VECCHIETTI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VECCHIETTI, Girolamo

Mario Casari

– Nacque a Cosenza nel 1557 da Francesco, mercante di nazione fiorentina, e da Laura di Tarsia, nobildonna cosentina.

Fu erudito orientalista, scrittore, viaggiatore e diplomatico, spesso in collaborazione con il fratello maggiore Giovanni Battista (v. la voce in questo Dizionario).

Il padre apparteneva a un ramo della famiglia Vecchietti, antica casata fiorentina che aveva mantenuto importanti ruoli nell’attività diplomatica e nell’alta burocrazia sin dai tempi della Repubblica.

Girolamo Vecchietti ha lasciato una lunga lettera che, tratteggiando la biografia del fratello Giovanni Battista, include anche notizie sulla propria, avendolo spesso seguito in viaggi e percorsi intellettuali. Ciononostante, rimangono varie zone d’ombra nella ricostruzione della sua biografia, a partire dalla formazione giovanile, che si può solo supporre sia stata simile a quella descritta per il fratello: studi umanistici, di filosofia e teologia, di poetica, in Cosenza, e di matematica; legami con Sertorio Quattromani, parente di famiglia, e con il circolo di Bernardino Telesio, della cui Accademia (Telesiana, poi Cosentina) fu membro. Non è noto se abbia accompagnato il fratello fin dalle prime peregrinazioni fuori dalla terra di nascita, verso Firenze – la vera patria, dove si saldò il legame con la famiglia de’ Medici – e poi Roma, ma è possibile che fosse con lui in uno dei suoi primi viaggi ad Alessandria d’Egitto, all’inizio degli anni Ottanta.

Nei primi anni Ottanta Vecchietti fu accolto nell’Accademia Fiorentina, di cui era membro anche il fratello, e si ha notizia di almeno una sua lezione sugli stili poetici.

Al seguito del fratello entrò nella cerchia del cardinale Ferdinando de’ Medici. Quando questi, all’inizio del 1584, chiamò Giovanni Battista a Roma per un doppio incarico diplomatico pontificio – in Egitto presso i copti a perorare l’unione con la Chiesa di Roma e in Persia a negoziare un’alleanza antiottomana –, contestualmente anche Girolamo si avvicinò all’impresa culturale che il cardinale patrocinava: la Typographia medicea diretta da Giovanni Battista Raimondi, che progettava la pubblicazione di libri in lingue orientali, a cominciare da un’edizione poliglotta della Bibbia.

Il progetto della stamperia si inseriva nella politica di riunificazione con le Chiese cristiane d’Oriente condotta da Gregorio XIII ed era affiancato all’investitura del cardinale de’ Medici quale protettore dei patriarcati di Antiochia e Alessandria, e del Regno di Etiopia. In un orizzonte più ampio il progetto della Tipografia medicea univa il doppio fine della conversione dei musulmani e della conciliazione con le Chiese d’Oriente a una ricerca umanistica indirizzata al recupero di rilevanti testi classici e originali, e a una prospettiva commerciale proiettata sia in Europa sia nelle terre dell’Impero ottomano (Casari, 2016).

Mentre il fratello Giovanni Battista viaggiava tra l’Egitto, la Persia, l’India e di ritorno attraverso il Portogallo e la Spagna (1584-89), Girolamo rimaneva probabilmente tra Roma e Firenze. A quest’epoca (1587-88) risale la composizione da parte sua di un poema epico dedicato al cardinale de’ Medici, appena asceso al soglio granducale di Toscana. Il poema, Delle prodezze di Ferrante Cortese, sembra sopravvissuto in un unico manoscritto (Londra, British Library, Add., 30376).

Esso, composto in volgare e in terza rima, si concentra sulla figura di Fernando Cortés nella fase finale della conquista del Messico. Appartenendo al genere dell’epica del Nuovo Mondo, frequentato in ambienti letterari romani e fiorentini tra la seconda metà del XVI e la prima metà del XVII secolo, il poema di Vecchietti si distingue per la scelta di un soggetto spagnolo e non italiano, forse in omaggio alla discendenza ispanica del granduca, ai suoi legami strategici con la Spagna e ai suoi interessi culturali nei confronti del Messico. In una cornice di glorificazione delle imprese di evangelizzazione l’opera si distingue però anche per una scettica rappresentazione della crudeltà della guerra e della violenza di alcuni famigerati episodi della conquista (Cox, 2018).

