DELLA MARRA, Giozzolino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA MARRA (de Marra), Giozzolino (Jozzolino, Jezzolino, Joczolino, Jeczolino)

Mario Caravale

Figlio di Angelo di Giovanni e fratello, probabilmente maggiore, di Risone, nacque in data a noi sconosciuta.

Lo Sthamer, autore di un'ampia biografia del D. (Das Amtsbuch), fissò la sua nascita intorno al 1210,o poco prima, considerando che un figlio del D., Ruggero, nel 1259-1260risulta arcidiacono della Chiesa di Trani e che forse a quell'epoca non era nemmeno giovanissimo se si può identificare con il Ruggero de Lamarra, testimone nel 1247in una inchiesta sui diritti della Chiesa di Barletta. Lo Stliamer rilevava, inoltre, che nel 1283 gli altri due figli del D., Angelo e Galgano, avevano a loro volta figli adulti. La datazione proposta dallo Sthamer dovrebbe, però, essere anticipata di qualche anno alla luce del documento del 1271-1272 relativo alla richiesta di consenso regio avanzata dal figlio del D., Angelo, per il proprio figlio Giovanni (I registri, VII, p. 198).

La famiglia Della Marra era originaria di Ravello e si era stabilita a Barletta in data imprecisabile. Il Camera attribuì proprio al D. il trasferimento della famiglia; ma alcuni documenti attestano sin dal secondo decennio del secolo la presenza di questa nella città pugliese, dove il nonno del D., Giovanni, esercitava la mercatura. Il padre del D., Angelo, si era messo, poi, al servizio della monarchia sveva e aveva ricoperto importanti cariche nell'amministrazione finanziaria del Regno: nel 1240 era stato scelto da Federico II per far parte del Collegio di maestri razionali che proprio in quell'anno era stato istituito come vertice del governo finanziario. Con Angelo, dunque, la famiglia entrò a far parte del ristretto gruppo di funzionari capaci e specializzati che si andò formando nel periodo svevo e gradualmente si affermò alla guida dell'amministrazione statale.

Al pari del fratello Risone, il D., influenzato dall'ambiente in cui era cresciuto e si era formato, scelse di seguire l'esempio del padre e di confermare l'appartenenza al ristretto ceto di alti funzionari ora ricordato. Un'appartenenza che si avvaleva anche dei vincoli di parentela stabiliti tra i Della Marra e un'altra famiglia di grandi magistrati regi, i Rufolo, attraverso i matrimoni della zia del D., Sigilgaita, con Nicola Rufolo e della sorella del D., Anna, con Matteo Rufolo. Mancano, comunque, notizie su incarichi ricoperti dal D. sotto Federico II e non siamo, perciò, in grado di valutare l'ipotesi avanzata dallo Sthamer, secondo la quale egli operò al servizio dei maestri razionali. La prima notizia sicura su di lui risale all'agosto 1258 quando, dietro sua sollecitazione, Manfredi, appena incoronato, concesse alla città di Barletta il diritto di avere un mercato annuale, da tenere sulla metà del mese di agosto: nel documento relativo il D. appare con il titolo di maestro razionale.

