani, signore di Piombino, che pure non giunsero a conclusione.

Nel settembre del 1494 l’ingresso in Italia del re di Francia Carlo VIII provocò il collasso del sistema politico italiano. In quel delicato frangente, mentre Piero cercava di salvaguardare la signoria medicea, Giovanni e Giuliano si recarono a Roma, il 22 ottobre. Il 27, però, rientrarono precipitosamente a Firenze, appena in tempo per assistere alla rivolta antimedicea del 9 novembre, che li costrinse alla fuga e all’esilio. I tre fratelli trovarono ospitalità a Bologna, presso Giovanni Bentivoglio, e poi a Venezia. Da quel momento la vita di Giuliano fu a lungo raminga, con continui spostamenti tra le corti italiane. Dopo aver accompagnato Piero in diverse località dell’Italia centrale allo scopo di reclutare truppe, tra il gennaio del 1496 e l’aprile del 1497 Giuliano visse a Milano, ospite della corte di Ludovico il Moro, che lo tenne in grande familiarità. In seguito raggiunse Bologna, con l’intento di dare appoggio al fratello Piero, che aveva lanciato un attacco contro Firenze, ma il rapido fallimento di questa iniziativa militare gli impedì di parteciparvi. Dopo un nuovo soggiorno a Milano, nell’agosto del 1498 Giuliano partecipò a un’altra, meglio preparata, iniziativa militare, che si valse dell’appoggio veneziano. A metà settembre penetrò con Annibale Bentivoglio e alcune centinaia di cavalieri nella Romagna fiorentina e nel Casentino, riuscendo a impadronirsi di Bibbiena. Il successo fu però vanificato dal fallimento del tentativo di attacco portato contro Firenze dal grosso dell’esercito, sotto il comando di Piero de’ Medici. In breve tempo Giuliano si trovò assediato a Bibbiena, e poté fortunosamente evadere solo nel marzo del 1499.

In quegli anni così concitati, Giuliano frequentò la società cortigiana dell’Italia centro-settentrionale, che lo apprezzò per la sua raffinatezza, e sviluppò una discreta cultura poetica. A partire dal 1495 circa, compose più di settanta poesie, cui si devono aggiungere altre decine attribuite a lui, ma apocrife, seguendo i moduli di un petrarchismo a tratti stucchevole, che pure gli valse considerazione tra i contemporanei. Tale produzione rimase manoscritta ed è stata oggetto di edizione solo in età contemporanea.

Al passaggio del secolo, i tre fratelli scelsero strade diverse. Il cardinale Giovanni, dopo un viaggio per l’Europa, si stabilì a Roma nel maggio del 1500; Piero si pose al servizio della Francia; Giuliano, tra l’estate del 1499 e il 1501, si divise tra la corte del re di Francia Luigi XII e Venezia. Nella primavera del 1501 passò al servizio di Cesare Borgia, che aveva strumentalmente abbracciato l’idea di ristabilire i Medici a Firenze. Deluso nelle sue aspettative da Borgia, che rinunciò all’impresa dietro un lauto compenso dei fiorentini, Giuliano si ritirò per qualche tempo a Genova presso la sorella Maddalena, moglie di Franceschetto Cibo, e poi di nuovo in Francia, alla corte di Luigi XII, e non prese parte a una nuova, inefficace ribellione medicea. Alla fine del 1502 intervenne nell’assedio di Imola insieme con Borgia, e poi si stabilì presso il duca di Urbino, Guidubaldo I da Montefeltro.

La morte di Piero de’ Medici, nel dicembre del 1503, segnò la fine delle speranze di restaurazione medicea e rappresentò un grave colpo personale per Giuliano, il quale da quel momento visse prevalentemente a Urbino presso Guidubaldo (morto nel 1508) e poi presso il suo successore, Francesco Maria Della Rovere, coltivando i piaceri letterari e mondani di una corte raffinata. Fu un periodo nel quale Giuliano frequentò insigni artisti, letterati e cortigiani, da Ludovico Ariosto e Raffaello Sanzio a Ottaviano Fregoso, da Pietro Bembo, che aveva già conosciuto a Venezia, a Ludovico di Canossa, a Bernardo Dovizi fino a Baldassarre Castiglione, che fece di Giuliano uno dei personaggi del Cortegiano. Nel dialogo di Castiglione (1528), Giuliano interviene soprattutto nel III libro, relativo alle caratteristiche della «donna di palazzo», ponendosi come il difensore del bello e del generoso. Maggiore rilievo Giuliano assume nelle Prose della volgar lingua (1525) di Bembo, opera nella quale assurge al ruolo di paladino del modello del «buon parlare» fiorentino. A Urbino Giuliano ebbe anche, nel 1511, un figlio naturale, Ippolito, in seguito cardinale, da una vedova, Pacifica Brandano.

Il soggiorno urbinate di Giuliano si prolungò dal 1503 al 1512, con qualche saltuario allontanamento. Nel 1510 egli fu in Romagna, al seguito di Francesco Maria Della Rovere, che comandava gli eserciti pontifici, e poi a Venezia. Il viaggio a Venezia suscitò nel pontefice Giulio II sospetti di una segreta intesa tra i Medici e i Bentivoglio, e per questo Giuliano fu trattenuto alcuni giorni durante la sosta a Bologna. L’esilio da Firenze ebbe termine nel 1512.

