GIOVANNI di Ugo da Campione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIOVANNI di Ugo da Campione

Cristina Ranucci

Non si conosce la data di nascita di questo scultore e "magister de muro et de lignamine" (Monti), che si definisce figlio del maestro Ugo e nativo di Campione, sulla sponda orientale del lago di Lugano. Nei documenti del 1366-67 viene indifferentemente chiamato "Iohannes de Campilione" o semplicemente "Iohannes" o ancora "Iohannes de Cumis" (Bergamo, Biblioteca civica, Archivio del Consorzio della Misericordia maggiore di Bergamo (MIA), mss. 845, 847, d'ora in avanti, MIA). G. fu attivo in Lombardia almeno a partire dal 1340 e svolse il suo apprendistato verosimilmente presso la bottega del padre, del quale non sono note opere autografe.

A Ugo da Campione e al periodo formativo di G. vennero in passato riferiti il monumento funerario del cardinale C. Longo in S. Maria Maggiore a Bergamo e la loggia degli Osii a Milano (Meyer; Arslan); opere che, dopo le osservazioni di Previtali, sono state prudentemente ricondotte in un ambito culturale genericamente campionese (M.T. Fiorio, Una scultura campionese trascurata: la "Madonna Litta", in Paragone, XXXIX [1988], 457, pp. 3-14).

Il nome "Iohannes" insieme con la data 1340 compare in un'iscrizione in caratteri gotici oggi murata nel basamento del battistero di Bergamo, che si trova sulla piazza Vecchia nel lato verso l'episcopio.

L'attuale collocazione dell'epigrafe non corrisponde alla primitiva, peraltro ignota; ma la sua pertinenza al monumento è attestata da Mozzi. L'attribuzione a G. del progetto dell'edificio, nonostante la genericità delle indicazioni dell'iscrizione, che Facchinetti vorrebbe mutila, fu avanzata per la prima volta da Mozzi e poi unanimemente accolta.

Il battistero si trovava originariamente al centro della navata centrale della chiesa di S. Maria Maggiore a Bergamo, in prossimità dell'area presbiteriale (Meli, 1963; 1968). Nel 1660 venne smontato e rimosso; in seguito, i rilievi e alcune statue, che costituivano l'apparato decorativo interno ed esterno del monumento, furono reimpiegati in una cappella del duomo (Muzio, p. 83 fig. 52; Pinetti, 1925, p. 174). Numerose altre parti andarono disperse o perdute. Nel 1856 si decise di restituire al monumento le sue forme trecentesche e, così ricomposto, di trasferirlo nel cortile dei canonici della cattedrale. Il ripristino fu affidato all'architetto Raffaele Dalpino, che per il progetto s'ispirò a un disegno realizzato nel 1676 da Simone Durello. Questo disegno (Muzio, p. 81 fig. 51) permette di conoscere l'aspetto esterno del monumento: si tratta di un edificio a pianta centrale, forse ottagonale, con copertura piramidale culminante in una lanterna. Le pareti, articolate da colonnine e da nicchie, ospitano sculture a tutto tondo, identificabili con le Virtù teologali e cardinali collocate agli angoli dell'attuale edificio, e altre statue, probabilmente le personificazioni dei sacramenti e sicuramente un angelo, rispettivamente poste sul cornicione e sopra la lanterna. Nessuna restituzione grafica né alcuna descrizione tramandano, invece, l'assetto dell'interno, da cui provengono otto bassorilievi con Storie dell'infanzia e della passione di Cristo e una statua di S. Giovanni Battista (Bossaglia, 1992, p. 124).

Dalpino, tuttavia, apportò sostanziali modifiche all'architettura, aggiungendo un alto basamento, prevedendo numerose integrazioni e ammodernamenti dell'apparato scultoreo e rifacendo ex novo la copertura (Muzio; Pinetti, 1925, pp. 180 s.). La definitiva sistemazione dell'edificio sulla piazza Vecchia venne realizzata, infine, nel 1898 a opera di Virgilio Muzio.

Negli anni 1347-48 G. risulta attivo nella parrocchiale dei Ss. Giorgio, Nazario e Celso a Bellano (Como), che era stata parzialmente distrutta dall'esondazione del 1341 del fiume Pioverna.

