MANFREDI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MANFREDI, Girolamo

Anna Laura Trombetti

Nacque a Bologna, verosimilmente intorno al 1430 considerando che conseguì la prima laurea nel 1455; del padre è noto solo il nome, Antonio.

Anche se Giovanni Garzoni ne parla come di un "pauper studens", non è da escludere che il M. discendesse da una famiglia di medici attivi in città già nel secolo XIII. È certo, invece, che due suoi fratelli, Giovanni e Bartolomeo, conseguirono la laurea in diritto canonico e ottennero incarichi di prestigio: il primo fu dottore canonista presso lo Studio bolognese e sacrista della cattedrale, il secondo, sacerdote, fu anch'egli dottore presso lo Studio e bibliotecario nella Biblioteca Vaticana.

Agli ordini minori accedette anche il M., quattro anni dopo la laurea in arti, conseguita presso lo Studio di Ferrara, quando già insegnava logica alla facoltà di arti bolognese; nel 1459 ricevette la tonsura e con essa qualche beneficio, che andò a integrare i non floridi compensi di giovane lettore e verosimilmente le non agiate condizioni della famiglia.

L'ambiente ferrarese, dove studiò negli ultimi due anni (nel 1453 risulta ancora "studens in artibus" a Bologna) e dove ottenne i gradi, era stimolante soprattutto per gli studi medico-astrologici: il M. poté entrare in contatto con il cenacolo di umanisti che avevano come obiettivo la fusione di tutte le discipline in un armonico universo conoscitivo (la paideia dei Greci), ideale tradotto efficacemente da Celio Calcagnini con la metafora dell'organismo umano in cui tutto è funzionale e non può strapparsi un membro senza un danno gravissimo per il resto del corpo: la fisica non sta senza la logica, la logica senza la matematica, e così via, fino a concludere che l'enciclopedia del sapere ha senso solo se fa centro sull'uomo.

Il M. iniziò l'attività di lettore di logica quando lo Studio bolognese aveva da poco riguadagnato prestigio, dopo anni di crisi, grazie alla presenza, tra il 1450 e il 1455, del cardinale Bessarione, inviato a Bologna da Niccolò V per risollevare la qualità dell'insegnamento ivi impartito.

Dopo la prima laurea gli studi del M. si indirizzarono alla medicina: nel 1466 conseguì il dottorato all'Università di Parma; era già lettore abbastanza affermato nelle discipline filosofiche e insegnava anche la medicina a Bologna nei giorni festivi (1465-66).

Essendo quello di Parma uno Studio in cui si conferivano solo i gradi accademici a studenti che avevano seguito altrove le lezioni, si deve ipotizzare che il M. avesse studiato medicina a Bologna per poi laurearsi in una sede dove le tasse d'esame erano significativamente inferiori e dove forse non doveva confrontarsi con esaminatori che gli erano stati e gli erano colleghi. È possibile quindi che a Bologna abbia conseguito la licentia e a Parma sostenuto solo l'esame per ottenere il dottorato.

Il M. insegnò presso lo Studio bolognese fino all'anno della morte, con successo crescente, come attesta il salario assai più alto rispetto a quello della gran parte dei colleghi medici e artisti; dal 1483 era pagato 400 lire di bolognini l'anno, mentre era partito con le 50 lire annue dei primi anni '60, salario in genere offerto ai giovani dottori. Il M. insegnò logica nel 1455-57; filosofia ordinaria e straordinaria nel 1458-60; filosofia straordinaria nel 1462-65; filosofia ordinaria e medicina nei giorni festivi nel 1465-66; medicina nel 1466-69; astronomia e medicina nel 1469-72; medicina nel 1472-74; astronomia nel 1474-76; astronomia con obbligo dello iudicium e del tacuinus nel 1476-83; medicina ordinaria nel 1483-86; astronomia con obbligo dello iudicium e del tacuinus nel 1486-93.

Lo iudicium, o pronostico, consisteva nella previsione - che veniva data annualmente alle stampe - degli eventi che sarebbero occorsi nella città, e anche fuori, l'anno seguente, sulla base dell'esame della posizione degli astri; il tacuinus era un componimento, anch'esso diffuso a stampa, essenzialmente riferito alla salute, che conteneva, attraverso la descrizione della posizione degli astri nel corso dell'anno, l'indicazione dei giorni e delle ore più idonei a somministrare le cure.

La scalata compiuta dal M., medico, intellettuale e astrologo, nel mondo accademico bolognese e, in particolare, nella facoltà d'arti è attestata anche dalla presenza nei Libri partitorum: a nessun altro docente contemporaneo, giurista o artista, sono dedicati tanti, interi "partiti" quanto al M., a testimoniare la centralità del suo magistero, da cui non va disgiunta la notorietà che la veste di estensore ufficiale del pronostico per lo Studio gli aveva conferito, fama che lo fece divenire autorevole e richiestissimo estensore di oroscopi non solo in ambito accademico, ma per molti cittadini influenti e certo anche per la famiglia Bentivoglio, cui dedicò pronostici sempre fausti ricavandone onori e protezione.

