Riario, Girolamo

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Riario, Girolamo

Alina Scudieri

Nacque a Savona nel 1443 da Paolo e Bianca Della Rovere, sorella di Francesco, futuro papa Sisto IV. Sposò Caterina Sforza nel 1477, dalla quale ebbe sei figli, tra cui Ottaviano, destinato a succedergli nella signoria di Imola e Forlì. Morì il 14 aprile 1488.

La sua vita e la sua fortuna furono strettamente legate alle vicende politiche di Sisto IV, che fece dei suoi nipoti, in particolare di R., gli strumenti di un rafforzamento dello Stato pontificio. Arrivato a Roma da Savona, dove non si sa bene se facesse lo scrivano o lo speziale, R. divenne capitano generale dell’esercito pontificio e governatore di Castel Sant’Angelo: «ricco e potente per quanto di indole impetuosa e cupa» (P. Misciattelli, Personaggi del Quattrocento italiano, 1914, p. 185). M. nelle Istorie fiorentine riporta la voce che attribuiva a Sisto IV la paternità di R. e di suo fratello Pietro: «Aveva intra la sua famiglia Pietro e Girolamo, i quali, secondo che ciascuno credeva, erano suoi figliuoli; nondimanco sotto altri più onesti nomi li palliava» (VII xxii 6). Dopo la prematura morte di Pietro, Sisto IV si servì di Girolamo per portare avanti il suo disegno politico ai danni di Firenze e dei Medici. Il potere che R. raggiunse presso la curia fu tale da meritarsi l’appellativo di arcipapa. Nel 1473 il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza gli diede in sposa la figlia illegittima Caterina (il matrimonio fu celebrato quattro anni dopo per la giovane età della sposa) al fine di conquistarsi la benevolenza di Sisto IV. Il cenno in proposito nelle Istorie fiorentine (VII xxii 8: «Il duca di Milano dette per moglie a Girolamo la Caterina, sua figliuola naturale, e per dote di quella la città di Imola, della quale aveva spogliato Taddeo degli Alidosi») è inesatto, poiché la signoria di Taddeo degli Alidosi era finita nel 1424, mentre in realtà fu Taddeo Manfredi a firmare, il 5 maggio 1473, un trattato in cui cedeva Imola a Galeazzo Sforza. Dopo un articolato iter diplomatico tra Sisto IV, Galeazzo e Lorenzo de’ Medici, Imola fu data al cardinale Pietro Riario dal duca di Milano, dietro pagamento di 30.000 ducati (una somma ingente, che il papa chiese in prestito ai banchieri Pazzi). Lorenzo, temendo l’avanzata di R. in Romagna, tentò vanamente di persuadere i Pazzi a negare il prestito, ma Francesco de’ Pazzi non solo fornì la somma al papa, ma lo informò anche dell’ingerenza di Lorenzo. Il fatto accrebbe il risentimento di Sisto IV nei confronti dei Medici, e può essere annoverato fra le cause della congiura dei Pazzi (→ Medici, Giuliano de’; cfr. A. Poliziano, Coniurationis commentarium: commentario della congiura de’ Pazzi, a cura di L. Perini, 2012, p. 36). Nel novembre del 1473 Sisto IV pubblicò la bolla di investitura di Imola a vantaggio di R., il quale intendeva sottomettere al proprio dominio i piccoli Stati limitrofi alla città, ma fu bloccato dalla reazione di Lorenzo de’ Medici. L’odio di R. si unì dunque al risentimento di Francesco de’ Pazzi:

Si dolevono costoro spesso l’uno coll’altro de’ Medici: tanto che, dopo molte doglienze, e’ vennono a ragionamento come gli era necessario, a volere che l’uno vivesse ne’suoi stati e l’altro nella sua città securo, mutare lo stato di Firenze; il che sanza la morte di Giuliano e di Lorenzo pensavono non si potessi fare. Giudicorono che il papa e il re facilmente vi acconsentirebbono, pure che all’uno e all’altro si mostrasse la facilità della cosa (Istorie fiorentine VIII iii 6-7).

La congiura, il cui piano prevedeva che, eliminati i Medici, R. assumesse la signoria di Firenze, fallì: dei due fratelli, solo Giuliano fu colpito a morte nell’agguato – avvenuto a Firenze in S. Reparata, il 26 aprile del 1478 –, mentre Lorenzo riuscì a salvarsi.

Dopo la morte di Pino III Oderlaffi, R. si impossessò di Forlì, dominio importantissimo in terra di Romagna (Istorie fiorentine VII xxii), e cercò di guadagnarsi la benevolenza dei locali attraverso l’abolizione delle tasse. Approfittando poi della crescente tensione tra Ferrara e la Serenissima per il controllo delle saline, R. nel 1482 convinse Venezia a scatenare una guerra (che sarebbe durata fino al 1484). Alfonso d’Aragona (all’epoca erede al trono di Napoli) attaccò lo Stato pontificio in difesa di sua sorella Eleonora, duchessa di Ferrara, insieme ai Colonna. Il papa chiamò in aiuto i veneziani, che inviarono Roberto Malatesta detto il Magnifico, signore di Rimini. Questi sconfisse i napoletani ed entrò a Roma trionfante, ma morì il 30 settembre, per malaria, o, secondo altri, fatto avvelenare da Riario. Il timore che R. potesse impossessarsi di Rimini, fece sì che Firenze prendesse sotto la sua protezione il primo figlio naturale di Malatesta, Pandolfo, e sua madre Elisabetta Aldobrandini (Istorie fiorentine VIII xxiii).

