Giovanni da Parigi

Enciclopedia Dantesca (1970)

Giovanni da Parigi (Jean de Paris, detto ‛ Quidort ' o ‛ Lesourd ', ossia Dormiens o Surdus)

Filippo Cancelli

Teologo domenicano, nato prima del 1269, morto nel 1306; autore di un commento alle Sententiae di Pietro Lombardo, del Correttorium corruptorii fratris Tomae, opera polemica contro avversari di s. Tommaso, della Determinatio, in cui dimostra l'effettiva presenza divina nell'Eucaristia, nella quale non seppe evitare l'eresia per cui l'opera fu condannata, e del De Potestate regia et papali, in cui oltre a condizionare l'assolutismo papale da parte dell'autorità conciliare e delle singole chiese, confuta sia la superiorità sul piano effettivo del potere del papa sul principe, sia l'appartenenza al papa del potere temporale, sia una qualunque disponibilità dei beni ecclesiastici dei quali il papa è solo generalis dispensator.

L'intento primo è quello di difendere Filippo il Bello contro le rivendicazioni della curia e contro una qualsiasi dipendenza del re dall'imperatore. E non fa meraviglia che i suoi attacchi siano rivolti quasi tutti contro il papa, sia perché di fatto - fatto che ridonda ormai in principio di diritto - il re si considera sibi princeps e si avvale del principio superiorem non recognoscens in regno suo est imperator (sul quale v. per tutti F. Calasso, I Glossatori e la teoria della sovranità, Milano 1957), disconoscendo così la dipendenza dall'imperatore, sia perché in fondo il papa nella sua rivendicazione di superiorità e suprema autorità aveva dovuto in qualche modo sostenere anche il valore e il vigore dell'altro potere, sia pure a lui subordinato, ma sempre universale, dell'imperatore; e perciò l'intento è pienamente raggiunto in quanto scardina in radice il fondamento della superiorità del potere spirituale e la derivazione dal papa dei poteri temporali. Anche se non potrà mai dimostrarsi che D. ne abbia avuta conoscenza (lo esclude recisamente il Vossler [La D.C. studiata nella sua genesi e illustrata, I II, Bari 1927², 176], che spiega le coincidenze di pensiero come inevitabile conseguenza del comune avversario Bonifacio VIII), in alcuni punti il pensiero di G. coincide pienamente con le teorie dantesche (pur perseguendo, ovviamente, l'opera del teologo e l'opera del poeta scopi diametralmente opposti); ad es. nella discussione iniziale, dove G. confuta due teorie, entrambe a suo parere errate: quella secondo cui la Chiesa non possa esercitare nessun diritto sulle cose materiali e sulle ricchezze, e quella di chi vede nel papa - errore già di Erode - in quanto vicario di Cristo il detentore dell'autorità suprema sul potere temporale e sulle proprietà secolari. I prelati è giusto che abbiano signorie e proprietà temporali, ma solo se siano state concesse loro dal principe. Lo stato per G. è, secondo la dottrina aristotelica, organismo naturale e ha per compito e fine il bene della comunità; ma ciò non toglie che la Chiesa non abbia la sua ragion d'essere, ché anzi essa esiste per istituzione di Cristo: e per ciò stesso la superiorità del sacerdozio sul potere temporale è indiscutibile; superiorità di ordine soltanto spirituale però, giacché entrambi i poteri hanno qual loro fonte Dio: sì che come nel campo spirituale è superiore il sacerdote, lo è nel temporale il principe. Se anche Cristo aveva in sé i due poteri, trasmise l'uno a Pietro e l'altro a Cesare; e papa Gelasio ebbe a confermare la distinzione dei due poteri.

Non è vero che, come si afferma, il papa avrebbe ricevuto da Dio l'autorità temporale " secundum primam auctoritatem " ancorché non la eserciti per conferirla all'imperatore, perché anche questi l'ha ricevuta del pari da Dio.

Non meno interessante è la vicinanza del pensiero di G. e di quello dantesco riguardo alla donazione di Costantino, al qual proposito G. accumula, subordinativamente, una serie di ragioni a essa contrarie, ma in vista sempre dell'indipendenza della Francia: 1) (cap. X) essa, come si pretende da altri, non può esser considerata come restituzione perché, come detto in Decretum 96, 14, tale non può essere una donazione; 2) (cap. XXI) Costantino non intese donare al pontefice l'Impero, dacché con Costantinopoli costituì la nuova Roma, ma soltanto l'Italia, dove comunque la Francia non è compresa; 3) la donazione secondo i giuristi è invalida; 4) ove fosse stata valida, non riguarderebbe mai i Franchi in quanto mai sono stati sudditi dell'Impero; 5) laddove lo fossero stati, tale diritto si sarebbe prescritto.

I signa subiectionis del re di Francia all'Impero, affermati da alcuni giuristi come imprescrittibili, vengono negati con particolare vigore, perché si rinnega il principio generale della necessità che il mondo sia governato da un solo capo (v. D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, 130-132).

Di seguito, nel cap. XXII, si adducono i motivi d'illegittimità dell'impero romano, in quanto originato dalla violenza, e con pari violenza ci si può sottrarre. L'insistenza di D. nel II libro della Monarchia sull'esse de iure rende assai probabile trattarsi di confutazione diretta contro queste tesi (cfr. A. D'Ancona, Il De Monarchia, in Scritti danteschi, Firenze s.d. [1912], 327 e n. 1; E.G. Parodi, L'ideale politico di D., in D. e l'Italia, Roma 1921, 103 e 119).

Singolare è la coincidenza con D., nell'uso del termine dispensator qualificativo del potere papale sui beni ecclesiastici: se si analizza il significato delle parole secondo le quali il papa esercita il suo potere sui beni temporali, egli non è, afferma G. nel cap. VI, altro che " generalis dispensator omnium generaliter bonorum ecclesiasticorum, spiritualium et temporalium. Non quidem dominus ".

Il dominio e la piena disponibilità spetta invece alle singole chiese e alle singole comunità; perciò se la Chiesa universale e per essa il papa, cui compete il compito di dispensator, fa malo uso dei beni ecclesiastici, deve farne reintegrazione, diversamente " deponi potest... Ita si appareret quod Papa bona ecclesiarum infideliter detruderet seu distraheret, scilicet non ad bonum commune, cui superintendere tenetur, cum sit summus episcopus: deponi posset si admonitus non corrigeretur ".

Bibl. - Edizione critica in J. Leclercq, Jean de Paris et l'ecclésiologie du XIIIe siècle, Parigi 1942, 173-260; C.Cipolla, Il trattato ‛ De Monarchia ' di D.A. e l'opuscolo ‛ De potestate regia et popoli ' di G.d.P., in " Memorie Acc. delle Scienze di Torino " s. 2, XLII (1892), poi in Studi danteschi, Verona 1921, 175-300; M. Grabmann, Studien zu Johannes Quidort von Paris, in " Sitzungberichte der bayerischen Akademie der Wissenschaften " III (1922); A. Campana, Un nuovo dialogo di Ludovico Strassoldo O.F.M. (1434) e il ‛ Tractatus de potestate regia et popoli ' di G.d.P., in Miscellanea Pio Paschini, " Lateranum " n.s., XIV-XV 2 (1949); G. Pilati, Chiesa e Stato nei primi quindici secoli, Roma 1961, 287-289; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, 130-132, con ampie indicazioni bibliografiche; R.W. e A.J. Carlyle, Il pensiero politico medievale, III, Bari 1967, 84-85, 447-464. V. anche P. Stella, in Enciclopedia filosofica, III, Firenze 1967², 200.

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