PACCHIA, Girolamo del

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PACCHIA, Girolamo

Serena Vicenzi

del (Girolamo di Giovanni). – Nacque a Siena nel 1477 da Giovanni di Giovanni e da Apollonia del Zazzera. Il padre, maestro di bombarde di provenienza ungherese, lo lasciò orfano a solo un anno di età.

Una singolare vicenda storiografica ha fatto sì che dopo la sua morte si perdessero molti dei suoi dati anagrafici, spesso confusi con quelli del poco più anziano Giacomo Pacchiarotti.

Anche la menzione vasariana (1568, p. 391), che lo ricorda come frescante nell'impresa dell'oratorio di S. Bernardino da Siena a fianco del Sodoma e di Domenico Beccafumi, venne da subito travisata dalla storiografia artistica locale che attribuì impropriamente gli affreschi a Pacchiarotti. È stato solo grazie alle ricerche di Gaetano Milanesi che si è potuto tornare a individuare correttamente la personalità artistica del pittore senese.

Sull'attività giovanile di Girolamo Fiorella Sricchia Santoro (1982, pp. 14-23) ha ipotizzato un'iniziale stretta collaborazione con Pacchiarotti, fatto che motiverebbe la confusione, perpetratasi così a lungo, fra i due. La studiosa ha  identificato una delle prime opere di Girolamo, risalente al momento della collaborazione con Pacchiarotti, nel trittico dell'oratorio della Misericordia raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Paolo e Antonio abate, esempio della diretta assimilazione senese della cultura umbro-romana di fine secolo.

In virtù dell'eccentrica interpretazione dei modelli perugineschi che caratterizza la fase iniziale di Girolamo, la studiosa gli ha attribuito anche opere come la Carità e la Fortezza della Pinacoteca nazionale senese e le decorazioni della volta della libreria Piccolomini.

Sulla scorta, poi, di un accenno contenuto nell'inventario dei beni di Neroccio di Bartolomeo de' Landi, datato 26 novembre 1500 e stilato subito dopo la morte del pittore  – «uno tondo di serpentino picholo, ha el Pachia sta a Roma» – Sricchia Santoro (1982, p. 14) ha supposto un giovanile viaggio romano, che avrebbe coinvolto sia Girolamo sia Pacchiarotti, una notizia preziosa per spiegare il supposto diretto coinvolgimento dei due artisti, a fianco del Pinturicchio, nella decorazione della volta della libreria Piccolomini (1502): non riconoscendo nei riquadri popolati di figure della volta Piccolomini i modi consueti del Pinturicchio, sarebbe attribuibile al binomio Pacchia-Pacchiarotti l'intera figurazione della volta.

Alla medesima collaborazione Sricchia Santoro ha fatto risalire anche opere come la predella della City Art Gallery di Manchester con Annunciazione, adorazione del Bambino con s. Brigida e Adorazione dei magi e presentazione al tempio, le due coppie di santi della Pinacoteca nazionale senese (S. Agnese e s. Francesco e S. Girolamo e s. Maria Maddalena, nn. 364 e 398), e l'Adorazione dei Pastori dello stesso museo (n. 407), tutte opere che Alessandro Angelini (1988, pp. 39-44) tende invece a riferire al solo Pacchiarotti.

Sfruttando lo spunto dato dal documento del 1500, Angelini (2002, pp. 134-140; 2005, pp. 521-526), sulla scorta di quanto proposto da Sricchia Santoro, ha circoscritto la presenza romana di Girolamo come aiuto, assieme al più anziano compagno, nell'importante bottega del Pinturicchio. I due pittori avrebbero preso parte alla decorazione della cappella Basso della Rovere in S. Maria del Popolo: in particolare Angelini assegna alla mano di Girolamo i monocromi dello zoccolo illusionistico (Disputa di s. Agostino, Martirio di s. Caterina d'Alessandria, Martirio di s. Pietro, Martirio di s. Paolo e Sibille).