Nel frattempo la guerra procedeva per Venezia oltre le migliori aspettative, e Sisto IV, in nome del principio di equilibrio, cambiò fronte: il 28 febbraio 1483 il papa e R. strinsero un accordo con l’alleanza antiveneziana (Istorie fiorentine VIII xxv). Ma quando, nell’agosto del 1484, si giunse alla pace di Bagnolo, solo Venezia ne trasse beneficio. R. e il papa furono i grandi sconfitti. Pochi giorni dopo Sisto IV morì. Alla notizia della morte del papa scoppiarono gravi tumulti a Roma, che terminarono solo quando R. e Caterina Sforza consegnarono la fortezza di Castel Sant’Angelo:

Il conte Girolamo si ritirò con le sue genti a canto al Castello; gli Orsini temevono che i Colonnesi non volessero vendicare le fresche ingiurie, i Colonnesi ridomandavano le case e castelli loro: onde seguirono in pochi giorni uccisioni, ruberie e incendii in molti luoghi di quella città. Ma avendo i cardinali persuaso al conte che facesse restituire il castello nelle mani del collegio, e che se ne andasse ne’ suoi stati e liberasse Roma dalle sue armi, quello, desiderando di farsi benivolo il futuro pontefice, ubbidì, e restituito il Castello al collegio, se ne andò a Imola (Istorie fiorentine VIII xxviii 5).

R. mantenne la signoria di Imola e Forlì anche sotto il nuovo papa, Innocenzo VIII. Ma, ormai privo della protezione e del sostegno di Roma, si trovò costretto a ripristinare un’esosa tassazione che provocò l’ostilità dei sudditi. Gli odi e i rancori che negli anni R. aveva seminato diedero i loro frutti la sera del 14 aprile 1488, quando rimase vittima di una congiura capeggiata dagli Orsi, una famiglia forlivese, verosimilmente appoggiata da Lorenzo de’ Medici:

Francesco d’Orso furlivese, era uomo di grande autorità in quella città; questi venne in sospetto al conte Girolamo, talché più volte da il conte fu minacciato; donde che, vivendo Francesco con timore grande, fu confortato da’ suoi amici e parenti di prevenire, e poiché temeva di non essere morto da lui, ammazzasse prima quello, e fuggissi con la morte d’altri i pericoli suoi. [...] Fu Francesco intromesso, e trovato quello solo, dopo poche parole d’un simulato ragionamento, lo ammazzò [...]. Fatti questi omicidii, levato il romore grande, fu il capo del conte fuori dalle finestre gittato (Istorie fiorentine VIII xxxiv 6-13).

Alla congiura sopravvissero i figli e la moglie di R. che resistette nella rocca presso porta Ravaldino fino all’arrivo dell’esercito milanese; dopodiché Caterina «la morte del marito con ogni generazione di crudeltà vendicò» (Istorie fiorentine VIII xxxiv 20).

L’episodio è riportato da M. nei Discorsi come esempio di «poca prudenza» dei congiurati (III vi 156-59). Nel Principe M. utilizza la vicenda per mostrare come la fortezza sia servita, ma solo in un primo momento, per salvare il potere, nonostante l’ostilità dei sudditi:

Ne’ tempi nostri non si vede che quelle abbino profittato ad alcun principe, se non alla contessa di Furlì, quando fu morto il conte Ieronimo suo consorte: perché mediante quella possé fuggire l’impeto popolare e aspettare il soccorso da Milano e recuperare lo Stato (Principe xx 30).

Ma la fortezza non li protesse quando «Cesare Borgia l’assaltò e che il popolo suo inimico si coniunse col forestiere» (§ 31). Pertanto, conclude M., «biasimerò qualunque, fidandosi delle fortezze, stimerà poco essere odiato da’ populi» (§ 33).

Bibliografia: P. Bonoli, Storia di Forlì, 2° vol., Forlì 18262, pp. 199, 208-09, 218, 224, 233, 237, 276, 280, 354; P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 1° vol., Milano 19274, pp. 76-77; C.M. Ady, Lorenzo dei Medici and Renaissance Italy, London 1955 (trad. it. Milano 1994, pp. 66, 70-72, 75, 81, 86, 93-96, 100); I. Robertson, The Signoria of Girolamo Riario in Imola, «Historical studies», 1971, 15, pp. 88-117; M. Pellegrini, Congiure di Romagna. Lorenzo de’ Medici e il duplice tirannicidio a Forlì e a Faenza nel 1488, Firenze 1999, pp. 15-88.

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