PAPINI, Giovanni

Enciclopedia Italiana (1935)

PAPINI, Giovanni


Scrittore e poeta, nato a Firenze il 9 gennaio 1881.

Nel 1903, già fornito di una cultura superiore agli studî scolastici compiuti, fonda con G. Prezzolini e altri amici il Leonardo, rivista vivacemente combattiva, che divenne presto per opera del Papini stesso (Gian Falco) e del Prezzolini (Giuliano il Sofista) uno dei più notevoli organi di reazione al positivismo filosofico e letterario in nome dei valori dello apirito, divulgatore in Italia di contemporanei movimenti filosofici stranieri, quali l'intuizionismo francese del Bergson e il pragmatismo anglo-americano del Peirce e del James, promotore infine dello svecchiamento della cultura italiana, in nome di un'individualistica e sognatrice concezione della vita e dell'arte. Prende origine dal Leonardo del P., dal Regno di E. Corradini, di cui il Papim fu per qualche tempo redattore, e dall'Hermes di G.A. Borgese il movimento filosofico, letterario e politico che si svolse in Firenze nei primi anni di questo secolo e di cui il P. fu spesso l'anima e in ogni momento parte vivace e significativa. Esso, dopo la cessazione del Leonardo (1907), continuò nel periodico La Voce (1908-1916), fondato dal Prezzolini con l'intento di farvi collaborare gli uomini e le dottrine più rappresentativi a una rieducazione morale, politica, artistica degl'Italiani. Ma la varietà stessa di queste tendenze - fra cui predominava tuttavia la corrente idealistica proveniente dal Croce e dal Gentile - provocò la nascita di altre riviste, fra cui più importante Lacerba (1913-1915). Questa, fondata e diretta dal P. e da A. Soffici, spinse il desiderio di rinnovamento letterario fino all'alleanza col futurismo, presto sciolta per dissensi d'idee. Con l'entrata in guerra dell'Italia - in favore della quale Lacerba sostenne una fierissima battaglia - il gruppo fiorentino si disperde, non senza aver agitato vecchi e nuovi problemi della cultura, diffuso la conoscenza di movimenti filosofici e artistici forestieri, e rivelato alcune notevoli figure di scrittori e di artisti.

Quanto al P., dopo un periodo di sommaria demolizione delle filosofie precedenti, di cui fu documento il Crepuscolo dei filosofi (1906), parve fermarsi qualche tempo nel pragmatismo di forma psicologica": i molti articoli pubblicati in quel tempo sul Leonardo e altrove sono raccolti nel volume Pragmatismo (1913). Ma la sua perpetua e irrequieta ricerca di nuove esperienze spirituali lo sospinse presto per altre vie e, dopo un breve accostamento al modernismo, egli parve assorbirsi per qualche tempo in una feconda attività giornalistica e letteraria. Infatti fin dal 1906 era uscito un suo volume di novelle, Il tragico quotidiano, in cui traverso racconti mescolati di realtà e di leggenda tendeva a scoprire nelle cose quotidiane impreveduti aspetti ridicoli o dolorosi: seguirono altre raccolte: Il Pilota cieco (1907), Parole e sangue (1912). Novelle, divagazioni umoristiche (raccolte poi in Buffonate, 1914), saggi filosofici e letterarî (Ventiquattro cervelli, 1912; Maschilità, 1915) costituiscono in gran parte la sua collaborazione a varî quotidiani e riviste nel periodo 1907-1913 all'incirca. Assunse in quel tempo anche la direzione delle due collezioni dell'editore Carabba, "Cultura dell'anima" e "Scrittori nostri", che lasciò solo nel 1921.

