FONDULO, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FONDULO, Girolamo

Francesco Piovan

Nacque a Cremona da nobile famiglia (uno dei suoi antenati, Cabrino, era stato signore della città dal 1406 al 1420), in data ignota, che è probabilmente da porsi entro gli ultimi due decenni del sec. XV.

Nei primi anni del Cinquecento il F. fu allievo di M. Musuro, forse a Padova. A partire dal 1518 l'attività del F. è maggiormente documentata. In quell'anno era a Venezia, nella famiglia di Jean de Pins, ambasciatore francese presso la Serenissima, cui insegnava il greco. Il F. era inserito, sia pure in posizione un po' defilata, nella rete di rapporti culturali che il de Pins manteneva, ad esempio, con P. Bembo e Christophe de Longueil (Longolio); l'epistolario di quest'ultimo, in particolare, pur nella sua vaghezza umanistica, è una fonte di notevole importanza per la biografia del F. tra secondo e terzo decennio del Cinquecento.

Secondo P.S. e M.H. Allen (e, sulla loro scorta, Irigoin e Deutscher) il F. si sarebbe guadagnato - grazie, con ogni probabilità, ai buoni uffici del de Pins - la protezione di Luisa di Savoia, madre di Francesco I, e si sarebbe trasferito in Francia nel 1520. In realtà, proprio dalle lettere del Longueil risulta che il F. nel 1521 era a Roma con il de Pins e in relazione col Bembo, F.M. Molza, A. Lelio e altri letterati della corte di Leone X. Entrò anche a far parte dell'Accademia Coriciana.

Solo alla fine del 1521, o tutt'al più nel 1522, il F. si trasferì a Parigi, nell'entourage della regina madre. Qui entrò in contatto (o forse rinnovò una precedente conoscenza degli anni padovani) con Germain de Brie (Brixius), segretario di Anna di Bretagna ed elemosiniere del re. Il de Brie, che aveva studiato il greco a Venezia con G. Lascaris e a Padova, nel 1508-1509, con il Musuro, approfittò dell'arrivo del F. per riprendere con rinnovata lena gli studi classici e patristici a partire dal 1522-23. Il sodalizio con il F. e i progressi compiuti sotto la sua guida lo spinsero a tradurre il De sacerdotio di Giovanni Crisostomo.

Nel 1527, certo grazie alle protezioni che aveva saputo conquistarsi a corte, il F. ricevette una pensione dalla Corona francese, e successivamente (ma la data è incerta) divenne regio segretario. E forse lui - secondo una proposta di P.S. e M.H. Allen - quel "Balista" amico del de Brie che visitò Erasmo a Basilea nel novembre del 1527. A partire da questo momento le tracce del F. si confondono di nuovo. Secondo lo Zeller, avrebbe accompagnato in Francia il cardinale Giovanni Salviati nel 1527, ma l'affermazione - per la quale non si danno fonti esplicite - sembra essere frutto di un fraintendimento. Il Salviati fu in Francia, presso la corte, dalla fine del 1526 all'autunno del 1529 come legato papale, ed è del tutto verosimile che in questo triennio il F. sia entrato a far parte della sua familia e che lo abbia poi seguito al suo rientro in Italia. Alla fine del 1531 era a Roma, membro dell'Accademia dei Vignaioli. Ne offre testimonianza una lettera di G. Mauro a G. Pomino che descrive un banchetto offerto da G.F. Muscettola, ambasciatore di Carlo V, agli accademici - tra cui il F. - la sera del 13 dicembre (Maylender).

In questo periodo il F. era certamente al servizio del cardinal Salviati, come risulta dall'intitolazione di una sua lettera del 20 febbr. 1533 a G.R Bini e da un biglietto, purtroppo non datato, scritto dal F. ad A. Colocci per invitarlo a cena dal cardinale. Sempre all'anno 1533 risale la menzione del F. che fa Francesco Berni nel Capitolo della primiera rivolto a Bartolomeo Cavalcanti (vv. 116-121), da cui si ricavano due interessanti informazioni sulla magrezza del F. e sulla sua conoscenza dell'ebraico. A quello stesso periodo risale una lettera del F. a G. B. Mentebuona, scritta il 27 luglio 1533 durante un viaggio in Toscana., in cui egli ringrazia il suo corrispondente "dell'opera et fatica fatta per conto dell'abatia, et della espedizione delle bolle, del che io gliene resto grandemente obbligato". Il F. sembra qui riferirsi a un qualche beneficio da lui ottenuto. Che egli fosse un ecclesiastico è del resto provato dal tentativo che fece, nel febbraio del 1538, di farsi assegnare il priorato di Suresnes presso Parigi, ma quando e dove avesse preso gli ordini non è noto.

