CONTI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTI, Giovanni

Bruno Di Porto

Nato il 17 nov. 1882 a Montegranaro (Ascoli Piceno) da David, piccolo imprenditore calzaturiero, e dall'insegnante Livia Germozzi, studiò al liceo-ginnasio statale di Fermo e al "Visconti" di Roma. Educato in famiglia agli ideali repubblicani, aderi nel 1898, in piena tensione sociale e politica, al partito repubblicano, da poco fondato. Con altrettanta precocità (schedato dalla polizia, che tenne aggiornato il suo curriculum di sovversivo) si dedicò all'organizzazione, alla propaganda e, a partire dagli anni universitari iiella capitale (1903-07), al giornalismo ed all'attività pubblicistica ed editoriale.

Pubblicò a Roma, nel 1905, l'opuscolo La questione meridionale ed il Partito repubblicano;fondò, nel 1906, a Fermo, il giornale La Giustizia;curò numeri unici pel centenario della nascita di Garibaldi (Garibaldi, Roma 1907) e nelle ricorrenze deil 1° maggio; e, fuori dei prevalenti interessi politici, compose la Strenna di Monte Granaro (Fermo 1905), guida del luogo nativo, aggiornata dopo quasi mezzo secolo da V. Valentini (Roma 1952).

Laureatosi in giurisprudenza, si avviò alla professione forense nello studio di F. Zuccari (che commemorò sull'Iniziativa del 26 luglio 1913), dove avvicinò i maggiori esponenti politici e culturali della democrazia repubblicana. Tra questi si legò specialmente ad A. Ghisleri, intrecciando dal 1905 un carteggio, in gran parte pubblicato da A. Aiazzi (Democrazia come civiltà. Il carteggio Ghisleri-C. 1905-1929, Milano 1977). Riprendendone una insegna, il C. fondò nel 1907 la Libreria politica moderna, con cui fornì testi e antologie alla preparazione di più generazioni di repubblicani. Dal magistero, del Ghisleri attinse il convincimento federalista del Cattaneo (cui dedicò sull'Iniziativa, nel 1911, una serie di articoli, raccolti poi nel volumetto Il pensiero politico-sociale di C. Cattaneo, Roma 1946), in sintesi con l'eredità mazziniana, positivisticamente privata della componente religiosa: col titolo I problemi dell'epoca curò un'antologia di Mazzini (Roma 1920; 2 ed., ibid. 1922; 3 ed., ibid. 1949).

Del Ghisleri condivise, e fece prevalere entro il Partito repubblicano, lottando a fianco del coetaneo e conterraneo O. Zuccarini, l'indirizzo intransigente, contro quella corrente, guidata da S. Barzilai, che essi definirono "democratica", ad intendere una generica democrazia, non abbastanza marcatamente repubblicana, ed una forma di transigenza, simile a quella dei radicali, verso la politica giolittiana.

Il barzilaismo, compenetrato con l'irredentismo, accentuava nella tradizione mazziniana il momento nazionale, evitando di opporsi ai governi sulle spese militari e convergendo nell'impresa libica, avversata dagli intransigenti.

Nel 1910 lasciò, per disaccordo politico, la redazione del quotidiano repubblicano La Ragione, cha aveva contribuito a fondare nel 1907, pubblicando con Zuccarini il periodico L'Attesa (durato pochi numeri) e rivolgendosi ai giovani con L'Educatore. Sempre nel 1910 venne eletto, al congresso di Firenze, membro della commissione esecutiva, come rappresentante della minoranza, con la quale sferrò l'attacco alla linea di Barzilai nel contesto della guerra italo-turca, che aveva fatto culminare il contrasto. Il rovesciamento del rapporto di forza e la svolta intransigente maturarono tra il convegno nazionale di Bologna del novembre 1911 e l'XI congresso, tenuto ad Ancona nel maggio 1912, allorché entrò nella direzione nazionale e nella commissione esecutiva come rappresentante della maggioranza, mentre Zuccarini diveniva segretario politico. Alla Ragione, lasciata naufragare nel dissesto finanziario, i nuovi dirigenti sostituirono dapprima un bollettino dal titolo L'Iniziativa repubblicana e, nel dicembre 1912 il settimanale L'Iniziativa, durato fino 1920. Uscito Barzilai dal partito, continuo la lotta contro i residui della vecchia linea, commisti ad influenze massoniche. Le elezioni del 1913 diedero la misura dei consensi raccolti dai dissidenti nell'elettorato repubblicano, ridimensionato del resto dal suffragio universale, che ne chiariva la natura minoritaria.

L'importante per il C. era che questa minoranza. pur partecipando alle elezioni e facendosi rappresentare in Parlamento (contro l'astensionismo del minuscolo partito mazziniano intransigente), fosse coerentemente portatrice di una alternativa istituzionale e politico-sociale, mediante una linea che non rifuggisse dalla prospettiva insurrezionale, cui pervenne insieme agli anarchici ed ai sindacalisti rivoluzionari con l'esperienza-limite della settimana rossa (giugno 1914), ma tendesse maggiormente alla prospettiva di una democrazia integrale, attraverso lo studio delle questioni reali. Vi erano perciò affinità, di derivazione cattaneana, con la problematica del Salvemini, che a Cattaneo era risalito per influenza del Ghisleri, e che in una lettera al C. del 30 genn. 1923 (pubblicata sulla Voce repubblicana del 16-17 marzo 1977) manifesterà, pur con riserve, apprezzamento per il corso impresso al partito repubblicano. Una lezione di concretezza gli venne altresì da F. S. Nitti, conosciuto attraverso N. Colaianni.