Nel 1590 Vecchietti andò finalmente in Egitto con il fratello Giovanni Battista, inviati da Sisto V a proseguire la negoziazione per la riunificazione della Chiesa copta di Alessandria con la Chiesa cattolica di Roma, rimasta sospesa. Dopo un rientro a Roma e i passaggi troppo brevi di ben tre papi nel 1593, mentre Giovanni Battista andava in Spagna con altro incarico, per ordine di Clemente VIII Girolamo tornò ad Alessandria, dove guidò la negoziazione per alcuni anni, fino alla felice risoluzione, sancita con il patriarca Gabriele da una solenne cerimonia in Roma il 25 giugno 1597, cui entrambi i fratelli presenziarono.

I dettagli delle trattative sono descritti da Vecchietti, oltre che nella lettera biografica sul fratello, in un promemoria da lui redatto per papa Paolo V nel 1608 (Archivio di Stato di Torino, Raccolta Mongardino, vol. 46, doc. 21; Almagià, 1956, pp. 315 s). L’effimera riunificazione si sarebbe in realtà sciolta nel silenzio poco dopo (intorno al 1605, con dispiacere di Paolo V), per il ruolo ambiguo di uno dei legati egiziani a Roma, l’arcidiacono Barsum, e per il progressivo ripensamento del patriarca successore, Marco. Da parte veneziana furono sostenute accuse nei confronti di Vecchietti di avere enfatizzato le intenzioni del patriarca oltre la realtà, per ricavarne vantaggi personali (Archivio di Stato di Venezia, Collegio. Relazioni Ambasciatori, V, b. 31, settore Consoli in Alessandria, c. 5r); vantaggi che in realtà non ebbe (su tutta la questione: Buri, 1931).

La permanenza in Egitto consentì a Vecchietti la raccolta di alcuni notevoli manoscritti copti, in seguito ceduti al monsignore e poi cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote di Clemente VIII e suo segretario di Stato, passati a Raimondi, e da questi poi lasciati in eredità alla Biblioteca Vaticana (Levi della Vida, 1939, pp. 266-268). Inoltre furono qui raccolti preziosi manoscritti arabi, persiani e turchi, per studi personali e per la biblioteca della Tipografia medicea. In particolare, si deve a Vecchietti l’acquisizione di un manoscritto contenente la prima metà del poema epico Šāhnāme (‘Libro dei Re’) di Ferdowsī (m. 1020), capolavoro della letteratura persiana: datato 1217, conservato oggi presso la Biblioteca nazionale di Firenze, esso risulta il più antico manoscritto esistente al mondo di quest’opera (Piemontese, 1980). In questi anni, i fratelli Vecchietti facevano parte della familia e del circolo intellettuale che si riuniva intorno al cardinale Aldobrandini e che includeva, oltre a Raimondi, personaggi come Antonio Querenghi, Gian Vincenzo Pinelli, Gabriello Chiabrera, Francesco Patrizi e Torquato Tasso. Diversamente che per il fratello Giovanni Battista, non è chiaro quale sia stato il livello di competenza raggiunto da Girolamo nelle lingue orientali da lui frequentate, in particolare arabo e persiano.

