COSSA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COSSA, Giovanni

Franca Petrucci

Nacque a Ischia agli inizi del XV secolo da Gaspare, nobile napoletano, e da Luisa Brancacci. Egli era quindi nipote di Giovanni XXIII, il quale gli destinò nel testamento 10.000 fiorini, in segno della sua riconoscenza per il fratello Gaspare. Del gennaio dei 1420 e una lettera del C., orfano di padre sin dal 1411, e del cugino Michele, altro erede di Giovanni XXIII, in cui essi reclamano il pagamento delle somme destinate loro, sostenendo di essere "poveri e sconsolati". In effetti risulta che in quell'epoca, e successivamente nel corso del 1428, egli dovette procedere alla vendita di alcune sue proprietà.

Alla sua morte (2 febbr. 1435) la regina Giovanna II lasciò il governo del Regno a un Consiglio di reggenza; di esso, benché non si sappia per quali meriti, faceva parte il Cossa. Per intima convinzione o per ossequio alla volontà della regina, che aveva designato suo erede Renato d'Angiò, nella lotta che si determinò fra Alfonso d'Aragona e il pretendente angioino, il C. prese posizione per questo ultimo e si pose al suo fianco non appena questi giunse a Napoli nel maggio del 1438. Lo sovvenne anche con aiuti finanziari, fornendogli prestiti senza garanzie. Quando alla fine di gennaio del 1440 Renato decise di lasciare Napoli per portarsi nuovamente in Abruzzo, il C. lo seguì, per volere della regina Isabella, con bagagli e rifornimenti; giunto però nei pressi di Nola fu sorpreso da un attacco del nemico, a cui dovette lasciare, fuggendo, tutto il materiale.

Pochi mesi più tardi l'Angiò tornava a Napoli e provvedeva alla partenza della moglie e dei figli verso la Provenza. Isabella veniva creata luogotenente generale e governatore dei ducati di Bar, Lorena e Angiò e del contado di Provenza; riceveva, inoltre, istruzioni e procure per varie disposizioni di Renato, fra cui la regolamentazione della successione. Il C. fu uno degli ufficiali che presenziarono agli atti e vi apposero la loro firma. Ai primi di giugno del 1442 le truppe di Alfonso d'Aragona si introdussero in Napoli attraverso l'acquedotto. Il pericolo che questa via di penetrazione rappresentava non era sfuggito ai difensori angioini, tanto che il C., insieme a Rubino Galeota, era stato incaricato di ispezionarlo. Essi avevano provveduto a sbarrarlo con tre muri e a porvi un cancello di ferro, precauzioni che tuttavia non sortirono effetto positivo.Quando Alfonso entrò in Napoli il C. comandava Castel Capuano. Poco fornito di viveri, egli si abboccò con Giovanni Caracciolo riuscendo a ottenere una tregua di dieci giorni. Quindi nella chiesa dell'Incoronata con Lopez Ximen de Urrea trattò la capitolazione, che fu firmata il 12 giugno. Secondo i patti il C. fu lasciato libero insieme con la moglie e i figli e ricevette 212 ducati per le munizioni e altri arnesi di guerra lasciati nel castello. Dopo pochi giorni si imbarcò con re Renato, che lasciato Castel Nuovo affidato ad Antonio Calvo, si avviò verso Pisa. Con ogni probabilità il C. accompagnò Renato a Firenze, dove l'Angiò si trattenne per qualche mese, ma tornò a Napoli per consentire al Calvo la consegna di Castel Nuovo ad Alfonso d'Aragona. Nei patti fu inclusa anche la concessione del perdono da parte dell'Aragonese ai seguaci angioini. Il C. tuttavia non usufruì di questa generosità, perché si recò in Provenza e divenuto ciambellano e consigliere dell'Angiò lo servì fedelmente per tutta la vita. Già dall'aprile del 1441 aveva ottenuto da Renato la signoria di Grimaud in Provenza. Presente a Nancy durante il grande raduno della corte francese dalla fine del 1444 ai primi mesi del 1445, fu uno degli organizzatori dei tornei che si tennero lì in occasione delle nozze di Margherita d'Angiò, figlia di Renato, con Enrico VI. Nel maggio 1446 ottenne una pensione annua di 1.500 fiorini sulle tasse imposte agli ebrei di Provenza. Nell'estate del 1447 il C. fu inviato insieme a Charles de Castillon e al vescovo di Marsiglia, Nicolas de Brancas, da parte di Renato d'Angiò, a Lione, dove insieme con gli inviati del re di Francia, di quello di Inghilterra e della Germania dovevano cercare di porre rimedio allo scisma che vedeva il duca di Savoia, con il nome di Felice V, opporsi a Niccolò V, da poco assunto al papato. Con ogni probabilità a questo stesso proposito nell'ottobre del medesimo anno, per incarico congiuntamente del re di Francia e di re Renato, il C. si portò in Italia. Aveva lettere dei due sovrani per il doge di Venezia e per il Sacro Collegio.