Così orientato, il repubblicanesimo del C., nutrito anche di studi amministrativi, legislativi, finanziari, a differenza delle altre componenti dell'estrema sinistra, con cui condivideva la tensione rivoluzionaria e l'agitazione antigiolittiana, si riferiva a modelli liberaldemocratici: in particolare, al federalismo elvetico ed americano, nel quadro italiano modificabile in regionalismo, come forma della più ampia partecipazione popolare, in antitesi al parlamentarismo dei tempo, che il C. giudicava limitato (prima pei limiti di censo dell'elettorato, poi ancora per la non elettività del Senato), congestionato per la concentrazione delle competenze, inquinato dagli interessi che vi facevano capo.

Altro caposaldo del C. e di Zuccarini fu il liberismo economico, in funzione antiprotezionistica ed antimonopolistica, per un'agile e concorrenziale imprenditorialità di medie e piccole proporzioni.

Il suo interclassismo mazziniano, così, si imperniava sulla promozione dei proletariato all'istruzione, alla piccola proprietà, all'azionariato, alla cooperazione, nel quadro della valorizzazione dell'iniziativa privata. Il suo laicismo evitava toni accesamente anticiericali e, anche per la personale conoscenza del conterraneo R. Murri, prestava attenzione agli orientamenti di gruppi cattolici avanzati.

Rivolto all'allargamento delle tematiche, il C. cercava saldature con settori dell'opposizione culturale al giolittismo, con personalità quali V. Pareto, M. Pantaleoni, E. Giretti, G. Ferrero e con l'ambiente delle riviste fiorentine, tanto che G. Tramarollo (G. C. nel giornalismo repubblicano, in Nord e Sud, XXIV [1977], pp. 105-112) ha potuto pensare ad un'influenza della Voce sulla scelta da parte del C. del titolo (La Voce repubblicana) del quotidiano poi da lui fondato. Allargò così il raggio editoriale della Libreria politica moderna, cui affiancò, dal 1908 al 1914, la Rassegna bibliografica, piùtardi seguita dall'Araldo della libreria (1924-26).

Sotto lo pseudonimo "Un ignoto" e col titolo Il Partito repubblicano in Italia, il C. pubblicò a Roma nel 1913 il primo volume (Dalla Rivoluzione francese al 1849) di una storia divulgativa del partito, il primo tentativo del genere in campo repubblicano. Anche per il limite cronologico, era più una storia dell'idea che del movimento. Il Ghisleri notava, nella prefazione, la parzialità dell'opera, pur contrapponendola alle sottovalutazioni da parte della cultura ufficiale degli apporti repubblicani al Risorgimento.

Il secondo volume, sul periodo 1849-60, inedito, è nelle carte del Conti.

Della storia del partito, sempre con lo pseudonimo "Un ignoto", compilò una sintesi, aggiornata fino al presente, Pensiero e azione. Cento anni di lotta repubblicana in Italia (Roma 1917; 2 ediz., ibid. 1921). Riaggiornata, in pseudonimo, e col titolo Il Partito repubblicano dalle lotte per l'unità d'Italia al momento attuale, la sintesi fu pubblicata a Roma nel 1944 e nel 1947; è ricomparsa. postuma, con avvertenza ed ulteriore aggiornamento di G. Tramarollo (Voghera 1972).

Nel 1913 pubblicò a Roma anche una Strenna repubblicana, precedente degli Almanacchi repubblicani curati nel dopoguerra dal 1922 al 1926.

Concordava il C. col Ghisleri in un irredentismo rivoluzionario ed autonomistico, solidale con le altre nazionalità contestatrici dell'egemonia austriaca nell'Impero asburgico. Scoppiata però la guerra, si annullarono di fatto le distinzioni interne del campo irredentista. Il C. condivise la presa di posizione del partito, che alla motivazione irredentistica univa la scelta di campo con le forze liberaldemocratiche dell'Intesa. Politicamente sospetto (era stato denunciato nel 1910 per vilipendio ai sovrani defunti, e condannato nel 1913 con la condizionale a quindici giorni di reclusione per un violento discorso contro le istituzioni), nell'agosto 1916 fu assegnato al 31° reggimento di artiglieria da campagna, di stanza in Ancona, e nel maggio 1917, col grado di caporale, fu inviato al fronte nel Trentino, presso il Pasubio. Ottenuta dopo favorevoli rapporti la nomina a sottotenente, fu trasferito ad Ovada, da dove tornò in zona di operazioni. Fu congedato nel febbraio 1919.