L'esercizio pubblico dell'astrologia fu per il M. attitudine abbastanza precoce: è documentata già nel 1464 quando accompagnò Achille Malvezzi e alcuni cavalieri templari in un viaggio verso l'Oriente che però si arrestò a Venezia. L'attività di astrologo e di estensore di pronostici annui, di cui restano quelli del 1477, 1479, 1490 e 1492 (editi da Nada Patrone), fu certo quella che gli diede maggiore fama e ricchezza, non senza riservargli qualche difficoltà. Nel 1474 si scatenò un incidente diplomatico tra Milano e Bologna in quanto il duca Galeazzo Maria Sforza, sentendosi colpito da presagi negativi, riguardanti la sua persona e lo Stato, redatti da tre astrologi bolognesi tra cui il M., inviò loro e al reggimento una diffida ufficiale imponendo che non vaticinassero più in negativo e aggiungendo alla protesta la minaccia dell'invio di un sicario se il pronostico non fosse stato rettificato, cosa che puntualmente avvenne. A un episodio analogo, ma certamente più grave, anche se non chiaro, va imputato l'allontanamento del M. dall'insegnamento di astronomia negli anni 1483-86. Sul finire della vita il M. dovette difendersi ancora dalle polemiche suscitate dal pronostico del 1493 e stese la propria difesa, pubblicata postuma nel giugno del 1494 da Ercole Nani.

Non poté, invece, difendersi dalle accuse mosse all'astrologia divinatrice e a lui stesso da Giovanni Pico della Mirandola nelle Disputationes adversus astrologiam divinatricem: Pico lo mise in ridicolo accusandolo di non aver saputo prevedere né la morte di sua sorella, Lucrezia Pico, né la sua stessa morte vaticinando per l'anno in cui morì "multa et mira".

Dai pronostici del M. si evince come egli seguisse lo schema classico di questi scritti, che erano divisi in due parti: la prima riservata alla descrizione dei fenomeni astrali, la seconda agli effetti dei loro influssi sulla terra. È questa la parte più interessante, delicata e complessa, dedicata per lo più ai pronostici per le singole case regnanti, perché spesso gli autori diventavano, sotto questo aspetto, strumenti politici e propagandistici dei loro committenti o quantomeno risentivano del clima politico e delle alleanze della città in cui vivevano. È per questo, presumibilmente, che i pronostici del M. contengono per lo più vaticini molto blandi.

Al momento della morte il M. aveva accumulato una discreta fortuna, come si deduce dal testamento redatto il 18 genn. 1493; il M. morì per malattia a Bologna nell'estate del 1493.

Aveva da poco acquistato una casa situata nel vicolo Gangaiolo delle Pugliole (oggi via Griffoni) che era, come la precedente, nel quartiere delle scuole degli artisti, nella "cappella" di S. Margherita. Nel testamento disponeva la propria sepoltura e dava precise indicazioni alla giovane moglie Anna Fontana, appartenente a una cospicua famiglia modenese, circa la cerimonia funebre. Aveva tre figli ancora minori: Ginevra e due maschi, Costantino e Giovanni, nominati eredi universali. Gli elogi postumi parlano di lui come di un uomo ricchissimo, mentre l'inventario dei beni mobili lo mostra uomo benestante, che possedeva anche una discreta biblioteca; aveva inoltre due piccoli immobili in città nella parrocchia di S. Margherita, un possedimento a Porta Saragozza e due grandi possedimenti nelle immediate vicinanze della città, uno dei quali dotato anche di due fornaci.

Uomo vicino alla Chiesa, anche per via della posizione dei fratelli, il M. fu abile nel districarsi nel complesso universo cittadino degli ultimi decenni del Quattrocento e, pur percorrendo la pericolosa strada dell'astrologia, non incorse mai nelle maglie dell'Inquisizione. Al M. va riconosciuta una buona fede di fondo, una seria ricerca del vero che egli sapeva - e lo diceva - nascondersi nella catena invisibile della cause e delle relazioni, affondata nel mistero delle cose. Tale atteggiamento intel

lettuale, coraggioso per un accademico, lo pone accanto a due intellettuali amici e collaboratori, più apertamente problematici ed eterodossi, come Cola Montano (Nicola Capponi), docente d'eloquenza presso lo Studio bolognese, e Galeotto Marzio, con i quali condivise il lavoro di edizione della Cosmographia di Tolomeo, che vide la luce a Bologna nel 1477 per Domenico de' Lapi.

