MUZI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MUZI, Giovanni

Maria Lupi

– Nacque a Roma il 1° gennaio 1772 da Giovanni Cosimo, originario di Otricoli in Umbria, e da Maria Antonia Sabbatini.

Dagli Stati delle anime del 1772 risulta che la famiglia abitava in via delle Carrozze nel territorio della parrocchia di S. Lorenzo in Lucina e che il padre faceva il servitore (secondo alcune fonti portinaio presso il collegio liegese, secondo altre al servizio di una famiglia nobile).

Si formò nel seminario romano (1787-94), nel periodo in cui, dopo la soppressione dei gesuiti, esso era stato trasferito nella sede del Collegio romano, dove le due istituzioni, senza essere unificate, si dividevano i locali e le scuole. Presso il Collegio romano il 13 settembre 1795 gli fu conferito il dottorato in filosofia e teologia. Nell’anno accademico 1794-95 frequentò anche come uditore le lezioni della classe legale presso l’archiginnasio romano alla Sapienza. Nel frattempo, dopo aver ricevuto in pochi anni tutti gli ordini minori e maggiori (1792-94), fu ordinato sacerdote dal cardinal vicario Andrea Corsini il 20 dicembre 1794. Il giorno precedente era entrato nella Pia unione di s. Paolo apostolo, un’associazione di sacerdoti e chierici che si occupava di varie attività pastorali e assistenziali, fondata pochi anni prima. Nel 1795 il suo nome compare tra i partecipanti alle adunanze  e tra i sacerdoti inviati a insegnare il catechismo ai degenti dell’ospedale Santo Spirito, ma già dall’anno seguente sparisce dai registri. Probabilmente era già stato nominato professore presso il seminario di Magliano Sabina, dove risulta nel 1797 docente di filosofia e matematica e dove presumibilmente rimase fino alla sua chiusura nel 1798.

Per gli anni seguenti non si hanno testimonianze dirette sulle sue incombenze. Certamente tornò a Roma, dove riprese il servizio pastorale nell’ambito della Pia unione, nelle cui adunanze nei primi anni del nuovo secolo spesso supplì il risolutore del caso morale. Nello stesso periodo sostenne due atti pubblici di difesa di tesi teologiche (1801 e 1806), che gli valsero la nomina a censore emerito dell’Accademia teologica dell’archiginnasio della Sapienza. Intanto era stato probabilmente assunto come precettore presso una famiglia nobile, forse i Bonaccorsi.

Nel periodo napoleonico aderì al nuovo regime e nell’estate del 1812 chiese e ottenne un posto di supplente alla cattedra di teologia morale del Collegio romano sottoposto all’Università napoleonica. Dal gennaio 1813 divenne titolare dell’insegnamento per passare poi in aprile alla cattedra di teologia dogmatica, che tenne fino alla caduta di Napoleone. Quando Roma tornò sotto il governo pontificio, l’incarico gli fu revocato (22 maggio 1814), anche se era stato tra i primi a ritrattare il giuramento di fedeltà al governo francese (24 aprile 1814).

Nel 1815, dopo un periodo di assunzione in prova, fu nominato consultore della congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari. Fu il trampolino di lancio per la carriera diplomatica che gli si aprì due anni dopo con la nomina a uditore del nunzio a Vienna, monsignor Paolo Leardi.

Non si sa esattamente come Muzi riuscisse a entrare nella carriera diplomatica, in genere riservata a quanti avevano frequentato l’Accademia dei nobili ecclesiastici, quindi ai rampolli di famiglie aristocratiche. Per di più, Muzi fu destinato a una nunziatura importantissima nel periodo immediatamente successivo al congresso di Vienna, nel clima di scambi diplomatici frequenti che avevano proprio la capitale austriaca e il ministro Metternich come protagonisti.

Diede prova di buone doti diplomatiche e di saper gestire con equilibrio e saggezza la stessa nunziatura quando il nunzio lasciò Vienna tra il febbraio e l’agosto del 1819 per seguire l’imperatore Francesco I nel suo viaggio in Italia. Le sue capacità furono riconosciute dal segretario di Stato, cardinale Ercole Consalvi, che lo gratificò con una pensione di 80 scudi e con la designazione nel 1823 a un incarico diplomatico molto delicato che richiedeva la consacrazione episcopale.