Nonostante il pur fragile successo nella negoziazione con il patriarca di Alessandria, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo, i fratelli Vecchietti si ritrovarono fuori dal circolo di fiducia del papa, privi di incarichi e in difficili condizioni finanziarie. Da una lettera a Clemente VIII scritta da Venezia nel 1603 si capisce come Vecchietti fosse rimasto deluso di non essere stato incluso nelle attività della Congregatio super negotiis sanctae Fidei et religionis catholicae, istituita nel 1599, e che, per una nuova missione in Persia presso lo scià ‘Abbās I, propostagli dal cardinale Aldobrandini, gli fossero stati infine preferiti due messi portoghesi. Nel memoriale che racconta le sue successive peregrinazioni, Vecchietti si dichiara «irremunerato e posto in dimenticanza e defraudato de meriti suoi» (Archivio apostolico Vaticano, Fondo Pio, 118, c. 43; altra copia in Archivio di Stato di Torino, Raccolta Mongardino, 108, cc. 27-82). Per questo aveva deciso di lasciare Roma (16 aprile 1603) per andare in cerca del fratello che nel 1599 era partito da Alessandria per la Siria, poi la Persia e l’India. Dopo aver rischiato di cadere schiavo a Cipro in quanto fiorentino, aiutato da alcuni mercanti veneziani riuscì a raggiungere Aleppo e poi Baghdad, dove rimase più di quattro mesi. Qui fu ospite dapprima di Giulio Fonti, mercante veneziano – che gli consegnò una cassa di manoscritti persiani lasciata dal fratello da spedire a Firenze –, e poi dello stesso governatore. Partito da Baghdad, con un lungo viaggio via terra raggiunse Bassora, dove si imbarcò per il Regno di Hormuz, colonia portoghese. Qui la buona memoria lasciata dal fratello Giovanni Battista gli valse la generosa collaborazione del medico ufficiale, Girolamo Lobo, e del governatore del Regno, Diego Venil. Con il loro supporto poté infine partire per l’India, dove raggiunse il fratello ad Agra, alla corte del gran mogol Akbar, il 17 gennaio 1605.

La permanenza a Baghdad e il lungo viaggio via terra fino a Bassora fornirono a Vecchietti l’occasione di numerose osservazioni di carattere geografico, politico, etnografico e culturale, che annotò nel suo memoriale. Sono di particolare interesse alcune osservazioni sui Curdi stanziati non lontano da Baghdad, sulla comunità di cristiani nestoriani di Mosul e soprattutto sulla comunità dei cristiani di S. Giovanni, ossia i mandei.

A parte una breve menzione nell’Itinerarium del frate domenicano Ricoldo da Montecroce (circa 1290), quella di Vecchietti è una delle prime testimonianze europee di epoca moderna su questa comunità religiosa, di cui si dibatteva l’effettiva appartenenza alla fede cristiana. Nelle sue conversazioni con loro in lingua portoghese, nella regione di confluenza tra Eufrate e Tigri, e poi a Bassora, Vecchietti registrò la loro pressoché totale ignoranza dei principali elementi della fede cristiana, e la permanenza solo di qualche carattere superficiale. Confrontando però anche alcuni termini della loro lingua decise che si trattava originariamente di cristiani caldei, decimati e resi ignoranti da quasi un millennio di dominazione musulmana, che si sarebbe potuto facilmente ricondurre alla fede cattolica (Lupieri, 1993, pp. 85-132).

I due fratelli ripartirono poco dopo, nell’aprile del 1605, giungendo di nuovo a Hormuz nel gennaio dell’anno seguente. Il rientro via terra verso il Mediterraneo, sostando in Lar, Shiraz, Isfahan, Hamadan, Baghdad e Aleppo, si rivelò particolarmente pericoloso, con assalti alla carovana, la perdita dei loro beni e vari incidenti, tra cui una seria ferita di freccia al fianco per Girolamo. Ad Aleppo fecero scelte diverse: Girolamo vi sostò per tre mesi, mentre Giovanni Battista ripartì, ma fu dapprima catturato da corsari turchi nel porto di Alessandretta, e riscattato con difficoltà, quindi catturato di nuovo da corsari barbareschi in prossimità della Sicilia, e condotto schiavo prima a Tunisi e poi a Biserta. Quando Girolamo giunse a Trapani nel gennaio del 1608 ne fu informato, e cominciò a premere su vari cardinali e sullo stesso papa, riuscendo infine a portare a compimento il secondo riscatto, nel giugno di quell’anno. A ottobre del 1608, i due Vecchietti erano entrambi di nuovo a Roma, ospiti del cardinale Aldobrandini.

Tra il 1609 e gli anni subito seguenti Vecchietti contribuì con alcuni memoriali ai tentativi di Paolo V di stabilire contatti con la Chiesa d’Etiopia. Oltre a informazioni di carattere geografico e politico, le sue relazioni suggerivano potenziali percorsi di accesso al Paese, in un caso dall’Oceano Atlantico, per la via del Regno del Congo, già in parte cristianizzato, in un altro proponendo un attacco militare da parte delle forze spagnole, dall’India verso le coste dell’Africa orientale, occupate da deboli guarnigioni ottomane (Almagià, 1956, pp. 341-345).

