LAZZONI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LAZZONI, Giovanni

Cristiano Giometti

Capostipite di una famiglia di scultori carraresi la cui attività si svolse prevalentemente in Toscana, a Roma e nel Ducato di Modena a partire dalla seconda metà del XVII secolo, il L. nacque a Carrara nel 1618 da Andrea (Campori).

Il suo esordio al servizio degli Este si può far risalire con certezza al 17 nov. 1645 (Ducale palazzo…), data in cui iniziò a percepire una provvigione per la sua partecipazione all'impresa decorativa del palazzo ducale di Sassuolo.

Il polifonico coro delle maestranze e dei plasticatori riunito per la circostanza fu abilmente coordinato da Luca Colombi, il quale assegnò al L. l'esecuzione delle quattro statue in stucco poste nelle nicchie dell'atrio a pianterreno del palazzo raffiguranti le Stagioni. A questi stessi anni si possono far risalire anche le due allegorie della Nobiltà e della Gloria collocate ai lati dello stemma estense posto al di sopra della prospettiva illusionistica affrescata da Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli sullo scalone d'ingresso dello stesso palazzo (Riccomini).

L'ultimo pagamento al L. per questa serie di interventi è registrato alla data del 3 apr. 1647 (Ducale palazzo…); ed è assai probabile che, in un breve volgere di tempo egli si fosse trasferito a Roma richiamato quasi certamente dalle allettanti possibilità di lavoro offerte dalle numerosi fabbriche pontificie promosse in vista dell'anno giubilare. A partire dalla primavera del 1647, infatti, si dette avvio alla decorazione plastica dei pilastri della navata di S. Pietro in Vaticano, un cantiere voluto da papa Innocenzo X Pamphilj e affidato all'ideazione di Gian Lorenzo Bernini. La smisurata vastità di parato murario da ricoprire impose il reclutamento di un vero esercito di artisti, composto da scalpellini, lustratori e da ben trentanove scultori. Tra questi, oltre a un gruppo di consueti collaboratori di Bernini come Antonio Raggi, Ercole Ferrata e Lazzaro Morelli, figurava anche il L. come autore di tre bassorilievi, "cioè uno con la medaglia e 2 con le Chiavi" (Tratz; Arch. della Fabbrica di S. Pietro, arm. 26, D, 276, c. 158). Il lavoro, iniziato il 27 luglio di quell'anno, venne portato a termine entro il 30 sett. 1648, giorno in cui il L. ricevette il saldo di 65 scudi a compimento di un compenso complessivo pari a 370 scudi (ibid.).

Molti dei "giovani" che avevano partecipato a quell'impresa furono successivamente coinvolti nei lavori in S. Giovanni in Laterano, basilica di cui l'architetto Francesco Borromini aveva curato i restauri. In base al progetto elaborato dal soprintendente Virgilio Spada in collaborazione con Alessandro Algardi, le dodici nicchie borrominiane aperte sulla navata dovevano essere sormontate da altrettanti rilievi in stucco raffiguranti storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Al L. fu affidata la Resurrezione di Cristo, una scena dominata dalla possente figura del risorto in cui lo scultore si misurava con una prima e organica rielaborazione del linguaggio barocco di stampo algardiano. Tutti i rilievi del ciclo furono completati entro il 1649 e valsero a ciascun artista la cifra di 110 scudi (Heimbürger Ravalli).

La carriera romana del L. proseguì nel decennio successivo con una nuova impresa collettiva, promossa dalla famiglia Cerri. Il 29 apr. 1640 Antonio Cerri aveva acquistato la seconda cappella a sinistra nella chiesa del Gesù e ne aveva affidato il progetto di ammodernamento a Pietro Berrettini da Cortona. Alla morte del prelato (1642), i due figli Carlo e Francesco si impegnarono a portare a compimento la decorazione della cappella di cui diedero incarico agli scalpellini Luca Berrettini e Domenico Marcone. Il 23 dic. 1657 i due maestri presentarono un rendiconto delle loro spettanze nel quale erano menzionate anche le quattro statue di marmo poste nelle nicchie agli angoli del vano (Montagu). Per la realizzazione di queste figure allegoriche vennero chiamati alcuni tra i più valenti scultori della nuova generazione come Domenico Guidi (la Temperanza), Cosimo Fancelli (la Giustizia) e suo fratello Iacopo Antonio (la Forza), a cui si aggiunse anche il L., autore della classicheggiante statua della Prudenza (Deseine).

Al 1660 risale infine l'esecuzione del busto ritratto raffigurante la Principessa Olimpia Aldobrandini, opera datata e firmata che si conserva alla Galleria Doria Pamphilj di Roma (Ferrari-Papaldo).