Si fa un'altra ipotesi oltre a quella che questo viaggio avesse lo scopo di manifestare la volontà dei sovrani di adoperarsi per porre termine allo scisma. Era iniziata infatti in Lombardia la guerra di successione per il ducato di Milano e in Francia non si faceva mistero delle intenzioni del duca di Orléans di invadere lo Stato italiano, su cui vantava pretese. In concomitanza con questa azione Renato d'Angiò avrebbe potuto tentare la riconquista dei Regno: la missione del C. avrebbe dovuto preparare diplomaticamente l'impresa. Egli tornò comunque in Provenza nel maggio del 1448.

Nel 1450 il C. era di nuovo in Italia. Firmò infatti in qualità di testimone, e vi fu nominato arbitro in caso di contestazioni, insieme con Angelo Acciaiuoli, l'atto di ratifica, stipulato a Lodi il 26 maggio, della rinuncia di Guglielmo di Monferrato alla città e al territorio di Alessandria, in favore di Francesco Sforza. Quando nel novembre dell'anno successivo giunse in Francia l'Acciaiuoli, che veniva con l'intento di indurre Carlo VII a entrare nell'alleanza che già univa la Repubblica fiorentina con Francesco Sforza, l'inviato prima di arrivare alla corte del re di Francia si recò presso Renato di Angiò, il quale incaricò il C. di scortarlo fino dal sovrano francese. Egli tornò presso il suo signore in Angiò alla fine di dicembre, ma insieme a Bertrand de Beauvau era inviato di nuovo ai primi del 1452 a Tours alla corte del re di Francia, per dare appoggio all'Acciaiuoli, che trovava qualche difficoltà nel condurre le trattative, essendo giunta a conoscenza del re la notizia dei patto, concluso nel novembre dell'anno prima fra Firenze, Milano e Genova, che mal disponeva il sovrano e i membri del Consiglio regio. Conclusasi nel febbraio l'auspicata lega tra Carlo VII e le due potenze italiane, nel maggio Renato d'Angiò e tutto il seguito, compreso il C., soggiacquero a Tarascona a un attacco di febbri che li tenne infermi per un certo periodo. Nell'ottobre Carlo VII decise di inviare il C., insieme a Jean Bernard, arcivescovo di Tours, in Italia. La loro partenza, differita per l'arrivo di ambasciatori fiorentini a corte, avvenne nel novembre. Essi dovevano recarsi dapprima nel Monferrato e in Lombardia per cercare di pacificare il marchese con lo Sforza. Mentre era in atto la guerra fra le due leghe áe facevano capo a Venezia e a Milano, il Monferrato aveva infatti iniziato operazioni militari di fiancheggiamento in favore dei Veneziani, che costituivano una penosa spina nel fianco del duca di Milano. Questi e il marchese nel luglio avevano deciso di rimettere le loro controversie all'arbitraggio di Renato d'Angiò e di Carlo VII. I due inviati incontrarono lo Sforza nel dicembre a Cremona, senza ottenere alcun risultato. Il C. si recò poi a Firenze, dove era nel gennaio del 1453. Alla Repubblica doveva riferire i particolari delle operazioni che il re conduceva contro gli Inglesi, e intorno alla sua azione nei confronti del duca di Savoia, che aveva convinto a recedere da un atteggiamento ostile rispetto al duca di Milano. Dalla città toscana il C., per ordine di Carlo VII, si portò a Milano, dove era a metà febbraio. Doveva chiedere al duca una tregua di sei mesi, ma non ottenne dallo Sforza che la puntualizzazione della sua versione dei fatti, esposti dal duca in un particolareggiato memoriale, consegnato al C. e all'arcivescovo di Tours per i due sovrani. Lo Sforza, inoltre, riferiva la richiesta del papa di invio di ambasciatori a Roma per tentare di addivenire alla pace e denunciava il comportamento del duca di Savoia in appoggio del Monferrato. L'11 aprile, quando l'Acciaiuoli stipulava a Tours con Renato d'Angiò il trattato con cui il re si impegnava a scendere in Italia contro Venezia, praticamente agli stipendi dei Fiorentini, il C., rientrato in Francia, fu uno dei testimoni dell'atto. Seguì poi re Renato quando questi ottemperando ai patti, si avviò verso l'Italia.