Sul decennio successivo abbiamo notizie frammentarie relative alla vita di Girolamo. Perduta la protezione del cardinale Aldobrandini, morto nel 1610, nel 1614 era probabilmente ancora in Roma, perché risulta nella lista degli esecutori testamentari di Raimondi. Non seguì il fratello quando questi si spostò a Napoli nel 1616, e non era presente alla sua morte, l’8 dicembre 1619, tanto da essere sostituito come suo erede universale da un amico fiorentino, Orazio Tedeschi. Probabilmente Vecchietti si era spostato fuori dall’Italia: da Augsburg, in Baviera, scrisse nel 1620 la lettera sul fratello, fondamentale per la ricostruzione di entrambe le biografie.

In questo periodo sembra fosse tornato a dedicarsi intensamente allo studio e alla scrittura. Almeno dieci liriche di Vecchietti sono reperibili in fonti diverse, la maggior parte risalenti al periodo 1619-21 (Cox, 2018, p. 1360). Inoltre, nel 1621 pubblicò ad Augsburg, presso la tipografia Andreas Aperger, un trattato di cronologia e storia universale, in prospettiva teologica comparata, intitolato De anno primitivo ab exordio mundi ad annum Iulianum accomodato et de sacrorum temporum ratione libri octo, frutto di lunghe indagini e dedicato al papa, all’imperatore e al re d’Inghilterra.

L’uscita di quest’opera fu all’origine del periodo più difficile della vita di Vecchietti. Nell’agosto del 1622 il libro fu denunciato al S. Uffizio dall’arcivescovo di Napoli Decio Carafa. Seguendo a confische e roghi di copie, il 29 ottobre il libro fu messo all’Indice.

Oltre alla dedica al re d’Inghilterra e ad alcune interpretazioni della cronologia biblica poco conformi alla dottrina cattolica il principale capo d’accusa concerneva l’affermazione di Vecchietti secondo cui l’Ultima Cena non si sarebbe svolta a Gerusalemme, ma a Betania, e Gesù e i discepoli non avrebbero mangiato l’agnello e il pane azimo, secondo l’uso pasquale ebraico, poiché, in accordo con la revisione della cronologia, la Pasqua sarebbe stata celebrata solo l’indomani, venerdì 14 Nisan. La storia del processo Vecchietti è complessa, testimoniata da più di cento documenti, incluse sedici dettagliate difese redatte da Vecchietti (presenti in Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteus LXXXIX sup., cod. XXXVI, cc. 18-57), che si rifiutò sempre di abiurare, presentando come argomento principale il fatto che la questione della cena pasquale era disputata anche dai Padri della Chiesa (con i greci che propendevano per la sua ipotesi).

La complessa dialettica tra i cardinali inquisitori e il papa Urbano VIII, che aveva un legame di lunga data con Vecchietti, rallentò molto la procedura, ma il 5 febbraio 1626 egli fu comunque arrestato. Non si arrivò però mai a un decreto di condanna, forse per l’intervento mediatore di Tommaso Campanella, anche lui di nuovo nelle prigioni del S. Uffizio dal luglio del 1628, buon conoscente dei Vecchietti con cui condivideva la formazione telesiana. In lettere redatte tra il 1634 e il 1636 Campanella ricordava il proprio ruolo, sottolineando che «tutti avean damnato l’opinion di Vecchietti per eretica, ed era solo temeraria». L’ambiguità della risoluzione determinò però che Vecchietti rimase in prigione fino a marzo o aprile del 1633 (su tutta la questione: Beretta, 2013).

Degli ultimi anni di nuovo sappiamo poco: visse a Roma, in condizioni economiche forse soddisfacenti per aver vinto alcune cause con parenti fiorentini mentre era in prigione. Adottò un figlio, che designò suo erede (Erythraeus, 1643, pp. 196-198). Secondo il Necrologio romano, morì il 1° gennaio 1640 e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini.

