SANFELICE, Giovanni Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SANFELICE, Giovanni Francesco

Elisa Novi Chiavarria

– Nacque a Napoli il 18 novembre 1565, primogenito di Camillo e di Eleonora d’Alessandro.

Membro di una famiglia del patriziato cittadino ascritta al seggio di Montagna, dopo gli studi in diritto intraprese la carriera nell’avvocatura e negli uffici come era nella tradizione familiare.

Suo padre era stato dapprima avvocato per essere poi investito delle cariche di giudice della udienza di Principato Ultra (1565), della sezione civile della Vicaria (1569-73), consigliere del Sacro Regio Consiglio (1580) e, infine, giudice della sezione penale della Vicaria (1582-89). I fratelli Ascanio, Ottavio, Alfonso, Flaminio, e i figli di questi, Camillo e Giuseppe, pure intrapresero a vario titolo la carriera ministeriale.

Entrato giovanissimo nel foro e conquistatosi subito fama di grande competenza e avvedutezza specie in materia penale, vide nella sua carriera un rapido susseguirsi di dignità via via più prestigiose: nel 1590 ebbe la nomina di giudice dell’Udienza provinciale di Terra di Bari; da lì, due anni dopo, passò con la medesima carica al tribunale di Terra d’Otranto.

A quest’epoca, e a questo contesto, risale il suo matrimonio con Camilla Palagano, appartenente a una famiglia del patriziato di Trani, e quello incrociato di suo fratello Ottavio con una sorella della Palagano di nome Beatrice. Dal matrimonio con Camilla nacquero Camillo, che prese i voti sacerdotali nell’Ordine dei teatini con il nome di D. Paolo e fu di stanza nel convento di S. Paolo Maggiore di Napoli, Alfonso e diverse figlie femmine che entrarono nel chiostro. Tra loro vi fu Dianora che si fece monaca clarissa accanto alla zia Giovanna nel monastero di S. Francesco ad Aversa, nel cui territorio la famiglia dei Sanfelice godeva di qualche pertinenza.

Nel 1598 Sanfelice era intanto stato trasferito al tribunale dell’udienza di Principato Citra e Basilicata dove rimase in carica fin al 1603. Nel 1606 fu ammesso nella sezione civile della Gran Corte della Vicaria di Napoli, per passare poi in quella criminale nell’aprile del 1611. Successivamente ottenne l’incarico di avvocato fiscale della Vicaria. Nello stesso tempo, come eletto nobile del seggio di Montagna, Sanfelice partecipava attivamente anche alla vita politica e amministrativa della città e, tra l’altro, fu inviato come ambasciatore di Napoli ad accogliere a Gaeta l’infanta Maria Anna d’Austria, futura regina d’Ungheria.

Il 7 settembre del 1619 il re Filippo III gli concesse la provvisione di un posto di consigliere nel Sacro Regio Consiglio, la suprema corte di giustizia civile e penale del Regno di Napoli. La sua inflessibilità, soprattutto come giudice penale, il senso di responsabilità e l’etica professionale, la sicurezza e la pacata superiorità, le posizioni garantiste delle prerogative della Corona e, in generale, degli ordinamenti giuridici vigenti, caratteristiche tutte con le quali esercitò le proprie funzioni ministeriali, gli avevano guadagnato la fama di persona equilibrata e integerrima, molto ascoltata dai viceré conte di Lemos, duca d’Alba e conte di Monterrey. Così almeno lo ritraevano tra i contemporanei sia i corrispondenti medicei a Napoli, sia il ben noto Francesco D’Andrea che negli Avvertimenti ai nipoti ne descrisse la morigeratezza dei costumi, il profondo senso della deontologia ministeriale e perfino le angustie economiche della sua vita privata e familiare dal momento che, come osservava D’Andrea, non aveva mai lucrato dall’esercizio della professione o degli uffici.

Erano almeno altrettanto noti il suo autentico spirito religioso e il rispetto che ebbe per le competenze ecclesiastiche, riconoscendo, per esempio, la bigamia reato di esclusiva competenza inquisitoriale o comunque del giudice ecclesiastico, guadagnandosi così la confidenza e l’amicizia di ben due arcivescovi di Napoli, i cardinali Francesco Bocompagni e Ascanio Filomarino. Tra le opere pie di cui fu artefice si ricordano la fondazione del conservatorio delle Figlie di S. Gennaro, detto il S. Gennarello, per il quale egli procurò l’assegnazione del palazzo di Bartolomeo d’Aquino a Monteoliveto; la riorganizzazione della Congregazione della Redenzione dei cattivi, di cui fu protettore; l’insediamento sia a Lauriano, terra nel frattempo acquisita da suo figlio Alfonso, sia a Napoli, nella chiesa di S. Nicola, dei Padri della dottrina cristiana. Fu particolarmente devoto al culto per il beato Andrea Avellino, per il cui sepolcro nel febbraio del 1613 aveva inviato un ex voto d’argento, per essere stato guarito da una infermità grazie alla sua intercessione. Si occupò dell’educazione dei nipoti, quando questi nel 1629 rimasero orfani di suo figlio Alfonso, ospitando nella propria casa, sita nel quartiere dell’Avvocata, Giovanni Francesco e Gennaro e collocando nel monastero della Ss. Trinità di Napoli la più giovane, Camilla, che vi prese i voti nel 1636.