Il D., dunque, risulta maestro razionale sin dall'inizio del regno di Manfredi e con questo titolo è indicato anche in successivi documenti. Come maestro razionale e familiare appare anche nel diploma trasmessogli dal sovrano svevo per precisare alcune sue competenze. Il diploma è stato pubblicato dal Winkelmann tra gli Statuta officiorum, di cui si dirà in seguito, ed è stato considerato sia dall'editore, sia dalla successiva storiografia come il fondamento della disciplina dell'ufficio di maestro razionale. Ma una più attenta lettura del testo induce a ritenere che si tratti non già del sommo ufficio dell'amministrazione finanziaria del Regno, bensì di quella sezione della "casa" reale che si occupava delle spese della "familia" del sovrano. Il D., infatti, doveva interessarsi degli acquisti "marestalle, guardaspense, coquine, buccillarie eiusdem magne curie nostre", doveva tenere "quaternum de familia nostra consimilem quaterno thesauriorum" e, infine, doveva esercitare il controllo "de rebus emptis in guardaspensa, coquina, buccillaria et marestalla nostra". Il diploma limita a questi i doveri del D. e nulla dice in merito alle competenze del suo ufficio nel campo della amministrazione del Regno. Sembra, allora, legittimo ritenere che il D., già al vertice della finanza dello Stato nella sua qualità di maestro razionale, avesse ricevuto anche la guida della finanza privata del sovrano. Non solo: alcuni diplomi di Manfredi - dell'8 apr. 1261, del 5 sett. 1265 e del 21 genn. 1266 - risultano dati per mano del D.: è probabile che egli ricoprisse un incarico anche all'interno dell'ufficio di cancelleria.

Nel complesso, dunque, le poche notizie che abbiamo sul D. per gli anni di Manfredi lo indicano come uno dei principali funzionari, consiglieri e familiari del monarca svevo: al suo seguito egli risulta l'8 apr. 1261 a Orta in Capitanata, il 10 dic. 1262 a Termoli, il 5 sett. 1265 a Lagopesole e il 21 genn. 1266 ad Aversa. La lunga fedeltà prestata a Manfredi, il favore da lui ricevuto non impedirono, comunque, al D. di passare al servizio di Carlo d'Angiò dopo la battaglia di Benevento.

Lo Sthamer (DasAmtsbuch)ha giudicato in modo negativo il rapido cambiamento di partito effettuato dal D. e lo ha attribuito alla sua ambizione e alla sua cupidigia. Il giudizio appare, però, troppo limitato alla persona del D. e non sembra tenere nel giusto conto la circostanza che la scelta del D. fu condivisa dagli altri grandi funzionari regi. Nella nuova situazione politica del Regno questi appaiono decisi a tenere in vita il ceto privilegiato che erano riusciti a formare negli anni precedenti e quindi a conservare la titolarità delle principali cariche amministrative. A questa scelta furono certamente sollecitati da Carlo d'Angiò, che non solo dovette garantire loro la situazione di cui avevano goduto sotto gli Svevi, ma provvide anche ad arricchirla di nuovi favori, senza badare alla antica fedeltà verso la passata dinastia: il nuovo sovrano aveva, infatti, bisogno della loro competenza ed esperienza per il governo di un Regno di cui poco conosceva e che trovava organizzato in un sistema istituzionale complesso e articolato.

Il D. - che subito dopo la battaglia di Benevento consegnò a Carlo I tutti i registri delle entrate conservati presso l'ufficio dei maestri razionali - ben presto fu confermato nella sua alta carica dal monarca angioino: era certamente maestro razionale nell'ottobre 1268, mese per il quale riscosse la retribuzione spettante ai titolari di quell'ufficio. Nei mesi successivi lo troviamo al seguito del sovrano angioino nei suoi spostamenti in Puglia: è, infatti, testimone a numerosi diplomi del re, sempre indicato come maestro razionale (6 dic. 1268 a Trani; a Bari il 30 dicembre e poi a Foggia, dove lo troviamo il 24 dicembre fino al giugno dell'anno successivo). Seguì il monarca anche all'assedio di Lucera: risulta, infatti, testimone a numerosi diplomi concessi da Carlo I "in obsidione Lucere" dall'8 maggio alla fine di agosto del 1269. Il 9 settembre il re lo incaricò di recarsi a Melfi per prendere documenti ivi custoditi: in questa città lo troviamo al fianco del sovrano a partire dal 25 settembre; il 5 ottobre, poi, Carlo gli assegnava gli animali da soma per trasportare i documenti.

