TESTORI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TESTORI, Giovanni

Davide Dall'Ombra

– Nacque il 12 maggio 1923, da Edoardo e da Lina Paracchi, a Novate Milanese, dove il padre aveva dato vita, con il fratello Giacomo, a una fabbrica di tessuti a uso industriale, collocando la propria abitazione, ora nota come Casa Testori, al margine dell’azienda.

Giovanni fu il terzo di sei figli e, dopo gli studi in famiglia e alle scuole novatesi (1929-31), ricevette la prima formazione al collegio San Carlo di Milano, in un percorso accidentato fino al liceo.

Ben prima di approdare al diploma di maturità, Testori vantava una formazione culturale ampiamente compiuta, tanto da pubblicare numerosi interventi su riviste dei Gruppi universitari fascisti (GUF), come Via Consolare, dove presentò un dipinto inedito di Giovanni Segantini (1941), seguito da interventi dedicati, tra gli altri, a Giorgio De Chirico e Gino Bonichi, detto Scipione. Nel 1942, insieme a numerosi articoli su artisti contemporanei, ma anche su Dosso Dossi, Leonardo da Vinci e Matthias Grünewald, uscì il suo primo libro, Manzù. Erbe, dedicato ai disegni dello scultore Giacomo Manzù e pubblicato dalle Edizioni di Pattuglia di Forlì.

Nell’autunno del 1942 il padre, che non aveva ancora rinunciato alla speranza di vederlo impiegato nella fabbrica di famiglia, convinse Testori a iscriversi ad architettura, al Politecnico di Milano, dove frequentò e sostenne il primo anno di esami. Alla fine del 1942 uscirono su Via Consolare i suoi primi atti teatrali (La morte e Un quadro), seguiti, al principio del 1943, dalla monografia Henri Matisse. 25 disegni, dal suo primo racconto, Morte di Andrea (su Posizione) e da quell’Omaggio alla pittura, redatto per Pattuglia, che, includendo l’ebreo Amedeo Modigliani, diede un pretesto a Benito Mussolini per far chiudere la rivista.

Durante il secondo anno al Politecnico, Testori sfollò per diversi mesi con la famiglia nella grande casa di Sormano, in Valassina (Como), paese di origine del padre, allestendovi uno studio per dipingere, mettendo in scena l’Amleto e ospitando l’amico pittore Ennio Morlotti e il critico Mario De Micheli. Il 1943 fu anche l’anno in cui la sua attività di pittore conquistò uno spazio determinante. Il 16 febbraio 1945 si trasferì alla facoltà di lettere dell’Università Cattolica. In quell’anno illustrò una raccolta di laudi di Jacopone da Todi, pubblicò la sua prima poesia sul Politecnico di Elio Vittorini e, con lo scritto programmatico Realtà della pittura, inaugurò Argine Numero (poi Numero Pittura), rivista allestita con gli amici usciti da Corrente, tra cui Renato Guttuso ed Ernesto Treccani, per la quale svolse, di fatto, il ruolo di direttore, redigendo il Manifesto del Realismo di pittori e scultori, uscito nel marzo dell’anno seguente e firmato, oltre che da lui, da Giuseppe Ajmone, Rinaldo Bergolli, Egidio Bonfante, Gianni Dova, Morlotti, Giovanni Paganin, Cesare Peverelli, Vittorio Tavernari ed Emilio Vedova.

Dopo un primo rifiuto da parte della commissione e un’autocensura del testo, si laureò il 7 novembre 1947 con una tesi intitolata La forma nella pittura moderna, seguita da Costantino Baroni, responsabile dei musei civici milanesi, già incontrato al Politecnico: fu il punto d’arrivo del suo pensiero critico e dell’impegno come pittore, alla ricerca di una strada per il rinnovamento dell’arte sacra, grazie a un confronto con il linguaggio delle avanguardie, da Pablo Ruiz Picasso a Fernand Léger. Documentata da una rubrica settimanale di recensioni (1947-48) per il periodico Democrazia, organo della Democrazia cristiana milanese, la sua passione per il teatro crebbe grazie a Paolo Grassi, conosciuto negli anni delle riviste del GUF, e al suo professore di letteratura italiana all’Università Cattolica, Mario Apollonio, interlocutore nella ricerca, tra il 1948 e il 1950, di un teatro sacro che fosse affine e complementare a ciò che stava svolgendo in pittura. Il 1948 fu l’anno della prima rappresentazione di un dramma di Testori, La Caterina di Dio, che segnò il debutto di Franca Norsa, poi Franca Valeri, diretta da Enrico d’Alessandro al teatro della Basilica di Milano. Nello stesso anno, grazie all’amicizia con David Maria Turoldo e Camillo De Piaz, Testori convinse i padri serviti della chiesa milanese di S. Carlo al Corso a fargli dipingere i pennacchi della cupola sopra l’altare con i Quattro evangelisti, giudicati inconciliabili con la decorazione ottocentesca della chiesa e scialbati (1949). Fu un evento traumatico che contribuì al cambio di rotta degli anni Cinquanta, inaugurando un ventennio in cui smise di dipingere.