Un documento datato 18 luglio 1348 attesta, infatti, che G. insieme con Antonio di Giacomo di Castellazzo di Peglio e Comolo di Goffredo di Osteno ricevette quel giorno il saldo per il lavoro compiuto, secondo i patti stabiliti un anno prima (Monti). Romanini (1964, pp. 292 s.) sottolineò l'esistenza di analogie di gusto fra la facciata e le più tarde imprese bergamasche di G. indicandolo, pertanto, come la figura principale nell'opera di ristrutturazione della chiesa, che l'autrice giudicò sostanziale. Diversamente, Zastrow (1993, pp. 87 s.) ha affermato che gli interventi di ricostruzione si concentrarono solo sulle prime quattro campate della navata meridionale, sullo spigolo sud-ovest e sulla facciata occidentale, uniche parti della chiesa che secondo un esame critico del documento sarebbero state distrutte dall'acqua. L'autore (ibid., pp. 196-199) escluse, quindi, qualsiasi intervento di G. sulla facciata. Al contrario, Bossaglia (1992, p. 33) ha indicato in G. l'autore del portale della chiesa.

Il nome "Iohan(n)es de Campleono" ricorre nuovamente in due iscrizioni, datate rispettivamente 1351 e 1353, apposte sul protiro settentrionale della chiesa di S. Maria Maggiore a Bergamo, l'una sul lato interno della mensola di sinistra, l'altra sul basamento della statua equestre di S. Alessandro.

Il protiro nord di S. Maria Maggiore appare sorretto anteriormente da due colonne poggianti su leoni stilofori entrambi di marmo rosso di Verona e posteriormente da pilastrini poligonali reggenti delle mensole foliacee immorsate a parete. La struttura inquadra un grande portale strombato, nei cui sguanci colonnine tortili e spinate si alternano a paraste scolpite con figure di guerrieri, ecclesiastici e cacciatori. Sopra la cornice dell'arco, all'interno di una loggia tripartita con archi trilobati e voltata a crociera, grandeggiano, al centro, la statua di S. Alessandro a cavallo e, ai lati, quelle di due santi tradizionalmente identificati con Barnaba e Proiettizio; mentre in una edicola soprastante, conclusa da una guglia, sono collocati il gruppo scultoreo della Madonna in trono col Bambino fra le ss. Grata e Esteria.

Dibattuta è la questione sulla fisionomia originaria della struttura e sull'entità dei lavori eseguiti da Andreolo de' Bianchi tra il 1396 e il 1398, a seguito dei danni riportati dal monumento nel 1382 e nel 1389 e pertinenti il capitello del protiro (Buzzetti, in Il protiro, pp. 19-27). Le ipotesi di Pinetti (1926, p. 143), Baroni (1944, pp. 50 s.) e Toesca (p. 94), che considerarono aggiunte posteriori l'edicola terminale o questa e la tribuna, sono state ridiscusse in modo critico e con nuove argomentazioni da Giubbolini (in Il protiro, pp. 19-27), che non esclude significativi episodi di reimpiego di materiali riguardanti gli stessi gruppi scultorei del secondo e del terzo ordine. Incerta appare soprattutto la pertinenza al protiro della statua equestre di S. Alessandro, l'unica firmata da G., che però Giubbolini (ibid., p. 26 n. 12) dimostra essere presente nel sito odierno almeno a partire dal 1536. Oggi la scultura si presenta estremamente impoverita rispetto all'originale (Recanati, ibid., p. 33). Bossaglia (1992, pp. 124, 143 n. 4) nega invece l'attribuzione del coronamento ad Andreolo de' Bianchi e riconduce in toto a G. l'ideazione del protiro e la realizzazione del complesso statuario. Recanati (in Il protiro, pp. 30-39) riafferma su base stilistica la paternità di G. e della sua bottega per l'apparato scultureo della tribuna e della loggia, senza però relegare in secondo piano l'intervento di Andreolo.

Nel 1360 G. appose il suo nome anche in una delle fasce marmoree dell'arco del protiro meridionale della stessa chiesa bergamasca.

L'iscrizione, correttamente letta e trascritta da Mozzi nel 1616, venne poi erroneamente pubblicata da Celestino da Bergamo, generando l'equivoco dell'esistenza di un Giovanni, figlio di Giovanni. Questa lettura venne definitivamente corretta da Meli (La complicata storia…, 1963, pp. 39-52).

Il protiro è a un solo ordine, sostenuto da leoni stilofori in marmo bianco, e prevede nella fascia di coronamento un fregio a colonne decorato negli intercolumni dalle figure del Cristo, degli apostoli, di santi e di allegorie dei mestieri. La parte sovrastante venne aggiunta nel XV secolo (Pinetti, 1926, pp. 144 s.).

Negli anni 1361-63 a G. venne corrisposto settimanalmente dalla Confraternita della Misericordia, incaricata di sovrintendere amministrativamente alla fabbrica di S. Maria Maggiore, un salario generalmente pari a "l(ibras) II, s(olidos) XVIII" (MIA, ms. 845, cc. 17-109).

