MEDICI, Giovanni de'

Enciclopedia Italiana (1934)

MEDICI, Giovanni de' (detto Giovanni dalle Bande Nere)

Piero Pieri

Nacque a Forlì il 6 aprile 1498 da Caterina Riario Sforza e da Giovanni de' Medici (il Popolano), di un ramo cadetto della casa, già oppositore di Piero e poi ambasciatore della repubblica presso la signora di Forlì. Battezzato col nome di Ludovico, ebbe poi mutato il nome in Giovanni. Morto il padre (15 settembre 1498), alle prime minacce del Valentino, la madre lo fece trasportare a Firenze, e quivi lo raggiunse nel luglio 1501. Nel 1509, appena undicenne, Giovanni perdette anche la madre, e fu educato soprattutto da Iacopo Salviati, di cui nel 1517 sposò la figlia Maria che gli diede nel 1519 un bimbo, Cosimo, destinato a divenire il primo granduca di Toscana. Fino dall'infanzia G. mostrò carattere energico e insofferente di freno. Come capitano di ventura fece le prime prove, a capo di cento, poi di quattrocento cavalli leggieri, nella guerra d'Urbino, 1516-17, e fu adoperato da Leone X nel 1520-21 per tenere a freno le Marche e l'Umbria. Nell'autunno del 1521 partecipava alla guerra ispano-pontificia contro i Francesi. L'anno dopo, morto Leone X, passava ai Francesi, e, dopo che il loro esercito era stato rotto alla Bicocca, ne proteggeva la ritirata. Soprattutto si affermava, tornato agl'imperiali, nelle campagne del 1523-24, rivelando le sue migliori qualità e perfezionando riorganizzazione e la tattica delle sue famose bande, che per due volte, alla morte di Leone X e del loro capo, mutarono in nere le bianche insegne.

Le soldatesche di G. in questo periodo appaiono comprendere una cinquantina d'uomini d'arme (cavalieri di grave armatura con seguito), duecento cavalli leggieri e duemila fanti. I fanti erano tutti archibugieri e costituivano un'eccellente fanteria leggiera opposta alla massiccia fanteria pesante dei picchieri svizzeri e tedeschi. Anzi egli introdusse l'uso di trasportare archibugieri su appositi ronzini, per accrescerne la mobilità.

Nel 1525 G. passava per la seconda volta ai Francesi, e sotto Pavia restava ferito il 18 febbraio, sei giorni prima della famosa battaglia. Dopo il fallimento della cosiddetta congiura del Morone, a lui pensava il Machiavelli, nel marzo 1526, come all'unica persona capace d'impedire che Firenze e lo stato pontificio cadessero definitivamente sotto una specie di protettorato spagnolo. Scoppiata la guerra della lega di Cognac, G. fu creato capo della fanteria italiana. Calati in Italia i lanzichenecchi, e penetrati nel serraglio di Mantova, G. impediva loro di passare il Po a Borgoforte. Si avviavano allora verso Ostiglia, ma si trovavano sopravanzati a Governolo da G., che mirava a serrarli fra il Po e le paludi di Mantova, senza lasciare loro via di scampo. Sennonché il 25 novembre G. cadeva ferito da un colpo di falconetto del duca di Ferrara. Trasportato a Mantova morì il 30 novembre 1526. Periva così l'unico che avrebbe potuto risollevare le sorti delle armi italiane dando vita durevole a una fanteria italiana di tiratori non inferiore a quella spagnola, e a una cavalleria precorritrice della cavalleria moderna.

Bibl.: G. G. Rossi, Vita di G. d. M., in Vite degli Sforzeschi, Milano 1853; Scipione Ammirato, Vita di G. d. M., in Opuscoli, III, Firenze 1637; Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, IV, Torino 1844; P. Gauthiez, Jean des Bandes Noires, Parigi 1901; A. Semerau, Die Condottieri, Jena 1909; P. Pieri, La crisi militare italiana nel Rinascimento, Napoli 1933.

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