Maturava intanto la tendenza critica e demolitrice del suo pensiero fino alla negazione totale e appassionata in Memorie d'Iddio (1912), La vita di Nessuno (1912), L'altra metà (1912), e allo stato d'animo in apparenza disperato che trova la sua espressione profondamente umana in un uomo finito (1912): narrazione impetuosa, idealeggiata ma sincera, delle sue avventure e dei suoi fallimenti spirituali, la quale rivelava ormai nel P. uno dei più possenti e originali scrittori italiani contemporanei. Ed ecco di lì a poco le 100 pagine di poesia (1915), raccolta di poetiche prose, nutrite di un vivo amore della natura e di una melanconica pietà di sé stesso e degli uomini. D'ora in poi l'amore e l'esercizio dell'arte divengono la sua vocazione e la fondazione di Lacerba, seguita dalla breve alleanza col futurism0, fu l'ultima ed estrema espressione del suo desiderio di rinnovamento della cultura e dell'abito mentale italiano, a parer suo ancora aggravati dalla tradizione classica e accademica. Sono di questo tempo quasi tutti gli articoli e i saggi raccolti più tardi in Stroncature (1916) e L'esperienza futurista (1920). Ma il P., scrittore nutrito di tradizione italiana e toscana, spontaneamente rivissuta, aderì solo per momentanee e apparenti affinità all'assoluta negazione futuristica e lo dimostrarono di lì a poco le sue prime poesie in versi, raccolte in Opera prima (1917): rime e ritmi tradizionali, trattati con moderata libertà. Frattanto, scoppiata la guerra mondiale, si risvegliarono in lui i vecchi entusiasmi patriottici e politici che già l'avevan fatto aderire, come vedemmo, al nazionalismo del Corradini. Ed eccolo partecipare alla campagna interventistica con una serie di violenti e infiammati articoli scritti i più su Lacerba e sul Popolo d'Italia e raccolti in La paga del sabato (1915).

Ma, temperamento di artista, forzato inoltre per motivi di salute a non partecipare alla guerra tanto invocata, si ritira di lì a poco nella quiete letteraria della sua campagna di Bulciano, da cui usciranno L'uomo Carducci (1918), Giorni di festa (1918) e Testimonianze (1918). In seguito, le delusioni della pace diplomatica, i dissesti sociali ed economici e la corruzione morale del dopoguerra lo turbano profondamente e, non disgiunti dal vecchio e mai placato desiderio di trovare una certezza assoluta a spiegazione del mondo, in cui posare il tormentato suo spirito, contribuiscono non poco a ravvicinarlo alla lettura e alla meditazione del Vangelo, nel quale finisce con lo scorgere l'unica dottrina morale capace di salvare l'individuo e la società da un regresso civile altrimenti inevitabile. Così nel 1921 esce la Storia di Cristo, che tendeva a un rinnovamento spirituale attraverso un'eloquente e appassionata ricostruzione del racconto e del messaggio evangelico. Il libro ebbe rapida e vasta fortuna in Italia e fuori e fu tradotto nelle principali lingue d'Europa e d'Asia. La Storia di Cristo, che nella prefazione e nel racconto dichiara l'intenzione di aderire ai principî della fede cattolica, può considerarsi come primo frutto della conversione religiosa del P., la quale poi si conferma e approfondisce con lo studio e l'osservazione. Di questa sua nuova condiziorie spirituale e dei suoi nuovi studî sono documento le poesie di Pane e vino (1926), Gli operai della vigna (1929) e lo studio su Sant'Agostino (1929).

Contemporaneamente si sviluppa in lui una pessimistica visione dei costumi e della società contemporanea che, dopo una prima espressione violenta nel Dizionario dell'omo salvatico, scritto in collaborazione con D. Giuliotti (1923), culminerà molto più tardi, temprata in forma d'arte, nel Gog (1931). Assai più noto è il Dante vivo (premio Firenze 1933), studio e giudizio sulla figura morale del poeta, più che sulla sua poesia. Nuovi scritti polemici del P. sono raccolti in Il sacco dell'orco (Firenze 1933), e in La pietra infernale (Brescia 1934, con introduzione di P. Bargellini).

Le opere complete del P. vengono ripubblicate in edizione definitiva dall'editore Vallecchi di Firenze.

Bibl.: G. Prezzolini, Discorso su G. P., Firenze 1915; R. Fondi, Un costruttore: G. P., 2ª ed., Firenze 1920; E. Palmieri, G. P., Firenze 1927; A. Viviani, Gian Falco, Firenze 1934; C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929. Per l'ambiente letterario fiorentino prima della guerra, A. Viviani, Giubbe rosse, Firenze 1933.

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