Alla fine del 1269 il D. era a Napoli, dove è ricordato accanto al re in un diploma da questo concesso il 25 dicembre (Iregistri,V, p. 197). Il 20 marzo 1270 fu incaricato, insieme con l'altro maestro razionale Nicola Boucel e con il cancelliere Pietro di Bellomonte, del pagamento delle truppe. Subito dopo ebbe il compito di riscuotere tributi nelle varie province del Regno, ancora con Nicola Boucel: il 13 maggio Carlo ordinava ai due di far ritorno a Napoli con le somme raccolte. Sempre nel corso del 1270 svolse, con il Boucel, un'inquisitio suifunzionari regi delle terre "ultra Farum" e fece parte della commissione che impose le pene pecuni rie a quelli trovati colpevoli. Non seguì, perciò, il sovrano in Terra Santa, alla crociata intrapresa da Luigi IX di Francia: numerosi documenti confermano la sua presenza a Napoli nella seconda metà del 1270. Nel 1271 fu affiancato nell'ufficio di maestro razionale dal figlio Angelo, che sostituì il Boucel: i due ricevevano uno stipendio mensile di oltre 8 once d'oro, insieme con le somme necessarie all'acquisto del vestiario all'inizio dell'estate e all'inizio dell'inverno.

Sembra che il D. non fosse al seguito del re angioino nei viaggi da questo compiuti a Roma nel 1271 e nel 1272. Certamente non seguì Carlo quando si recò alla corte pontificia nel 1273: il 13 maggio, infatti, il re lo scelse tra i consiglieri del principe Carlo di Salerno, che avrebbe governato il Regno durante la sua assenza. A lui si rivolse il sovrano il 20 maggio, ordinandogli di spedire una somma al vicario angioino in Albania, il 13 agosto per incaricarlo di inviare in Albania le somme per gli stipendi delle truppe, e il 5 settembre per affidargli i preparativi delle nozze della figlia Beatrice con Filippo, figlio dell'imperatore d'Oriente Baldovino.

Il D. fece ancora parte del Consiglio di reggenza alla fine del 1275, quando Carlo I si recò di nuovo a Roma affidando il Regno a Roberto d'Artois. Prima di lasciare Napoli, Carlo il 25 dicembre dispose che una copia dei registri dei conti relativi all'amministrazione regia fosse custodita dal D. e un'altra presso il reggente. Il D. rimase nel Consiglio di reggenza anche dopo il 3 marzo 1276, quando Carlo di Salerno sostituì Roberto d'Artois. Il 12 febbr. 1277 il sovrano ordinò da Viterbo al figlio di imporre un tributo di 60.000 once d'oro e di avvalersi, in proposito, del consiglio di un ristrettissimo gruppo di fedeli, composto dal D., dal tesoriere Nicola Boucel e dal maestro giustiziere Giovanni de Alneto.

Il D. godeva, dunque, della stima e del favore del sovrano angioino. Lo conferma, tra l'altro, il fatto che Carlo I il 2 sett. 1277 ordinò per il D. la costruzione di una dimora nel palazzo Belvedere, che stava facendo erigere presso Pozzuoli, e successivamente provvide anche all'arredamento di tale dimora. Gli stretti rapporti tra il sovrano e il D. sono anche testimoniati dai numerosi prestiti che il secondo concesse al primo. Oltre ai tre mutui indicati dallo Sthamer (DasAmtsbuch) - consistenti, rispettivamente, in 2.000 (prima del 1270), in 250 (nel 1272) e in 1.000 (nel 1275) once d'oro - abbiamo notizie di un prestito di 70 once d'oro, di cui il re ordinava la restituzione il 26 marzo 1269 (I registri, II,p.28), di uno di 500 once e di un altro di 200 once, per il cui appianamento il monarca dava disposizione al giustiziere di Bari il 13 e il 30 dic. 1270 (ibid., VII, pp. 39, 80), di uno di 250 once d'oro, restituito nel 1271-1272 (ibid., VIII, p. 118) e, infine, di uno di 300 once d'oro della cui soluzione fu incaricato il giustiziere di Basilicata il 13 giugno 1271 (ibid., XV,p. 88).