Nel marzo 1823 fu infatti nominato vicario apostolico in Cile con giurisdizione spirituale anche sugli altri territori dell’America spagnola ribellatisi alla madrepatria e costituitisi in Repubbliche indipendenti.

L’anno precedente era giunto a Roma l’arcidiacono della cattedrale di Santiago, José Ignacio Cienfuegos, inviato dal governo cileno presieduto da Bernardo O’Higgins, per trattare la questione della nomina dei vescovi. La maggior parte di questi, infatti, designata dal re di Spagna a norma del patronato regio, era lealista e aveva preferito abbandonare la sede al momento della proclamazione della Repubblica. Il vescovo di Santiago invece era stato esiliato dal governo rivoluzionario. Le sedi erano rimaste vacanti e i nuovi governanti avrebbero voluto che Roma concedesse loro il diritto di patronato già appannaggio dei re spagnoli. Per non suscitare le proteste spagnole, Roma non voleva inviare un incaricato d’affari che riconoscesse, anche implicitamente, la Repubblica, ma era in ogni caso determinata a provvedere di vescovi le diocesi.

Muzi ebbe la facoltà di nominare vicari apostolici, ma non vescovi residenziali. Le istruzioni che ricevette il 28 giugno 1823 insistevano sul fatto che le facoltà erano puramente spirituali; esse erano tuttavia molto ampie, riguardando la possibilità sia di nominare e consacrare i vicari senza consultare ogni volta Roma, sia di regolarizzare situazioni anomale nelle istituzioni ecclesiastiche, come anche di dirimere cause matrimoniali e di concedere la secolarizzazione ai religiosi. Dopo la nomina  ad arcivescovo titolare di Filippi e la consacrazione episcopale, avvenuta il 25 maggio 1823 nella chiesa di S. Ignazio per mano del cardinale Giovanni Francesco Falzacappa, Muzi partì in compagnia del giovane canonico Giovanni Maria Mastai Ferretti e del sacerdote Giuseppe Sallusti in qualità di segretario.

Nella prima tappa, nell’Argentina di Bernardino Rivadavia, l’inviato del papa fu accolto dal popolo con manifestazioni di gioia e di deferenza, ma si scontrò con la concezione regalista del governo, che aveva varato con legge di Stato una riforma molto radicale delle istituzioni ecclesiastiche e tendeva a costituire una Chiesa nazionale, sfiorando lo scisma. Muzi, cui fu negato anche il permesso di amministrare la cresima ai fedeli, non riuscì quindi a dare all’Argentina, allora totalmente priva di vescovi, neppure un vicario apostolico.

Il viaggio proseguì per Santiago del Cile, dove nel frattempo alla guida del governo a O’ Higgins era succeduto Ramón Freire, in quel momento impegnato a combattere gli spagnoli nel Sud del paese. Appena arrivato, il 6 marzo 1824, Muzi si rivolse al popolo cileno con una lettera pastorale in cui, memore dell’esperienza argentina, mise bene in chiaro la posizione della S. Sede nei confronti delle pretese statali di controllo sulla Chiesa. Partendo dall’affermazione del primato del papa sulla Chiesa universale, ribadì la condanna delle posizioni regaliste che sottraevano le istituzioni ecclesiastiche alla giurisdizione romana. Tale condanna della linea politica delle nuove repubbliche non poteva certo contribuire a ben disporre il governo cileno verso l’inviato del papa. Mentre aspettava il ritorno del presidente per poter portare avanti la sua missione, Muzi si dedicò a sanare situazioni canonicamente anomale di alcuni matrimoni, ma soprattutto a concedere la secolarizzazione ai religiosi usciti dal chiostro. Il ritorno di Freire complicò ulteriormente i rapporti già tesi, perché il 19 luglio attuò un colpo di Stato che accentuò la linea giurisdizionalista.