Alla pratica forense e ministeriale Sanfelice affiancò un’intensa attività di studio che sfociò nella pubblicazione di diversi volumi di Decisiones e Praxis iudiciaria, più volte riediti e sempre molto citati dalla giurisprudenza non solo napoletana. Notevole importanza rivestì, nell’ambito del dibattito sulla politica fiscale della monarchia spagnola particolarmente esosa in quegli anni per gli impegni sul fronte militare della guerra dei Trent’anni, il trattato De Munere regi nostro prestando ad regnum tuendum, pubblicato nel 1638.

In esso esplicitava le ragioni dei pareri che aveva avuto modo di esprimere nel Parlamento generale del regno del 1628 e in quello del 9 dicembre 1634 che decretò il donativo straordinario del Regno per un importo di un milione di ducati. Sanfelice vi affermava il pieno diritto del sovrano a imporre tasse e gabelle, così come si espresse manifestamente sia contro la conservazione delle immunità ecclesiastiche, sia a favore della tassazione dei claros cives, fino ad allora esenti, sottolineando come la pace di cui godeva il regno e la difesa della fede cattolica fossero un bene incommensurabile rispetto al sacrificio finanziario richiesto dalla Corona spagnola.

Nel 1624 suo figlio Alfonso acquistò da Beatrice del Giudice per 9260 ducati il casale di Lauriano, nel Cilento, con le sue pertinenze feudali. Alla sua morte prematura subentrò nel possesso della suddetta terra il figlio primogenito che portava il nome del nonno, Giovanni Francesco Sanfelice. Sulla terra di Lauriano e le sue pertinenze con privilegio del 15 dicembre 1637 Filippo IV gli concesse il titolo ducale, confermato dal viceré di Napoli duca di Medina, in riconoscimento proprio dei meriti acquisiti per la Corona dal nonno suo omonimo, l’alto togato e insigne giurista.

Questi intanto, nonostante l’età avanzata, proseguiva zelantemente la sua attività ministeriale. Fu, tra l’altro, tra i firmatari della sentenza che il 15 gennaio 1640 condannò a morte il principe Giovanni Orefice, riconosciuto colpevole di lesa maestà e alto tradimento.

Sanfelice fu promosso a reggente del Collaterale il 9 ottobre del 1640 e, nei giorni della rivolta di Masaniello, fu visto sfilare per le vie della città nelle carrozze di scorta al viceré duca d’Arcos.

Morì a Napoli nel 1648.

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F. Campanile, Dell’arme, overo insegne dei nobili, Napoli 1618, pp. 200 s.; C. de Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Parte prima, Napoli 1654, pp. 326-328; G.M. Crescimbeni, Le vite degli arcadi illustri, Roma 1708, p. 34; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 152-155; V.I. Comparato, Uffici e società a Napoli (1600-1647). Aspetti dell’ideologia del magistrato nell’età moderna, Firenze 1974, pp. 124 s., 204, 362, 379, 413 s., 419; G. D’Agostino, Parlamento e società nel Regno di Napoli. Secoli XV-XVII, Napoli 1979, pp. 68, 77 s., 80, 85, 91-100, 105, 107, 113, 117, 120; R. Magdaleno, Titulos y privilegios de Nápoles (siglos XVI-XVIII), I, Onomastico, Valladolid 1980, p. 496; M. Campanelli, I Teatini, Roma 1987, pp. 256, 388; G. Intorcia, Magistrature del Regno di Napoli. Analisi prosopografica. Secoli XVI-XVII, Napoli 1987, p. 376; G. Coniglio, Declino del viceregno di Napoli (1599-1689), Napoli 1990, II, pp. 745 s., III, p. 1512; F. D’Andrea, Avvertimenti ai nipoti, a cura di I. Ascione, Napoli 1990, pp. 173, 315-317; G. Boccadamo, Élites cittadine e monasteri femminili ad Aversa, in La città e il monastero. Comunità femminili cittadine nel Mezzogiorno moderno, a cura di E. Novi Chavarria, Napoli 2005, pp. 65-103 (in partic. p. 71); G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, III, Il Mezzogiorno spagnolo e austriaco (1622-1734), Torino 2006, pp. 49, 52, 78, 113, 127, 208; S. D’Alessio, Masaniello. La sua vita e il mito in Europa, Roma 2007, p. 141; G. Romeo, Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione. Napoli 1563-1656, Roma-Bari 2008, p. 157; L. Abetti, Ex voto e donazioni del ‘beato’ Andrea Avellino (1612-1622), in Sant’Andrea Avellino e i Teatini nella Napoli del Viceregno spagnolo. Arte religione società, a cura di D.A. D’Alessandro, I, Napoli 2011, pp. 47-130 (in partic. p. 99).

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