Le differenze stilistiche dal più convenzionale Pacchiarotti e dallo stesso Pinturicchio si notano già in queste prime opere: abilità narrativa e richiamo all'antico si fondono con la una spiccata sensibilità per i valori chiaroscurali e con la propensione verso una pittura morbida e sfumata di ascendenza umbra: caratteristiche che di lì a pochi anni avrebbero reso Girolamo uno dei più entusiasti seguaci senesi di Raffaello Sanzio.

Se si esclude la breve menzione del documento del 1500, il primo documento pervenuto su Girolamo risale al 1508, anno nel quale dipinse una tavola (perduta) per la certosa di Pontignano con la Vergine col Bambino e s. Giovanni (Milanesi, 1856, p. 59). Stando sempre a Milanesi, nel 1510 stimò con altri pittori la tavola dipinta da Pietro Perugino per la cappella Vieri nella chiesa di S. Francesco, opera cui si rifece per l'Ascensione che realizzò per la chiesa del Carmine a Siena. Nonostante il palese richiamo al modello peruginesco l'Ascensione mostra tuttavia nella definizione attenta dei volti segnati da passaggi chiaroscurali morbidissimi che modellano anche il corpo in movimento del Cristo, l'apertura di Girolamo a un contatto con l'arte di Raffaello.

Erano gli anni del precoce approdo a Siena della maniera moderna che, veicolata attraverso le novità importate da artisti come Girolamo Genga e Giovann Antonio Bazzi, affascinò a tal punto Girolamo da condurlo a una conversione artistica in netta cesura con tutta la sua produzione precedente.

Nell'Incoronazione di Maria, eseguita nel 1513 per la chiesa senese di S. Spirito, la rivoluzione appena accennata nella pala del Carmine viene portata a compimento: l'adesione ai modi di Raffaello è completa e tale da rendere probabile una conoscenza diretta delle opere del maestro.

La sintassi umbra tipica del Pinturicchio viene superata per una disposizione completamente libera dei corpi che non sono più costretti a seguire la rigida divisione fra piano terreno e celeste tipica delle opere precedenti: gli angioletti che giocano nel gorgo di nuvole fungono da raccordo con il gruppo delle figure in basso dove il san Pietro ostenta uno scorcio arditissimo e nuovo.

A quel giro di anni (1513-15) si fa risalire anche l'Annunciazione della chiesa di S. Lorenzo a Sarteano, che i colori sgargianti, pastosi e saturi, il ductus pittorico morbidissimo e il raffaellismo non scontato delle figure pongono ai livelli più alti mai raggiunti dall'artista. Avvicinabili stilisticamente all'Annunciazione sono il tondo dell'Accademia di Firenze con la Madonna con Bambino e s. Giovannino e il cataletto realizzato per la compagnia del Corpus Domini da riferirsi allo stesso periodo: le due testate di bara con la Madonna col Bambino e il Cristo risorto (Siena, coll. Chigi-Saracini) sono infatti già immerse in quell'atmosfera di fascinazione per la contemporanea pittura di Raffaello che avvolge le due tavole in una dolcezza un po' patetica, schiarendo moltissimo i colori e rivelando una pittura velata da trasparenze cangianti.

Si tratta di uno dei momenti più felici della parabola artistica di Girolamo nel quale egli assunse un ruolo d'avanguardia, assieme al Sodoma  e a Domenico Beccafumi, nella contemporanea pittura senese.

Nel 1518 è documentata (Milanesi, 1856, p. 69) la tavola per la cappella Tantucci nella chiesa senese di S. Spirito (Pinacoteca nazionale di Siena), dove sono contemporaneamente rappresentati i due temi dell'Annunciazione e della Visitazione (Torriti, 1978, p. 178) Nella tavola, probabilmente causa l'affiliazione dei domenicani di S. Spirito a quelli del convento fiorentino di S. Marco, si riprende il modello iconografico della celebre pala di Mariotto Albertinelli, dipinta nel 1502 per il convento di Firenze, ma a prescindere dal modello iconografico la tavola di S. Spirito non deve nulla al vicino mondo fiorentino, mostrando piuttosto, ancora una volta, la fascinazione per Raffaello assieme a un omaggio, nei putti reggicortina, alla contemporanea pittura di Beccafumi.