Il 6 maggio 1278 Carlo I iniziò un nuovo viaggio verso Roma e ancora una volta il D. entrò a far parte del Consiglio di reggenza, come attestano due documenti del 10 e del 6 maggio (ibid., XVIII, pp. 151 e 160 s.). In entrambi gli atti il D. è indicato con il titolo di maestro razionale, carica che aveva certamente anche il 23 maggio quando risulta responsabile della custodia dei "quaterni de finibus et tenimentis" di tutto il Regno (ibid., XIX, p. 209). Qualche giorno dopo, il 28 maggio, appare, invece, con il titolo di tesoriere nel mandato regio rivolto a lui e a Nicola Boucel e riguardante i provvedimenti da adottare per consentire il passaggio nel Regno della regina e del nipote Carlo di Fiandra (ibid., XIX, p.211). È possibile che il D. abbia ricoperto contemporaneamente la carica di tesoriere e di maestro razionale: con quest'ultimo titolo è ricordato, infatti, in un documento dell'8 luglio (ibid., XIX, p. 269).

Questo sembra essere l'ultimo atto che ricordi il D. in vita. Egli mori probabilmente alla fine dell'estate del 1278, forse vittima dell'epidemia che colpì Napoli: nel mese di ottobre i figli Angelo e Galgano gli succedevano nei feudi di Ordeolo e di Roccetta.

Il D. ebbe un consistente patrimonio, come dimostrano i numerosi prestiti da lui concessi al monarca (e non è da escludere che egli facesse mutui anche a persone della corte, come potrebbe dedursi dal mandato regio del 1269-1270 con cui Carlo I ordinava la restituzione al D. di 20 once d'oro "quas mutuavit Hugoni de Nave militi": ibid., IV, p. 97) e la consistente dote di 150 once d'oro assegnata alla figlia Flandina quando, nel febbraio 1278, andò sposa al giurista Sparano di Bari. Delle sue terre conosciamo i feudi di Ordeolo, Roccetta e Amendolara nella Valle del Crati, feudi che gli erano stati concessi da Carlo I, e quello di Asinaria in Terra d'Otranto: non sappiamo se quest'ultimo fosse l'unico possesso in Terra d'Otranto del D., il quale compare in due elenchi di feudatari di tale regione nel 1271-1272.

Il D. ebbe numerosi figli. Oltre ai tre più noti - Angelo, Galgano e Ruggero - ebbe un quarto figlio, di nome Bertoldo. Di lui sappiamo che nel febbraio 1274 ricevette in dono dal D. il feudo di Amendolara (Carlo I dette il suo assenso il 15 febbraio) e nello stesso mese si sposò con Elena di Tommaso de Barono; inoltre nel 1275-1277 risulta castellano del castello di Cotrone e il 17 maggio 1277 fu nominato valletto e familiare dell'Ospizio regio (la "casa" reale che Carlo I andava organizzando sul modello dell'Hôtel regio francese). Ebbe anche tre figlie, Gaeta, che nel 1271 o 1272. Si sposò con Federico di Tarsia, Flandina e Sibilia che dopo la morte del D. si sposò con Riccardo di Pietravalda, feudatario di Terra d'Otranto. In merito alle scelte matrimoniali compiute dal D. per i suoi figli si può notare che esse da un canto denunciano la sua volontà di consolidare i legami con le famiglie del ristretto ceto di alti funzionari del Regno (così Ruggero sposò Ciura Rufolo, figlia di Matteo, e Flandina si maritò, come si è detto, con Sparano di Bari), dall'altro indicano il suo desiderio di stabilire saldi legami di parentela anche con la nobiltà delle province in cui si trovavano i suoi feudi.