Come si sa, il viaggio fu tutt'altro che fulmineo. Da Angers l'Angiò partì il 4 maggio. In un primo tempo pensò di passare le Alpi per via di terra, ma l'opposizione del duca di Savoia gli impedi di seguire questo itinerario. Il 27 luglio, insieme all'inviato sforzesco Abramo Ardizzi, il C. precedette il re ad Antibes per indurre le navi inviate da Genova ad aspettare il sovrano per portarlo in Liguria. Il C. doveva poi proseguire per consegnare lettere di Renato a Giovanni e a Guglielmo del Monferrato e a Rinaldo Dresnay, governatore di Asti, perché si tenesse pronto a unirsi con le sue forze al sovrano. Durante il lento avanzare dell'Angiò verso il teatro delle operazioni di guerra il C. nell'agosto rimase attardato a Ceva per un attacco di febbre. Alla fine di settembre egli si recò, con Enrichetto Natta, a Venezia, contro la quale il re non volle intraprendere azioni offensive senza averle dichiarato formalmente guerra. In seguito presumibilmente il C. rimase con il sovrano fino all'arrivo nell'ottobre nel Bresciano e durante la breve campagna militare. Prima però che il re si ritirasse nei quartieri d'inverno a Cremona fu inviato, nella prima decade di novembre, a Firenze. Doveva chiedere alla Repubblica altre sovvenzioni finanziarie e quartieri d'inverno in Toscana. Probabilmente il re, insoddisfatto della posizione in cui si era venuto a trovare o, al dire di G. Simonetta, mosso "sola muliebri cura in tanta rerum actione", già pensava di abbandonare l'Italia. Il 28 dicembre l'Angiò si incontrò con lo Sforza e gli comunicò la sua intenzione di tornare in Francia; gli spiegò i motivi che lo spingevano a questa decisione. Il C. li ribadi poi al duca: l'inverno sopravvenuto non permetteva alcuna operazione militare; il re avrebbe mandato in sua vece il figlio Giovanni. Si chiedeva allo Sforza di non crucciarsi di questa partenza, ma, come si sa, da quest'epoca, certamente non soltanto per la partenza dei re, data l'allontanamento del duca dalla politica filoangioina.

Non sappiamo se il C. seguì Giovanni d'Angiò quando nel febbraio del 1454 questi arrivò in Toscana. Con l'Angiò c'era però sicuramente il figlio del C., Gaspare, che rimase, o ritorciò, in Italia nel 1456, dopo che Giovanni d'Angiò era, nel 1455, tornato in Provenza. Probabilmente il C. giunse di nuovo in Italia nella primavera del 1458, quando arrivò a Genova il duca Giovanni d'Angiò, quale governatore della città e luogotenente di Carlo VII. Per suo mezzo infatti intavolarono trattative con l'Angiò, per cessare la loro opposizione, quei fuoriusciti genovesi, che non si sentirono abbastanza protetti dall'appoggio milanese, dopo l'allontanamento della flotta napoletana dalle acque genovesi per la morte di Alfonso di Aragona.