Il governo procedette subito a una riforma della Chiesa cilena, che prevedeva tra l’altro prima la sottomissione dei religiosi al vescovo diocesano, norma contraria al diritto canonico e in ogni caso considerata riservata al papa, e poi l’incameramento dei beni dei conventi. Il fatto che la riforma fosse stata varata da parte statale, in modo unilaterale, senza consultare l’inviato pontificio presente nella capitale, fu visto come una sfida e un segno della mancanza di volontà di giungere a un accordo. Quando infatti si dovette affrontare il problema della nomina dei vescovi che, secondo le istruzioni ricevute da Muzi, potevano essere persone presentate dal governo ma dovevano avere il beneplacito del vescovo locale, si arrivò alla rottura. Muzi non si sentì di approvare i nomi presentati da Freire, non solo perché mancava il consenso del vescovo di Santiago José Rodríguez Zorrilla, di fatto esautorato e sostituito dall’arcidiacono Cienfuegos in qualità di amministratore nominato dal governo, ma anche per l’appoggio dato dai candidati alla riforma statale della Chiesa cilena. Tra loro inoltre c’era lo stesso Cienfuegos che, nel corso del viaggio da Genova a Santiago, era apparso agli occhi di Muzi sempre più come un opportunista su cui la S. Sede non poteva fare affidamento.

Muzi, attaccato anche dalla stampa liberale cilena che, dati i suoi trascorsi a Vienna, lo accusava di essere una spia della Santa Alleanza, non comprese le aspirazioni e le potenzialità delle nuove repubbliche indipendenti; non sempre in sintonia nemmeno con il vescovo Rodríguez, rigidamente legato al patronato spagnolo, reputò impossibile proseguire la missione e, senza aspettare istruzioni da Roma, decise di ripartire (ottobre 1824), ignorando anche l’invito di Simón Bolívar a raggiungerlo in Perù, dove le forze rivoluzionarie stavano definitivamente vincendo la resistenza spagnola.

Arrivò via mare a Montevideo, allora sotto controllo brasiliano, da dove scrisse una lettera per chiarire le ragioni della sua partenza, difendersi dalle accuse dei giornali cileni e argentini e denunciare la condotta ambigua di Cienfuegos, ribadendo ancora una volta la posizione della Chiesa romana di fronte al regalismo (25 gennaio 1825). Montevideo fu forse la tappa in cui Muzi ottenne più successi. Anche se continuò a essere il bersaglio dei giornali, qui ebbe il sostegno non solo della popolazione ma anche delle autorità, e poté esercitare le sue facoltà spirituali ordinando anche giovani chierici argentini.

Al suo ritorno a Roma nel luglio 1825, Muzi presentò al papa e al segretario di Stato una relazione sulla missione che evidenziava il suo punto di vista. La S. Sede ufficialmente difese il suo operato, giustificato con il clima di incertezza e con l’ostilità del governo e dell’opinione pubblica locale, ma doveva aver perso fiducia nelle capacità diplomatiche di Muzi se pochi mesi dopo il ritorno a Roma il papa lo nominò vescovo di Città di Castello (19 dicembre 1825), interrompendone la carriera diplomatica.

Sostanzialmente dunque il vicario apostolico fu ritenuto il responsabile del fallimento della missione. In effetti in quella occasione non sembra aver dato prova di lungimiranti qualità diplomatiche, né aver capito il momento storico epocale che stava vivendo l’America Latina, inoltre si mostrò poco risoluto nel prendere decisioni importanti e fu senz’altro influenzato dalla sua posizione negativa nei confronti delle rivoluzioni. Una qualche responsabilità dell’insuccesso non si può però non attribuire anche allo scarso sostegno avuto da Roma, da cui Muzi ricevette solo due dispacci in un anno. Egli inoltre si trovò schiacciato tra le parti in causa che si fronteggiavano allora in America Latina: da un lato il lealismo filospagnolo del vescovo di Santiago che difendeva i diritti patronali della madre patria, dall’altro il giurisdizionalismo dei governanti repubblicani che si consideravano eredi di queste prerogative. Le due posizioni antitetiche conversero nell’antiromanismo che isolò il vicario apostolico e affossò la missione, che pure era stata molto bene accolta dalle popolazioni.