L'effigie marmorea della nobildonna si caratterizza per l'iconica frontalità dell'impostazione; al trattamento più raffinato della capigliatura si contrappone la geometrica e quasi stilizzata resa del corpetto affusolato. Anche il taglio nettamente orizzontale della vita e delle braccia contribuisce ad accentuare la rigidezza dell'insieme, che risulta ancor più evidente se lo si confronta con la vibrante soluzione a punta adottata da Algardi nel famoso busto di Olimpia Maidalchini, suocera della principessa Aldobrandini (1648-50: Roma, Galleria Doria Pamphilj).

Al termine di questa lunga e assai intensa parentesi capitolina, il L. fece ritorno nella sua terra d'origine, cercando tuttavia presso gli antichi committenti nuove possibilità d'impiego. Verso la fine del 1662 fu chiamato a partecipare all'imponente cantiere aperto in S. Agostino, la chiesa modenese che in seguito ai funerali del duca Francesco I (1658) venne eletta a celebrare l'apoteosi della famiglia d'Este ed elevata al rango di Pantheon Atestinum.

Sotto la direzione dell'architetto bolognese Gian Giacomo Monti un nutrito gruppo di plasticatori si mise all'opera per modellare in forma di busto o di figura intera le effigi dei santi, beati ed eroici antenati del casato; il L. realizzò le statue di S. Contardo d'Este, di S. Amedeodi Savoia e della Beata Beatrice d'Este, ricevendo "venticinque doble per regalo" il 25 genn. 1663 (Riccomini). Lamentatosi per essere stato costretto a lavorare in stucco e non in marmo "come la sua vera professione" (Biagi Maino), venne prontamente accontentato. Infatti, sempre nel 1663, gli furono commissionate le due statue marmoree di S. Contardo d'Este e S. Amedeo di Savoia destinate a fiancheggiare il sontuoso tabernacolo a tempietto progettato dall'architetto ducale Bartolomeo Avanzini nella chiesa di S. Vincenzo a Modena (Martinelli Braglia).

Grazie a una buona dose di intraprendenza e al sostegno che gli fu accordato dal pittore ducale Francesco Stringa, il L. poté contare su una serie quasi ininterrotta di commissioni anche negli anni successivi.

Nel 1677, per esempio, gli vennero allogate due statue di Pallade e Mercurio da porsi sulla balaustra del palazzo ducale di Modena, a completare la serie di divinità già iniziata dal bolognese Gabriele Brunelli. Una volta terminato questo primo impegno, il L. fece istanza per ottenere l'assegnazione di altre quattro statue; ma Marte, la Virtù, la Fortezza e il Tempo furono scolpite quasi per intero dai figli Andrea e Tommaso, che da quel momento in poi presero a collaborare sempre più di frequente con l'anziano padre.

La misura della stima di cui godeva il L. è indicata inoltre dalla positiva conclusione della vicenda delle nove statue per la facciata della chiesa di S. Giorgio, una commessa che il L. e i figli si contesero con i rivali Domenico Carloni e Andrea Baratta. Quest'ultimo, pur avendo approntato alcuni modelli assai apprezzati, nel 1685 si vide sfuggire la prestigiosa occasione a favore del L., il quale lasciò ancora una volta ai figli l'esecuzione delle opere (Soli).

Il successivo fu un decennio particolarmente intenso per il L. che iniziò a lavorare sempre più frequentemente anche per la città di Lucca e i suoi dintorni. Nel 1681 firmò l'altare in marmi intarsiati della chiesa di S. Michele in località Sant'Angelo in Campo; si trattò di uno degli esempi più significativi di plastica barocca della zona in cui i caratteristici elementi di derivazione romana vengono riproposti con risultati di estrema originalità. Sempre al L. si deve ascrivere la vibrante statua della Madonna Immacolata, detta anche dello Stellario, posta su un'alta colonna con capitello corinzio nella piazza di S. Francesco a Lucca. Terminata nel 1687, l'opera era stata commissionata dal vicario generale della diocesi, Flaminio Nobili, che ne fece dono alla Compagnia della Concezione (o dello Stellario) officiante nella vicina chiesa di S. Francesco (Ridolfi).