In quell’anno la sconfitta della Francia a opera della lega Santa isolò sul piano internazionale la Repubblica di Firenze – che si reggeva sulla protezione francese e si era inimicata il papa ospitando a Pisa un concilio di cardinali scismatici – e creò le condizioni per la restaurazione dei Medici.

In agosto, Giuliano patrocinò le ragioni della sua famiglia al congresso di Mantova, nel quale gli Stati confederatisi contro la Francia deliberarono di imporre la restaurazione degli Sforza nel ducato di Milano e il rientro dei Medici a Firenze. Alla fine del mese Giuliano e il cardinale Giovanni marciarono sulla città al seguito di un corpo di spedizione spagnolo. Il saccheggio di Prato da parte delle truppe spagnole indusse i fiorentini a togliere il loro appoggio al gonfaloniere Piero Soderini, e il 1° settembre 1512 Giuliano entrò trionfalmente in città con il fratello. In un primo momento si determinò un accordo tra i Medici e gli ottimati in base al quale veniva rafforzato il potere del Consiglio degli Ottanta, roccaforte dell’oligarchia, ma già a metà settembre il cardinale Giovanni mise in atto un colpo di Stato, in conseguenza del quale furono assegnati i pieni poteri a una Balìa di sostenitori medicei.

In questa fase di assestamento politico, Giuliano assunse il ruolo di rappresentante della famiglia Medici a Firenze e attuò, anche attraverso forme di aggregazione culturale, una politica di riconciliazione che gli attirò le simpatie di accesi repubblicani, come lo storico Iacopo Nardi. Nel febbraio del 1513, tuttavia, la scoperta della congiura antimedicea di Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi indusse a una stretta repressiva, patrocinata dal cardinale Giovanni.

Con l’elezione di quest’ultimo a pontefice, l’11 marzo 1513 con il nome di Leone X, si dischiusero a Giuliano nuove prospettive. In agosto fu esonerato dal governo di Firenze, assegnato al nipote Lorenzo di Piero de’ Medici. Il 13 settembre, nel corso di una fastosa cerimonia in Campidoglio, ricevette la cittadinanza romana, e poco dopo fu nominato generale di Santa Romana Chiesa.

Molti osservatori coevi, da Marin Sanudo a Piero Vettori, ritenevano che Leone X, legato a Giuliano da profondo affetto, gli avrebbe assegnato un ruolo importante nell’elaborazione della politica pontificia. Ben presto apparve però chiaro che Giuliano, uomo «più presto da corte, che da guerra», come scrisse Francesco Vettori (in Scritti storici e politici, a cura di E. Niccolini, 1972, p. 160 ), era inadatto ad assumere simili compiti. Giuliano non fu una figura irrilevante: nel corso del pontificato leonino egli esercitò infatti un significativo ruolo pubblico e cerimoniale, per es. organizzando le imponenti feste svoltesi a Firenze nel 1514 per celebrare il patrono san Giovanni e, l’anno dopo, l’ingresso in città del papa. In tal modo fu tramite tra il pontefice e il mondo cortigiano dell’Italia centrale. Indirizzò il proprio mecenatismo verso una variopinta corte di artisti e letterati.

Pur privo di un ruolo politico veramente autonomo, Giuliano costituì una figura chiave nella strategia internazionale di Leone X, che mirava a creare nell’Italia centro-settentrionale uno Stato mediceo infeudato alla Chiesa. Se gli obiettivi politici del pontefice apparivano chiari, non era facile intravedere come essi potessero realizzarsi in un contesto diplomatico confuso, nel quale Leone X faticava a ritagliarsi uno spazio tra Francia e Spagna. Di qui un continuo rincorrersi di voci, spesso infondate, sulle mire del pontefice per dotare Giuliano di undominio. È certo che dal 1514 Leone X offrì sostegno alle mire di Luigi XII sul ducato di Milano, cercando di ottenere in cambio l’appoggio della Francia per la conquista del Regno di Napoli e la sua assegnazione al Medici.

Tra il 1514 e il 1515 i rapporti di Giuliano con la corona francese si rafforzarono, grazie anche al buon rapporto stabilito con l’ambasciatore Claude de Seyssel (→), e l’ipotesi di creare un dominio per lui acquisì consistenza. All’inizio del 1515, Leone X ventilò al nuovo re di Francia Francesco I l’ipotesi di una cessione alla Santa Sede dei diritti che la Francia vantava sul Regno di Napoli, ma il sovrano rifiutò. Allo stesso tempo, però, fu possibile portare a conclusione le trattative per un’alleanza nuziale. Dalla fine del 1514 Leone X si orientò verso una candidata francese, nella speranza di ottenere l’appoggio di quel Paese quanto meno alla creazione di uno Stato mediceo-papale in Emilia. La prescelta era Filiberta di Savoia, sorella del duca di Savoia Carlo III e di Luisa di Savoia, madre di Francesco I. Nel gennaio del 1515, proprio Francesco I, da poco succeduto a Luigi XII, diede il suo consenso alla conclusione delle nozze e conferì a Giuliano il titolo di duca di Nemours. Il 10 febbraio 1515 Giuliano sposò a Torino Filiberta, nel corso di una fastosa cerimonia. Dopo un breve soggiorno in Piemonte, si imbarcò in Liguria e in marzo raggiunse Livorno e poi, all’inizio di aprile, Roma.

