MEDICI, Giovanni Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MEDICI, Giovanni Giacomo (

Massimo Carlo Giannini

detto il Medeghino). – Nacque a Milano, molto probabilmente fra il 1497 e il 1498, da Bernardino della famiglia dei Medici di Nosiggia e da Cecilia Serbelloni.

Primo di dieci figli, il M. apparteneva a una famiglia di condizioni agiate, ma non aristocratica: il padre era un appaltatore delle imposte ducali e la madre era figlia del notaio Gabriele Serbelloni. Nonostante una consolidata tradizione in ossequio alla fama del M. abbia fatto dei Medici di Nosiggia un ramo del casato signorile fiorentino, il cognome designa unicamente l’appartenenza della famiglia alla parrocchia ambrosiana di S. Martino in Nosiggia.

Nulla si conosce dei primi anni di vita del Medici. I tumultuosi rivolgimenti politici che scossero la penisola italiana e il Ducato di Milano a partire dalla discesa di Carlo VIII di Francia (1494) coinvolsero anche la sua famiglia. Nel 1515 il padre del M. – che l’anno prima si era compromesso nell’assumere un appalto durante l’effimera restaurazione sforzesca – si vide confiscare dai Francesi i propri beni e gettare in prigione; liberato, morì in rovina nel 1519. A tale data il M. risultava già bandito – accusato, a quanto sembra, di omicidio – e dichiarato ribelle dalle autorità francesi. In quegli anni combatté con gruppi di partigiani sforzeschi dediti al banditismo nell’area del lago di Como. Nel 1522 gli Sforza tornarono signori di Milano con il duca Francesco II. I primi di luglio il M. fu implicato nell’assassinio di Astorre (o Ettore) Visconti, detto monsignorino, abate commendatario del monastero di S. Celso che da capo di una clientela armata filosforzesca era divenuto governatore di Alessandria e si era fatto alquanto invadente nei confronti del governo ducale appena restaurato.

Secondo la tradizione il M. avrebbe assassinato Visconti su ordine del gran cancelliere Gerolamo Morone – legato da vincoli di amicizia al padre del M. – e forse dello stesso duca. Tuttavia, l’unico elemento certo è che nel mese di ottobre il M. era ricercato per l’omicidio. Si allontanò dunque da Milano per rifugiarsi nella zona del lago di Como, dove ricomparve nel gennaio 1523, poco dopo che le truppe imperiali avevano conquistato il castello di Musso, località strategica per il controllo della parte settentrionale del lago. Non è affatto chiaro il modo in cui il M. riuscì a impadronirsi della rocca di Musso e a insediarvisi come castellano in nome del duca di Milano – circostanza che ha favorito ricostruzioni più o meno romanzesche –, ma nel luglio 1524 la sua autorità risultava formalmente riconosciuta da Francesco II.

Da quel momento, a capo di un piccolo esercito di avventurieri e mercenari, il M. avviò una politica volta a imporre la propria autorità sulle terre che si affacciavano sulla parte settentrionale del lago. Condusse con sé a Musso i fratelli Giovan Battista, Gabriele e Agosto, nonché le sorelle Clara e Margherita, mentre diede avvio a una serie di lavori volti a trasformare la rocca in una fortezza e in una reggia, in vista della creazione di un dominio personale. Inoltre provvide a far costruire una flottiglia di barche con cui prese a condurre atti di pirateria ai danni dei commerci lacustri o spedizioni volte a taglieggiare e saccheggiare numerose località lariane. Del resto egli contava sulla tacita approvazione del duca di Milano circa la penetrazione verso la Valtellina, sottoposta al dominio delle Tre Leghe Grigie. L’atteggiamento di Francesco II non deve stupire più di tanto: il Ducato era in preda alle truppe degli opposti schieramenti ed egli non poteva permettersi di andare troppo per il sottile nello scegliere i propri sostenitori.

Come condottiero al servizio della causa sforzesca, il M. nel maggio 1524, s’impadronì con un audace colpo di mano di Chiavenna, capoluogo della Valtellina: si trattava di un’operazione motivata sia dalle mire espansionistiche del M. sia dall’esigenza di un diversivo per distogliere i mercenari grigioni dal teatro bellico della pianura lombarda. L’occupazione di Chiavenna fu del tutto effimera, ma servì al M. per assicurarsi il pieno controllo del territorio delle cosiddette tre pievi lariane (Gravedona, Dongo e Sorico) e per giunta gli valse da parte del duca di Milano la nomina vitalizia a castellano di Musso come ricompensa per i servigi resi.