Nell'agosto di quell'anno veniva arrestato alla stazione di Gavorrano (Grosseto) per propaganda tra i soldati. Il C. ritornava all'impegno politico in una situazione difficile e confusa per la dispersione dei quadri accorsi a combattere; per l'attenuarsi in taluni settori repubblicani dell'opposizione alla monarchia che, accolta l'istanza irredentistica, aveva impersonato nella guerra la coscienza nazionale; per le suggestioni esercitate dai nuovi fermenti del dopoguerra, il combattentismo, il dannunzianesimo, il fascismo con l'iniziale tendenza repubblicana (cui lo stesso C. guardò inizialmente con simpatia), e le risonanze della rivoluzione bolscevica. Per restituire al partito l'autonoma caratterizzazione, da un lato il C. propugnò lo scioglimento delle solidarietà interventistiche e, in antitesi al prevalente umore nazionalistico, una politica di buon vicinato col nuovo Stato iugoslavo; dall'altro lato contribuì al ritiro del partito repubblicano, nel settembre 1922, dall'Alleanza del lavoro, costituita pochi mesi prima con forze sindacali e di sinistra.

Eletto nel 1921 nel collegio di Roma per la XXVI legislatura, e rieletto nel 1924 nella circoscrizione umbro-laziale per la XXVII, primo direttore della Voce repubblicana, da lui fondata nel 1921 e durata fino al 1926, diede impulso alla ripresa organizzativa del partito (tra l'altro nel settore giovanile, cui fornì il giornale L'Alba repubblicana). Vanno ricordate anche le sue collaborazioni al periodico Echi e commenti che, dal versante moderato, raccoglieva le angolazioni di tutto lo schieramento politico (B. Di Porto, Sul periodico Echi e commenti. G. C.: previsioni senza presunzione profetica, in La Voce repubblicana, 1° ag. 1973).

Come pubblicista, il C. promosse un'inchiesta tra gli scrittori italiani sul quesito Dove va il mondo?, edita a Roma nel 1923, cui aderirono., tra gli altri, M. Borsa, G. Ferrero, E. Giretti, A. Loria, M. Missiroli, G. Mosca, G. Rensi. E redasse, in parte anonimi o pseudonimi, gli scritti: La Repubblica romana del 1849, Roma 1920 (altre edizioni nel 1925 e 1944); Il Partito repubblicano nell'attuale momento politico, ibid. 1921; Che cosa vogliono i repubblicani, ibid. 1921; Il Partito repubblicano dopo la guerra (la crisi e la rinascita), ibid. 1921; Il pensiero politico e sociale di Mazzini, ibid. 1921 (altre edizioni nel 1922 e 1949); Mazzini e la questione economica, ibid. 1922; Lo statuto del Regno commentato ad uso dei sudditi, ibid. 1924 (altra ediz. nel 1945); Perché siamo repubblicani, ibid. 1924 (altra ediz. nel 1946); La Voce repubblicana dal 1921al 1925, ibid. 1926.

L'avvento del fascismo lo impegnò in aspre battaglie, sia come oppositore della sua politica, sia per le ripercussioni interne nel partito repubblicano, dove si può dire che combatté su tre fronti: contro le frange filofasciste e la tesi della neutralità tra fascismo e socialismo, che portò nel 1923 alla scissione di una Federazione repubblicana autonoma in Romagna e nelle Marche; poi, pur partecipando all'Aventino, rifiutando ogni convergenza nella difesa della legalità statutaria, che avrebbe potuto risolversi in un riconoscimento della monarchia ove questa si fosse staccata dal fascismo, mentre l'obiettivo repubblicano era esaltato proprio dalla scelta fascista della monarchia; infine (ed è su questo fronte che, dopo il congresso di Milano del maggio 1925, fu messo in minoranza) contro quelle tendenze di sinistra (guidate da F. Schiavetti e da G. e M. Bergamo), che caratterizzavano l'antifascismo in senso classista, volgendosi alla concentrazione con le forze socialiste. Il C., sempre col Ghisleri e lo Zuccarini, guidò la corrente intransigente e tradizionalistica: intransigente nel mirare alla meta istituzionaie, resa tanto più necessaria dal fascismo giudicato come ultima e logica forma della monarchia per l'autoritarismo in essa implicito; tradizionalistica (cioè di stretta derivazione da Mazzini e Cattaneo), contro il revisionismo ideologico in direzione socialista (sia pure non marxista), che attaccò nel 1922 al XV congresso di Trieste, e da cui fu messo in minoranza al XVII nel 1925.

In effetti, studiosi e politici non teneri verso il vecchio partito repubblicano, quali Salvernini e Gobetti (in La Rivoluzione liberale, 17 apr. 1923, ora in P. Gobetti, Opere complete, I, Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino 1969, pp. 487-493; cfr. anche p. 620) riconoscevano, nella stretta del fascismo, che avvalorava l'insistenza sulla trasformazione istituzionale, quanto di vigoroso e di nuovo il repubblicanesimo presentasse per merito dell'intransigenza contiano-zuccariniana; mentre C. Rosselli, dalle colonne di Quarto Stato, pur puntando per quest'operazione, avversata dal C., sull'ala dei Bergamo e di Schiavetti, vedeva nell'alleanza coi repubblicani l'elemento salutare pel rinnovamento del socialismo italiano.