Girolamo, accanto a Beccafumi e al Sodoma, fu coinvolto nella decorazione dell'oratorio di S. Bernardino, uno dei complessi più rappresentativi della pittura senese di inizio Cinquecento. Documentato come partecipante alle periodiche riunioni della compagnia già dal 1511 (Milanesi, 1856, pp 59 s.), realizzò per i confratelli un gonfalone e un cataletto (due delle quattro tavole di questo, consegnate alla compagnia di S. Bernardino nel 1515, sono state riconosciute nella Madonna col Bambino e quattro angeli e nel S. Bernardino e due angeli della Pinacoteca di Monaco). I pagamenti del 1518 attestano l'ultimazione degli  affreschi realizzati da Girolamo (Angelo annunciante e Vergine annunciata Natività di Maria e S. Bernardino), in pieno dialogo con le opere di Beccafumi e del Sodoma.

In un manifesto omaggio alla pittura moderna di Raffaelloi suo i modi si declinano in un impasto morbidissimo e vellutato non più memore dei tratti taglienti che caratterizzavano i profili delle figure tipiche del primo periodo.

Negli anni successivi Girolamo sembra ripercorrere con consapevole originalità schemi compositivi già sperimentati: validi esempi sono la Visitazione della collegiata di Casole d'Elsa, il gonfalone del Corpus Domini della collezione Chigi-Saracini o la pala Bandinelli di S. Cristoforo a Siena, tutte opere da porsi successivamente all'impresa dell'oratorio di S. Bernardino (Angelini, 1990, pp. 276 s.).

Il suo ultimo grande impegno decorativo consistette nella realizzazione di due affreschi per l'oratorio di S. Caterina: S. Caterina che bacia il piede di s. Agnese da Montepuciano e S. Caterina che libera i monaci dall'assalto dei banditi.

Nell'occasione Girolamo lavorò a contatto con Vincenzo Tamagni e ancora una volta a fianco del Sodoma e di Pacchiarotti. La pennellata sempre più libera e sfrangiata si accosta alla perfezione agli espliciti richiami al Raffaello della Cacciata di Eliodoro che si concretizzano nella grande architettura centralizzata del Miracolo di s. Agnese e nelle cornici a grottesca inserite ai margini degli affreschi.

I rapporti evidenti con la tecnica rapida della pittura delle Logge, hanno portato Angelini (1988, p. 54) a proporre un rapporto diretto di Girolamo con la pittura romana della cerchia di Raffaello: da non trascurare la contemporanea presenza nell'Urbe di un vero e proprio manipolo di pittori senesi: Peruzzi, il Sodoma, Beccafumi e Bartolomeo di David.

A quegli anni Angelini attribuisce anche l'Arianna abbandonata della collezione Chigi-Saracini già collegata al nome di Girolamo del Pacchia da Ciatti (in Mostra di opere d'arte restaurate, 1981, pp. 140 s.). L'abbandono del disegno a favore di un uso libero del colore che si palesa nei contorni sfrangiati delle figure fa ipotizzare una datazione vicina alla fine del secondo decennio del Cinquecento.

Nel Ratto delle sabine (Malibu, Paul Getty Museum), oltre al paritario rapporto di scambio con la contemporanea pittura di libere accensioni cromatiche di Beccafumi si trova una certa disinvoltura nella costruzione delle linee della narrazione che deriva, ancora una volta, dal mondo romano di Raffaello e della koinè di artisti che lavorarono all'impresa delle Logge (Bisogni, 1981, p. 40).

All'ultimo periodo si fa risalire tutta una serie di opere, a partire dal tondo della Pinacoteca senese con Sacra famiglia con s. Caterina da Siena (Torriti, 1978, p. 177), la Madonna con Bambino e santi (Siena, collezione Chigi-Saracini), la Madonna con Bambino e santi (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) e la Sacra famiglia con s. Caterina (Greenville, Bob Jones University).

