VITELLI, Giovanni Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VITELLI, Giovanni Luigi (detto Chiappino)

Michele Lodone

Nacque probabilmente a Città di Castello, nel 1520, da Niccolò II e Gentilina della Staffa.

Il padre, figlio di Paolo Vitelli (già capitano della Repubblica fiorentina, giustiziato per tradimento nel 1499) fu condottiero al servizio di Venezia e del Papato, e morì nel 1529. Appare infondata la notizia, riportata da parte della storiografia, che egli fosse stato assassinato dal cugino Niccolò Bracciolini per vendicare l’uccisione da parte dello stesso Vitelli della moglie Gentilina (presunta amante di Bracciolini). La madre di Chiappino morì infatti nel 1566: a lei si devono la committenza (probabilmente a Giorgio Vasari) della cappella Vitelli nella chiesa di S. Francesco e la direzione dei lavori del palazzo in porta Sant’Egidio, poi passata a Chiappino (che vi chiamò Bartolomeo Ammannati e Alberto Alberti da Borgo Sansepolcro) e quindi a suo fratello Paolo (1519-74), che negli anni Settanta orientò le committenze artistiche di casa Vitelli verso il manierismo parmense ed emiliano, affidando i lavori a Prospero Fontana.

Seguendo la tradizione familiare, Vitelli (detto Chiappino, ovvero ‘orso’), fu avviato fin da giovane al mestiere delle armi insieme ai fratelli Paolo e Giovanni (1521-54). Conosciamo anche il nome di due sorelle: Lucrezia, che sposò Aurelio Fregosi di Sant’Agata, e Pantasilea, che dall’unione con Bartolomeo Bourbon del Monte Santa Maria ebbe due figli – Giovan Battista e Camillo – ai quali Gian Luigi fu particolarmente legato.

Dopo aver studiato il greco, il latino e la matematica sotto la guida del canonico Tommaso Gnotti da Città di Castello, futuro frate cappuccino e generale dell’Ordine, militò con lo zio Alessandro al servizio del duca di Firenze Cosimo I de’ Medici. Nel 1543 raggiunse l’esercito imperiale impegnato nella guerra di Gheldria nei Paesi Bassi, e nel 1544, tornato in Toscana, fu incaricato da Cosimo di respingere il corsaro Khayr al-Dīn Barbarossa da Orbetello. Condottiero e diplomatico, dotato di una solida preparazione tecnica (particolarmente nell’architettura militare) e al contempo estraneo alle logiche della politica fiorentina, negli anni seguenti Vitelli divenne uno dei principali uomini di fiducia di Cosimo I.

Nel 1548, grazie alla mediazione del duca, sposò Eleonora Cybo (1523-94), ritiratasi, dopo la morte del primo marito Gianluigi Fieschi, nel monastero fiorentino delle Murate. La coppia non ebbe figli, ma Vitelli riconobbe in seguito due figli nati da Giovanna Gavarri: Giovan Vincenzo (m. 1596), marchese di Cetona, uomo d’armi e ambasciatore anch’egli al servizio dei Medici; e Faustina (da non confondere con suor Faustina, al secolo Porzia, figlia di Vitello), che sposò Vincenzo di Alessandro Vitelli.

Nel 1550 si unì alla flotta imperiale comandata da Andrea Doria nella guerra con i corsari barbareschi. Nell’estate del 1553, per contrastare le truppe francesi, fu inviato in Corsica, dove espugnò San Fiorenzo. Rientrato in Toscana, si distinse nella guerra di Siena, e dopo aver partecipato alla decisiva vittoria di Scannagallo (2 agosto 1554), fu nominato da Cosimo luogotenente generale. Mentre tentava di appianare i dissensi tra il duca e il comandante generale Gian Giacomo Medici, marchese di Marignano, nel maggio 1555 sottomise buona parte della Val d’Orcia. Al seguito del Marignano, cacciò Piero Strozzi da Porto Ercole, guidando la conquista dei forti Sant’Ippolito ed Ercoletto e – con disappunto di Cosimo – «facendo prove, in armi, oltre a quello che si conveniva a condottiere di condizione quale egli era» (Adriani, 1583, p. 881). In luglio prese Castiglione della Pescaia e Gavorrano, e in novembre, insieme al milanese Gabriele (Gabrio) Serbelloni, cugino del Marignano, riuscì a respingere i corsari barbareschi da Piombino.