Il matrimonio non produsse però gli effetti politici sperati. Mentre Francesco I progettava un’invasione del ducato di Milano, Leone X trattava per un’alleanza antifrancese con l’impero, la Spagna, il ducato di Milano e i cantoni svizzeri, e ammassava un esercito. In vista di un possibile conflitto, il 29 giugno il papa conferì a Giuliano il bastone di capitano generale della Chiesa, suscitando le gelosie del nipote Lorenzo di Piero, che reagì facendosi nominare capitano generale di Firenze. In luglio il papa aderì ufficialmente alla lega antifrancese, ma Giuliano, malato, non poté assumere il comando delle truppe. In agosto egli raggiunse Firenze, ma, a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute, dovette cedere il comando a Lorenzo. Per tutta la seconda metà del 1515, impossibilitato a svolgere una reale attività politica, continuò nominalmente a rivestire un ruolo direttivo nello svolgimento della sfortunata campagna militare contro la Francia. Con la disastrosa sconfitta degli svizzeri a Melegnano (Marignano) nel settembre del 1515, i vincitori si riappropriarono dei domini assegnati dal papa al Medici.

Nel dicembre del 1515 le condizioni di Giuliano peggiorarono, al punto che fu costretto a letto. Morì a Firenze il 17 marzo 1516, compianto da artisti e letterati, tra cui Ludovico Ariosto, che indirizzò a Filiberta di Savoia una toccante canzone consolatoria. Nel 1520 Leone X commissionò a Michelangelo Buonarroti il monumento funebre di Giuliano, che fu realizzato nella Sacrestia nuova di S. Lorenzo a Firenze tra il 1526 e il 1534.

Il rapporto di M. con Giuliano si configura come ‘preferenziale’ all’interno della famiglia medicea, anche in nome di comuni interessi letterari. Incarcerato a seguito della congiura di Boscoli (febbr. 1513), M. indirizzò a Giuliano dalla prigione due sonetti caudati (più un terzo composto appena dopo la scarcerazione), allo scopo di accattivarsene il favore e, del resto, proprio grazie all’intercessione di Giuliano il Segretario evitò il carcere perpetuo (M. ringrazia il «magnifico Giuliano» nella lettera a Francesco Vettori del 18 marzo 1513), prima della liberazione avvenuta l’11 marzo di quell’anno per l’amnistia conseguente all’elezione del nuovo papa Leone X. In realtà, secondo Mario Martelli (Preistoria (medicea) di Machiavelli, «Studi di filologia italiana», 1971, pp. 376-405) una prima ‘invocazione’ a Giuliano, allora giovinetto, vi sarebbe già dietro le fattezze del «giovanetto giulìo» nella canzone a ballo “Se avessi l’arco e le ale” e dietro le sembianze del pastore Iacinto nel Capitolo pastorale: testi anteriori al 1494. In particolare, i vv. 100-02 del Capitolo pastorale offrirebbero una esplicita richiesta di entrare nell’‘orbita’ di Giuliano: «O don di tanti Dei, fa che tu degni / ricever me fra tuo fedel suggetti, / se aver tal servitore tu non sdegni». Ma senza dubbio è la prima dedica del Principe a Giuliano il punto più alto del rapporto che M. cercò di costruire con questo personaggio. Sappiamo dalla lettera di M. a Vettori del 10 dicembre 1513 che – a quell’altezza – l’opuscolo De principatibus era indirizzato «alla magnificenza di Giuliano», personaggio che si riteneva in grande ascesa dopo l’elezione del fratello Giovanni al papato. Non si sa quando e perché avvenne il cambiamento di dedica da Giuliano a Lorenzo di Piero: probabilmente per ragioni di opportunità politica prima del giugno del 1515 e non oltre l’ottobre del 1516, oppure – secondo una vecchia tesi oggi ritenuta debole – per la morte di Giuliano, sopravvenuta, come detto, nel marzo del 1516. Un riferimento di un certo rilievo a Giuliano è poi contenuto nella lettera di M. a Vettori del 31 gennaio 1515, dalla quale emergono la ripresa di argomentazioni del Principe riferite a Giuliano, segno di una interlocuzione politica protratta, e del persistere di un rapporto ‘preferenziale’ con il «Magnifico» Giuliano: a M. veniva prospettata la possibilità di collaborare con un Giuliano destinato in quel momento a un vasto ducato in Emilia, ipotesi che svanì qualche settimana dopo per il veto opposto dal cardinale Giulio de’ Medici.

Bibliografia: S. Tabacchi, Medici Giuliano de’, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 73° vol., Roma 2009, ad vocem (con ampi riferimenti alle fonti e alla letteratura critica).

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