Nel libro delle spese non si specifica per quali lavori il maestro campionese venisse retribuito. Pinetti (1926, p. 145) ritenne che tale remunerazione fosse pertinente ai lavori per il protiro meridionale; Bossaglia (1992, p. 128) e Recanati (in Il protiro, p. 29) affermano, invece, che si tratta del pagamento per la messa in opera del pavimento della chiesa. La partecipazione della bottega di G. a questa impresa era stata già dimostrata da Pinetti (1926, p. 145), sulla scorta di due note di pagamento del 1363 e del 1364.

Dall'esame sistematico dei documenti si constata che la presenza di G. nel cantiere di S. Maria Maggiore fu pressoché costante negli anni 1361-63.

Risultano assenze soltanto fra la fine di agosto e l'inizio di settembre del 1361 (MIA, ms. 845, cc. 29-31) e nel mese di ottobre dello stesso anno. L'ultimo pagamento versato a G. reca la data 11 marzo 1363 (ibid., c. 109). Oltre a G., furono remunerati altri magistri, probabilmente suoi aiuti (Pinetti, 1926, p. 140), e da aprile (MIA, ms. 845, c. 60) fino a giugno del 1362 e di nuovo a febbraio del 1363 (ibid., c. 123), un figlio di G., Nicolino.

Pinetti (1926, pp. 146 s.) assegnò a G. il progetto e l'esecuzione del portalino sul lato settentrionale della chiesa, sulla base di una nota, datata 1364, circa un rimborso dovuto a Nicolino per un viaggio di andata "pro designando ostium ecclesiae".

In effetti, i pagamenti corrisposti allo scultore campionese dal 6 giugno 1366 (MIA, ms. 845, c. 280) fino al 30 ott. 1367 (ibid., ms. 847, c. 24), con brevi interruzioni nei mesi di agosto e ottobre 1366 e marzo 1367, e la presenza di un'iscrizione sull'architrave della porta recante la data 1367 sembrano confermare tale attribuzione, peraltro più volte ribadita dalla critica e recentemente da Bossaglia (1992, p. 128).

Il portale è del tipo strombato, sormontato da una cuspide impostata su leoni stilofori reggenti le statue della Vergine e di S. Giovanni, decorata con vegetazione fiammeggiante e conclusa in alto da un Cristo crocifisso. Nella lunetta è collocato un rilievo raffigurante la Natività.

Le due principali architetture bergamasche progettate da G. aderiscono a una cultura ancora romanica, che si esprime in superfici nitide e definite, cromaticamente articolate mediante l'uso di marmi bianchi, neri e rosa, adeguatamente alternati e giustapposti (Toesca, p. 94; Romanini, 1955, p. 684); invece, la porta minore, realizzata con l'uso dell'arenaria, appartiene al tipo gotico flamboyant (Porter, p. 118).

La produzione scultorea di G. mostra, come per primo rilevò Baroni (1944, pp. 48-54), il coesistere di elementi stilistici di differente matrice: da un lato nordici, legati alla tradizione veronese, dall'altro toscani, mediati dall'arte di Giovanni di Balduccio, di recente importazione in Lombardia. Spesso queste differenze tecniche e culturali vennero attribuite all'intervento della maestranza. Così, per esempio, Toesca (pp. 387 s.) spiegò l'arcaismo delle statue del battistero (Virtù) e dei rilievi del portale nord riconducendoli in via ipotetica alla presenza nel cantiere del padre di Giovanni. Un riesame attento e aggiornato della produzione bergamasca di G. è stato reso possibile dal restauro del protiro settentrionale, conclusosi nel 1998. A premessa della sua disamina sulla decorazione scultorea, Recanati (in Il protiro, pp. 28-42) definì complessivamente l'opera di G. "un interessante capitolo di transizione al gotico tardo e di progressivo, per quanto cauto, aggiornamento sulle novità di importazione toscana".

A G. furono in passato assegnati una Madonna in trono già nella collezione Trivulzio di Milano, passata poi a un anonimo collezionista newyorkese (Valentiner); l'altare della parrocchiale di S. Martino a Carpiano (Milano); e infine, dubitativamente, le arche scaligere di Verona, sulla base delle analogie intercorrenti fra la statua equestre di S. Alessandro e quelle di Can Grande Della Scala e di Mastino II (Meyer). Quest'ultima attribuzione è stata definitivamente abbandonata dopo gli studi del 1944 di Baroni (Mellini).

La data di morte di G. non è nota.

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