La nomina a una diocesi piccola e povera, in parte situata in zona montuosa e disagevole ai confini dello Stato pontificio, con alcune parrocchie situate nel territorio nel Granducato di Toscana, non poteva non apparire una punizione dopo il fallimento della missione in Sudamerica. Alla diocesi, tuttavia, Muzi dedicò tutte le sue energie, dal punto di vista sia pastorale sia assistenziale, incarnando in pieno il modello di buon vescovo di borromaica memoria, impegnato a mettere in pratica con molta solerzia i decreti tridentini.

Compì otto visite pastorali e scrisse altrettante relazioni ad limina, di cui l’ultima, redatta pochi giorni prima della morte, non arrivò mai a Roma. Tenne un sinodo diocesano il 1° giugno 1835, facendone stampare subito i decreti (Synodus dioecesana Tifernatensis seu Civitatis Castelli, quam habuit illustrissimus et reverendissimus Dominus Joannes Muzi, Dei et apostolicae Sedis gratia archiepiscopus episcopus eiusdem civitatis in ecclesia cathedrali S. Floridi episcopi et confessoris, die prima iunii anni 1835, Perugia 1835). Lo schema del sinodo è abbastanza tradizionale e i risultati sono privi di novità pastorali, denotando ancora una volta, come messo in luce anche dai revisori romani delle relazioni ad limina, la diligenza ma anche la scarsa originalità del vescovo. Sulla stessa linea sono le lettere pastorali, da quella scritta prima dell’ingresso in diocesi, com’era consuetudine, ai numerosi editti e notificazioni, che denotano una mentalità molto giuridica, attenta al rispetto letterale delle norme, ma anche molto preoccupata per i comportamenti devianti nell’ambito sia morale siadottrinale.

La sua attività più intensa e proficua fu quella dedicata alla fondazione di opere assistenziali, a cominciare dall’istituto di carità detto La fraternità, destinato ad accogliere fanciulle e fanciulli poveri (1826) e dalla Pia adunanza di s. Giovanni Nepomuceno per il soccorso al clero anziano e malato (1844). In qualità di presidente della deputazione degli ospedali uniti di Città di Castello gli si attribuisce tradizionalmente anche l’istituzione delle oblate Figlie della misericordia dell’ospedale, orfane o trovatelle ricoverate nel conservatorio annesso all’ospedale stesso, che si dedicavano all’assistenza degli ammalati.

Le costituzioni, redatte nel 1841 su modello di quelle delle ospedaliere di S. Giovanni a Roma, prevedevano otto oblate con voti semplici, che professarono nelle mani del vescovo il 6 giugno 1841. L’istituzione originariamente non era distinta dall’ospedale, esattamente come le oblate romane e secondo una consuetudine che risaliva al Medioevo. Solo successivamente essa assunse le caratteristiche proprie di una congregazione religiosa più moderna di suore addette all’assistenza ospedaliera, quando Muzi lasciò in eredità alle oblate due terzi del suo patrimonio, dimostrando di ritenerle un’istituzione staccata dall’ospedale, con propri redditi e amministrazione e dipendente direttamente dal vescovo.

Muzi inoltre volle fortemente l’apertura di scuole femminili da affidare alle maestre pie salesiane nei paesi più popolati della diocesi, e richiese lungamente a Roma il ripristino del collegio dei gesuiti, che effettivamente riaprì i battenti nel 1846, per richiuderli però due anni dopo nel clima antigesuitico della rivoluzione del 1848, anno in cui invece si aprirono le scuole notturne sul modello di quelle romane e perugine. Oltre all’educazione dei giovani laici, l’attenzione di Muzi si concentrò anche sulla formazione del clero, sia dando un nuovo regolamento al seminario (1842), sia fondando un’Accademia ecclesiastica, per favorire l’approfondimento delle materie teologiche e il tirocinio pastorale. L’Accademia, inaugurata nel 1830, ebbe però vita breve perché non incontrò il favore degli ecclesiastici tifernati.