A Palazzo Reale, nell’aprile del 1951, alla celebre mostra milanese su Caravaggio e i caravaggeschi, incontrò Roberto Longhi, di cui compulsava gli scritti fin dagli anni dell’adolescenza, sottoponendogli alcune attribuzioni di opere di pittori lombardi del primo Seicento: ne nacque una collaborazione con la neonata rivista Paragone, inaugurata dal saggio Su Francesco del Cairo (1952). Nel sesto decennio, da critico militante, si dedicò in modo quasi esclusivo a Morlotti, con interventi nei cataloghi delle Biennali veneziane (1952, 1956) e di una Quadriennale romana (1959). Su Paragone pubblicò prevalentemente scritti dedicati all’arte lombarda; con Renata Cipriani redasse le schede per la mostra «I pittori della realtà in Lombardia» (1953), curata da Longhi a Palazzo Reale.

Nei mesi in cui nascevano i grandi racconti e i drammi che resero Testori uno scrittore noto per aver dato voce all’umanità delle periferie, prese forma la sua figura pubblica di critico, in diverse esperienze espositive a Milano, ma soprattutto a Ivrea e Torino, grazie al Centro culturale Olivetti e a Vittorio Viale, direttore dei Musei civici di Torino. Nel 1954 Vittorini pubblicò per la collana I gettoni di Einaudi Il dio di Roserio, il primo romanzo di Testori, che intanto curava una mostra dedicata al pittore casalese del Settecento, Pier Francesco Guala, presentata al Centro culturale Olivetti di Ivrea, ma anche al Castello Sforzesco di Milano e a palazzo Carignano a Torino. Non approdò invece a Milano la «Mostra del manierismo piemontese e lombardo del Seicento», che portò, nel 1955, a Ivrea e ai Musei civici di Torino la compagine di pittori operanti tra san Carlo e Federico Borromeo, per i quali Testori avrebbe coniato il fortunato termine di pestanti. L’anno seguente collaborò a una grande mostra al Museo Borgogna di Vercelli dedicata a Gaudenzio Ferrari, pittore degli affetti domestici di cui Testori difese anche l’attività di plasticatore.

Nel 1958, con Feltrinelli, diede vita al ciclo I segreti di Milano con due raccolte di racconti, Il ponte della Ghisolfa (sfruttato poi da Luchino Visconti per la sceneggiatura di Rocco e i suoi fratelli e in cui confluì una variante del Dio di Roserio) e La Gilda del Mac Mahon (1959). Negli stessi mesi pubblicò una monografia sul pittore Giovanni Martino Spanzotti dedicata al Tramezzo di San Bernardino a Ivrea, al centro dell’insediamento Olivetti (1958), e dedicò una mostra, a Torino e Varallo (1959-60), a uno dei suoi più grandi amori figurativi: Tanzio da Varallo.

Nel 1960 proseguì il ciclo dei Segreti, pubblicando e mettendo in scena al Piccolo Teatro di Milano la Maria Brasca, con la regia di Mario Missiroli e Franca Valeri nel ruolo della protagonista; sul finire dello stesso anno spettò a Visconti la regia di L’Arialda, interpretata da Rina Morelli, con Paolo Stoppa. Vittima della censura prima del debutto romano al teatro Eliseo, la rappresentazione fu sospesa dalla procura dopo la prima milanese al teatro Nuovo (24 febbraio 1961), perché giudicato un testo «gravemente offensivo del comune setimento del pudore». Le traversie del processo ad autore, regista ed editore, ma soprattutto l’insoddisfazione per un pur personalissimo neorealismo, determinarono una brusca frenata nella produzione di Testori, che assistette distratto alla pubblicazione della quinta e ultima uscita dei Segreti: Il fabbricone (1961), fortemente ridimensionato da Giorgio Bassani, allora redattore alla Feltrinelli. Nel 1960 Alberto Arbasino, in un articolo apparso su Il Verri, definì sé, Pier Paolo Pasolini e Testori «nipotini dell’Ingegnere», riconducendo l’origine del loro plurilinguismo a Carlo Emilio Gadda. Gianfranco Contini, per lo stesso motivo, annoverò Testori nell’introduzione alla Cognizione del dolore di Gadda (1963).