In quegli anni tumultuosi il M. parve dare forma a una signoria di fatto indipendente, giocando in maniera spregiudicata fra i sostenitori della Francia e quelli degli Asburgo: nel 1526, in seguito al formarsi della Lega di Cognac, seguì Francesco II nell’alleanza contro Carlo V. Al contempo, però, egli diede mostra di perseguire con grande spregiudicatezza i propri interessi: nell’estate di quell’anno non esitò a sequestrare due ambasciatori della Repubblica di Venezia, in viaggio sul lago di Como alla volta della corte francese, al fine di ottenere il pagamento dei debiti che vantava per l’arruolamento di soldati al servizio della Serenissima. Malgrado le proteste degli alleati e i richiami del duca di Milano, il M. riuscì a farsi pagare, tra giugno e luglio del 1527, s’impossessò dell’importante castello di Monguzzo, togliendolo al feudatario ducale, Alessandro Bentivoglio. Nel frattempo aveva avviato contatti diretti con la Francia, inviando alla corte di Francesco I il fratello Giovan Battista. Nel luglio 1527, alla guida di un piccolo esercito di circa 3000 fanti, formato per lo più da mercenari svizzeri e grigioni, mosse verso Milano. Le milizie furono però intercettate a Carate il 30 luglio dagli Ispano-imperiali guidati da Antonio de Leyva, comandante dell’esercito in Lombardia, e sconfitte anche a causa dell’indisciplina dei mercenari svizzeri e grigioni.

Tuttavia de Leyva dovette abbandonare rapidamente il campo per tornare a Milano e così il M. evitò che la sconfitta ponesse fine al suo potere. Anzi, nell’ottobre 1527, con l’aiuto dei Veneziani, cinse d’assedio Lecco, in mano degli Imperiali. Le operazioni non diedero però l’esito sperato, anche per le reciproche diffidenze fra gli assedianti. Del resto, sin dai primi del 1528, de Leyva aveva intavolato trattative separate con il Medici.

Il 31 marzo 1528 furono conclusi i cosiddetti accordi di Pioltello fra il M. e de Leyva, in base ai quali egli passava al servizio di Carlo V ottenendo in cambio la piena amnistia per sé e i suoi uomini, oltre al versamento di 20.000 scudi. Ricevette inoltre l’investitura feudale, con il titolo di marchese di Musso, su numerose terre intorno al lago di Como (a esclusione della città di Como), con piena giurisdizione, mero e misto imperio e la facoltà di battere moneta. La concessione prevedeva il diritto di trasmissione del titolo e delle prerogative: in sostanza veniva creato un piccolo Stato sovrano a nord di Milano.

La messa in atto delle concessioni si scontrò tuttavia con il rifiuto del Senato milanese all’interinazione di tali ampi privilegi. Inoltre il duca di Milano, nel quadro degli accordi di pace con Carlo V, sul finire del 1529 ottenne che l’imperatore negasse la conferma delle concessioni fatte da de Leyva.

Tuttavia l’ambizione a espandere ulteriormente i propri domini fino a creare un vero e proprio territorio indipendente a cavallo fra il Comasco e l’area elvetica mosse il M. ad avviare contatti con i Francesi e soprattutto a organizzare una spedizione militare per impadronirsi della Valtellina.

Nel frattempo il M. provvedeva a consolidare le sue fortune familiari: promosse la carriera ecclesiastica del fratello Giovan Angelo – che sarebbe divenuto papa con il nome di Pio IV –, utilizzato a più riprese come agente nelle trattative diplomatiche con varie corti, fra cui quella papale, dove entrò in stretti rapporti con il cardinale Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III. Nel corso del 1529 riuscì a stabilire importanti alleanze per mezzo dei matrimoni della sorella Margherita con Giberto Borromeo, conte di Arona, e della sorella Clara con il conte Wolf Dietrich von Hoenhems, appartenente a una famiglia di recente nobiltà legata al fratello di Carlo V, Ferdinando d’Asburgo.

Dopo aver cercato, senza successo, di concludere un accordo con Francesco II Sforza, il M., nel marzo 1531, occupò con i suoi mercenari Morbegno, affidandone il presidio al fratello Gabriele, non senza cercare di giustificare tale iniziativa in chiave antiprotestante. Come reazione le Leghe Grigie e i Cantoni svizzeri strinsero un’alleanza militare con il duca di Milano per porre fine al potere del M., che prevedeva la restituzione a Francesco II delle terre lariane usurpate e la distruzione delle fortificazioni di Musso e di altre località.

L’accordo denunciava peraltro tutta la debolezza del duca, dal momento che a lui sarebbe spettato l’onere finanziario dell’intera impresa. Dopo la riconquista di Morbegno, le forze sforzesco-grigione colsero un primo successo con la presa di Monguzzo (luglio 1531). I successivi assedi delle fortezze di Lecco e Musso, invece, si rivelarono fallimentari, tanto più di fronte a un comandante abile e audace come il M., pure colpito dalla morte in battaglia del fratello Gabriele. Le operazioni belliche delle forze sforzesco-grigione furono ostacolate dalle diffidenze fra gli alleati, dalle oggettive difficoltà costituite dalla conformazione montuosa del terreno e dai gravi problemi finanziari del duca di Milano, costretto non solo a sobbarcarsi i pesanti costi delle truppe, ma anche ad armare imbarcazioni per contrastare la flottiglia del M. sul lago di Como.