Filosofo, astrologo e medico, il M. rappresentò il modello dello scienziato di scuola aristotelica, influenzato anche dagli Astronomica in versi di Manilio, riscoperti verso la fine del XIV secolo e divenuti rapidamente il "breviario" degli umanisti; egli fu il tipico rappresentante di un'epoca in cui sognatori ispirati, alchimisti e astrologi godettero di largo successo in una società ricca e cosmopolita come era quella di Bologna e, nel contempo, caratterizzata da vene profonde di inquietudine e di ipocondria, dovute anche alle sfaldature politiche derivanti dalle forti pressioni della Chiesa contro la sua autonomia, cioè contro lo "Stato di libertà" destinato, pochi anni dopo la morte del M., a soccombere - insieme con la famiglia Bentivoglio - alle forza delle armi spirituali e temporali di Giulio II.

Il M. era uomo che amava colloquiare con interlocutori anche non specialisti o dotti e farsi intendere da tutti anche attraverso i contenuti non sempre facili della sua dottrina: di qui la scelta di comporre in volgare le opere maggiori: il Liber de homine o Il Perché e il Tractato de la pestilentia, alle quali dette un taglio decisamente divulgativo e antiaccademico, non appesantendole con i consueti ricorsi alle auctoritates, semmai introdotte per opporvi osservazioni cliniche, frutto dell'esercizio pratico di una scienza medica sempre fortemente collegata con l'astrologia. Attraverso l'insegnamento dell'astrologia, il M. fu tra coloro che intesero ridare dignità culturale alla medicina, restituirle una posizione di guida in concorrenza con il diritto che, soprattutto in ambito bolognese, aveva a lungo dominato senza contrasti.

Il Liber de homine o Il Perché, finito di stampare una prima volta a Bologna il 1 luglio 1474 "per Ugonem Rugerium ed Dominicum Berthocum", poi, nel 1497, dal solo Ugo Ruggeri, fu successivamente ristampato numerose altre volte fino al secolo XIX. L'opera fu anche tradotta in lingua catalana nel 1499.

Il Perché si articola in due libri: il primo illustra i mezzi per conservare la salute, il secondo è diretto a chiarire quesiti vari, riguardanti in particolare le caratteristiche delle parti del corpo umano; precede, nell'editio princeps, un sommario non del tutto corrispondente ai contenuti del testo. Il Perché è un trattato di impostazione enciclopedica articolato in 565 quesiti e relative risposte, costruito secondo il metodo della questio, e si collega ai Problemata physica di Aristotele, a quelli del medico bizantino Alessandro di Tralle (VI sec.) e alle Quaestiones naturales di Seneca. L'adesione al testo aristotelico è tale solo dal punto di vista formale e culturale, perché il M. ripete spesso in capitoli diversi le stesse domande, ma, soprattutto, inserisce nel trattato tutto il bagaglio di conoscenze personali, di esperienze culturali che lo distinguono nettamente dalle sue fonti e rendono straordinariamente viva, umana e stimolante la sua opera. In essa affiora la mentalità diffusa della società del tempo su molti temi attinenti alla vita, alla salute e alla malattia, ma anche la proiezione degli strati più remoti e perturbanti della psiche dell'autore che appare ansiosa di addentrarsi nelle zone d'ombra, nell'ambiguità, nella labilità dei singoli individui. Il Liber de homine, pur nel suo accurato, quasi pedantesco ordito di considerazioni filosofiche, non si configura dunque come saggio specialistico rivolto agli studenti, e neppure come opera destinata unicamente a un pubblico colto o aspirante a quel ruolo intellettuale proprio dell'autore e degli accademici, ma vuole essere enciclopedia a carattere popolare per un duplice ordine di motivi: da un lato l'organizzazione dei quesiti che è propria della didassi scolastica ma anche di quella divulgativa, e dall'altro l'uso del volgare anziché del latino. La prima parte del Liber de homine, occupata da consigli dietetici, risente dell'influenza della scuola di Kos (V sec. a.C.) per "la giusta misura" intesa come conoscenza rispettosa dei ritmi fisiologici individuali; non è estraneo neppure l'influsso aristotelico e quello delle scuole mediche successive, da Galeno alla scuola salernitana. In questa parte dell'opera si tratta, in versi leonini assai approssimativi, di diversi tipi di cibi: il M. riprende i concetti del Flos medicinae salernitano, pur con inserzioni sulle abitudini alimentari del suo tempo come l'alimentazione con carne di orso o di pavone o di un suo universo culinario immaginifico, che prevede l'uso alimentare della carne di leone, di struzzo o di cammello.