Nel 1965 Testori pubblicò la raccolta di saggi su Gaudenzio Ferrari, Il gran teatro montano, fortunata definizione testoriana dell’amatissimo Sacro Monte di Varallo. Il ritorno sulle scene, ancora con la regia di Visconti, avvenne al teatro Quirino di Roma il 4 novembre 1967 con La monaca di Monza, scritta per Lilla Brignone. Nella seconda metà degli anni Sessanta Testori curò mostre e monografie su pittori amati e collezionati come Giacomo Ceruti e Vittore Ghislandi, detto Fra Galgario, già protagonisti, con Giovan Battista Moroni, della mostra longhiana del 1953. Negli stessi anni vide la luce anche una trilogia poetica nata dall’amore per Alain Toubas (I Trionfi, 1965; L’amore, 1968; Per sempre, 1970).

Nel 1968 uscirono il Manifesto per un nuovo teatro di Pasolini e lo scritto programmatico di Testori Il ventre del teatro, pubblicato su Paragone mentre stava lavorando a Erodiade, un dramma inizialmente destinato a Valentina Cortese e al Piccolo Teatro di Milano, così legato a una precisa ispirazione figurativa di Francesco Cairo da ingenerare un potente ritorno di Testori alla pittura, documentato nelle quattro mostre che seguirono: alla galleria Galatea di Mario Tazzoli a Torino (1971), alla galerie Alexander Iolas di Milano (1974), alla galleria del Naviglio di Giorgio Cardazzo, sempre a Milano (1975) e alla galleria il Gabbiano di Roma (1976), presentate, nei rispettivi cataloghi, da Luigi Carluccio, Piero Citati, Cesare Garboli e Giuliano Briganti.

La produzione drammaturgica di Testori si condensò intorno ad alcuni importanti interpreti e a compagnie teatrali. Protagonista degli anni Settanta fu la Trilogia degli Scarozzanti (L’Ambleto, 1972; Macbetto, 1974; Edipus, 1977), che segnò il passaggio di Testori alla casa editrice Rizzoli; scritta per Franco Parenti, fu portata in scena, dal 1973, con la regia di Andrée Ruth Shammah, al salone Pier Lombardo di Milano, inaugurato per accogliere le parole di una nuova lingua, frutto di un pastiche di italiano, dialetto, latino, spagnolo e francese. La pubblicazione della trilogia fu intervallata dall’uscita di una raccolta poetica (Nel tuo sangue, 1973) e due romanzi (La Cattedrale, 1974; Passio Laetitiae et Felicitatis, 1975), dall’impegno per la grande mostra sul Seicento lombardo a Palazzo Reale (1973) e seguita dai volumi dedicati a Girolamo Romani, detto il Romanino, Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, e Beniamino Simoni. Pressoché costante fu l’attività di Testori come critico militante, impegnato nella difesa della pittura figurativa europea, da Varlin e Francis Gruber a José Jardiel e Paolo Vallorz, fino ai giovani artisti milanesi, svizzeri, austriaci e tedeschi.

Il 10 settembre 1975 fu pubblicato il primo articolo di Testori sul Corriere della sera, dedicato a Bernardino Luini; il 4 settembre 1977 uscì La cultura marxista non ha il suo latino, scritto in polemica con Giorgio Napolitano. I numerosi interventi successivi in prima pagina fecero di Testori il successore ideale del Pasolini ‘corsaro’, morto nel 1975, e vennero in gran parte raccolti in La maestà della vita (1982), insieme ad alcuni articoli usciti negli stessi anni su il Sabato. Il 4 dicembre 1977 Testori assunse la responsabilità della critica d’arte del Corriere, pubblicando, in sedici anni, circa ottocento articoli.

Il 20 luglio 1977, con la morte della madre, Testori riabbracciò una fede cristiana mai sopita, ma vissuta fino alla disperazione della bestemmia. Il passaggio fu documentato da Conversazione con la morte, monologo scritto per Renzo Ricci, ma portato in scena personalmente, in seguito alla scomparsa dell’attore. Si avvicinò a Comunione e Liberazione, in profonda sintonia con don Luigi Giussani, partecipò al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini e diede vita a una seconda trilogia: Interrogatorio a Maria (1979), Factum est (1981), scritto per Andrea Soffiantini e la neonata Compagnia Teatro degli Incamminati, fondata da Testori con Emanuele Banterle, e Post Hamlet (1983), ultima uscita testoriana per Rizzoli, casa editrice lasciata per la Mondadori che pubblicò, nello stesso anno, la raccolta di poesie Ossa mea. Risale al 1984 il debutto di Adriana Innocenti nella parte di Erodiade, dramma riscritto per l’occasione, e il ritorno al Pier Lombardo per I Promessi sposi alla prova.