Per un periodo imprecisato, alla fine del 1534, il F. soggiornò a Gubbio presso Federico Fregoso, vescovo della città, cosa di cui si congratula, con una punta di vera o simulata invidia, il Bembo in lettera datata 10 genn. 1535 al Fregoso: "piacemi che voi abbiate goduto quel dotto e singolare uomo in cotesti secessi così longamente. Vorrei essere stato alla parte de' vostri congressi ancora io". È di nuovo il Berni a darci la notizia più interessante su questi "congressi" eugubini. Nella penultima di un gruppo di diciotto strofe che avrebbero dovuto far parte del proemio al capitolo XX del rifacimento dell'Orlando innamorato (strofe non pubblicate da P. Aretino nell'edizione postuma del 1545 per il loro sapore eterodosso e riesumate nel 1554 da P.P. Vergerio) il Berni si rivolge al Fregoso così: "0 buon Fregoso, che hai chiuso l'orecchio / a le sirene della poesia, / e ti stai nell'etemo e vivo specchio, / lieto godendo la Filosofia / ora del nuovo Patto, ora del vecchio, / sei sgombro pur di quella frenesia / che avevi col Fondul i giorni a dietro / di accordar con Platon Paolo e san Pietro". Uno degli argomenti dei colloqui tra il Fregoso e il F. era dunque la possibilità di conciliare filosofia antica e rivelazione cristiana, e neppure è da dimenticare che il Fregoso era vivamente interessato alla cultura ebraica, di cui il F. - come accennato - non era digiuno.

Gli anni 1535 e 1536 sono di nuovo anni bui, eccezion fatta per la piccola notizia fornita dal Campo, secondo cui, nell'ottobre del 1535, il F. era a Cremona. Il 3 dic. 1536 lo troviamo al servizio del cardinale François de Tournon che, nella chiusa di una lettera da Lione a Francesco I, raccomanda al re il "pouvre Fondulus". Circa un mese più tardi, l'11 genn. 1537, il cardinale rinnovò le sue raccomandazioni a favore del F. in una missiva al gran maestro della Casa reale Anne de Montmorency. Da queste lettere sembra doversi dedurre che, mentre il suo nuovo protettore era a Lione come luogotenente generale del re, il F. si trovava a Parigi.

È probabilmente in questo periodo che fu precettore dei figli di Francesco I, incarico ricordato dai biografi antichi come il maggior titolo di merito del Fondulo. I Primi due figli di Francesco I, Francesco ed Enrico, ebbero come maestro dal 1524 al 1534 il sarzanese Benedetto Tagliacame (Teocreno), che li seguì anche nella loro prigionia in Spagna dal 1526 al 1530; al Tagliacarne successe Guillaume du Maine, cui si può pensare sia stato affiancato per qualche tempo il Fondulo.

A quanto si ricava da una lettera di B. Cavalcanti ai cardinali G. Salviati, N. Ridolfi e N. Gaddi, il 6 maggio del 1537 il F. doveva trovarsi a Lione presso il cardinale de Tournon, che nel corso di quello stesso anno gli affidò anche una missione diplomatica in Val d'Aosta. Il servizio presso il cardinale francese significò anche, per il F., l'ingresso nel Sodalitium Lugdunense, numerosi membri del quale erano protetti dal porporato. In particolare strinse rapporti d'amicizia con Etienne Dolet, che gli indirizzò un carme latino altamente elogiativo.