Sulla base di una radicata tradizione storiografica locale d'inizio Novecento, si era soliti attribuire al L. anche le due figure allegoriche della Carità e della Purezza ai lati dell'altare maggiore della chiesa di S. Caterina (ibid.); tuttavia le vicende relative alla riedificazione dell'edificio, avvenuta tra il 1738 e il 1741, portano a escludere un suo coinvolgimento spostando la paternità delle due opere sul più giovane scultore Giovanni Antonio Cybei. Stilisticamente sembrano invece appartenere ai modi del L. le due statue di S. Paolino e S. Donato collocate alla sommità dell'omonima porta cittadina (Belli Barsali), e i tre rilievi in stucco sulla facciata dell'oratorio della Madonnina raffiguranti la Gloria di s. Paolino, la Consegna delle chiavi a s. Pietro e l'Elemosina di s. Martino.

Tra i suoi più assidui committenti lucchesi si deve infine ricordare il nobile Fabrizio Mansi per il quale il L. realizzò probabilmente il busto ritratto e una statuetta di Diana, segnalata da Campori nella villa che fu dei Mansi a Verno presso Lucca.

La proficua forma di collaborazione avviata con i figli Andrea e Tommaso, permise al L. di essere presente in diverse città e di portare avanti al contempo numerose commissioni. In virtù dei legami parentali e della corroborata esperienza, i nomi dei tre scultori si intrecciano spesso in alcune imprese comuni come nel caso dei lavori nelle chiese massesi di S. Francesco e del vecchio duomo di S. Pietro, promossi dal potente cardinale Alderano Cibo.

Il cantiere in S. Francesco prese avvio nel 1663 con l'edificazione del monumentale altare maggiore, progettato dall'architetto Giovanni Francesco Bergamini. Una volta terminata la lavorazione dei marmi, eseguita quasi per intero dalla bottega di Andrea Baratta, si passò alla realizzazione delle due statue da porre ai lati della mensa; i modelli in terracotta del S. Francesco e del S. Bernardino furono approntati a Roma da Guidi e giunsero fortunosamente a Massa alla fine del gennaio del 1673 per essere tradotti in marmo rispettivamente da Andrea Lazzoni e da Francesco Tacca (G.B. Bergamini, Memorie storiche di Massa, Carrara ed Avenza di Lunigiana, in Federici). Tra il 1682 e il 1684 i lavori in S. Francesco ripresero con la decorazione degli altari del transetto, per i quali il cardinale aveva commissionato due tele al pistoiese Luigi Garzi. Anche in questa circostanza, i modelli dei Putti sormontanti le edicole vennero eseguiti da Guidi, ma furono scolpiti a Massa dal L. e da Andrea Baratta (ibid.).

Nel 1687 riprese con vigore anche la riedificazione del duomo di S. Pietro, crollato in gran parte nella notte dell'8 dic. 1671. I membri della famiglia Cibo si impegnarono attivamente a riportare in vita l'antico edificio; tra le altre iniziative, nell'ambito della decorazione interna, il duca Alberico II Cibo Malaspina curò l'erezione dell'altare del Crocifisso, mentre suo fratello Alderano finanziò quello dedicato al Rosario, entrambi disegnati dall'architetto Domenico Martinelli. Seguendo una moda assai diffusa a Roma, il cardinale decise di porre nell'edicola del suo altare un rilievo marmoreo raffigurante La Vergine che consegna il rosario a s. Domenico; è quindi del tutto probabile che egli avesse fatto ancora una volta appello alle capacità creative di Guidi, uno specialista in questo campo per aver scolpito i rilievi d'altare nella cappella del Monte di pietà e nella chiesa di S. Agnese. Il difficile compito di tradurre in un'ancona monumentale il modello di Guidi fu assegnato al L., il quale si avvalse di nuovo dell'assistenza dei figli Tommaso e Andrea. La grande tavola di marmo pronta per essere scolpita venne sistemata in un locale preso appositamente in affitto presso l'ospedale di Carrara; e i Lazzoni cominciarono a por mano all'opera già dal marzo del 1688, quando alla data del 14 i due agenti del cardinale, Giovanni Pizzuti e Bernardino Moretti, effettuarono il primo pagamento. La sequenza piuttosto regolare dei versamenti si interruppe il 22 ag. 1691, quasi certamente in corrispondenza con l'avvenuta conclusione dei lavori.

L'opera non è più collocata in situ. In seguito alla distruzione del vecchio duomo voluta da Elisa Bonaparte Baciocchi nel 1807, l'"alto rilievo notabilissimo" (Campori) fu posto in deposito nei magazzini della chiesa di S. Sebastiano; e soltanto nel 1856 si procedette al suo trasferimento nell'altare di destra del transetto della nuova cattedrale dei Ss. Pietro e Francesco (Ceccopieri Maruffi).

Non si conoscono il luogo e la data di morte del L., che, in ragione della scomparsa del suo nome dai documenti contabili, dovette tuttavia avvenire verso la fine del 1690 o all'inizio del 1691 (Federici).