Il C. affrontò Mussolini alla Camera, il giorno successivo al discorso del "bivacco" (16 nov. 1922), nel dibattito sulla fiducia, evidenziandogli il divario dal primitivo programma fascista, in diretto confronto con le sue interruzioni. Nella tornata del 30 maggio 1923, di nuovo in contraddittorio con Mussolini, criticò la virata della politica finanziaria del governo a favore dei ceti benestanti e la forzatura nazionalistica della pacifica indole del popolo italiano. Il successivo 13 luglio, intervenendo nella discussione sulla legge elettorale maggioritaria, rifiutava, insieme col cammino verso un regime autoritario, il ritorno ai vecchi equilibri parlamentari, giudicando ottimisticamente l'Europa avviata verso avanzati istituti di sovranità popolare.

La sua prima esperienza parlamentare non si esaurì in questa opposizione di fondo, ma fu contrassegnata da risvolti tecnici e specifici contenuti. Fece parte della commissione permanente per gli Affari Interni; presentò una proposta di legge per l'abbassamento del limite di età per l'eleggibilità a deputato; fu relatore del disegno di legge per provvedimenti a favore dell'istituto di S. Spirito in Sassia; rivolse interpellanze su licenziamenti nell'amministrazione férroviaria, su responsabilità in incidenti di lavoro, sulla lotta antimalarica, sui compensi per requisizioni granarie, su dazi di consumo, su agevolazioni tributarie per grandinate, sul monumento a Vittorio Emanuele II, sull'esenzione fiscale di beni pontifici, su misure repressive in Italia ed in Libia, sulla politica italiana verso il regime ungherese di Horthy, sull'arresto di un repubblicano irlandese e su varie altre questioni.

Specialmente interessato ai problemi agri coli, su cui era intervenuto, nel 1920, al congresso repubblicano di Ancona, nella tornata del 15 giugno 1921 criticò il farraginoso intersecarsi della normativa in materia; il 5 maggio 1922 approvò, con taluni emendamenti, il disegno di legge sulla trasformazione del latifondo, presentato dal ministro G. Micheli, giudicandolo tuttavia come un primo passo verso maggiori riforme; ed il 20 luglio 1922 denunciò inadempienze di proprietari beneficiari di crediti a condizione di miglioramenti nei fondi. S'impegnò particolarmente per la suddivisione di latifondi tra contadini poveri ed ex combattenti nel suo collegio laziale (dove portava avanti l'azione sociale dei medico e deputato repubblicano A. Celli) e nel Grossetano, in continuità con l'azione per la Maremma dei deputati, pure repubblicani, E. Socci e P. Viazzi. Agitandosi, in quella zona, il caso delle tenute dell'Alberese e della Badiola, appartenute agli Asburgo-Lorena, si batté per la requisizione statale e l'assegnazione ai contadini e combattenti, presentando interrogazioni parlamentari il 18 marzo 1922 e il 16 maggio 1923. Analoghi passi compì, tra il 1922 e il 1923, per terreni in via di bonifica nelle Paludi pontine.

Alla secessione dell'Aventino cercò, come Gobetti e poi i comunisti, di conferire un più risoluto atteggiamento, con la costituzione in assemblea antagonistica o con le dimissioni in massa. Il perdurare della secessione, senza che tali proposte venissero accolte, suscitò perplessità nel partito, con qualche critica anche nei suoi confronti (cfr. P. Albatrelli [F. Perri], I repubblicani sull'Aventino, in La Critica politica, IV[1924], pp. 445-449; e C. F. Ansaldi, Positivismo ed aventinismo repubblicano, ibid., pp. 501-504), mentre egli, contro l'attendismo legalitario e contro l'organica alleanza coi socialisti, stava prospettando su Vigilia un'impostazione rivoluzionaria nei tempi lunghi, che avrebbe dovuto porre i repubblicani alla testa della connaturata rivendicazione istituzionale (articoli Che fare? e Al di làdella punta del naso, rispettivamente nei numeri del 15 aprile e 15 giugno 1925). La difesa, insieme con R. Pacciardi, della Voce repubblicana nel processo intentatole per diffamazione da I. Balbo, portato in causa per l'assassinio di don Minzoni, acuì l'ostilità squadristica, col ferimento del C. in un assalto alla tipografia del giornale ed un'aggressione in casa.

Per deliberazione della Camera del 9 nov. 1926, decadde, come partecipante all'Aventino, dal mandato parlamentare, mentre con deliberazione del 7 apr. 1927. ratificata il 13 apr. 1928, veniva radiato dall'albo dei procuratori per attività in contrasto con l'interesse della nazione. Lo accoglimento del ricorso, nell'aprile 1929, gli consentì il ritorno alla professione, che però risentì della vigilanza cui venne sottoposto, fino all'arresto preventivo, nel 1938, durante la visita di Hitler in Italia.

Nel quindicennio di ritiro a vita privata, il C. continuò ad essere un punto di riferimento per gli amici politici rimasti in Italia, non senza contatti, anche intercettati dalla polizia, con l'emigrazione repubblicana, che provò frattanto, nella Concentrazione antifascista, la politica di coalizione coi socialisti e col movimento Giustizia e libertà. La cerchia delle sue relazioni crebbe, con la generale ripresa dell'opinione antifascista, durante la seconda guerra mondiale, finché, crollato il regime, diede un decisivo impulso, tra il periodo badogliano e l'occupazione tedesca (con relativa stampa di dieci numeri della Voce repubblicana e di opuscoli e volantini) alla ricostituzione clandestina del partito, che si pose in duplice rapporto di concorrenza e collaborazione con l'affine e più agguerrito Partito d'agione, in cui affluiva una considerevole parte dei vecchi e nuovi repubblicani. Riemergeva, nel contesto resistenziale, la sua antica intransigenza, che, tranne contatti operativi. stabiliti specialmente al Nord, tenne il partito repubblicano fuori dai Comitati di liberazione nazionale (cui contrappose la prospettiva di una concentrazione repubblicana) e dei governi da loro espressi, per avversione ad ogni compromesso con la monarchia.