Dal 1985 Testori scrisse due Branciatrilogie per l’attore Franco Branciaroli, implicandosi, in alcuni casi anche come attore, in un nuovo teatro incentrato unicamente sulla parola, in cui una tenace luce di speranza arriva fin nel profondo del dramma e dell’abiezione umana. A Confiteor (1985) seguì In exitu (1988), nato come romanzo e uscito per Garzanti, ma portato in scena al fiorentino teatro della Pergola e alla Stazione centrale di Milano, dove la vicenda è ambientata, nello stesso anno. Il 20 giugno 1989 al Piccolo Teatro di Milano salì sul palco con Branciaroli per Verbò. Autosacramental, pubblicato postumo per espressa volontà dell’autore, che volle ritenersi libero di «ricreare» il testo ogni sera a teatro. Seguì la seconda trilogia, che segnò l’ultimo cambio di editore: Sfaust (1990), sdisOrè (1991), pubblicati da Longanesi e, probabilmente, Regredior, dramma pubblicato postumo (2013) e mai rappresentato.

Sul finire degli anni Ottanta, Testori si ammalò di un tumore che lo tenne lontano dalla scena pubblica senza colpirne tuttavia la produttività: pubblicò la Traduzione della prima lettera ai Corinti di s. Paolo (1991) e il romanzo Gli angeli dello sterminio (1992). L’ultimo articolo sul Corriere della sera, dedicato a Francis Bacon, uscì qualche giorno prima della morte, avvenuta poco dopo la conclusione di I tre lai (Cleopatràs, Erodiàs e Mater Strangosciàs), forse il suo capolavoro.

Morì all’ospedale San Raffaele di Milano il 16 marzo 1993.

Fonti e Bibl.: Per una bibliografia di e su Testori sempre aggiornata si rimanda al sito http://www.giovannitestori.it, curato dall’Associazione Giovanni Testori. Per un regesto degli interventi a stampa di Testori si veda: D. Dall’Ombra, G. T. Bibliografia, Milano 2007. Sulla vita e l’opera di Testori si vedano: D. Dall’Ombra - F. Pierangeli, G. T. Biografia per immagini, Cavallermaggiore 2000; F. Panzeri, Vita di T., Milano 2003; L. Doninelli, Conversazioni con T., Cinisello Balsamo 2012; G. Agosti, T. civile, in Prospettiva, 2014, n. 155-156, pp. 180-185; G. Testori, Carissimo Professore. Lettere a Roberto Longhi, a cura di D. Dall’Ombra, Milano in corso di stampa. Un tentativo di raccogliere in volume l’opera, per lo più letteraria, di Testori è stato curato da F. Panzeri in tre volumi, introdotti da interventi critici di Giovanni Raboni: G. T. Opere 1943-1961, Milano 1996, G. T. Opere 1965-1977, Milano 1997, G. T. Opere 1977-1993, Milano 2013, con bibliografia critica precedente. La recente fortuna critica dell’opera drammaturgica di Testori, per la quale si rimanda al sito internet citato, si deve alle numerose rappresentazioni teatrali delle sue opere dopo la morte, un processo avviato da Sandro Lombardi e Federico Tiezzi nel 1994. Per il Testori critico d’arte, si veda: G. Agosti, La testoriana di Brescia, Brescia 1997; la collana dei volumi T. a..., curata dall’Associazione Giovanni Testori: T. a Bergamo, Novate, Varese, Brescia, Ivrea, Varallo, Novara e Lecco, Cinisello Balsamo 2003-2010; T. e la grande pittura europea. Caravaggio, Courbet, Giacometti, Bacon. Miseria e splendore della carne, a cura di C. Spadoni, Cinisello Balsamo 2012; D. Dall’Ombra, G. T. e Tanzio da Varallo. Tracce di un’antologia critica, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio. Pittura a Napoli nel primo Seicento, a cura di M.C. Terzaghi, Cinisello Balsamo 2014, pp. 81-95; G. Testori, Il gran teatro montano. Saggi su Gaudenzio Ferrari, a cura di G. Agosti, Milano 2015. Sul Testori pittore sono in corso approfondimenti pubblicati nei cataloghi di mostre curate da D. Dall’Ombra: G. T. I pugilatori, Bergamo 2013; G. T. Crocifissione ’49. I disegni ritrovati, Rovereto 2015; (IN)CROCI. Al Museo Lia. La passione di Cristo secondo G. T., Novate Milanese 2018.

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