La figura di Girolamo Vecchietti, ancora parzialmente nell’ombra del più celebre fratello, deve essere ulteriormente indagata nella cornice del denso crocevia della storia culturale europea ed extraeuropea a cavallo tra il XVI e il XVII secolo: l’afflato evangelizzatore ecumenico e la politica internazionale eurasiatica, ma anche l’emergere di conoscenze e istanze culturali, filosofiche e teologiche originali e talora eterodosse, nell’incontro con le culture dell’Africa e dell’Asia.

Fonti e Bibl.: Dell’ampia raccolta di manoscritti arabi, copti, persiani, giudeo-persiani, ebraici, turchi, dei fratelli Vecchietti, una buona parte finì nella biblioteca della Tipografia medicea, seguendone le sorti. Altri rimasero tra i loro beni personali o furono ceduti ad altri interlocutori. Oggi se ne trovano presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze, la Bibliothèque nationale de France, la Biblioteca apostolica Vaticana e alcune altre biblioteche. Lettere e documenti autografi o pertinenti a Vecchietti si trovano in Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Fondo Pio e Fondo Borghese; Biblioteca apostolica Vaticana, vari fondi; Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea medicea, filze 717-722; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plutei; Biblioteca nazionale, Magliabechi e Mediceo Palatino; Roma, Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, fondi Congregazione del S. Uffizio e Congregazione dell’Indice; Archivio di Stato di Torino, Raccolta Mongardino.

I.N. Erythraeus, Pinacotheca imaginum illustrium [...], Coloniae Agrippinae 1643, pp. 196-198; G. Morelli, I codici manoscritti volgari della libreria Naniana, Venezia 1776, pp. 105 s., 159-191; V. Buri S.J., L’unione della chiesa copta con Roma sotto Clemente VIII, Roma 1931, passim; P. Donazzolo, G. V. e la sua peregrinazione d’Oriente, in Rivista di geografia, XII (1932), pp. 391-397; G. Levi Della Vida, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1939, ad ind.; R. Almagià, Giovanni Battista e G. V. viaggiatori in Oriente, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti. Classe di scienze morali, s. 8, XI (1956), pp. 313-345; A.M. Piemontese, Nuova luce su Firdawsī. Uno “Šāhnāma” datato 614 H./1217 a Firenze, in Annali dell’Istituto universitario Orientale di Napoli, XL (1980), pp. 1-43; F. Richard, Les manuscripts persans rapportés par les frères Vecchietti et conservés aujourd’hui à la Bibliothèque nationale, in Studia Iranica, IX (1980), pp. 291-300; A.M. Piemontese, Catalogo dei manoscritti persiani conservati nelle Biblioteche d’Italia, Roma 1989, ad ind.; E. Lupieri, I mandei. Gli ultimi gnostici, Brescia 1993 pp. 85-132; F. Richard, Les frères Vecchietti, diplomates, érudits et aventuriers, in The Republic of letters and the Levant, a cura di A. Hamilton - M.H. van den Boogert - B. Westerweel, Leiden-Boston 2005, pp. 11-26; A.M. Piemontese, La diplomazia di Gregorio XIII e la lettera del re di Persia a Sisto V, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, Città del Vaticano 2007, pp. 363-410; M. Bernardini, Giovanni Battista and G. V. in Hormuz, in Portugal, the Persian Gulf and Safavid Persia, a cura di R. Matthee - J. Flores, Leuven 2011, pp. 265-281; La via delle lettere. La Tipografia medicea tra Roma e l’Oriente (catal.), a cura di S. Fani - M. Farina, Firenze 2012 (con ampia bibliografia), passim; F. Beretta, Campanella, Urbain VIII et le procès de G. V.: une définition doctrinale éclipsée, in Bruniana & Campanelliana, XIX (2013), pp. 445-462; M. Casari, Raimondi, Giovanni Battista, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXVI, Roma 2016, pp. 221-224; A.M. Piemontese, Persica Vaticana. Roma e Persia tra codici e testi, Città del Vaticano 2017, pp. 199-238; V. Cox, An unknown early modern new world epic: G. V.’s Delle prodezze di Ferrante Cortese (1587-88), in Renaissance quarterly, LXXI (2018), pp. 1351-1390.

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