Dopo la liberazione, si trovò in contrasto con Pacciardi, successogli nella direzione della Voce repubblicana (fine aprile 1945) e nella guida del partito (quando il convegno nazionale del 26-27 maggio 1945 lo elesse segretario politico), per divergenze sui metodi (ritenendo il C., in particolare, che le vistose manifestazioni popolari andassero a detrimento delle cure organizzative), sulla partecipazione alla Consulta nazionale (cui si oppose nettamente, e cui Pacciardi era incline se il governo Parri e gli altri partiti avessero dato la precisa garanzia che fosse un organo preparatorio della Costituente) e sulle alleanze (essendo Pacciardi, in quella prima fase del dopoguerra, propenso alla collaborazione coi socialcomunisti), fino a dimettersi, nel novembre 1945, dalla direzione: si veda del C., per tale contrasto, la pubblicazione Controcorrente e copialettere, Roma s. d.

Da A. Bottai e G. A. Belloni che, come del resto Pacciardi, avevano in comune con lui la formazione mazziniano-cattaneana, dissentì sulla tesi del socialismo mazziniano, che considerava riduttiva del mazzinianesimo e tale da favorire, con l'ambiguità terminologica, la gravitazione verso il più forte partito socialista.

Difficile era, per altro verso, la saldatura del suo tradizionalismo repubblicano con la provenienza azionistica di U. La Malfa che, confluito nel partito repubblicano coi suo Movimento democratico repubblicano (un'ala del Partito d'azione, fusosi invece nel Partito socialista italiano di unità proletaria), vi recò una diversa esperienza e mentalità politicoeconomica, aliena dalla visione associazionistica, volta a grandi orizzonti industriali, con criteri di pubblica programmazione, verso i quali l'autonomismo libertario del C. nutriva qualche diffidenza. Nel volume Un'idea e un partito per l'Italia (Roma 1954) egli riconosceva, in proposito, l'opportunità di indicazioni orientative ma rifiutava come dirigistiche le sistematiche pianificazioni statali e rilanciava l'antico principio repubblicano-sindacalistico di una società di produttori liberamente associati.

Nella fase decisiva della scelta istituzionale, il C. fu però rappresentante del repubblicanesimo nel suo insieme. Dedicatosi fin dalla clandestinità, con un comitato di studi politici e sociali. in collaborazione con T. Perassi e G. A. Belloni, alla preparazione di lineamenti costituzionali, ne trattò la problematica, anche con analisi comparativa di sistemi stranieri, nelle due serie, raccolte in volume (Roma 1946), del periodico La Costituente (s. 1, dal 20 ott. 1945 al 31 maggio 1946; s. 2, dal 15 luglio al 31 dic. 1946).

Eletto nel collegio di Roma-Viterbo-Latina-Frosinone all'Assemblea costituente, ne fu vicepresidente, e tra i più qualificati ispiratori ed elaboratori del progetto di costituzione, specialmente nella commissione detta dei Settantacinque, incaricata di stenderne il testo.

I temi su cui maggiormente si pronunciò furono le autonomie locali, l'ordinamento regionale, il contenimento degli apparati (a partire dal Parlamento, che voleva sì bicamerale ma con ridotto numero di rappresentantì: posizione tanto più rimarchevole poiché veniva da un esponente di un piccolo partito, che ne sarebbe stato sacrificato), l'esigenza della stabilità (con orientamento verso governi di legislatura e con la preminenza del presidente in quanto responsabile dell'indirizzo unitario del Consiglio dei ministri), la concezione del governo come espressione dei Parlamento, l'indipendenza della magistratura (fu lui a formulare il I comma dell'art. 104), la strutturazione degli organi giudiziari. Per quanto concerne quest'ultima materia, fu contrario all'inserimento del ministro di Grazia e Giustizia nel Consiglio superiore della magistratura ed alla permanenza dei suoi membri negli albi professionali, espresse preoccupazioni di ordine tecnico sull'istituto della giuria popolare e (sebbene fautore, in generale, dei più ampi decentramenti) sostenne l'unicità e centralità della Corte di cassazione.

Convinto della determinazione interiore della disciplina e della fedeltà, fu contrario al giuramento dei parlamentari e dei magistrati, che aveva pesato sulla sua coscienza di repubblicano sotto la monarchia. Propugnò invece l'esclusione dei membri di entrambi i sessi di casa Savoia dal territorio nazionale e l'avocazione allo Stato dei beni goduti dalla dinastia.

Intese la provincia come organo di decentramento della regione, non implicante l'elezione di Consigli, anticipando con ciò la successiva proposta repubblicana di abolizione dei medesimi.