Parallelamente all'attività svolta in seno allo studio del padre, i due fratelli Tommaso e Andrea portarono avanti anche una loro carriera indipendente. Di Tommaso si ricordano le sei statue in terracotta eseguite nel 1680 per la facciata del duomo di Carpi raffiguranti S. Bernardino da Siena, S. Francesco, S. Valeriano, S. Sebastiano, S. Pietro e S. Paolo (Campori), e ancora un busto in marmo per casa Negri a Pontremoli, di cui faceva menzione Bologna.

Di Andrea, oltre alla già citata statua di S. Francesco per l'omonima chiesa di Massa, si segnalano due piccoli gruppi marmorei con Enea e Anchise e il Tempo, datati 1706 e conservati presso il Castello Sforzesco di Milano.

L'ultimo rappresentante della famiglia a seguire le orme dei suoi predecessori fu Giovanni, figlio di Andrea e nipote di Giovanni. Il catalogo della sua produzione, ancora piuttosto ridotto, è stato ricostruito da Campori che annoverava tra le sue opere più riuscite il rilievo in marmo raffigurante S. Antonio da Padova che tiene in braccio il Bambino, collocato nell'altare dedicato al santo nella chiesa di S. Francesco a Carrara. Sempre Campori ricordava "la bella ancona posta nel 1739 all'altare del Crocefisso nella chiesa di S. Pietro a Massa, in cui rappresentò la Madonna sostenuta da due Angeli, S. Giovanni e la Maddalena"; mentre Soli gli assegnava un Crocifisso in marmo bianco collocato nella quinta cappella della navata destra nella chiesa dei Carmelitani di Modena. Eseguita entro il 1700, l'opera nel 1768 era già stata sostituita da un altro Crocifisso in stucco attribuito allo scultore modenese Gregorio Rossi.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Arch. segreto Estense. Arti belle, Scultori, b. 17/1, cartella Lazzoni; Firenze, Kunsthistorisches Institut, Fototeca, cart. Lazzoni, 736 A.1523, 737 A.1524; F.J. Deseine, Rome moderne…, I, Leyden 1713, p. 252; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura, nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, p. 102; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori…, nativi di Carrara, Modena 1873, pp. 142-147; E. Ridolfi, Guida di Lucca, Lucca 1877, p. 56; C. Lazzoni, Carrara e le sue ville, Carrara 1880, pp. 354-356; G. Sforza, Gli scultori della famiglia Lazzoni di Carrara, in Atti e memorie delle Rr. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, s. 3, V (1888), pp. 158-166; P. Bologna, Artisti e cose d'arte e di storia pontremolesi, Firenze 1898, pp. 86, 108; G. Barsotti, Lucca sacra, Lucca 1923, p. 212; E. Riccomini, Ordine e vaghezza: scultura in Emilia nell'età barocca, Bologna 1972, pp. 57-60; G. Soli, Le chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, I, p. 194; II, pp. 124, 352, 356; M. Heimbürger Ravalli, Architettura, scultura e arti minori nel barocco italiano. Ricerche nell'archivio Spada, Firenze 1977, pp. 233-238; P. Ceccopieri Maruffi, L'altare del Rosario nel duomo di Massa ed il restauro del 1856, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, I (1979), pp. 257-259; Ducale palazzo di Sassuolo, a cura di M. Pirondini, Genova 1982, pp. 52-70, 75-77, 132-134; J. Montagu, Alessandro Algardi, New Haven 1985, pp. 254 n. 26, 344, 466; I. Belli Barsali, Lucca. Guida alla città, Lucca 1988, pp. 49, 121, 216; G. Martinelli Braglia, Il tabernacolo "a tempietto" di Bartolomeo Avanzini e Tommaso Loraghi in S. Vincenzo di Modena. Documenti inediti, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XII (1990), p. 117; D. Biagi Maino, "La fatica, lo studio, l'opera et il sasso", in Il Carrobbio, XVII (1991), pp. 57-74; H. Tratz, Die Ausstattung des Langhauses von St. Peter unter Innozenz X., in Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, XXVII-XXVIII (1991-92), p. 371; A. Bacchi, Scultura del '600 a Roma, Milano 1996, pp. 813 s.; O. Ferrari - S. Papaldo, Le sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 103, 145, 491; I carraresi a Roma (catal., Carrara), Pontedera 1999, p. 44; F. Federici, La diffusione della "prattica romana": il cardinale Alderano Cybo e le chiese di Massa, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XXV (2003), pp. 364-366; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 494 (s.v. Lazzoni).

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