I consigli che egli fornisce sull'alimentazione, pur risentendo di una stratificata tradizione medica, risultano conformi alla mentalità corrente, destinata a una lunghissima persistenza, condizionata dalla dicotomia che destinava i cibi più raffinati e costosi ai ricchi e quelli più grossolani agli artifices. Nel quesito 25 del libro I, 1, si trova un'affermazione, del tutto insolita e non reperibile in altri testi medici, secondo cui la carne umana sarebbe conforme al nutrimento dell'uomo se non fosse per la ripugnanza che l'uomo stesso prova nel cibarsene. Così per il M. l'antropofagia acquista funzione farmacologica straordinaria per la salute umana.

Il secondo libro prende in esame le varie parti del corpo sulla scorta dei Problemata aristotelici; il M. è qui mosso da un forte intento gnoseologico-morale, inteso a provare come le passioni e le tendenze individuali dipendano essenzialmente dagli influssi astrali e dagli aspetti fisici dell'uomo.

Il Tractato degno et utile de la pestilentia fu stampato a Bologna il 5 dic. 1478 da Giovanni Schreiber dell'Annunziata e fu ripubblicato in latino nel 1480 circa, probabilmente da Enrico di Colonia. Il M. dichiara di essere stato mosso alla compilazione da compassione e pietà per gli ammalati e di averlo composto in volgare perché nessuno si avvicinava agli ammalati di peste, neppure i medici. Il M. lega gli influssi astrali allo sviluppo e al diffondersi della peste come di altre malattie epidemiche e non, e insiste sullo stato di angosciosa disperazione degli appestati e sul loro degrado fisico e morale. Il trattato spicca tra la vasta produzione di opere mediche sulla peste proprio per l'espressa volontà dell'autore di recare giovamento a tutti, ricchi e poveri: un tocco originale di sensibilità sociale e di umanità sottolineato dalla richiesta a chiunque conseguirà qualche beneficio dall'opera di preghiere per l'autore, vivo o morto. Molta attenzione è dedicata all'astrologia diagnostica e si conferma, sulla scia di Avicenna, che sono le costellazioni e i corpi celesti il motivo principale della corruzione dell'aria, dell'acqua e della terra da cui si generano le malattie; lo stesso vale per gli individui, predisposti a contrarre il morbo secondo il loro segno zodiacale, decisivo anche dal punto di vista della terapia.

Al 1489 è datata un'altra opera che ha alla base la riflessione medico-astrologica: il Centiloquium de medicis et infirmis, scritto in latino, dedicato a Giovanni Bentivoglio e al suo primogenito Annibale (II) e finito di stampare a Bologna il 20 nov. 1489 da Bazalerius de Bazaleriis. Si tratta di un'opera di astrologia medica fondata sulla convinzione che le malattie siano dovute essenzialmente all'influenza negativa degli astri, in particolare dei pianeti Marte e Saturno, la cui congiunzione libera gas velenosi che, penetrando nel corpo, lo fanno ammalare. Di qui una serie di prescrizioni che mettono in guardia da questi due gravi pericoli. Questa teoria si divulgò in Occidente grazie al trattato, attribuito ad Aristotele, noto come Secreta secretorum, apprezzato da uomini di scienza quali Bacone e Pietro d'Abano, il quale giunse ad affermare che lo studente in medicina doveva conoscere tutto lo scibile, ma che le discipline più utili erano, in ordine, l'astrologia, la logica e le scienze naturali. La prima massima del Centiloquium recita che il medico che opera senza astrologia non è perfetto: ogni parte del corpo è messa in relazione, secondo la medicina astrologica, con un segno zodiacale, e da questa teoria discendono tutte le indicazioni diagnostiche e terapeutiche. La diagnosi astrologica indica le malattie che colpiranno chi nasce sotto un segno negativo o sotto l'influenza di un astro maligno. Nelle massime conclusive il M. offre indicazioni di astrologia terapeutica, senza trascurare la questione dei rapporti personali tra medico e paziente, anch'essi legati agli influssi astrali.

Quello che ancora stupisce chi legga l'opera del M., soprattutto Il Perché, il cui successo si prolungò nei secoli successivi, pur con alcuni tagli imposti da una tardiva censura, è senza dubbio la scelta del volgare, come vincente è la formula espositiva: un tentativo efficace di offrire risposta ai tanti interrogativi che si ponevano l'uomo comune e il dotto, ovvero di indurre, attraverso i quesiti, delle curiosità sulle strette relazioni tra l'uomo e il cosmo. Se le risposte offerte dal M. ai tanti perché paiono talora consumarsi nel vuoto giro di frustranti tautologie, a lungo il suo pubblico fu pago delle certezze che l'opera era in grado di infondere e della sua felice impostazione. Il M. ha condotto per oltre tre secoli i suoi lettori tra centinaia di quesiti medici con l'occhio sempre rivolto al cielo, forte di una concezione della realtà basata su un principio universalmente valido: non v'è cosa che accada in un luogo qualsiasi del mondo che non influenzi in qualche maniera tutte le cose esistenti.

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