I dipinti sono caratterizzati da un netto avvicinamento ai modi del Sodoma: la pittura pastosa che si costruisce su tonalità calde compone le figure come se fossero modellate in cera e le fa emergere da fondali avvolti nella penombra. Il rapporto effettivo con il Sodoma, particolarmente evidente in un'opera come la Madonna col Bambino s. Giovannino s. Bernardino e s. Caterina (Siena, collezione Chigi-Saracini), si rende più esplicito negli anni che seguirono la comune collaborazione alle imprese degli oratori di S. Bernardino e di S. Caterina.

Uno degli ultimi lavori viene identificato (M. Lenzini, in Arte..., 1970, pp. 39 s.) con la pala della Deposizione dalla Croce e relativa predella con Storie della passione di Cristo realizzate per la collegiata di S. Martino a Sinalunga, in cui Girolamo si mostra particolarmente vicino al linguaggio del Sodoma in un’interpretazione ormai stanca e povera di stimoli nuovi. I richiami alla precedente Deposizione del Sodoma (Siena, Pinacoteca nazionale) si fanno quasi pedanti, mostrando un artista non più in grado di rinnovarsi.

Il nome di Girolamo compare associato ad altri undici fondatori negli Statuti della congrega dei Rozzi del 1531: «Girolamo di Giovanni Pacchiarotti, pittore Dondolone». Come si è già visto la confusione anagrafica fra Girolamo del Pacchia e Giacomo Pacchiarotti si ripropose fin da subito quasi sistematicamente. Il fatto che il nome di battesimo venga però citato correttamente per intero porta, coerentemente a quanto già fatto notare da Milanesi, a considerare la possibilità che il pittore 'dondolone' già nel 1533 escluso dalla compagnia in quanto appartenente a un'altra, quella dei Bardotti, sia in realtà Girolamo di Giovanni del Pacchia.

L'ultima notizia documentata del pittore è quella relativa all'anno d'ingresso nella congrega dei Bardotti (1533), nella quale svolgeva la mansione di tamburino.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, p. 391; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, III, Siena 1856, pp. 59 s., 69; M. Salmi, Dipinti senesi nella raccolta Chigi-Saracini, in La Diana, VIII (1933), pp. 77 s.; Arte in Valdichiana (catal.), a cura di L. Bellosi, Cortona 1970, pp. 39 s.; P. Torriti, La pinacoteca di Siena, 2, I dipinti dal XV al XVIII secolo, Genova 1978, pp. 177 s. ; F. Bisogni, Le opere di Domenico Beccafumi nella collezione di Galgano Saracini, in Prospettiva, 1981, n. 26, pp. 25-47; Mostra di opere d'arte restaurate nelle provincie di Siena e Grosseto (catal.), a cura di P. Torriti, II, Genova 1981, pp. 140 s.; F. Sricchia Santoro, Ricerche senesi, 1, Pacchiarotto e Pacchia, in Prospettiva, 1982, n. 29, pp. 14-23; F. Bisogni, La pittura a Siena nel primo Cinquecento in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1987, pp. 335-349 passim; A. Angelini, G. del P., in Da Sodoma a Marco Pino, a cura di Fiorella Sricchia Santoro, Firenze 1988, pp. 39-44, 54; Id., G. del P., in Domenico Beccafumi e il suo tempo, (catal., Siena), Milano 1990, pp. 276 s.; A. De Marchi, in Da Sodoma a Marco Pino, addenda, a cura di F. Sricchia Santoro, Firenze 1991, pp. 1-4; A. Angelini, Francesco di Giorgio e l'architettura dipinta a Siena alla fine del Quattrocento in Bulletino senese di storia patria, CIX (2002), pp. 117-183; Id., Pinturicchio e i suoi: dalla Roma dei Borgia alla Siena dei Piccolomini e dei Petrucci, in Pio II e le arti, Firenze 2005, pp. 483-553.

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