Nel febbraio del 1538 - come già si è detto - tentò di ottenere il priorato di Suresnes, mentre da una lettera di B. Cavalcanti a P. Vettori del 4 luglio 1538, scritta da Ferrara, abbiamo notizia di maneggi del Cavalcanti stesso, appoggiato dal F., per procurare un impiego a D. Giannotti. Quello stesso anno, conclusa la tregua di Nizza con Carlo V, Francesco I decideva di inviare il F. in Italia, con una dotazione di 4.000 ducati, allo scopo di acquistare manoscritti, soprattutto greci, che sarebbero andati ad arricchire la biblioteca reale di Fontainebleau; ma - secondo quanto scriveva nel 1540 Guillaume Pellicier, ambasciatore francese a Venezia, ad Antoine Ringon, incaricato d'affari francese a Costantinopoli - scopo della missione del F. era anche l'acquisto di libri per la biblioteca del collegio di lettori reali (il futuro Collège de France), che Francesco I aveva in animo di istituire. Ci è stata conservata la lettera commendatizia indirizzata il 18 sett. 1538 da Francesco I a Ercole II d'Este, duca di Ferrara, per chiedergli di accordare tutto il suo aiuto a favore del F., qualificato come elemosiniere e segretario di camera del re, nella ricerca di libri "tant grecs que latins, des meilleurs et plus singuliers aucteurs qui se pourront trouver". Il F. passò probabilmente per Ferrara diretto a Venezia, dove maggiori che altrove erano le possibilità di trovare manoscritti greci in vendita, o di farne copiare.

A Venezia, appoggiandosi anche al Pellicier, il F. prese contatto con la folta colonia di dotti e copisti greci, in particolare con Demetrio Zeno e Antonio Eparco. Nel 1539 acquistò un lotto di una cinquantina di volumi, alcuni dei quali a stampa, che pagò 200 ducati e inviò in Francia (la lista presso la Bibliothèque nationale di Parigi, nel ms. Paris. Gr. 3064, c. 68rv); in questa occasione a fornirgli manoscritti fu lo Zeno. Meno fortunati furono, al momento, i contatti con l'Eparco, che solo nel luglio del 1540 avrebbe fatto dono a Francesco I di una quarantina di manoscritti, ricevendone una gratifica di 1.000 scudi.

Ma a trattare la cessione non era stato il F., che era morto a Parigi il 12 marzo 1540.

La produzione letteraria del F. è esigua. L'opera principale da lui composta è una commedia in latino, la Lucia, che ci è tramandata da due soli testimoni: il ms. Lat. XII. 143 (4511) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, del sec. XVI, e il ms. R. 3012 della Biblioteka Uniwersytecka di Breslavia, del 1731.

La trama della commedia, sfrondata degli episodi secondari, è assai semplice. Il vecchio Candido ha una bella figlia in età da marito, Lucia, di cui è geloso custode. La fanciulla ama riamata il giovane Lucio, ma è concupita anche da due vecchi, Ulisse e Demenzio: il primo, vicino e amico di Candido; il secondo, padre dello stesso Lucio. Ambedue i vecchi si affidano alle arti dei servi per poter giungere a Lucia, che è rimasta sola in casa, affidata alla sorveglianza del servo Sinone, poiché Candido ha dovuto recarsi per un giorno in campagna. I servi di Ulisse e Demenzio, però, più che aiutare i padroni, si fanno beffe di loro. Nel frattempo Lucia, su consiglio della sua ancella Santilla, si finge malata: riesce così ad allontanare Sinone e accoglie in casa Lucio. L'improvviso ritorno di Candido provoca lo scioglimento della fabula: i due giovani innamorati vengono scoperti e, anche per evitare lo scandalo, Candido acconsente infine al matrimonio.

Nella dedicatoria in versi al patrizio cremonese Sigismondo Picenardi, senatore di Milano, il F. si definisce "adolescens tantillus" (v. 21) e nel prologo parla di sé come "vatem... novuni." (v. 113): il che fa appunto ritenere che la Lucia sia opera giovanile; di un giovane già capace, tuttavia, di maneggiare con sicurezza il senario giambico e di rielaborare con esiti decorosi, nell'ambito di una programmatica imitatio, i modelli plautino e terenziano.

Due epigrammi dei F. sono contenuti in A. Guarna, Bellum grammaticale, Venetiis, Bindoni, 1522.