La prima preoccupazione del vescovo fu quella di fornire di un regolamento tutte le attività che promosse. Nei vari regolamenti rimasti che provengono dalla sua penna, a partire dal regolamento per la famiglia del nunzio redatto a Vienna, dal regolamento per il seminario e quello per le maestre pie fino ai regolamenti per le associazioni devozionali laicali e per i monasteri femminili, nei quali cercò in tutti i modi di ripristinare la vita comune, si nota la mentalità giuridica e la perizia canonistica di Muzi, non disgiunta però da un’attenzione agli aspetti spirituali, che emergono anche dalle numerose omelie che sono conservate e dalla Dottrina cristiana compendiata per uso della città e diocesi di Città di Castello, stilata nel 1826, di cui si conserva il manoscritto.

Nel 1839 Muzi presiedette i festeggiamenti in diocesi per la canonizzazione di s. Veronica Giuliani, mistica marchigiana vissuta tra Sei e Settecento nel monastero delle cappuccine della città.

A Città di Castello Muzi si appassionò alla storia ecclesiastica cittadina e, raccolta una vasta mole di documenti, redasse la monumentale opera Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello (7 volumi, 1842-44).

L’impianto è quello tipico delle opere erudite di tradizione settecentesca, incentrato sulle genealogie di cariche religiose e civili, sulla repertoriazione delle istituzioni ecclesiastiche (parrocchie, conventi, confraternite) e sui fatti di cronaca, una miniera di notizie e di documenti preziosi con qualche tentativo di discussione storiografica, soprattutto quando tenta un esame critico delle fonti relative al vescovo s. Florido, patrono della diocesi, ma ben lontana dalle istanze della metodologia critica moderna e tesa soprattutto a mettere in luce le benemerenze storiche della Chiesa. Nell’archivio diocesano di Città di Castello si conservano numerosi quaderni di appunti, note preparatorie dell’opera e altre opere rimaste manoscritte, come, per esempio, una Memoria di s. Albertino priore generale degli eremiti della congregazione di S. Croce di Fonte Avellana.

Morì a Spoleto il 29 novembre 1849, ultimo giorno del conventus dei vescovi dell’Umbria e del Lazio.

La sua firma appare nelle notificazioni pastorali dei vescovi riuniti a Spoleto (Notificazione sopra la santificazione delle feste e Notificazionesulla bestemmia, datate 28 novembre 1849), ma non si sa quanto abbia potuto partecipare alla loro stesura. È certo comunque che questi temi rientravano negli ambiti pastorali più sentiti da Muzi, che vi aveva dedicato anche altri pronunciamenti.