L’anno seguente si occupò della fortificazione delle zone di Lucca, Arezzo e Sansepolcro, e all’inizio di dicembre del 1558 fu inviato a Bruxelles con il duplice incarico di portare a Filippo II le condoglianze per la morte di Carlo V, e di sostenere le ragioni di Cosimo nelle trattative per la pace di Cateau Cambrésis. Insieme al vescovo di Arezzo Bernardo Minerbetti assistette alle cerimonie per le esequie dell’imperatore (23 dicembre), e si trattenne nelle Fiandre fino alla primavera del 1559. Seguì in tal modo i negoziati che portarono in aprile alla firma del trattato, che prevedeva tra l’altro la cessione del territorio di Montalcino al ducato di Toscana.

Tornato in Italia, in estate occupò insieme al fratello Paolo il feudo di Montone, passato dopo la morte di Camillo di Vitello al suo fratellastro, il cardinal Vitellozzo, tutore di Ferrante (figlio illegittimo di Camillo). La mediazione di Cosimo fece sì che la scomunica inflitta a Vitelli e suo fratello da Pio IV fosse ritirata: del feudo di Montone fu quindi investito Vitelli, mentre sua figlia Faustina andò in sposa a Vincenzo (fratello del cardinal Vitellozzo).

Vitelli aveva intanto ottenuto da Cosimo il marchesato di Cetona (oggi in provincia di Siena, non lontano dal Trasimeno), e grazie al suo protettore aveva acquistato a Firenze, nel quartiere di S. Maria Novella, il casino di Gualfonda, nel cui giardino chiamò a lavorare Bartolomeo Ammannati. Nel marzo 1562 Cosimo lo nominò primo cavaliere del neofondato Ordine di Santo Stefano, di cui in seguito Vitelli fu nominato gran connestabile.

In quegli anni gli furono affidati vari incarichi diplomatici. Nell’ottobre 1559 si recò a Ferrara presso Renata di Francia, appena rimasta vedova per la morte di Ercole II. Nel maggio 1563 raggiunse il primogenito di Cosimo, Francesco, presso la corte spagnola, dove rimase anche dopo la partenza del Medici, a metà settembre. A tali incarichi continuò ad associarne altri di natura militare. Nel 1564 si unì alla flotta spagnola guidata da García Álvarez de Toledo e diretta al Peñón de Vélez de la Gomera, una piccola penisola sulle coste marocchine. In tale occasione si segnalò per l’audacia con cui perlustrò a nuoto la fortezza nemica (che, dopo la conquista, si occupò di riprogettare).

Rientrato a Pisa, nel palazzo dei cavalieri di S. Stefano (oggi Palazzo della Carovana), il febbraio seguente fu richiesto dal duca di Albuquerque per accorrere alla difesa della Goletta, in Tunisia. Partita in aprile da Costantinopoli, la flotta turca che tanto preoccupava Filippo II pose l’assedio a Malta. Qui si diresse quindi Vitelli, imbarcatosi a Porto Ercole con Gianandrea Doria per rispondere all’appello di García Álvarez de Toledo. In settembre, dopo la vittoria spagnola, tornò di nuovo a Pisa.

Al fronte mediterraneo si sostituì, negli anni successivi, quello nordeuropeo. Nel febbraio 1567 Filippo II chiese a Cosimo di inviare Vitelli nelle Fiandre, dove il dominio spagnolo era sempre più instabile. Vitelli si guadagnò presto la fiducia del duca d’Alba Fernando Álvarez de Toledo, e per circa un decennio fu così tra i principali attori della cosiddetta Guerra degli ottant’anni.

Partito in aprile da Pisa, attraverso Genova – dove si unì alle truppe del duca d’Alba – e la Lombardia, egli giunse a Bruxelles, dopo una lunga marcia, in agosto. Il 9 settembre partecipò all’inganno con cui furono arrestati i conti di Egmont e Hornes, primo e clamoroso segnale della linea intransigente adottata dal duca d’Alba. I due aristocratici furono decapitati nella Grand Place di Bruxelles il 5 giugno 1568, e di lì a breve Vitelli scrisse a Cosimo che l’esecuzione lo aveva «fatto star balordo due giorni» (Nievas Rojas, 2020, p. 179).

Dopo aver sconfitto un contingente spagnolo a Heiligerlee (23 maggio), le truppe ribelli guidate da Luigi di Nassau attaccarono Groningen. Qui fu inviato Vitelli, che tenne impegnato l’esercito nemico e – nominato dal duca maestro di campo generale – fu poi tra i protagonisti della vittoria spagnola di Jemmingen (21 luglio). Dal settembre dell’anno precedente Vitelli era stato intanto incaricato, insieme a Gabrio Serbelloni e Francesco Paciotto, di erigere la cittadella di Anversa (distrutta nel 1577). Del procedere dei lavori Vitelli informava non solo il duca d’Alba, ma anche la corte medicea, tenendola aggiornata sulle nuove tecniche costruttive impiegate in campo militare. Negli stessi mesi supervisionò anche la fortificazione di Thionville, Luxembourg, Cambrai, Maastricht e Valenciennes (Mavilla, 2018, pp. 324-327).