In quanto deputato aventiniano, decaduto dal mandato nel 1926, ai termini della III disposizione transitoria della costituzione fu nominato senatore per la I legislatura repubblicana.

Sempre intensa, la sua attività in Senato fu caratterizzata, con varianti giudizi sui governi presieduti da A. De Gasperi (per libero apprezzamento di diversi aspetti e momenti), da una crescente insofferenza verso il partito, dal quale uscì nel 1950 per opposizione (confortata da una lettera di Salvemini del 3 febbraio 1951 in arch. privato Conti) al mandato fiduciario sulla Somalia, valutato col metro anticolonialistico delle antiche battaglie, anche se era ora ministro degli Esteri il repubblicano conte C. Sforza: sulle motivazioni e circostanze del distacco si vedano la dichiarazione al Giornale d'Italia del 16febbr. 1950e l'articolo G. C. esce dal partito, in La Critica politica, XII (1950), pp. 53-56.

Approvò, invece, la scelta di fondo atlantica e centrista, di cui era stato antesignano contro lo stesso Pacciardi: indicò il rischio della caduta nell'orbita sovietica e in un totalitarismo di sinistra, e si pronunciò a favore dell'energica politica di ordine pubblico perseguita dal ministro dell'Interno M. Scelba. Mantenne però verso i socialcomunisti, in quell'epoca di dure contrapposizioni, una disposizione al dialogo nella solidarietà antifascista, con riprovazione di particolari comportamenti polizieschi (si veda l'interpellanza del 19 dic. 1951 dopo che era stato colpito il deputato comunista C. Marchesi), e concepì l'atlantismo in senso difensivo e restrittivo, rifiutando, di fronte alla guerra di Corea, ogni ipotesi di coinvolgimento italiano, alla stregua di un neocolonialismo, in connessione con la campagna contro il mandato sulla Somalia: cfr. gli opuscoli e testi di discorsi in Senato Italia o colonie? Aspetti politici ed economici del problema coloniale nel momento attuale, Roma 1950; Iniziativa italiana per la pace! (Nel Patto Atlantico), ibid. 1951; Negli errori a capofitto!, ibid. 1953.

Denunciò le inadempienze al dettato costituzionale sulle regioni: Un programmaper l'opera legislativa, Roma 1949 (intervento nella seduta del 15 dic. 1948) e Per la regione con tutta fiducia, ibid. 1953 (intervento del 14 genn. 1953); ed il ritorno alle complicazioni e congestioni burocratiche ed amministrative, con ingerenza dell'esecutivo: Comuni, provincia, prefetti, Roma 1951 (interv. del 23 febbr. 1951 e success.). Investì la classe politica cui addebitò le riemergenti pesantezze del parlamentarismo e le degenerazioni partitocratiche della libera dialettica pluralistica: La crisi per la partitocrazia e il politicantismo (dichiarazione di voto dell'8 ag. 1951), ibid. 1951, e successivo intervento in Senato del 5 dic. 1952. Dello stesso suo partito, su cui, nel corrucciato distacco di vecchio maestro, continuava ad esercitare un'influenza morale, dava severi giudizi: si veda, in particolare, l'articolo Il Partito repubblicano in repubblica, in La Critica politica, XII (1950), pp. 96-108.

Reagendo, però, alle idealizzazioni dei parlamentarismo prefascista e dell'epoca liberale, condusse, alla Costituente ed in Senato, polemiche retrospettive che assumevano un significato di demitizzante testimonianza storica. Sui limiti del liberalismo storico nel paese verte il volume Leggi e lotte elettorali in Italia (1848-1948), Roma 1953, pubblicato con lo pseudonimo di Italo Pauli, simulando di averne composto solo la prefazione. Obiettivo centrale delle critiche al precedente sistema era sempre la monarchia, alla quale prima dei fascismo faceva risalire, tra molte responsabilità, la colpa della politica espansionistica in Iugoslavia e quindi dei nodo di Trieste (discorso in Senato del 25 marzo 1952). Pertanto, in mancanza di un processo, che riteneva giusto, all'ex sovrano, insistette per la avocazione allo Stato dei beni di casa Savoia, conforme alla XIII disposizione transitoria della costituzione: La destinazione dei beni goduti dalla decaduta dinastia, Roma 1949 (discorso in Senato del 5 maggio 1949). Un postumo riconoscimento di avversario, con parziale revisione di giudizio, rendeva invece a Giolitti, ora considerato come un illuminato leader liberale, che invano cercò, col suo empirismo, di condurre la monarchia italiana fuori della fatale ed intrinseca linea di svolgimento, sfociata nel fascismo: discorsi del 7 giugno e 19 sett. 1947 alla Costituente, e conversazione radiofonica dell'ottobre 1952, pubblicata sulla Voce repubblicana del 16-17 marzo 1967. Un'altra sua conversazione radiofonica verté su Le origini del movimento sociale repubblicano in Italia:il testo è in Figure del movimento sociale repubblicano, Torino 1953, pp. 7-15. Nel 1951, nell'"Universale economica" della Ed. Cooperativa Libro popolare (Milano), curò l'edizione de La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi di N. Colajanni.