Fonti e Bibl.: le opere inedite si trovano a Città di Castello, Arch. storico diocesano, Fondo Muzi. Sulla vita di Muzi: Roma, Arch. storico del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Battesimi 33; Stati delle anime, passim; Liber ordinationum 41; Pia unione s. Paolo apostolo, bb. 6, 7, 10; Segreteria del Vicariato, Documenti particolari, b. E, f. 3; S. Maria in Via Lata, Stati delle anime, 1788-94; Arch. di Stato di Roma, Miscellanea del governo francese, cass. 87-88; 90, f. Collegio romano; Città di Castello, Arch. diocesano, FondoArchivio capitolare, cart. 831. Sull’attività presso la nunziatura di Vienna: Arch. segreto Vaticano, Nunziatura Vienna, bb. 240-252 (soprattutto 246 e 251); Segreteria di Stato, rubr. 247, bb. 400-402 (soprattutto 400). Sulla nomina episcopale: ibid., Dataria apostolica, Processus Datariae, vol. 187 (1823), ff. 266-275; Diario di Roma, 1823, n. 42, p. 1. Sulla missione in America Latina, i fondi principali si trovano ibid., Affari ecclesiastici straordinari, A.III.2 e 4; Segreteria di Stato, rubr. 287, b. 635 (1824); Miscellanea, Armadio II, t. 181; Fondo particolare Pio IX; Arch. storico della Congregazione de Propaganda Fide, Scritture riferite nei congressi, America Meridionale 1804-1825; Biblioteca apostolica Vaticana, Vat.Lat. 10190 (la maggior parte dei documenti è pubblicata in P. de Leturia, Relaciones entre la Santa Sede e Hispanoamérica 1493-1835, II: 1800-1835, Roma-Caracas 1959; III: Apendices - documentos - índices, 1960; e in P. de Leturia - M. Batllori, La primera misión pontificia a Hispanoamérica 1823-1825. Relación oficial de mons. G. M., Città del Vaticano 1963). Secondo L. Barros Borgoño, sembrano irreperibili le carte corrispondenti negli Archivos nacionales de Chile. A stampa si conserva la Storia delle missioni apostoliche dello stato del Chile, colla descrizione del viaggio dal Vecchio al Nuovo mondo fatto dall’autore, a cura di G. Sallustj, I-IV, Roma 1827. Sull’episcopato a Città di Castello: Arch. segreto Vaticano, Dataria apostolica, Processus Datariae, vol. 189 (1825), ff. 12-19; ibid., Congr. Concilio, Relat. Dioecesium, Civitatis Castelli 227 B; Città di Castello, Arch. storico diocesano, Fondo Muzi, 14 b.; Fondo Visite pastorali; Fondo Archivio capitolare, cart. 831 e 857; Arch. delle Figlie della Misericordia. A. Belli, Elogio funebre di G. M., Città di Castello 1850; L. Barros Borgoño, La misión del vicario apostolico D. Juan Muzi. Notas para la historia de Chile, Santiago de Chile 1883; G. Faeti, Biografia di mons. G. M. arcivescovo e vescovo tifernate dedicata a mons. A. Golfieri, Città di Castello 1897; F. Durá, Misión para Hispano América confiada en 1823 por los papas Pio VII y León XII a instancias del gobierno de Chile al vicario apostólico Juan Muzi arzobispo de Filipos. Fin y muerte del Regio Patronato de Indias. En homenaje a su centenario, Buenos Aires 1924; L. Ayarragaray, La Iglesia en América y la dominación española. Estudio de la época colonial, Buenos Aires 1935; P. de Leturia, El viaje en América del futuro pontefice Pio IX, 1823-1825, Roma 1943; Viajeros pontificios al Rio de la Plata y Chile 1823-1825. La primera misión pontificia a Hispano-América relatada por sus protagonistas, a cura di A.I. Gómez Ferreyra S.J., Córdoba (R.A.) 1970; M. Batllori, G. M., vicario apostolico in Cile, e successivamente vescovo e storico di Città di Castello, in Prospettive di storia umbra nell’età del Risorgimento. Atti dell’VIII convegno si studi umbri ... 31 maggio-4 giugno 1970, a cura del Centro di studi umbri, Gubbio-Perugia 1973, pp. 549-555; C. Falconi, Il giovane Mastai. Il futuro Pio IX dall’infanzia a Senigallia alla Roma della Restaurazione 1792-1827, Milano 1981; G. Tanzi, Documenti sulla missione pontificia al Cile e Sudamerica di mons. G. M. rinvenuti a Città di Castello, in Archivum Historiae Pontificiae, XX (1982), pp. 253-336; M. Mortin, Il seminario sabino. Storia e cronistoria, Roma 1989; Editti e notificazioni di mons. G. M. vescovo di Città di Castello, 1825-1849, a cura di E. Ciferri, Città di Castello 1989; U. Valentini, G. M. vicario apostolico in America Latina, Arcivescovo vescovo di Città di Castello, fondatore delle Figlie della Misericordia, S. Maria degli Angeli-Assisi 1992; Stanislao da Campagnola, L’attività pastorale di G. M. vescovo di Città di Castello (1825-1849) e la società del suo tempo, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, XC (1993), pp. 109-140; Congregazione Figlie della Misericordia Città di Castello, Monsignor G. M. e la società del suo tempo. Atti del convegno nazionale di studi organizzato nel 150° anno di fondazione della Congregazione ... Città di Castello, 25-26 maggio 1991, S. Maria degli Angeli-Assisi 1995.

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