Maestro razionale del Regno per almeno venti anni, il D. fu, in particolare, il principale consigliere finanziario di Carlo I ed il massimo ispiratore della politica fiscale del sovrano angioino, come testimonia in modo esplicito il cronista Saba Malaspina. Su di lui, dunque, ricade in primo luogo la responsabilità delle decisioni che accrebbero in modo considerevole l'onere tributario sulle comunità del Regno e che si trovano alla radice della rivolta siciliana dei Vespri. Per le scelte adottate dal governo regio in campo fiscale saranno sottoposti a processo nel 1283 i più alti funzionari, tra i quali i tre figli del D., Angelo, Galgano e Ruggero (i primi due verranno riconosciuti colpevoli e giustiziati). Ma in realtà quella che veniva condannata era sostanzialmente la politica attuata dal D. nel corso del lungo periodo in cui aveva diretto l'amministrazione finanziaria del Regno.

Nella sua qualità di maestro razionale il D. aveva a disposizione la ricca documentazione che era custodita da quell'ufficio. Tra gli atti ivi conservati si trovano i diplomi delle concessioni feudali: tra il 22 marzo e il 13 maggio 1273 il D. diresse la compilazione di una raccolta che comprendeva in modo organico i documenti relativi alle terre nobili. La raccolta fu successivamente ampliata da Guglielmo Boucel ed è nota con il titolo di Liber donationum Caroli primi. Di essa ci è rimasta solo una parte - relativa alle province di Terra di Lavoro, contea del Molise, Abruzzo e Principato -, conservata tra i registri della Cancelleria angioina nell'Archivio di Stato di Napoli e recentemente pubblicata (I registri, II,pp.230-270). Nel Liber i documenti sono ordinati per provincia e all'interno di questa si segue l'ordine cronologico. I diplomi di concessione sono riprodotti in un testo abbreviato, che si limita ad indicare l'oggetto dell'assegnazione, il suo valore e gli oneri che gravano su di esso, ed è arricchito da annotazioni relative alla morte del beneficiario e alla sua successione. L'intento della raccolta appare, con ogni evidenza, quello di facilitare il controllo sull'intero sistema feudale del Regno.

Secondo lo Stliamer (Das Amtsbuch), il D.fu anche autore del nucleo originario della raccolta degli statuti degli uffici regi, conservata a Parigi (Biblioteca nazionale, Ancien fonds latin, 4625, ff. 67r-109r; 4625 A, ff. 9r-13r, 119r-126v), a Marsiglia (Archivio dipartimentale, Cour des Comptes de Provence, B 260, Cartularium neapolitanum, ff. 21r-33v), presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Ottob. lat. 2940, ff. 25r-42r) e l'Archivio segreto Vaticano (Arm. XXV, vol. 137) e pubblicata in parte dal Winkelmann (pp. 731-784, sotto il titolo di Statuta officiorum)e dallo stesso Stliamer (di recente il testo dell'Archivio Vaticano è stato edito in Iregistri della Cancelleria angioina..., XXXI, Napoli 1980). La sua tesi si basa da un canto sulla considerazione che i diplomi regi sulle competenze e doveri dei principali uffici del governo e della "casa" reale erano conservati nell'archivio custodito dai maestri razionali, dall'altro sulla constatazione che l'autore della raccolta riprodusse i documenti in un testo sunteggiato, adottando un metodo del tutto analogo a quello che risulta esser stato seguito nel Liber donationum. Per i medesimi motivi lo Sthamer assegna al D., anche la paternità degli Excerpta Massiliensia,la raccolta di documenti di Federico II che vanno dal febbraio 1231 al maggio 1248, edita dal Winkelmann (pp.599-720). Sempre secondo lo Sthamer, infine, il D. potrebbe essere stato l'autore di una raccolta di Ritus dohanarum di cui si valse poi Andrea d'Isernia per compilare quella a noi giunta.

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