Col proprio nome o con vari pseudonimi (Un ignoto, Eleuterio, Anonimo, Lector) pubblicò vari volumi ed opuscoli: I partiti politici in Italia, Roma 1947; Che cosa è la democrazia, ibid. 1953; I partiti visti nel 1946... e visti nel 1953, ibid. 1953; Orientamenti nella lotta politica e sociale, ibid. 1953; L'idea repubblicana, ibid. 1953 (2 ediz. aggiornata, ibid. 1956); IlRisorgimento italiano dalla leggenda alla storia, ibid. 1954; Due lettere sul comunismo, ibid. 1955; La costituzione della repubblica spiegata al Popolo, ibid. 1955; 1944-1954, Dieci anni di esperienze politiche e sociali, ibid. 1955; Pensiero ed azione di A. Ghisleri, ibid. 1955; più molti testi di discorsi, anche raccolti per tematiche, come i volumi Nella battaglia contro la dittatura (ibid. 1953) e Dal latifondo alla riforma agraria (ibid. 1954). Questo secondo documenta l'appassionata ripresa, nel secondo dopoguerra, come membro e relatore dell'apposita commissione del Senato, delle cure per l'agricoltura, intese alla formazione della piccola proprietà, adesso anche nel Mezzogiorno, con la attività nell'Opera valorizzazione Sila.

Alla Libreria politica moderna sostituì, nel 1950, la Casa editrice italiana, rinnovante una insegna del repubblicano A. Quattrini, e ad esse affiancò altri canali pubblicistici, come la Agenzia delle idee, i gruppi Avvenire, le edi;tioni Aurora.

Diresse o redasse, in quest'ultimo periodo, sempre a Roma, i giornali L'Edera (1946-47), Il Giornale del villaggio (1946), La Bandiera del Popolo (1948), Gioventù libera (1954-56) ed il rotocalco settimanale L'Epoca nuova (1947-48). Attivo nel comitato per le onoranze a Mazzini, curò il numero unico La Repubblica romana (Roma 1949).

L'incontro con G. Spadolini e la disponibile apertura allo studioso del proprio archivio e della propria biblioteca giovarono, attraverso una serie di articoli sul settimanale Il Mondo e quindi il suo libro I repubblicani dopo l'Unità (Firenze 1960, e successive edizioni del 1963, 1972, 1980), alla crescita degli scritti sul repubblicanesimo italiano da pubblicistica a produzione storiografica: tappa considerevole in tale sviluppo è il volume di M. Tesoro I repubblicani nell'età giolittiana (Firenze 1978), in cui il C. figura tra i protagonisti.

Morì a Roma l'11 marzo 1957.