Nel febbraio 1532 furono intavolate trattative di pace, condotte a Milano e in Svizzera dai fratelli del M., rispettivamente Giovan Angelo e Giovan Battista. Grazie alla mediazione del rappresentante imperiale presso la corte sforzesca (Marino Caracciolo) e di quello del duca di Savoia (Agostino Ferrero, vescovo di Vercelli) i primi di marzo, il M. e Francesco II si accordarono per porre fine alla guerra. Il M. cedette Musso, Lecco e tutte le altre terre occupate, comprese le artiglierie, ottenendo in cambio 35.000 scudi e l’investitura di Marignano (l’odierna Melegnano) con titolo marchionale, più altri 1000 scudi annui di rendita. L’accordo ottenne il beneplacito di Carlo V e, dopo alcune frizioni circa la sua concreta attuazione, il M., accompagnato dai due fratelli, dal cugino Gabrio Serbelloni e dai suoi uomini, fu scortato fuori dai confini del Ducato di Milano da Caracciolo e da Ferrero. Il 22 marzo 1532 il M. entrò a Vercelli con la sua guardia di 25 alabardieri, dopo che il fratello Giovan Battista aveva pagato il soldo ai capitani e licenziato i soldati. L’accoglienza nei domini sabaudi era funzionale tanto al desiderio del duca Carlo II di Savoia di servirsi di lui nei progetti di riconquista di Ginevra, quanto alle mire della famiglia Ferrero, volte al consolidamento del loro potere nel territorio biellese. Nell’aprile del 1534 il M. acquistò da Carlo II il castello e il feudo di Lanzo.

Nel 1536, con l’invasione francese del Piemonte e il riaccendersi del conflitto franco-asburgico, il M. combatté prima al servizio del duca di Savoia e poi di Antonio de Leyva, con il grado di colonnello e il comando di 4000 uomini. Il passaggio definitivo del M. al campo asburgico rappresentò un momento decisivo: il consolidamento del suo protagonismo militare e della sua fedeltà imperiale sono resi palesi dal fatto che, nel luglio 1536, a lui e a Massimiliano Stampa (che, alla morte di Francesco II Sforza, in quanto castellano di Milano, aveva consegnato il Ducato a Carlo V) fu richiesto di soccorrere le finanze imperiali in grave affanno in quei mesi drammatici.

La morte del de Leyva e la nomina, nel 1536, di Alfonso d’Avalos marchese del Vasto quale nuovo capitano generale delle forze imperiali in Lombardia misero in questione l’ascesa del Medici. Il 26 dic. 1536, subito dopo un banchetto, il marchese del Vasto fece arrestare il M. e il fratello Giovan Battista con l’accusa di tradimento a favore della Francia. Si aprì così una lunga e complessa partita: il M., rinchiuso nel castello di Milano, rivendicò la propria fedeltà all’imperatore e riuscì a mobilitare a proprio favore importanti personaggi, fra cui il castellano Álvaro de Luna, Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, e soprattutto Ferdinando d’Asburgo. Grazie alla benevolenza che papa Paolo III nutriva verso il fratello del M., Giovan Angelo, furono attuati pressanti interventi da parte della diplomazia pontificia. Dopo diciotto mesi di prigionia il M. venne dunque liberato dietro una cauzione di ben 20.000 scudi. Al fine di sgomberare il campo da ogni equivoco, nel corso del 1538 il M. si recò in Spagna, dove allora si trovava la corte di Carlo V. La mossa si dimostrò vincente, perché da quel momento la lealtà del M. nei confronti dell’autorità asburgica non fu più messa in dubbio e il M. cominciò a essere impiegato al servizio della casa d’Asburgo nei diversi teatri bellici europei: nel 1539 accompagnò l’imperatore nelle Fiandre per reprimere la rivolta di Gand e, negli anni seguenti, fu inviato in Ungheria per combattere gli Ottomani, conquistando il grado di generale dell’armata del Danubio. Prese inoltre parte alla campagna della Marna con l’esercito di Carlo V (1544).

Nel gennaio 1545 il M. acquistò, per 3000 scudi e con il beneplacito imperiale, le tre pievi lariane a titolo di feudi camerali con mero e misto imperio. Inoltre rilevò rendite sul dazio della mercanzia dello Stato di Milano per 4136 lire imperiali (ma in realtà fu versata solo una parte della somma, perché furono detratti i cospicui crediti del M. verso la Camera imperiale). In una delle pause dalle fatiche militari, nel marzo 1545, il M. si recò a Roma, dove sposò Marzia Orsini, figlia del conte di Pitigliano Ludovico e cognata di Pier Luigi Farnese, figlio di papa Paolo III. Le nozze sancirono il consolidamento del legame con i Farnese, di cui non poco si giovava la carriera curiale di suo fratello Giovan Angelo.