Fonti e Bibl.: Ch. de Longueil, Orationes duae... Eiusdent epistolarum libri quatuor..., Florentiae 1524, cc. 69rv [I,7], 70r [I,8], 80v-81r [I,23], 90v-91r [II,3], 91r [II,4], 92r-94v [II,6]; E. Dolet, ... Carminum libri quatuor, Lugduni 1538, pp. 74 s. [II,13]; De le lettere facete, et piacevoli di diversi grandi huomini..., a cura di D. Atanagi, I, Venetia 1561, pp. 320, 341-344 (due lettere del F.); F. Bemi, Poesie e prose, a cura di E. Chiorboli, Genève-Firenze 1934, p. 163; P. Bembo, Opere, III, Venezia 1729, p. 43; M.G. Vida, Poemata omnia, II, Patavii 1731, p. 160; Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, a cura di P.S. Allen - M.H. Allen, V, Oxonii 1924, pp. 136 ss. n. 1319; VI, ibid. 1926, pp. 375-378 n. 1733; VII, ibid. 1928, pp. 261 s. n. 1910; Correspondance du cardinal Françis de Tournon 1521-1562, a cura di M. François, Paris 1946, pp. 145 n. 188, 165 n. 236; B. Cavalcanti, Lettere..., a cura di C. Roaf, Bologna 1967, pp. 64, 86, 362; I. Bonfadio, Le lettere e una scrittura burlesca, a cura di A. Graco, Roma 1978, p. 33; L. Cavitelli, Annales..., Cremonae 1588, c. 299v; A. Campo, Cremona fedelissima città..., Milano 1645, p. 156; F. Arisi, Cremona literata, II, Parmae 1706, pp. 31, 139 s., 294; G. Tiraboschi, Storia della lett. italiana, VII, 1, Modena 1777, pp. 117 s.; L. Delisle, Le cabinet del manuscrits de la Bibliothèque Impériale, I, Paris 1868, pp. 151 s., 156 s.; J. Zeller, La diplomatie française vers le milieu du XVIe siècle d'après la correspondance de Guilzaume Pellicier..., Paris 1881, pp. 97-100, 103, 130; E. Legrand, Bibliographie hellénique ou description raisonnée des ouvrages publiés en grec par des Grecs aux XVe, et XVIe, siècle, I, Paris 1885, pp. CCXIV, 180; H. Omont, Catalogues des manuscrits grecs de Fontainebreau sous François Ier Henri II, Paris 1889, pp. IV s.; V. Cian, Gioviana. Di Paolo Giovio poeta, fra poeti, e di alcune rime sconosciute del sec. XVI in Giorn. stor. della lett. italiana, XVII (1891), pp. 303 s. n. 2; A. Lefranc, Histoire du Collège de France depuis ses origines jusqu'à lafin du premier Empire, Paris 1893, pp. 153 s., 158; E. Percopo, Di Anton Lelio romano e di alcune pasquinate contro Leone X, in Giorn. stor. della lett. italiana, XXVIII (1896), p. 70 n. 2; A. Tilley, Humanism under Francis I, in The English historical review, XV (1900), p. 469 e n. 56; T. Simar, Christophe de Longueil humaniste (1488-1522), Louvain 1911, pp. 164, 185 s.; L. Cisorio, Medaglioni umanistici, con un epilogo sul Cinquecento cremonese, Cremona 1919, pp. 38, 99 s.; L. Delartielle, L'étude du grec à Paris de 1514 à 1530, in Revue du seizième siècle, IX (1922), p. 144; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, V, Bologna 1930, pp. 466 s.; M. François, Le cardinal François dè Tournon..., Paris 1951, pp. 170 n. 5, 510 e n. 3; A. Stäuble, La commedia umanistica del Quattrocento, Firenze 1968, pp. 131 s. (ritiene, erroneamente, perduta la Lucia); F. Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci, a cura di V. Fanelli, Città dei Vaticano 1969, pp. 38 n. 47, 115, 126; J. Irigoin, Les ambassadeurs à Venise et le commerce des manuscrits grecs dans les années 1540-1550, in Venezia centro di mediazione tra Oriente e Occidente (secoli XV-XVI). Aspetti e problemi, a cura di H-G. Beck - M. Manoussacas - A. Pertusi, II, Firenze 1977, pp. 401 s. e n. 10, 403, 409 s.; S. Caponetto, Lutero nella letteratura italiana della prima metà del '500: Francesco Berni, in Lutero in Italia. Studi storici nel V centenario della nascita, a cura di L. Perrone, Casale Monferrato 1983, p. 58; M.M. de la Garanderie, Germain de Brie, in Contemporaries of Erasmus. A biographical register of the Renaissance and Reformation, a cura di P.G. Bietenholz - T.B. Deutscher, I, Toronto-Buffalo-London 1985, p. 200; T.B. Deutscher, G. F., ibid., II, ibid. 1986, p. 42; S. Berti, Un frutto tardivo del teatro umanistico: la inedita commedia "Lucia" di G. Fondoli, tesi di laurea, Univ. di Venezia, Fac. di lettere e filosofia, a.a. 1987-88; G. Mazzatinti, Inv. dei mss. ital. delle bibl. di Francia, I, p. CIII; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 242; IV, p. 432a.

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