Ai primi di ottobre il duca Giovanni inviò a Milano il C. con il vescovo di Marsiglia e con un terzo ambasciatore. Dovevano ricordare allo Sforza l'antica fedeltà alla casa d'Angiò e proporre che Ippolita Sforza, già fidanzata al figlio di Ferdinando d'Aragona - argomentando anche che l'età della fidanzata nen era adatta a quella del futuro sposo - sposasse invece Giovanni duca di Calabria. Lo Sforza, che aveva mal sopportato l'insediamento francese a Genova e che era ormai assolutamente favorevole alla successione dell'Aragona sul trono di Napoli, differì di ricevere gli ambasciatori, con la scusa della peste, facendoli attendere qualche tempo a Chiaravalle e poi dette loro, pur dichiarandosi fedele figlio di Renato, risposte negative. Egli aveva già impegnato la sua parola per il fidanzamento della figlia e avrebbe aiutato Ferdinando se egli fosse stato attaccato. Molti autori accennano a un'ulteriore ambasciata dei tre inviati dallo Sforza, che si sarebbe svolta nel gennaio dell'anno successivo e che, se non è avvenuta confusione con quella precedente, avrebbe avuto gli stessi scopi e i medesimi risultati.

Quando Genova deliberò di fornire all'Angiò dieci galere per l'impresa da lui vagheggiata contro il Regno, il comando di esse fu dato al Cossa. Il fallimento del secondo tentativo di Pietro Campofregoso contro Genova, durante il quale il C. stesso lo inseguì per le vie della città e lo colpì con una mazza ferrata, dette al duca di Calabria la sicurezza che Genova sarebbe rimasta tranquilla durante la sua permanenza nel Regno, verso il quale partì nell'ottobre. Il C. lo seguì con il nuovo titolo concessogli di gran senescalco di Sicilia, e con lui visse l'avventura corsa dal duca, con l'appoggio dei baroni ribelli, contro il contrastato erede di Alfonso.

Sbarcato a Castellammare al Volturno a metà novembre, Giovanni si diresse in Puglia ove ottenne l'appoggio richiesto in breve tempo. Pare che nel marzo dei 1460 il figlio del C., Gaspare, che partecipava anche egli alla spedizione, sposasse la contessa di Troia; comunque il C. ottenne il titolo di conte di quella città. Egli, in questo periodo non svolgeva soltanto funzioni di consigliere, ma aveva una vera e propria attività militare. Nel maggio del medesimo anno, infatti, difese con due squadre Manfredonia da un attacco di truppe fedeli all'Aragonese. Partecipò quindi alla battaglia di Sarno (7 luglio), che parve dare il Regno nelle mani dell'Angiò. Il C. fu uno di quei consiglieri che suggerirono al duca di lanciarsi su Napoli, cercando di sfruttare il momento favorevole alle armi angioine, e che rimasero inascoltati. Prima della fine dell'anno re Ferdinando colpì due volte la famiglia del C., conquistando e saccheggiando prima Formicola, terra di una figlia del C., vedova di Marco della Ratta, e prendendo poi, nel novembre, prigioniero il figlio Gaspare, che però fu subito liberato.