Nell’ottobre 1569 Vitelli fu inviato alla corte di Elisabetta I, per chiedere la restituzione di alcune navi spagnole che trasportavano denaro. La missione inglese non ebbe buon esito, anche per lo scoppio, il 14 novembre, della rivolta dei papisti (nota come Northern Rebellion). Dopo un’ultima udienza, il 18 dicembre, Vitelli ripartì. Egli aveva comunque favorevolmente impressionato la regina, che alcuni mesi dopo gli scrisse per ringraziarlo di aver accolto benevolmente, ad Anversa, l’ambasciatore Henry Cobham. Elisabetta scrisse a Vitelli una seconda lettera di ringraziamento il 4 agosto 1575, ma la promessa di ricompensare i suoi «honoreuoli ufficii et cortesie» (tra i quali è da annoverare anche l’invio in Inghilterra del pittore Federico Zuccari) non ebbe seguito per la morte, di lì a pochi mesi, di Vitelli.

Insieme al figlio del duca d’Alba, don Fadrique de Toledo, riconquistò Mons nel settembre 1572. Nel 1573 si spostò in Zelanda per fronteggiare i cosiddetti pezzenti del mare (Watergeuzen), mentre Filippo II affidava il comando generale dell’esercito spagnolo nei Paesi Bassi a Luis de Requesens y Zúñiga.

Vitelli morì il 3 novembre 1575, a cinquantasei anni, mentre veniva trasportato ad Anversa per curare le ferite riportate durante l’assedio di Zierikzee. Dopo i funerali, svoltisi ad Anversa, il corpo fu trasportato a Città di Castello e sepolto nella cappella familiare fatta edificare dalla madre nella chiesa di S. Francesco.

Capitano, ingegnere e diplomatico accorto, Vitelli fu una figura chiave per il consolidamento del Ducato di Toscana come potenza regionale nel contesto dell’egemonia asburgica in Europa. Non lasciò scritti di architettura o arte militare, ma di esse trattò ampiamente nel suo carteggio con Cosimo I, suo figlio Francesco e il segretario Bartolomeo Concini. Le numerose lettere di Vitelli, che coprono quasi trent’anni (1548-75), sono conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del Principato, fzz. 13, 57-60 e sparse in altre filze. Sempre presso l’Archivio di Stato fiorentino, nel fondo Rondinelli-Vitelli, sono conservati diplomi e privilegi concessi a Vitelli da papa Paolo IV, dal duca di Firenze e da Filippo II.

La fama di Vitelli fu precoce, come testimonia la lettera del 15 agosto 1545 con la quale si conclude il Trattato delle fortificazioni di terra di Giovanni Battista Belluzzi, detto il Sanmarino (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 2587). Di lì a qualche anno le sue imprese giovanili nella guerra di Gheldria furono celebrate da Girolamo Maggi di Anghiari in un poemetto stampato a Venezia, da Comin da Trino, nel 1551 (Arfaioli, 2019).

A Vitelli e alla sua consorte dedicò vari componimenti anche Laura Battiferri, moglie di Bartolomeo Ammannati. La poetessa esaltò le vittorie ottenute da Vitelli in occasione della guerra di Siena nell’egloga Europa (1560), e contro i turchi in un sonetto (Hor c'ha pur l'alto valor vostro invitto), che allude anche a una statua di Ercole, «simile al suo Nettuno altero», cui stava lavorando Ammannati, il «mio buon Fidia» (Kirkham, 2006, p. 122).

La prestanza fisica di Vitelli, su cui varie fonti concordano, è ritratta da Vasari, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, negli affreschi del Trionfo della guerra di Siena e della Rotta dei Turchi a Piombino (soffitto, databile 1563-65), e nella Presa di Porto Ercole (pareti, 1567-71). Tuttavia tale prestanza cedette, intorno ai cinquant’anni, a una corpulenza presa di mira – insieme alla presunta empietà del marchese di Cetona – da un epitafio satirico diffuso dai calvinisti fiamminghi: «O Deus omnipotens, crassi miserere Vitelli, / quem mors praeveniens non sinit esse bovem. / Corpus in Italia est, tenet intestina Brabantus / ast animam nemo. Cur? Quia non habuit» (Leti, 1693, p. 39).

Fonti e bibliografia

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