La fama del M. trovò ulteriore alimento dalla sua partecipazione alle operazioni in terra tedesca contro la Lega di Smalcalda (1546-47), che culminarono nella battaglia di Mühlberg, durante la quale fu generale dell’artiglieria. Dopo una nuova campagna in Boemia al servizio di Ferdinando d’Asburgo, il M. rientrò a Milano a metà del 1548, in tempo per assistere alla morte della moglie nel castello di Frascarolo. Di fronte al rischio concreto di restare privo di discendenza diretta, il M. fece sposare il fratello Agosto con Barbara Del Maino, nipote di Massimiliano Stampa. In quello stesso anno, a riprova della riconoscenza e della stima dell’imperatore per la sua sperimentata fedeltà, fu nominato membro del Senato di Milano. Inoltre, nel gennaio 1549, il principe Filippo d’Asburgo, in occasione del suo viaggio in Italia, subito dopo aver fatto tappa a Milano, si fermò a Marignano ospite del M., che poté vantare, unico fra tutti i maggiorenti lombardi, di aver accolto sontuosamente nel proprio palazzo l’erede di Carlo V.

Dopo la breve parentesi lombarda, il M. fu di nuovo impegnato in una continua serie di campagne militari: a cominciare dalla guerra di Parma (1551-52), durante la quale fu luogotenente di Ferrante Gonzaga. In quell’occasione gli fu imputata una condotta morbida nel conflitto, che lo vedeva assediante del nipote acquisito Ottavio Farnese. Fu quindi chiamato da Carlo V per arruolare e condurre truppe tedesche all’assedio di Metz. Dopo il fallimento di tale impresa, nel febbraio 1553, alla morte di Pedro de Toledo, il M. fu designato dal duca di Firenze Cosimo de’ Medici, con il consenso dell’imperatore, al comando supremo dell’esercito che assediava Siena. Tuttavia, a causa di una malattia, il M. poté recarvi solo in agosto e si trovò a dover dividere la guida dell’armata con Chiappino Vitelli.

La campagna contro Siena mise alla prova tutta la sua esperienza militare. Nel gennaio 1554 conquistò il forte di Camollia alla periferia della città, avviando un’opera di logoramento delle forze senesi basata sul progressivo isolamento da ogni possibile aiuto esterno. Il 2 agosto sconfisse a Marciano Piero Strozzi, il fuoriuscito fiorentino a capo dell’esercito senese, che aveva dato battaglia in campo aperto. Per una serie di problemi di salute, il M. dovette assentarsi dal campo nelle settimane conclusive dell’assedio, la cui impostazione tanto doveva alla sua abilità.

Intanto Carlo V dava mostra di volere di nuovo il M. al proprio servizio: nel febbraio 1554, avendo deposto Ferrante Gonzaga dal governo dello Stato di Milano, l’imperatore designò il M. ad assumere il comando dell’esercito in Lombardia. Tuttavia il duca di Firenze, irritato per la lentezza delle operazioni contro Siena, rifiutò di accordare al M. la debita licenza. L’anno successivo, una volta caduta la Repubblica senese, il M. partecipò alle operazioni belliche contro le forze francesi ancora attive in Toscana, che culminarono nella presa di Porto Ercole (maggio 1555). Rientrato a Milano, dove la minaccia militare francese era divenuta pressante, il M. assunse il comando delle forze ispano-imperiali in Piemonte. Nel settembre 1555 era al campo imperiale di Pontestura, ma di lì a poco si ammalò nuovamente e decise di rientrare a Milano.

Il M. morì a Milano l’8 nov. 1555.

Risulta priva di fondamento documentario la notizia data nella prima biografia del M. (Missaglia) – e ripresa da tutti gli storiografi successivi sino a oggi – secondo cui l’imperatore lo avrebbe insignito, poco prima che morisse, del prestigioso cavalierato dell’Ordine del Toson d’oro.

Il M. aveva designato come proprio erede universale il fratello e cardinale Giovanni Angelo, dopo aver diseredato l’altro fratello superstite, Agosto. Il porporato, divenuto papa Pio IV, si preoccupò della memoria del M., non solo patrocinando la costruzione da parte dello scultore Leone Leoni del mausoleo posto nel duomo di Milano, ma anche stabilendo di destinare la somma di 5000 lire imperiali al rimborso di tutti coloro che erano stati danneggiati dalle sue imprese banditesche.

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M.C. Giannini