GIOVANNI XI

Enciclopedia dei Papi (2000)

Giovanni XI

Ambrogio M. Piazzoni

Uno dei papi più giovani della storia, venne eletto e consacrato nel marzo 931 appena ventenne, quand'era cardinale prete di S. Maria in Trastevere. La sua scelta venne imposta dalla madre Marozia, al tempo incontrastata signora di Roma, che già aveva abilmente manovrato le precedenti elezioni, facendo eleggere Leone VI e Stefano VII, in attesa che suo figlio uscisse dalla minorità. L'elezione aveva certamente carattere strumentale e la madre intendeva servirsi del figlio papa per accrescere il proprio potere ed estenderlo anche oltre i confini dell'area romana, secondo un disegno politico da tempo perseguito.

Se la maternità di Marozia è certa e confermata da tutte le fonti, molto più incerta resta la definizione di chi fosse il padre di Giovanni. Le liste di pontefici che costituiscono per il sec. X la continuazione più attendibile del Liber pontificalis riferiscono che G. era figlio di Marozia e di papa Sergio III; la stessa notizia è riportata anche dalla Antapodosis (III, 43) di Liutprando di Cremona, ma l'accentuata partigianeria, e quindi l'inaffidabilità, di quest'ultima fonte ha fatto più volte mettere in dubbio la verità del resoconto. L'ipotesi che la notizia della paternità di papa Sergio fosse da attribuire esclusivamente alle interessate "invenzioni" di Liutprando è stata sostenuta con vigore (P. Fedele, pp. 177-240), ma la base paleografica su cui si reggeva la sua argomentazione fu smantellata da ulteriori studi (L. Duchesne, Serge III et Jean XI, pp. 28-41), sicché permane l'incertezza nell'interpretazione delle fonti. Gli studiosi moderni hanno accolto l'una o l'altra tesi senza nulla aggiungere alle informazioni note. Date, ambiente e circostanze tendono tuttavia a rendere verosimile piuttosto che ad escludere la nascita di G. da una relazione tra la giovanissima Marozia e il maturo Sergio III e, anche se non si è in grado di pronunciarsi definitivamente, il fatto che l'illecita relazione sia stata ritenuta vera dai contemporanei, e come tale registrata non solo in fonti interessate ma addirittura nei cataloghi pontifici, è una testimonianza che non può essere sottovalutata.

Il primo atto noto del pontificato di G., del marzo 931, fu di grande rilevanza per il futuro. Si tratta di un privilegio rilasciato a Oddone abate di Cluny con il quale, facendo riferimento al testamento di Gugliemo I duca d'Aquitania che aveva fondato l'insediamento benedettino circa vent'anni prima donandolo "ai santi Pietro e Paolo", si confermava al monastero borgognone l'esenzione da ogni potere religioso e civile, l'immunità, la protezione del papa e la diretta dipendenza dalla Sede di Roma.

Alcune espressioni usate nel documento ("sanctae Romanae […] aecclesiae subiectum", "liberum a dominatu cuiuscunque regis aut episcopi sive comitis aut cuiuslibet ex propinquis ipsius Uilelmi", "immunitatem […] vobis concedimus", "coenobium sanctae apostolicae sedi ad tuendum atque fovendum pertineat", in Papsturkunden, pp. 107-08) saranno riprese nei documenti pontifici (già nel 938 da Leone VII) e sistematicamente utilizzate dagli abati cluniacensi nei secoli successivi. Il privilegio di G. consentiva inoltre a Oddone, per la prima volta, di prendere sotto la propria autorità altri monasteri per riformarli secondo le consuetudini di Cluny ("Si […] cenobium aliquod […] ad meliorandum suscipere consenseritis, nostram licentiam ex hoc habeatis", ibid., p. 108). Permettendo a Oddone di essere contemporaneamente abate di diversi monasteri, a ciascuno dei quali venivano poi concessi i medesimi privilegi e statuti, il documento dava un pieno riconoscimento e un forte incoraggiamento a quel movimento di riforma monastica che stava muovendo i suoi primi passi. Conferme immediate si trovano in un altro documento di G., sempre datato marzo 931, con cui si estendono i privilegi di Cluny al monastero di Déols, che allo stesso Oddone era stato affidato perché vi introducesse la riforma, e in un documento del giugno 932, con il quale viene affidato a Cluny anche il monastero di Charlieu, in Borgogna.