Mentre finanziariamente, militarmente e polificamente (Genova aveva cacciato i Francesi) le fortune dell'Angiò andavano declinando, il C., nel giugno 1461, difese e riuscì a mantenere in possesso degli Angioini Troia. Il 12 agosto dell'anno successivo si combatteva attorno a questa città la battaglia vittoriosa per l'esercito di Ferdinando. I maggiorenti angioini nella notte dopo il combattimento fuggirono da Troia. Rimasero a difenderla il C. e il figlio. Assediati dalle truppe aragonesi e costretti dalla defezione dei cittadini a rinchiudersi nella rocca, aprirono trattative con il re per mezzo di Alessandro Sforza. Il C. chiedeva salva la vita sua, del figlio e di un nipote in cambio della rocca, ma dovette cedere anche Manfredonia e altre terre per ottenerlo. Non sappiamo quando e come il C. abbia di nuovo raggiunto il duca Giovanni, in Abruzzo forse o ad Ischia, quando quegli vi si rifugiò. Inviato da quest'ultimo, nel marzo dei 1462 egli era a Bordeaux, alla corte di Luigi XI, dove rimase fino all'aprile, con il compito di procurare aiuti finanziari per l'impresa del Regno. Non ottenne nulla ed egli e i suoi, come scrisse Antonio di Noceto al duca di Milano, arrivati in corte poveri, ne ritornarono "mendichi". Da Ischia il C. tornò più volte dal re di Francia e nel giugno del 1463 ottenne il compimento del pagamento della dote di un figlio del duca Giovanni. Aveva dovuto sottostare per arrivare in Francia a una angheria del duca di Milano, che gli aveva negato il permesso di passare nei suoi territori, adducendo la scusa della peste. Nello stesso anno egli si recò a Venezia e a Firenze, con l'intento di rassicurare le due repubbliche, sostenendo che il re di Francia non aveva tolto il suo favore al duca Giovanni, anche se la sua politica era favorevole allo Sforza, a cui infatti egli nel dicembre concedeva Genova. Nel gennaio del 1464 il C. era di nuovo alla corte francese, ad Arras, a tentare di conseguire aiuti per l'Angiò, che ancora non si induceva a lasciare Ischia. Quando questi partì dall'isola nell'aprile, il C. lo segui a Firenze e allorché il mese successivo il duca tornò in Provenza egli rimase qualche tempo a Pisa. Nel medesimo anno era nominato luogotenente generale di Ferry di Lorena, gran senescalco di Provenza, cui successe in questa carica nel 1470.

Fu a lui che il 20 ag. 1466 la città di Barcellona e i rappresentanti del principato di Catalogna inviarono una delegazione per chiedere le modalità da seguire per offrire la corona di Aragona a re Renato. Quando Giovanni d'Angiò, avendo il padre accolto l'invito, intraprese la spedizione in Spagna, il C., a cui nel gennaio del 1467 si rivolsero i Genovesi per trovare un accordo con Barcellona, si adoperò per raccogliere i fondi necessari a quest'impresa e il figlio Gaspare vi partecipò.

Una parte importante ebbe il C. nei contrasti che sorsero fra Luigi XI e Renato d'Angiò. Il re nel luglio 1474 aveva finito con l'impadronirsi dei ducati di Bar e d'Angiò, provocando l'avvicinamento dello zio a Carlo il Temerario. Avvenuta la battaglia di Grandson, che ridimensionò drammaticamente le fortune dei duca di Borgogna e riavvicinatisi, se pure non rappacificatisi, Renato e Luigi XI, essi si incontrarono a Lione il 4 maggio 1476. Il C. partecipò al convegno e sostenne validamente le parti dei suo signore: Renato aveva offerto a Carlo di farlo suo erede proprio per suggerimento dei suoi consiglieri, primo fra tutti lo stesso C., per indurre il re a diportarsì con lui differentemente da quanto stava facendo. Per arrivare a un accordo furono delegati il C. per re Renato e Filippo di Commines per re Luigi e le conclusioni furono favorevoli all'Angiò, che ebbe restituiti il Bar e l'Angiò, con la sola riserva di alcuni diritti.

Il C., che godeva di una rendita di 2.400 fiorini, nel maggio del 1475 aveva ricevuto le signorie di Marignane e di Gignac. Morì il 30 ott. 1476, dopo aver testato il 15 settembre. La tomba ove venne sepolto, nella cripta di S. Marta a Tarascona, fu opera di Francesco Laurana.

Ebbe due figli, Gaspare e Renato, e quattro figlie Chichola (o Sissera), che andò sposa a Marco della Ratta; Margherita, il cui marito fu Giorgio Grimaldi; Luisa, che sposò il milanese Francesco Sanseverino, e Lionne. Dei più noto dei figli del C., Gaspare, sappiamo che, come ciambellano di re Renato, fu impiegato nei contatti segreti, che si tennero all'inizio dei 1476 fra l'Angiò e Carlo di Borgogna. Nel 1478 fu giudice regio ad Avignone che era passata sotto Luigi XI. Era ancora attivo nel 1480.

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