Fonti e Bibl.: Necrol. in ArtiParlamentari, Camera e Senato, 13 marzo 1957; in Il Pensiero mazziniano, 15 marzo 1957; in Umanità nova, 17 marzo 1957; in Il Mondo, 17 marzo 1957; in Gioventù libera, ottobre 1957, num. speciale A ricordo, di G. C.;in La Voce repubblicana, 13 marzo 1957; numeri speciali dello stesso giornale a dieci anni dalla morte, il 16-17 marzo 1967, rist. in volume di vari autori col titolo La democrazia repubbl. di G. C. (Roma 1968), ed a venti anni, il 16-17 marzo 1977. Cfr. inoltre Archivio privato del C., conservato a Roma dal figlio avv. Dante; Pisa, Archivio della Domus Mazziniana: A IV b 31/26, A IV c 22/1-83, A IV d 1/1-184, B IV d 22/9, B IV d 22/12, E III a 6/25-30, E IV f 2/12, F I e 31/1-2, F II b 45/1-29, G II i 2/1-24, G III d 16/6, G III m 69/1-31; Roma, Arch. centr. dello Stato, Minist. dell'Interno, Casellario Politico centrale, s. v.; Atti e resoconti dei congressi del Partito repubblicano italiano, a partire dal congresso di Pisa (il VI), dell'ottobre 1902, fino al XXI, di Roma, del febbraio 1949; Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discuss., legislature XXVI e XXVII, ad Indices; Assemblea costituente, ad Ind.; Senato, I legislatura repubbl., ad Indicem; La costituzione della Repubblica nei lavori Preparatori dell'Assemblea costituente, Roma 1970, Passim; Mostra della rivol. fascista. Guida storica, a cura di D. Alfieri - L. Freddi, Roma 1933, p. 166; A. De Donno, L'Italia dal 1870 al 1944. Cronistoria documentata, II, Roma 1946, pp. 29, 550; L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, pp. 438 s.; F. Comandini. Commem. dell'avv. G. C., Roma 1958; L. Cirri, Stupidario parlamentare, Milano 1960, pp. 51, 137 s., 350; G. Sergnesi, G. C., in Aspetti e figure della pubblicistica repubblicana italiana. Atti del convegno organizzato dall'Assoc. mazziniana italiana a Torino. 13-14 ott. 1961, Milano 1962, pp. 183-222; O. Zuccarini, Ricordo di G. C., in Noi repubblicani, marzo 1962, pp. 5 s.; T. Martella, Senatori in graticola, Milano 1963, pp. 56, 110, 112, 114, 124-127, 163, 243, 416; B. Di Porto, Il Partito repubbl. italiano. Profilo per una storia dalle origini alle odierne battaglie, Roma 1963, pp. 119-148, 166 s., 177, 181, 191, 196 s., 205; Id., Tra riformismo e intransigenza: la posizione di G. Chiesi, in Arch. trimestr., IV (1978), pp. 27-30; Id., I repubblicani nell'età giolittiana, in Istituzioni e metodi polit. dell'età giolittiana. Atti del convegno nazionale. Cuneo, 11-12 nov. 1978, a cura di A. A. Mola, Torino 1979, pp. 277-286; E. Santarelli, Le Marche dall'Unità al fascismo, Roma 1964, p. 107; S. Tino, Il trentennio fascista, Milano 1965, p. 238; G. Bergamo, Premessa a M. Bergamo, Nazionalcomunismo, Milano 1965, p. 12; E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma 1967, pp. 325, 328; E. Aga Rossi, Il movimento repubblicano. Giustizia e libertà e il Partito d'azione, Rocca San Casciano 1969, pp. 9 s., 12, 45 s., 51, 67-71, 264 ss.; Bibl. dell'età del Risorgimento in on. di A. M. Ghisalberti, I, Firenze 1971, pp. 265, 295; II, ibid. 1972, pp. 489 s., 529, 560; III, ibid. 1974, p. 116; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Milano 1972, I, pp. 253 s., 386; G. Spadolini, I repubblicani dopo l'Unità, Firenze 1972, pp. X s., 83, 95, 98 ss.; Id., G. C., il "Mondo" e la storia del repubblicanesimo italiano, in Mazzini e i repubbl. italiani. Studi in onore di Terenzio Grandi nel suo 92°compleanno, Torino 1976, pp. 627-632; Id., La Repubblica romana ieri e oggi, in Nuova Antologia, aprile-giugno 1979, pp. 3-11; G. Armani, Gli scritti su Carlo Cattaneo, Pisa 1973, pp. 35, 53, 58, 224; L. Cecchini, Unitari e federalisti. Il Pensiero autonomistico repubbl. da Mazzini alla formazione del P. R. I., Roma 1974, pp. 10, 12, 54, 88, 104, 125; Id., Ilmovimento repubbl. nella crisi del dopoguerra, in Arch. trimestr., I (1975), pp. 274-291; Id., La storiografia sul movimento repubbl. ital. dalla costituzione del PRI all'avvento del fascismo al potere (1895-1926). Saggio bibliografico, ibid., III (1977), pp. 147-172; Id., I repubblicani ital. di fronte al fascismo, ibid., pp. 297-328; G. Galli, I Partiti politici, Torino 1974, pp. 191, 299, 328, 341, 362, 438, 448, 517; A. Aiazzi, Che valore ha il partito repubbl., in Arch. trimestr., I (1975), pp. 134-138; A. Benini, Vita e tempi di A. Ghisleri, Manduria 1975, pp. 143, 162, 175, 177, 185, 191 ss., 200, 204, 206, 216; V. Parmentola, Cinque programmi repubblicani, in Arch. trimestrale, I (1975), pp. 35-54; M. Tesoro, I repubblicani nell'età giolittiana. Gli intransigenti e la crisi del P.R.I., in Boll. della Domus mazziniana, XXI (1975), pp. 5-52; Id., Ghisleri e il rinnov. del programma repubblicano (1908-1914), in Mazzini e i repubblicani italiani. Studi in onore di T. Grandi nel suo 92°compleanno, Torino 1976, pp. 537-549; Id., C., Zuccarini e la rifond. del P. R. I., in Arch. trimestr., III (1977), pp. 277-295; P. G. Permoli, C. il parlamentare, in Democrazia repubblicana, Milano 1975, pp. 233-252; Id., G. C. e la cultura democratica, in Parlamento, marzo-aprile 1977, pp. 19 ss.; G. Andreotti, Vivere a Roma, in IlTempo, 22 febbr. 1976; C. Schwarzemberg, Giustizia e diritto nell'Italia fascista, Milano 1977, p. II; M. Scioscioli, Dalla marcia su Roma alle elezioni del 1924. Il dibattito Politico nel P. R. I., in Arch. trimestr., III (1977), pp. 329-352; L. Cecchini, I repubblicani italiani di fronte al fascismo dal dopoguerra alla marcia su Roma, ibid., pp. 297-328; A. Comba, Movimento repubblicano, in Ilmondo contemporaneo. Storia d'Italia, II, a cura di F. Levi-U. Levra-N. Tranfaglia, Firenze 1978, pp. 717-729; S. Gnani, Da movimento armato a partito politico, Ravenna 1979, pp. 4, 11 s., 17, 27, 40, 52, 60, 73; La fondaz. della Repubblica. Dalla costituzione provvisoria alla Assemblea costituente, a cura di E. Cheli, Bologna 1979, pp. 136, 308, 313 s., 324, 352 s., 357, 359, 362, 367; Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, Bologna 1979, pp. 33, 40, 42, 46, 50, 56 s., 69, 77, 79 s., 93, 100, 102 s., 134; Atti del convegno di studi nel venticinquesimo anniversario della fondazione della Domus Mazziniana 1952-1977. Le componenti mazziniana e cattaneana in Salvemini e nei Rosselli. La figura e l'opera di Giulio Andrea Belloni, Pisa 1979, passim.

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