Al servizio della politica materna, nel luglio 931 G. inviò il pallio a Ilduino arcivescovo di Milano, gesto accomodante nei riguardi del re d'Italia Ugo di Provenza, che lo aveva chiesto. Proprio con Ugo, Marozia stava cercando di instaurare rapporti amichevoli, dopo averlo osteggiato per anni, in vista di un accrescimento del proprio potere in Italia. Con ogni probabilità all'influenza della madre deve essere ricondotta anche una decisione presa da G. nei confronti della Chiesa orientale. Marozia era in trattative per il matrimonio tra la propria figlia Berta e uno dei figli di Romano I Lecapeno, imperatore usurpatore a Costantinopoli. Questi era intenzionato a nominare patriarca il proprio figlio Teofilatto, ancora minorenne, e chiese l'approvazione di G. con una lettera ove pure si evocava il desiderio di instaurare buoni rapporti tra la famiglia di Marozia e quella imperiale. G. decise molto prontamente di inviare due vescovi come suoi legati, e l'intervento del papa di Roma nella scelta del patriarca di Costantinopoli suscitò le vivaci proteste della Chiesa d'Oriente. Prima però che i legati pontifici nel febbraio 933 partecipassero alla consacrazione e intronizzazione di Teofilatto, a Roma accaddero grandi rivolgimenti.

La disinvolta politica di Marozia, prima sposa di Alberico I duca di Spoleto e di Camerino, e poi di Guido marchese di Toscana, aveva già suscitato più di un malcontento nella popolazione e nell'aristocrazia romana. Nell'estate 932, poco più di un anno dopo l'elezione al pontificato del figlio G., Marozia sposò in terze nozze Ugo di Provenza, re d'Italia, scontentando vivamente i Romani; nel corso della cerimonia nuziale - probabilmente officiata dallo stesso G. - si ebbe addirittura un violento alterco fra lo sposo e il giovane Alberico II, figlio di Marozia nato dal primo marito. Questi seppe abilmente provocare e manovrare una rivolta popolare appoggiandosi alla formale ragione dell'illegalità di quell'unione secondo il diritto canonico dell'epoca (gli sposi erano fra loro cognati) e soprattutto al concreto timore dei Romani di dover sottostare al dominio del conte di Provenza e di vedere così spostato fuori dalla città il centro decisionale della politica romana. Nel dicembre del 932, un assalto a Castel S. Angelo mise in fuga Ugo, e Alberico II, dopo aver imprigionato la madre e il fratellastro papa, si fece proclamare "princeps" di Roma, senatore, conte e "patricius omnium Romanorum", dando inizio al proprio governo, che manterrà fino alla morte (954).

Di Marozia non si sa più nulla. G. da allora e solo per qualche anno (morì venticinquenne) esercitò il suo ministero praticamente agli arresti domiciliari nel Laterano e limitandosi ad attività liturgiche e religiose.

Fra gli atti di G., non sempre databili con precisione, si devono ancora ricordare l'invio del pallio ad Artaldo arcivescovo di Reims; alcuni privilegi per i monasteri di Vézelay nella diocesi di Autun in Francia e di S. Silvestro in Capite a Roma, cui venne concesso il diritto di avere un mulino sul Tevere; una lettera all'arcivescovo Teodolo di Tours relativa al monastero di S. Giuliano della stessa città; la conferma alla chiesa di Autun del diritto di libera elezione del vescovo; la condanna di Silvio di Clérieux a ricostruire la chiesa del monastero di Romans, nella diocesi di Vienne, che aveva incendiato. Dubbio è invece un privilegio a favore del monastero di S. Maria e S. Martino a Poitiers e certamente falso un altro privilegio a favore del monastero di Brogne.

G. morì probabilmente nei primissimi giorni del 936; non è noto il luogo della sepoltura, ma non è fondata la notizia di una sua inumazione in Laterano nella stessa tomba di Sergio III.

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